sabato 16 luglio 2016

16 luglio 1961 - Frêney

«Sono arrivati, sono arrivati» gridava qualcuno. Poi, con un sorriso, il primo che Bonatti vide quella mattina, il giornalista si mise a parlare: «Siamo a Courmayeur, quello di fianco a me è Walter Bonatti, appena sceso dalla sua avventura sul tetto d'Europa. Allora Bonatti... dica ai nostri telespettatori: com'è andata?» fece Emilio Fede con la sua faccia un po' inebetita. Bonatti lo guardo negli occhi e solo allora capì veramente che era tornato nell'altra metà del suo mondo. «Mazeaud mi ha detto che Oggioni è morto...» disse piangendo. «Come mai vi siete salvati solo voi?» Tutti gli occhi della gente erano puntati su du lui. E Bonatti, di fronte a Bianca, pronunciò una frase che fece felice Emilio Fede: «Ci siamo salvati solo noi tre: Mazeaud, Gallieni e io. Gli unici che avevano una donna e un amore ad aspettarli». Poi lo mandò via con un gesto e andò da Bianca.
Marco Albino Ferrari, Frêney 1961

Da La Stampa Sera, 15 luglio 1961

Un grande alpinista, una leggenda delle montagne, un gigante delle grandi pareti, non si dimostra tale solo nella vittoria e nelle imprese. È tale anche nella tragedia. Quella che Walter Bonatti ha vissuto in prima persona, sicuramente la più grande della sua carriera alpinistica, probabilmente una le più nefaste e allo stesso tra le più "celebrate" dell'intera storia dell'alpinismo, ha aiutato a celebrare ancora di più la sua già maiuscola figura di alpinista. Ma soprattutto ha celebrato l'uomo Bonatti, in grado di rimanere forte nella catastrofe, umano nella disgrazia. L'evento in questione risale al luglio del 1961 ed è tristemente conosciuto come la tragedia del Pilone Centrale del Frêney.

Da La Stampa Sera, 16 luglio 1961

Il Pilone Centrale del Frêney era un obiettivo ambito da più di un alpinista, in quanto era l'unico dei pilastri del Monte Bianco, sul versante italiano, ad essere rimasto inviolato. Walter Bonatti e Andrea Oggioni lo studiano da tempo, ma è una salita complessa anche nella preparazione. La salita fino alla base del pilone è lunga, massacrante. Sono poche le settimane in cui ci sono le condizioni climatiche e di roccia ideali alla salita. Questo pilone, poi, è il parafulmini del Monte Bianco, trovarsi qui durante una tempesta, beh, vuol dire andare incontro alla morte. Nel luglio del 1961 sembrano esserci le condizioni giuste per la salita. Bonatti e Oggioni, assieme al loro amico Roberto Gallieni, partono per il Bivacco della Fourche, avamposto tra il il Ghiacciaio del Frêney e il Ghiacciaio della Brenva.

Il Pilone Centrale del Frêney (fonte: montagna.tv)

Qui ritrovano però un altro gruppo di alpinisti, parigini, anche loro con l'obiettivo del Pilone Centrale del Frêney. Non sono degli sprovveduti, anzi, si tratta di alcuni tra i migliori esponenti dell'alpinismo francese: il carismatico Pierre Mazeaud, l'imponente Antoine Vieille, il preparatissimo Pierre Kohlmann e il talentuoso Robert Guillaume. Tra le due cordate si crea subito uno spirito di intesa e di collaborazione, grazie al quale decidono di unirsi per dare l'assalto al Monte Bianco salendo lungo il Pilone del Frêney.

Da La Stampa, 16 luglio 1961

È il lunedì del 10 luglio 1961, quando i sette iniziano la salita sul granito rosso del Frêney. Tutto procede per il meglio fino al pomeriggio del martedì successivo. Quando Mazeaud, passato in testa, sta per approcciare la salita all'ultimo tratto del pilone, l'insidiosa cuspide sommitale che sarà ribattezzata "Chandelle", nubi minacciose si affacciano velocemente all'orizzonte. Mazeaud è costretto a scendere, spaventato dall'elettricità di cui si stava saturando l'aria. Lascia un martello in parete: quello sarà il punto più alto che la cordata italo-francese riuscirà a raggiungere sul Pilone Centrale del Frêney in quei terribili giorni del luglio 1961. E da quel momento inizia il dramma: il francese Kohlmann viene colpito da un fulmine, che lo centra nell'apparecchio acustico, rendendolo sordo e annerendogli il volto. Per Kohlmann è l'inizio del calvario.

Da La Stampa Sera, 14 luglio 1961

Bonatti, che del Monte Bianco è profondo conoscitore, e sul quale ha già scritto la storia dell'alpinismo, sa che i temporali di luglio non sono mai particolarmente lunghi. Si trovano a circa 150 metri per raggiungere la cresta sommitale che li avrebbe portati in cima al Bianco, dal quale avrebbero avuto una facile via d'uscita. Sei ore di bel tempo e tutto si sarebbe risolto con un semplice spavento e un'impresa in tasca. Bonatti è convinto di liquidare la situazione con un bivacco all'addiaccio, in attesa di una finestra di sole. Che non arriverà mai.
Per tre notti, i sette alpinisti sono costretti a bivaccare su una piccola cengia nel bel mezzo della parete, che si riempirà progressivamente di neve, in posizioni scomodissime, a temperature rigidissime, nutrendosi di carne secca e ingurgitando vitamine, costantemente esposti al pericolo di essere centrati dai fulmini. Intanto, tutte le vie di uscita si coprono inesorabilmente di neve, rendendo difficile ogni manovra, le loro, e quelle dei loro soccorritori, che nel frattempo stanno organizzandosi. Ogni appiglio in parete è ricoperto dalla neve, dunque è impossibile uscire in vetta; superare un ghiacciaio dopo una tempesta è come camminare su un filo sospeso nel vuoto, ogni crepaccio nascosto può essere la fine.

Da La Stampa Sera, 18 luglio 1961

All'alba di venerdì 14 luglio Bonatti e Mazeaud convengono che non si può indugiare oltre, bisogna scendere. La via di uscita non può che essere una: ripercorrere la parete del pilone sfruttando il materiale lasciato sulla parete, superare l'insidioso tratto dei Rochers Gruber, risalire il Colle dell'Innominata per poi ripiegare sulla Capanna Gamba. È l'unica via di salvezza. Bonatti, in cuor suo, sa che è un'impresa disperata ma prega tutti di mantenere la calma, perché solo con la calma si può uscire da quella situazione. E spera che i soccorritori stiano già muovendosi verso di loro.

Da La Stampa Sera, 18 luglio 1961

Purtroppo questo non avverrà, la squadra di soccorso capitanata dalla guida Ulisse Brunod, erroneamente, raggiungerà il Bivacco Lampugnani invece di muoversi verso il Colle dell'Innominata.
Il "viaggio della speranza" di Bonatti e compagni sarà un vero e proprio calvario. Fatta eccezione per Bonatti e Gallieni, gli altri componenti della cordata sono allo stremo delle forze, sfigurati, denutriti e massacrati dalla tempesta. Ogni movimento è rallentato perché non ci sono più le forze: serve quasi un giorno per scendere da una parete complicatissima da scendere. Farsi largo nella neve altissima, poi, rende ogni manovra più complicata. È una via crucis. Il primo a morire è Antoine Vieille, ai Rochers Gruber, di sfinimento. Poi, sul Ghiacciaio del Frêney, è la volta di Robert Guillaume, che cade in un crepaccio.

Da La Stampa, 18 luglio 1961

L'ultimo ostacolo, prima di trovare la salvezza nella Capanna Gamba, è il Colle dell'Innominata, la cui salita, già difficile di per sé, è ancora più ardua per via della neve. Andrea Oggioni, sfinito e privo ormai di energie, bloccato da un nodo di corde ormai ghiacciate, non riuscirà a raggiungere il colle. Per Kohlmann, ormai in preda alla pazzia, la fine sarà a pochi metri dalla Capanna Gamba: un movimento brusco di Gallieni viene inteso da Kohlmann come un'aggressione. Bonatti e Gallieni, in quel momento in testa, devono liberarsene e lasciarlo al suo destino, in quanto il rifugio è ad un passo e lì avrebbero potuto dare l'allarme.
Nella Capanna Gamba tutto è spento e tutto tace, oltre venti soccorritori stanno dormendo al caldo mentre fuori sette uomini stanno morendo (e alcuni, morti, lo sono già da ore). L'arrivo di Bonatti e Gallieni mette in moto l'intervento della squadra di soccorso, che riuscirà ancora a salvare Mazeaud, ma nulla potrà per Kohlmann e Oggioni. Si conclude qui, la domenica del 16 luglio 1961, una delle più grandi tragedie alpinistiche della seconda metà del XX secolo.

Bonatti in salvo a Courmayeur con la compagna Bianca (fonte: realtasopravvalutata.blogspot.com)

Il post-Frêney durerà a lungo e produrrà un ampio dibattito nell'opinione pubblica italiana, che si dividerà in due schieramenti, pro- e contro-Bonatti. I sostenitori di Bonatti accusarono i soccorsi di essere stati negligenti, in quanto fu inutile dirigersi al Bivacco Lampugnani quando era palese che non avrebbero mai potuto ripiegare in quella direzione, e ottusi, poiché Brunod avrebbe allontanato in malo modo le indicazioni provenienti da due alpinisti messisi in salvo in quegli stessi giorni, i quali affermavano di aver sentito delle voci provenienti dal Ghiacciaio del Frêney. Gli accusatori di Bonatti, invece, lessero nella morte di Oggioni il sacrificio di un amico, mentre il grande alpinista si era messo "comodamente" in salvo. Perché Bonatti si e altri quattro no? Solo la testimonianza di Mazeaud prima, e un risolutorio articolo, firmato dall'illustre penna di Dino Buzzati, scagioneranno l'operato di Walter Bonatti, definito proprio da Mazeaud "autorevole ed umano".

Da La Stampa Sera, 18 luglio 1961

La montagna quel luglio del 1961 respinse Bonatti, e quell'avventura costò la vita ad un suo amico fraterno ed altri tre compagni di cordata. Fu una ferita dura da rimarginare per Bonatti. Ma allo stesso tempo, anche grazie alla Legione d'Onore che gli fu conferita dalla Francia, il mondo conobbe l'uomo Bonatti, animo limpido ed integerrimo, nella gioia e nel dolore.

1 commento:

  1. alla c.a. di Stefano Garetto.
    Avresti qualche informazione addizionale su Bianca, compagna di Bonatti che compare nella fotografia? Grazie Roberto Prato

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