domenica 30 aprile 2017

21 km nella città del Meno

Ciao a tutti!
Il riposo è finito ed è nuovamente il momento della corsa. Ad oltre un mese di distanza dalla memorabile esperienza alla maratona di Roma, sono tornato a calcare l'asfalto della mia città in vista di un appuntamento che avrà luogo… proprio a Schweinfurt! È il classico appuntamento primaverile della MainCityRun, l'evento podistico (credo pure l'unico) che coinvolge migliaia di atleti e appssionati della zona, grazie alla grande varietà di distanze sulle quali è possibile partecipare: si va dai 500 metri riservati ai bambini fino ad arrivare alla mezza maratona per i più resistenti, passando per le distanze più corte di 1.1 e 3.2 chilometri per gli studenti, e di 5 e 10 chilometri per gli adulti.
Quest'anno la MainCityRun è fissata per la prima domenica di maggio. Io parteciperò alla distanza più lunga, quella della mezza maratona. Perché se posso scegliere tra dieci e ventuno chilometri, la scelta ricade sempre sulla distanza più lunga. Nonostante senta nelle gambe la possibilità di poter migliorare il mio personale sui dieci chilometri, che è rimasto fermo al 2013, la voglia di correre una mezza maratona rimane sempre superiore. E poi, so per esperienza che la distanza della mezza maratona, quando sono in forma, può darmi delle grosse soddisfazioni. Il mio corpo percepisce i venti/venticinque chilometri come il punto di equilibrio ideale tra la velocità espressa in corsa e lo sforzo eseguito.

Appuntamento per il 7 maggio per la corsa nella città del Meno!

Pensare di migliorare il personale qui, su questo percorso e con temperature che prevedo ben più elevate di quelle ideali (nonostante i termometri recentemente siano stati spesso vicini allo zero, anche ad aprile), è obiettivo chimerico. C'è invece la curiosità di scoprire come il mio corpo reagirà dopo un mese di stop dalla corsa, fondamentale per rigenerare i muscoli provati dallo sforzo della maratona. Farlo in una domenica di primavera, assieme a tante persone che conosco, sulle rive del Meno, il fiume che scorre ogni giorno davanti a noi e scandisce la mia vita in Germania, non può che essere ancora più piacevole.
Bis bald!
Stefano

sabato 29 aprile 2017

"Tutto bene, a quanto pare"

Chi non è un italiano emigrato all'estero forse non potrà capire questo post. Forse non lo può capire nemmeno chi non è torinese, forse. Ma spero che tutti quanti coloro che leggeranno... possano perdonarci se pecchiamo di un sentimento che è fatto della nostalgia per la nostra terra e dello stupore proprio dei bambini piccoli.

Ma in soli 75 metri... si apre un mondo! 

Oggi eravamo a Monaco di Baviera, prima tappa del nostro minitour nel sud della Baviera in occasione del weekend lungo del Primo Maggio. E questa volta non ci siamo fatti mancare una sosta ad Eataly. Sì, il grande negozio che vende il meglio della qualità enogastronomica italiana all'estero lo si trova anche a Monaco di Baviera, a due passi dalla birreria Pschorr e dal Viktualienmarkt. Pieno centro di Monaco. Eataly. Cibo italiano, il meglio del cibo italiano. È stata una forte emozione.

Insegnare la cucina italiana ai tedeschi... ci si prova

Entrare da Eataly a Torino, era un gesto normale. Farlo a Monaco di Baviera, uno dei templi della cultura tedesca, non è più così normale. È una extrasistole che può far malissimo. Una parte di noi, l'abbiamo ritrovata qui, in questa isoletta tricolore circondata da un oceano che è patria della birra, dei Bratwurst e del Brezel. Abbiamo ritrovato un mondo che anni fa, per noi, sarebbe stato normale, e ora è un'eccezione. Ritrovarlo qui è una sensazione unica. È uno stordimento, una botta da knock-out. L'Eataly a Monaco di Baviera non è l'Eataly di Torino, per ricchezza e dimensioni, forse neanche per prezzi - elevati, ma la qualità si paga. Però trovare la colomba prodotta a otto chilometri (otto!!!) dal paesello in cui ho vissuto quasi trent'anni... trovare le caramelle prodotte nelle valli delle Olimpiadi... trovare le tisane preparate con le erbe coltivate sulle montagne che ogni mattina vedevo dal balcone di casa... la carne della Provincia Granda... i vini ottenuti dai vigneti che crescono sui pendii valdostani. E centinaia di altre cose ancora. No, non si può spiegare facilmente. "Non potete capire".

Cena da Eataly München

L'italiano dei camerieri, le cose scritte in una lingua che è la tua lingua, altoparlanti che trasmettono una musica che conosci - che non è solo i soliti Ramazzotti-Ferro-Pausini-Zucchero che tanto piacciono in Germania ma anche i Lunapop e Elio & Le Storie Tese. Di fronte ad un bicchiere di dolcetto, un piatto di tagliatelle al ragù e una battuta di fassone, trovarsi a cantare Nessun rimpianto di Max Pezzali è come tuffarsi in un mondo che mai come ora ci appare così lontano e mai come ora sogniamo di tornare a vivere ogni giorno. Ma che, nel complesso, ora apprezziamo come forse non ci capitava più, da quasi tre anni. Un mondo che è di una ricchezza ineguagliabile, un patrimonio che non ci rendiamo conto di possedere. Basta vedere i tanti libri esposti tra i banchi di Eataly (in tedesco, ovviamente) che celebrano la cucina italiana. Basta vedere quanto vino, quanto olio, quanta pasta, quanto ben di dio! Basta osservare quanta folla (non italiana) si sia riversata tra i tavoli dei ristoranti e tra le corsie, quante facce felici di fronte a pizze, piatti, taglieri e bicchieri di buon rosso. Basta percepire il nostro desiderio di svaligiare gli scaffali dei sughi, della cioccolata e delle marmellate. 
Un desiderio che non si può soddisfare in un paio d'ore. Quindi, per questo motivo, bisogna tornarci!

La nostra spesa da Eataly München (limitata, per questioni di spazio e portafoglio)

Stasera abbiamo scoperto una cosa, comunque: la gioia dell'italiano, a Monaco di Baviera, è di casa in Blumenstraße, è di casa da Eataly!
Bis bald!
Stefano

venerdì 28 aprile 2017

Meine schöne Stadt vol.8

Quando a primavera inoltrata ti svegli e la temperatura oscilla tra zero e cinque gradi...
Quando non si può uscire senza indossare una giacca invernale...
Quando aprendo la porta di casa è tremendo l'impatto dell'aria fredda sul volto...
Quando il sole lo vedi ad intermittenza (e quando non c'è viene giù qualche fiocco di neve)...
Quando uscendo per recarti a lavoro ti accorgi che ti servono guanti e berrettino...
Quando è aprile e nel sud della Germania scendono centimetri di neve...
...non resta che sperare che la primavera intravista ad inizio aprile tornerà! Perché così fu: caldo, sole e alberi in fiore non sono un'utopia a Schweinfurt!


Tre settimane fa in Franconia. Grazie al sole e ad un caldo che era un bell'antipasto di estate, uno dei tanti piccoli parchi di Schweinfurt si è colorato con le delicate tonalità della primavera. Questo, a due passi da casa nostra, è uno degli angoli più incantevoli di Schweinfurt in primavera.
Con l'auspicio che questa ritorni presto a fare capolino in Franconia!
Bis bald!
Stefano

martedì 25 aprile 2017

Fratello Fortunato

"Morire a 23 anni, dopo 11 mesi di atroce altalena, eternamente sospesi tra fiducia e depressione. Morire dopo aver appena assaporato le gioie intense di una brillante carriera sportiva, dopo aver raggiunto il top: la maglia numero 3 della Juventus, la Nazionale. Gloria, fama, soldi: poi, all'improvviso, un destino spietato. Un tunnel buio senza uscita chiamato leucemia. Nella forma peggiore. E la fine, proprio quando la battaglia sembrava vinta. Andrea Fortunato, giocatore della Juventus, è morto ieri, alle 20, nell'ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia. «Complicazioni infettive polmonari», è scritto sul referto.

Andrea Fortunato (fonte: blog.guerinsportivo.it)

È stata crudele la vita con Andrea Fortunato, quel ragazzo di Salerno dalla grinta invidiabile, arrivato a Torino per diventare l'erede di Cabrini. Un terzino sinistro di avvenire sicuro. Vinto solo da un nemico maligno e ancora invincibile. Eppure sembrava avercela davvero fatta, a Perugia avevano compiuto un «miracolo» con quel doppio trapianto da soggetto non compatibile. Fortunato sembrava salvo, era uscito dall'ospedale, controllato in regime di day-hospital. Sperava, speravamo tutti. A cominciare dai suoi compagni. Ravanelli e Vialli, innanzitutto. Il primo gli aveva prestato la casa a Perugia, il secondo lo chiamava spesso: una telefonata, un ciao per consolidare un'amicizia nata sul campo. Ma anche i tifosi. Sì, anche loro avevano creduto al miracolo quando avevano letto che la sera prima di Samp-Juventus Fortunato aveva riabbracciato gli amici bianconeri, era andato a cena con loro e che solo il freddo gli aveva impedito di essere ai bordi del campo. Ma era tornato anche a frequentare una palestra, a Perugia, Andrea. Poi, improvviso, il crollo.
L'inizio della fine ha una data precisa: venerdì 20 maggio 1994. Andrea è stanco, irriconoscibile in campo, lui che è sempre stato un concentrato esplosivo di energia; fatica a recuperare, è tormentato da una febbriciattola allarmante. Il dott. Riccardo Agricola, responsabile del servizio sanitario bianconero, prescrive una serie di analisi. La diagnosi mette subito paura: leucemia acuta linfoide, fattore Filadelfia positivo. Quanto di peggio ci si poteva immaginare. Fortunato viene ricoverato nella Divisione Universitaria di ematologia dell'ospedale Molinette. «Può farcela - dicono i medici -, Andrea è giovane, la sua tempra robusta lo aiuterà». Ma l'ottimismo di facciata è una pietosa bugia. Gli specialisti sanno bene che solo un trapianto con un donatore compatibile potrà restituire la vita a quel ragazzo coraggioso, assistito dalla fidanzata, Lara, e dai genitori, mamma Lucia e papà Giuseppe, che è cardiologo all'ospedale di Salerno e che ha l'immediata percezione del dramma.
Tre settimane di terapia intensiva. Un netto miglioramento, valori verso la normalità. L'organismo combatte, i globuli bianchi in eccesso spariscono, tecnicamente si parla di remissione completa della malattia. Un passo importante.
«Voglio farcela, voglio vincere questa guerra terribile», dichiara il giocatore. Ma la battaglia è ancora lunga. I medici non riescono a reperire, in tutto il mondo, un donatore compatibile per il trapianto. Sono solo tre i potenziali donatori, ma tutti troppo lontani. Così il 9 luglio si tenta un'altra strada. Fortunato viene trasferito a Perugia, al Centro Trapianti diretto dal dott. Andrea Aversa e dal prof. Massimo Martelli. Sono passate sette settimane. Nel giorno del suo 23° compleanno, il 26 luglio, gli vengono infuse le cellule sane della sorella Paola, opportunamente «lavorate». Poi seguono altri due innesti. Ci vorranno un paio di settimane per avere certezza che il midollo si sia spontaneamente rigenerato.
L'11 agosto si annuncia come un'altra data importante: Fortunato viene trasferito in un reparto pre-sterile. Combatte, fino a quando le forze lo sorreggono. Parla al telefono con i compagni, può leggere qualche giornale «sterilizzato», segue la sua Juve in tv. Andrea si è ormai reso conto che la battaglia è più dura del previsto, però scova insospettabili forze.
Poi, dopo Ferragosto, il primo crollo. Il suo organismo non ha assorbito le cellule della sorella Paola. Il rigetto fa ripiombare Andrea nella disperazione. Si tenta ancora, si spera in un altro miracolo. Papà Giuseppe prova a donargli le cellule del suo midollo. Ad Andrea inizialmente non lo dicono, si parla di normali terapie. Eppure la seconda infusione sembra miracolosamente attecchire, anche se allarma una febbre persistente. Il fisico reagisce bene, Fortunato torna in un reparto «normale», può perfino iniziare una riabilitazione in palestra. Il 14 ottobre lascia la camera d'ospedale. I compagni (Ravanelli, Vialli e Baggio, su tutti) lo incoraggiano, lo tempestano di telefonate: «Ti aspettiamo». L'ottimismo si fa nuovamente strada. Ma era un'illusione. Ieri Andrea è spirato tra le braccia dei genitori. Nella stanza c'erano anche i fratelli Candido e Paola. Poi, appena la notizia si è diffusa, è stata una processione. Sono arrivati i giocatori del Perugia Ferrante, Atzori e Corrado, ma la porta si è aperta soltanto per Carlo Ravanelli, il papà di Fabrizio: è uscito mezzora dopo, con le lacrime agli occhi. Padre Fernando, il cappellano dell'ospedale, ha detto di aver trovato la madre del calciatore «serena», con il rosario in mano: «Mi ha chiesto di benedire Andrea, poi abbiamo pregato»."
di Piero Bianco, La Stampa, 26 aprile 1995

domenica 23 aprile 2017

Perché questo destino crudele?

Io sono convinto che un ciclista professionista tenga sempre in considerazione l'eventualità di un incidente sulle strade. Le cadute sono già all'ordine del giorno, in gara, dove ci sono solamente (o quasi) biciclette. Quando ci si allena, poi, ci sono tutti i pericoli delle strade. Il traffico, l'imprudenza alla guida, l'imprevisto, la fatalità.
Però, a questa notizia, non eravamo pronti, no.
Alzarsi un sabato mattina e venire a sapere che Michele Scarponi è morto... è un duro colpo. Per il ciclismo, per chi lo segue e lo ama. Un destino infausto se l'è portato via, troppo giovane. Come uomo ma anche come atleta, nonostante i suoi trentasette anni, perché non c'è anagrafe che possa resistere se in sella sei mosso dalla passione e dalla gioia di pedalare.
Questo destino infausto si è portato via il migliore del gruppo. Forse non in gara, nonostante il successo al Giro nel 2011, sicuramente sul piano umano. A partire dai suoi capitani, che lo ricordano come un gregario affettuoso, per arrivare ai suoi direttori sportivi, che lo commemorano come uno dei capitani più speciali. Sulle salite di Giro e Tour, quando non era coinvolto nella bagarre e lo riconoscevi, non era mai scontroso (come tanti altri), bensì sempre disponibile con i tifosi. Anche solo con un sorriso. Un sorriso di quelli che ne valgono cento, un sorriso che brillava, così accentuato da un volto magrissimo, scavato dai sacrifici e dalla fatica di oltre vent'anni di carriera. Un personaggio affabile al quale non si poteva non voler bene.

Il ciclismo ti ricorderà così, Michele: con il sorriso!

Il ciclismo è più povero, oggi, perché l'Aquila (così come era soprannominato) è andata a volare lungo altre salite, in altri cieli. Ciao, Michele.

lunedì 17 aprile 2017

Una vergogna che non ci meritiamo

Quando ritorno in Italia per festività, vacanze o un semplice fine settimana, Pinerolo è spesso la prima tappa dei miei tour piemontesi. Perché è una città sufficientemente grande, dove posso rifornirmi di tutti i generi alimentari che sono solito portarmi in Germania, per resistere alla mancanza delle buone tradizioni gastronomiche tricolori - o dove posso togliermi qualche sfizio senza dover impazzire nel traffico di Torino.
Accendo la mia auto e lascio casa mia per dirigermi verso «la città più bella del Piemonte», come definì Pinerolo, oltre un secolo fa, il famoso scrittore Edmondo De Amicis. La magia che solo l'aria della mia terra e l'incantevole pace che provo al cospetto del Monviso sanno darmi vengono però interrotte da un brusco risveglio.
Perché sulla Strada Provinciale 138, nel primo tratto appena uscito da Cercenasco, il manto stradale è un tappeto di buche, crateri nell'asfalto, rattoppi male eseguiti e ancor peggio danneggiati. Anche una fetta di emmental pare meno crivellata. Ad ogni passaggio, bisogna fare una gimcana tra le buche - che appaiono profonde anche qualche centimetro - se non si vuole rovinare gli ammortizzatori della propria automobile. Si, perché purtroppo questo è solo uno dei tanti casi di asfalto ridotto in condizioni pietose. Nel mio paese, Cercenasco, ma anche nei paesi limitrofi, nel Pinerolese, in tutta la Provincia di Torino (o Città Metropolitana, nella versione più attualizzata). La situazione in cui versa la rete stradale del Torinese è VERGOGNOSA. Anche in Zimbabwe (non in Germania, con la quale il confronto sarebbe irriverente), un anno fa, ho visto strade in condizioni migliori.

Sconsolato di fronte a un panorama così e strade di questo genere...

In questo post ho caricato alcune delle foto che ho fatto a questo tratto di strada. Le riguardo e penso: questa terra, questa meravigliosa terra, non si merita strade così. Quale sarà mai l'immagine che si dà a turisti e forestieri? Si deve aspettare che qualcuno si faccia male per colpa dell'asfalto dissestato affinché si possa tornare ad avere strade... normali?!?







(un deluso) Stefano

domenica 16 aprile 2017

Meine schöne Stadt vol.7

Se il Natale rende la Germania un luogo unico, speciale... a Pasqua si rischia di fare ancora di meglio. Guardando alla mia città, soprattutto nel piccolo quartiere di Zürch, la Pasqua diventa l'occasione per tornare ad addobbare le pittoresche vie in lastricato. Come? Tappezzandole di uova dipinte di tutti i colori possibili ed immaginabili.
La Pasqua, a Schweinfurt - e nel resto della Baviera - è la scusa per tornare a distribuire allegria, per colorare le città dopo i mesi invernali. Che tutto possono essere tranne che colorati...

Le uova di Zürch

A presto! (e buona Pasqua - per chi ci crede)
Stefano

sabato 15 aprile 2017

Tre ore a Torino

Ciao a tutti!
Quando scendo in Italia, per un weekend o per una settimana, ho sempre voglia di trascorrere un giorno o anche solo qualche ora a Torino. Non è la città dove sono nato, ma è laddove sono cresciuto e diventato uomo. È normale, quasi naturale, sentirne la mancanza. Dopo oltre due anni e mezzo dal mio trasferimento in pianta stabile in Franconia, i sentimenti nostalgici iniziano a martellare duro sul cuore e sulla psiche. Ad ogni ritorno in patria, un po' di tempo nei "luoghi del cuore" mi è necessario. Torino appartiene sicuramente ad uno di questi luoghi.
Nelle poche ore trascorse a Torino, durante la giornata di oggi, ho potuto riscoprire la bellezza della capitale sabauda ma anche trovarmi in poco tempo a vederne un po' di ogni genere. Nel bene e nel male.

A ritrovare la grandezza antica di Torino

Il fancazzismo. In procinto di salire sulla linea 4 del tram che mi porta dritto in centro, chiedo al tranviere dove posso acquistare un biglietto nei pressi della fermata - vedo che ogni bar ed edicola è chiusa. Lui mi liquida con un boh alquanto superficiale. Entro ugualmente sul tram e noto che a bordo c'è una macchinetta che, con un piccolo sovrapprezzo, eroga biglietti per i mezzi pubblici. Dirmelo, no?
Torino è bellissima e lo sanno anche i tedeschi. E così, davanti alle Porte Palatine mi ritrovo a fare una foto ad una coppia di tedeschi (da Lorrach, Baden-Württemberg) in visita nel Nord Italia. Poi, snocciolando un po' di tedesco (altro evento eccezionale, soprattutto perché stando in Italia il mio già precario tedesco tende sempre ad arrugginirsi), racconto tutta la bellezza di Torino e li metto in guardia. Stavano dirigendosi verso Porta Palazzo...
Certe infezioni sono dure a morire. Mi trovo dentro il santuario della Consolata, che volevo visitare dopo anni in cui ci sono passato davanti e mai, mai mi sono fermato a contemplare la sua mirabolante ricchezza. Mentre leggo i cartelli all'interno della chiesa, una gentilissima guida volontaria si avvicina per chiedermi se volevo notizie sul santuario: è una proposta che non si può rifiutare, perché le guide volontarie di Torino sono bravissime; ricordo ancora con piacere quella della Real Chiesa di San Lorenzo. Dopo pochi minuti veniamo avvicinati da una fantomatica "fedele" che ci impone di parlare piano (la guida non stava affatto parlando forte) perché a due passi si trovava il cuore della Consolata (wtf???), perché stavamo disturbando la preghiera. La guida le fa notare che nel santuario c'è una zona dedicata esclusivamente alla preghiera, ma la fanatica nella quale ci siamo imbattuti replica «ma oggi è sabato santo». Ricordo bene gli occhi alzati al cielo da parte della guida...

Tranvieri svogliati, turisti a bocca aperta e fanatiche ecclesiastiche. Ce n'è per tutti i gusti in un pomeriggio torinese.
A presto!
Stefano

venerdì 14 aprile 2017

Via dei Fori Imperiali

Il richiamo simbolico di un asse come Via dei Fori Imperiali è vivo, vivissimo, nonostante qui si conservi la memoria di millenni di storia. Così forte è stato questo richiamo che al mio arrivo a Roma, il primo luogo in cui ho deciso di recarmi nel mio (ahimè, rapido) percorso di riscoperta della capitale, è stato proprio il grande viale che collega il Colosseo al Vittoriano. I simboli della grandezza dell'Impero Romano e della grandezza del Regno d'Italia non potevano che essere collegati da un asse viario che ne amplifica e ne celebra la maestosità. Non a caso è scelto per le parate della Festa della Repubblica e arrivo della maratona di Roma (insuperabile, posso garantirlo dopo aver vissuto questa emozione). La grandezza di Via dei Fori Imperiali non risiede solo in ciò che collega ma soprattutto in ciò che attraversa. La quantità di storia che passa da Via dei Fori Imperiali è inestimabile e soprattutto è la base da cui partire per scoprire le vicende di due millenni. Di Roma, capitale di un impero prima e di una nazione dopo. Dell'Italia. Dell'Europa.

La maestosità di Via dei Fori Imperiali

Il piccolo viaggio che voglio intraprendere alla scoperta di uno dei centri nevralgici di Roma, seguendo la linea che dal Colosseo porta al Campidoglio, non è un viaggio che richiede molta fatica, bensì concentrazione. Perché se la distanza è poca, l'intensità è enorme. Tutto potrebbe avere inizio dall'uscita della fermata Colosseo della linea B della metropolitana di Roma: da lì esce la maggior parte dei turisti diretti all'Anfiteatro Flavio, proprio da dove si gode della prospettiva più caratteristica e famosa. E lo immagino, il fiume multirazziale di persone che arriva lì e rimane a bocca aperta. Magari non è la prima volta: forse è passato solo un giorno, forse un anno. Forse tredici anni (io), forse più di trent'anni (il mio papà e la mia mamma). Indipendentemente da questo, il Colosseo è un simbolo cittadino e allo stesso tempo universale: mi chiedo se siano le sue dimensioni fisiche - è il più grande anfiteatro del mondo - piuttosto che le sue dimensioni simboliche a lasciare attoniti tutti coloro che lo visitano.

Appena uscito dalla metropolitana

E pensare che infine queste sono "rovine". Chissà com'era al massimo del suo splendore, sotto l'imperatore Domiziano, quando la quantità di travertino toccava l'apice. Ora, non è più esclusivamente travertino, vi è anche del laterizio, fondamentale oggigiorno per la sua tenuta strutturale. Tenuta messa a dura prova anche dagli attuali lavori per la linea C della metropolitana, il cui cantiere snatura in parte la bellezza di Via dei Fori Imperiali. Ma per il bene del turismo, è meglio mettersi il cuore in pace e accettare di buon grado: verranno giorni (e visuale) migliori per Roma.

Santa Francesca Romana, interno

Per raccontare il Colosseo ci andrebbe un giorno intero, e certamente un post a parte. Un post che non potrò scrivere perché nel Colosseo non sono entrato: a malincuore (ma come si fa a vedere tutta Roma in quattro giorni - di cui uno per la maratona?) ho tirato dritto verso Via dei Fori Imperiali, lasciandomi a sinistra l'Arco di Costantino, ossia la porta ideale verso il Palatino. Quello che dei sette colli di Roma è considerato il più importante - qui vengono poste le origini del primo nucleo di Roma - è oggi un grande museo all'aperto, tra i più visitati in assoluto in Italia, e assieme al complesso del Foro Romano, poco più a nord e ben visibile da Via dei Fori Imperiali, può raccontare la storia della capitale dell'Impero. Salto anche il Palatino, la cui visita richiederebbe ORE, perché si fa molto più in fretta a visitare una meravigliosa chiesa che sorge proprio nei pressi del Palatino: Santa Francesca Romana.
Mia moglie si era raccomandata di non perdersi questa chiesa. Aveva pienamente ragione! La facciata della chiesa è visibile solo dal Foro Romano, mentre l'ingresso per i visitatori è possibile solo attraversando un grazioso chiostro. Nell'interno di questa chiesa, è importante tenere la testa ben alzata, per il ricco soffitto a cassettoni e soprattutto per il mosaico dell'abside.

Vista sui Fori

Oltrepassato l'incrocio con Via Cavour, dove tremila anni fa giaceva una palude, si apre la zona dei Fori: con le spalle al Colosseo, a sinistra sorgeva quello che è conosciuto come il Foro Romano, mentre a destra la zona dei Fori Imperiali. Il primo fu il centro politico ed economico, nonché religioso, della capitale dell'Impero Romano. I secondi celebrano la grandezza degli imperatori, i quali fecero costruire, sotto il loro nome (Cesare, Augusto, Traiano) una serie di piazze, circondata da monumentali edifici a carattere politico e religioso.

La Colonna Traiana

Il valore di questi luoghi è enorme. L'area del Foro Romano e dei Fori Imperiali (assieme ovviamente al Colosseo e al Palatino) è una delle zone archeologiche più importanti del mondo, se non addirittura la più importante. I Fori sono le piazze, i luoghi di incontro, i templi, le basiliche, il potere, il vero centro storico di Roma, il cuore della vita pubblica romana per oltre un millennio. I Fori tracciano con le rovine che ci sono giunte l'importanza di Roma e la grandezza che ancora oggi viene celebrata sotto l'epiteto di Caput Mundi. Ogni singola traccia dei Fori racconta secoli ed epoche in cui si è scritta la storia.
Osservare dall'alto queste vestigia significa lanciare uno sguardo alla storia tangibile di Roma, immaginando di camminare assieme ad imperatori, senatori, patrizi. Guardare cosa è rimasto dell'antica Roma dà lustro agli storici che hanno saputo ricostruire dettagliatamente la storia del Foro Romano e dei Fori Imperiali. Di fronte a questi luoghi mi chiedo sempre - e rimango sempre affascinato da questo - come gli archeologi siano stati in grado di stabilire, a partire da una singola pietra, cosa rappresentasse quel luogo e cosa vi fosse successo.

Tricolori di fronte al Vittoriano

Verso la fine dell'area archeologica dei Fori, c'è qualcosa che colpisce l'attenzione, proprio di fronte alle chiese di Santa Maria di Loreto e del Santissimo Nome di Maria: è la Colonna Traiana. Giunta a noi in perfetto stato di conservazione, risalta tra le rovine per le sue dimensioni, volte a celebrare la conquista della Dacia, con la quale l'Impero Romano raggiunse la sua massima estensione. I numeri di questa colonna racchiudono l'eccezionalità del monumento: venticinque blocchi di marmo per quaranta metri di altezza e - pazzesco! - oltre tre metri di diametro. I bassorilievi scolpiti sulla sua superficie, che esaltano le imprese di Traiano, sono giunti a noi ancora perfetti, a quasi due millenni di distanza. Per fare un paragone, la Colonna Traiana nel contesto dei Fori Imperiali è un po' come la Gioconda al Louvre: un pezzo unico in un contesto già di per sé ricchissimo...

I Mercati di Traiano

Di fianco alla grandezza dell'Impero Romano (rappresentata dai Fori), ecco che appare - più imponente per dimensioni che per valori - la grandezza del fu Regno d'Italia: l'Altare della Patria, conosciuto anche come il Vittoriano. È il monumento che celebra il "padre della patria italiana", il re Vittorio Emanuele II, simboleggiato dalla situata equestre che campeggia al centro. Ma è a sua volta anche l'icona dell'unità nazionale, della forza patriottica italiana e della vittoria nella Prima Guerra Mondiale.
In tutta l'opera, concepita a seguito dell'unità d'Italia e della morte di Vittorio Emanuele II, riecheggiano riferimenti allegorici all'Italia. Ai suoi valori: l'Azione e il Pensiero che accompagnano le scalinate di ingresso; la Forza, la Concordia, il Sacrificio e il Diritto sulla terrazza dell'Altare. Al suo territorio, con le statue delle grandi città italiane alla base della statua equestre e con le statue delle regioni sopra il porticato. Alle sue tradizioni, con le allegorie dell'Agricoltura, del Lavoro e dell'Industria. Nel vero e proprio altare, dove giace il Milite Ignoto, un soldato morto in guerra e mai riconosciuto, scelto come simbolo di tutti i caduti italiani, protetto giorno e notte dal picchetto d'onore e celebrato dal fuoco perenne.

Simbolo della patria, nel cuore della capitale

Commento personale: la mole dell'Altare della Patria rende questo monumento uno dei più affascinanti di Roma. In passato - e ancora oggi - è stato aspramente criticato (più di un romano la chiama ancora "la macchina da scrivere"). Il complesso del Vittoriano, calato nel contesto di una piazza ariosa come Piazza Venezia, è pura estasi. Dal mio punto di vista, questa rimane una delle tante tappe obbligatorie durante un viaggio a Roma. Soprattutto per un italiano, visto l'elevato valore "patriottico", ma anche perché dalla terrazza del Vittoriano si ha uno splendido panorama (il migliore, forse?) su Roma e sui Fori.

Piazza del Campidoglio

Girando attorno al bianco marmo dell'Altare della Patria, troviamo dunque due scalinate, diverse e divergenti tra loro, che portano ad altrettanti luoghi simbolici di Roma. Prima l'Ara Coeli, dunque il Campidoglio.
La scalinata che porta alla Basilica di Santa Maria in Ara Coeli è tanto ripida quanto romantica - ancor più con i glicini in fiore - non meno della ben più famosa scalinata di Trinità dei Monti. Qualche decina di gradini che portano ad una delle chiese più antiche di Roma (risale al VI secolo) ma soprattutto che più trasudano di storia di Roma. A partire dal nome, le cui origini vengono ricondotte all'epoca di Augusto, per arrivare alla posizione: l'Ara Coeli sorge laddove, nell'antica Roma, si trovava il tempio di Giunone. Ma non va dimenticato che la scala stessa fu progettata a titolo di ringraziamento per la fine della pestilenza, nel XIV secolo, e il soffitto a cassettoni fu realizzato per celebrare la vittoria nella battaglia di Lepanto. L'Ara Coeli è l'icona del potere delle famiglie romane sulla città, e non a caso all'interno sono svariate le pietre tombali e i sepolcri dei nobili romani più illustri. Ma, come in tante altre chiese di Roma, anche all'Ara Coeli, hanno lasciato traccia alcuni grandi artisti, tra cui Arnolfo di Cambio, che ne curò il restauro nel XIII secolo, il Pinturicchio, il quale vi realizzò alcuni affreschi, Donatello e Michelangelo, i quali realizzarono proprio alcuni monumenti funebri.
L'interno dell'Ara Coeli è bellissimo. Ma altrettanto meraviglioso è il panorama su Roma che si ha uscendo dalla chiesa. Se la salita all'Ara Coeli può sembrare ardua, sappiate che un buon motivo per non desistere c'è.

Santa Maria in Ara Coeli, illuminata dalle ultime luci del giorno

Scendo dall'Ara Coeli e risalgo. Per andare dove? Ma al Campidoglio, naturalmente. Il Campidoglio, ossia il capolavoro che Michelangelo Buonarroti progettò per il papa Paolo III ma del quale non vide mai compimento; il capolavoro che, se non si può andare a Roma, lo si può vedere in una versione ridotta sulla faccia italiana della moneta da 50 centesimi di euro; quel capolavoro che oggi, a tremila anni dalla nascita di Roma, vede da troppo tempo storie di malaffare e cattiva amministrazione.
Al di là dei più o meno recenti scandali che coinvolgono il Comune di Roma, che ha sede proprio qui, al Palazzo Senatorio (dei tre palazzi che incorniciano Piazza del Campidoglio è quello frontale, dietro alla statua di Marco Aurelio), questa piazza, pur nella sua dimensione ridotta e compatta, se confrontate con altre piazze romane, è un gioiello di raffinatezza ed eleganza.
Essa è l'ideale ricongiungimento dei due periodi d'oro dell'arte a Roma: l'Impero Romano e il Rinascimento. La maestosa statua che raffigura di Marco Aurelio è di epoca romana (una copia in realtà, l'originale si trova negli adiacenti Musei Capitolini), così come di epoca romana sono le statue di Castore e Polluce, nonché i Trofei di Mario. Tutte sono poste al termine della scalinata, quasi a voler proteggere il centro del potere romano.

Campidoglio, piazza di eleganza superiore

Dal Colosseo al Campidoglio, la distanza è inferiore al chilometro. Eppure in questo "breve" tratto di strada, quanto è grande la bellezza e quanto è immensa la storia? In queste poche centinaia di metri, ci si potrebbero trascorrere settimane, mesi. E rimarrebbero ancora curiosità inevase, angoli nascosti da scoprire.
Quando scendo nuovamente la scalinata del Campidoglio per tornare in albergo, purtroppo, non posso far altro se non provare a consolarmi, tentando di promettere a me stesso di tornare presto nella capitale.
Bis bald!
Stefano

giovedì 13 aprile 2017

Bücher: Il fantasma dell'Opéra

"Povero, infelice Erik! Bisogna compatirlo? Bisogna maledirlo? Non chiedeva che di essere uno qualsiasi, come tutti gli altri! Ma era troppo brutto! E dovette nascondere il suo genio o usarlo per fare il male, mentre se avesse avuto una faccia normale, sarebbe stato un uomo dei più nobili! Aveva un cuore che avrebbe potuto contenere tutto il mondo e dovette infine contentarsi di una cantina. Decisamente bisogna compatire il fantasma dell'Opéra."
Gaston Leroux, Il fantasma dell'Opéra


Quella del fantasma dell'Opéra è una leggenda che il teatro e il cinema hanno alimentato nel corso dei decenni. Una leggenda della quale conoscevo poco o nulla, perché non sono un appassionato di teatro e neanche di musical, il genere che meglio si presta all'adattamento cinematografico del più popolare romanzo di Gaston Leroux, datato ormai 1910. Quando due anni fa visitammo l'Opéra Garnier di Parigi (vedi post), era inevitabile scontrarsi con questa figura quasi mitologica. Ma solo la lettura del romanzo che celebra questa figura poteva chiarire le idee su questo personaggio.
La domanda che mi sono posto, soprattutto all'inizio del romanzo, è: ma chi è il fantasma dell'Opéra? E di conseguenza, è veramente un fantasma, visto il piglio quasi giornalistico (Gaston Leroux nasce giornalista per diventare in seguito romanziere) con il quale viene narrata la storia?
Il fantasma dell'Opéra ha un nome, Erik, e si, è un uomo vero e proprio, in carne ed ossa. Erik è un atipico "mostro" alla ricerca di quel briciolo di amore in un mondo dove si è sempre sentito fuori luogo, per il suo aspetto estetico lontano da qualsiasi canone di bellezza e al contempo per il suo inarrivabile genio, musicale, ingegneristico, e in parte anche filosofico. S'innamora della leggiadra Christine Daaé, una cantante dell'Opéra. il suo sentimento non viene però ricambiato come Erik desidererebbe, in quanto il cuore di Christine è solo per Raoul de Chagny, un giovane visconte anch'esso perdutamente innamorato della cantante.
Sebbene la trama inizi in sordina per accelerare vigorosamente nell'ultima parte (quando entra in scena la figura del Persiano), non si può non apprezzare quest'opera, un classico della letteratura: per la descrizione minuziosa del Teatro dell'Opéra, dell'ambiente teatrale e della società parigina che vi ruota attorno, per lo stile di Leroux che miscela con sapienza il suo tratto giornalistico a sfumature più thriller, quasi horror - stile che, tra l'altro, appare molto moderno nonostante l'epoca in cui uscì Il fantasma dell'Opéra.
Per i sentimenti contrastanti che si provano durante la lettura. Perché se da un lato mi sono trovato a tifare per un happy ending tra Christine e Raoul, dall'altro non si può non voler bene ad Erik, un genio che il pregiudizio della società ha emarginato e che lotta per essere amato nonostante la sua bruttezza.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 8/10 

mercoledì 12 aprile 2017

Tedeschi brutti e cattivi: un letto per i tifosi

La notizia che sta riempiendo le prime pagine dei giornali tedeschi di oggi è senza dubbio una sola: le esplosioni avvenute ieri contro il pullman che trasportava i giocatori del Borussia Dortmund verso lo stadio di casa, il Signal Iduna Park, per disputare l'andata dei quarti finale di Champions League contro i francesi del Monaco. Le indagini sono in corso ed è presto per dire quale delle due piste finora individuate (terrorismo di matrice islamica o di estrema sinistra) possa essere quella che conduce ai responsabili di questo meschino attentato. Mi limito a dire che, oltre alla gravità del fatto, è l'ennesimo segnale della vulnerabilità occidentale anche in una realtà come quella calcistica, spesso ai margini dell'interesse terroristico. In fondo il calcio è un gioco, ma purtroppo catalizza l'attenzione di milioni di persone.

Un'immagine del bus del Borussia Dortmund colpito da un'esplosione

Ciò che di bello rimane dall'infausta serata di ieri, è il segnale di distensione che giunge dalla curva del Borussia Dortmund. Sono stati infatti i tifosi dei Schwarzgelben a lanciare sui social network, tramite l'hashtag #bedforawayfans, l'appello a tutti i cittadini di Dortmund che potessero ospitare i tifosi francesi in trasferta e in attesa del recupero che si è giocato stasera.
Un gesto tanto semplice quanto importante, l'ennesimo segnale di civiltà dei tedeschi in materia di tifo, una dimostrazione di cultura sportiva che latita in Italia (basta vedere in contemporanea cosa è successo a Gagliardini dell'Inter), ma anche in tante altre nazioni europee. Si, in Germania, nonostante il cospicuo numero di litri di birra bevuta ad ogni partita, il tifo è responsabile e si dimostra tale anche nei confronti delle tifoserie avversarie. Avremmo visto un episodio simile in Italia - dove le frange più dure delle tifoserie ancora inneggiano a stragi del passato, ai vulcani ed agli aerei che cadono? Ad essere sincero, ho più di un dubbio...

domenica 9 aprile 2017

Quattro giorni a Roma

"Come è brutta, Roma. Brutta di questa sua accecante bellezza, su cui risaltano i segni dello sfacelo come una voglia di barbabietola su un volto purissimo."    
Vittorio Gassman
         
Prima volta alla Fontana di Trevi
Cosa si può dire di Roma dopo averla respirata per quattro magnifiche giornate culminate con una maratona che attraversato buona parte del suo cuore pulsante? Tutto e il contrario di tutto, perché è una città che vive di migliaia di contraddizioni. Roma è la grazia di monumenti simbolo anteposta alla sconcezza delle periferie. Roma è la ricchezza unica del patrimonio artistico che fa da contraltare alla povertà che la pervade ad ogni livello. Roma è uno spiegamento di forze dell'ordine senza precedenti contro una criminalità diffusa ed inestirpabile. Contrasti che una città come Roma, una capitale europea, un bacino culturale di valore incalcolabile, non può meritare.

Colosseo, così grande che inquadrarlo completamente non è mica facile...

Ovviamente non voglio soffermarmi sugli aspetti più cupi della nostra capitale, ma celebrarne quelli più luminosi. Perché "Roma è la luce" (citazione volutamente da Il gladiatore), la sorgente originale della civiltà. Senza Roma, senza il suo millenario dominio sull'Europa, ben poco di ciò che noi conosciamo sarebbe ciò che è attualmente. Proprio per questo, tutta l'eredità di questa fetta di storia è un patrimonio immenso che non deve passare in secondo piano. Una storia architettonica che va dagli antichi romani ai giorni nostri, perché sì, il Colosseo è il simbolo di Roma, ma il MAXXI e l'Auditorium sono pronti ad attirare molti turisti. Una storia in cui il potere e la fede hanno dato vita ad un ineguagliabile connubio, reso grande dalle opere di Michelangelo Buonarroti, Raffaello Sanzio e di Gian Lorenzo Bernini. Una storia di personaggi che hanno trasposto Roma in cultura, da Marco Aurelio ad Alberto Sordi.

La meraviglia delle chiese di Roma: Santa Cecilia in Trastevere

Ogni angolo di Roma potrebbe raccontare una storia, tale è immensa la ricchezza di Roma. Ogni palazzo, ogni chiesa, ogni monumento nasconde una grande o piccola vicenda legata al nostro paese. Forse è per questo che Roma è un pozzo senza fondo. Quando presentavo il percorso della maratona che ho corso domenica scorsa a Roma, avevo detto che il tracciato dei 42,195 chilometri toccava oltre cinquecento siti storico-artistici: uno ogni 85 metri, all'incirca. Che densità di cultura e sapere! Una densità che si può provare a toccare con mano, ma della quale, in fondo, se hai quattro giorni a disposizione, si può solo tentare di farsene un'idea.

Una Piazza San Pietro al calare del sole

E quando, alla vigilia della mia partenza per Roma, pensavo "però, ho solo pochi giorni per tornare a visitare e riscoprire Roma" e iniziavo a mangiarmi le mani, cercavo disperatamente di capire quali dovessero essere le mie priorità di visita, senza venirne ovviamente a capo. Impossibile concentrare una visita di Roma in un tale spazio limitato. Bisogna fare delle scelte, e talvolta sono scelte dolorose. In questo fine settimana trascorso nella capitale tra marzo e aprile, le mie scelte sono ricadute sul quartiere più romanesco di Roma, Trastevere; sull'itinerario più classico del centro storico, la passeggiata dai Fori Imperiali al Campidoglio e sul museo più visitato di Italia (anche se non è proprio in Italia...), i Musei Vaticani.

L'imponenza dell'Altare della Patria

E solo da questi tre itinerari, ci sarebbe già materiale per scrivere decine e decine di post. Ci proverò.
Bis bald!
Stefano

sabato 8 aprile 2017

Meine schöne Stadt vol.6

Quando arrivai a Schweinfurt era un edificio storico in via di restauro. Sono trascorsi gli anni, sono passati i cantieri, sulle mura e nella piazza circostante, si sono alternate le chiusure delle strade, ma alla fine si è rivelato. Il vecchio arsenale di Schweinfurt, la Zeughaus per chi vive in questa città, l'edificio di fine Rinascimento che per oltre due secoli fu l'armeria cittadina, torna a risplendere di luce propria. Il bianco nelle sue pareti, in queste limpide giornate di inizio primavera, è come un monito. Passarci di fianco, in bici tornando a casa, o passeggiando con la borsa della spesa colma, è sempre un piacere.

La rinascimentale Zeughaus di Schweinfurt

venerdì 7 aprile 2017

E noi partiamo! - La massima di viaggio n.15

"Non smetteremo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo la prima volta."
Thomas Stearns Eliot

Eisenach e la sua Wartburg

Esplorare un posto che ci è nuovo non per forza significa prendere un aereo per raggiungere chissà quale lontana destinazione. Talvolta può bastare allontanarsi di poco.
Un'ora e mezza di automobile, per raggiungere il cuore della Turingia, per scoprire un angolo di Germania che ancora ci è nascosto, per trascorrere un fine settimana di relax in dolce compagnia, dopo le fatiche della maratona. Buon weekend a noi!

lunedì 3 aprile 2017

Un piacere inatteso

We made a promise
we swore we’d always remember
no retreat, believe me, no surrender
like soldiers in the winter’s night
with a vow to defend
no retreat, believe me, no surrender 
Bruce Springsteen, No surrender

Una medaglia davanti al grande spettatore della maratona, il Colosseo

Non mi sono arreso, no. Fino alla fine ho tirato fuori il meglio che il mio fisico poteva esprimere.
E, all'ombra del travertino del Colosseo e del marmo dell'Altare della Patria, ho ottenuto la mia personale vittoria.

domenica 2 aprile 2017

Rombo di tuono! 3:13:06 a Roma!

Ciao a tutti!
Immaginavo una grande maratona, speravo in un bel tempo finale per questa attesa maratona, i primi 42.195 chilometri dopo l'infortunio di Berlino. Non credevo che potesse essere un'esperienza così indimenticabile. La maratona di Roma segna il miglioramento del mio record personale, ritoccato di oltre un minuto rispetto a quello fatto segnare a Firenze: il tempo stabilito sul l'arrivo di Via dei Fori Imperiali è di 3:13:06! 

Riposo per gambe e piedi. Con una medaglia in piedi

Nessuna caduta, nessun infortunio, nessun crollo fisico lungo lo spettacolare tracciato della maratona di Roma. Questa corsa è stata semplicemente perfetta, nonostante i tuoni e i fulmini preludio del diluvio nei primi dieci/quindici chilometri. Il maltempo non ce l'ha fatta a fermarmi: gli ultimi chilometri sono stati quelli dell'accelerazione decisiva, sebbene il sampietrino iniziasse a lavorare sulle gambe e l'asperità del traforo Umberto I potesse rivelarsi micidiale. Invece così non è stato. È stata una corsa che mi rende molto soddisfatto, perché tutte le preoccupazioni e le fatiche delle ultime settimane si sono concretizzate in un risultato finale che non potevo realisticamente prevedere.
Ora, in albergo, a riposare, ritrovare le energie e rendersi conto di quanto successo!
Bis bald!
Stefano

Adrenalina vol.5

And if I only could,
I'd make a deal with God,
And I'd get him to swap our places,
Be running up that road,
Be running up that hill,
With no problems
Kate Bush, Running up that hill

Dajetutta! 

sabato 1 aprile 2017

Sarà pesce d'aprile?

Ciao a tutti!
Il giorno di vigilia è arrivato, finalmente o purtroppo. Dipende dai stati d'animo che attraversano la mente di un maratoneta il giorno prima di una gara lunga oltre quaranta chilometri, che si palesa in tutta la sua forza dopo mesi di oscura e intensa preparazione atletica e psicologica. Da una parte c'è l'attesa sana, perché ci si prepara a lungo e si cerca di fare bene. Dall'altra vi è vera propria ansia: di arrivare in fondo, di farlo con le proprie gambe senza spaccarsi qualche osso sui tenaci sampietrini romani, di non trovare maltempo.

Via dei Fori Imperiali è pronta

In effetti, fino a ieri - dopo il giovedì mattina in cui ho ritirato il numero di gara - non ho pensato all'appuntamento di domani, se non relativamente all'alimentazione, in questi ultimi giorni molto ricca di carboidrati, e al percorso, che ho visionato quà e là durante gli itinerari turistici. Poi, ho voluto guardare le previsioni meteo, per controllare se le temperature estive previste per domenica erano confermate. E voilà, ecco lo scherzetto del primo aprile servito su un vassoio d'argento: perturbazione in arrivo sul centro-Italia, con pioggia e temporali in arrivo sulla capitale. La pioggia non è mai un bel cliente durante una maratona, ancora di meno lo è a Roma, dove i sampietrini sono una difficoltà oggettiva e nel complesso la rete stradale mi pare piuttosto dissestata. Sommando le cose penso già a pozzanghere e piedi inzuppati di acqua. Oltre a tutto ciò che deriva dal correre con la pioggia. Che è sempre meglio dell'afa ma non è mai una condizione desiderata. Domattina, tuttavia, non è ancora arrivata.

Pioggia, pioggia, pioggia

Parlando di percorso, ho visionato alcuni punti interessanti. Uno è il temuto traforo Umberto I, una salita che sembra impercettibile ma in realtà a poche centinaia di metri dall'arrivo potrebbe fare veramente male. L'altra è la discesa di Via IV Novembre, bella, veloce, l'ultima spinta verso il traguardo.
I sampietrini non mi sono sembrati particolarmente insidiosi, però tutti sono preoccupati del duro fondo stradale tipico di Roma. Molto dipende dalla loro manutenzione. Se sarà quella incontrata oggi a Trastevere, ci sarà da imprecare. 

Piatto di pasta n.2

La giornata del sabato prima della maratona è dedicata normalmente al riposo e alla ricca alimentazione. Oggi ho fatto un po' meno il turista in giro per la città e ho badato di più a non stancarmi. Gambe sotto il tavolo, e nello stomaco ben tre piatti di pasta. Il bello di Roma, per me che sono celiaco, è che più di un ristorante propone nel suo menu molti piatti a base di pasta nella loro versione senza glutine. Immaginate la mia soddisfazione nel gustare una vera pasta all'amatriciana...

Pronto per tornare sotto il Colosseo dopo 42 chilometri

Ora si va a preparare tutto l'occorrente per domani, canotta, spille, pettorale. Applicare i cerotti antivesciche, rifilare le unghie per l'ultima volta, mettere l'orologio in carica, preparare lo zaino. Inizio a respirare un po' di paura, tensione, nervosismo, la miscela di stati d'animo tipica della vigilia e delle ore prima della maratona. Può sembrare strano, ma è per queste emozioni che vive un maratoneta, è per questi momenti che ci si allena mesi, si suda e si fatica. Questa è l'ora in cui si inizia a percepire che gli sforzi fatti vengono riassunti in tre ore di corsa.
Ed è anche l'ora del riposo. Domani si corre!
A presto!
Stefano

Passeggiate romane del sabato

"Roma è inconoscibile, si rivela col tempo e non del tutto. Ha un'estrema riserva di mistero e ancora qualche oasi."
Ennio Flaiano


Trastevere

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