Ciao a tutti!
Questo è un post speciale, è il post che dedico alle due persone con le quali ho condiviso ben quattro giorni in rifugio, Liz e Martin.
Li ho incontrati per la prima volta nel salone del Rifugio Vandelli e, parlando di sentieri, è scaturita una bellissima relazione che ci ha accompagnato, anche un po' per caso, fino al Rifugio Casera di Bosconero, per l'ultima sera in rifugio. Direttamente dalla Gran Bretagna, hanno percorso buona parte dei chilometri e dei sentieri percorsi anche da me. Si, ogni tanto hanno accorciato via bus, ma con la tenacia che è tipica di chi ama la montagna, sono giunti anche loro al termine dell'Alta Via. Mi hanno tenuto compagnia con lunghe ed intense conversazioni (in inglese, ovviamente... così non ho perso l'allenamento), hanno allietato i miei pasti con la loro ironia, hanno condiviso sensazioni sulla bellezza delle montagne dolomitiche, hanno scambiato con me opinioni sulla tappa del giorno, mi hanno aiutato con la loro passione per i fiori delle Dolomiti a valorizzare sempre di più l'attrazione che ho verso la flora di montagna, hanno reso ancora più felice una già di per sé gioiosa esperienza.
Siete stati semplicemente fantastici e porterò sempre con me il vostro ricordo. Vi aspetto sulle montagne della Valle d'Aosta, anche qui troverete fantastici fiori. O magari vengo a trovarvi in Inghilterra, magari in occasione di una maratona...A presto! See you soon!
Stefano
Visualizzazione post con etichetta Rifugio Casera di Bosconero. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Rifugio Casera di Bosconero. Mostra tutti i post
lunedì 22 luglio 2013
sabato 20 luglio 2013
Sorrisi dolomitici: sette aneddoti da ricordare
Ciao a tutti!
Una settimana di cammino, tra meravigliosi monti come quelli dolomitici, porta con sé un insieme di ricordi magnifici, panorami mozzafiato e visioni da brivido, posti indimenticabili e scenari indelebili. Un viaggio come questo, comunque, contiene anche gli istanti che non è la natura a regalarci, ma l'umanità e tutte le sue variegate sfaccettature: aneddoti, racconti, discorsi, novelle che poco hanno a che fare con l'Alta Via ma che strappano un sorriso e spesso restano impressi nella memoria più delle montagne stesse.
La tradizione è partita proprio l'anno scorso in Dolomiti (vedi post dell'11 agosto 2012) ed è continuata a Barcellona, in occasione della maratona (vedi post del 4 aprile 2013). Voglio continuare ora, con i migliori aneddoti provenienti dalle Dolomiti dell'Alta Via n.3.
1. La verdura. Quando ho visto questa cosa non ci volevo credere, non pensavo che mente umana potesse concepire tutto ciò. Tappa 6: entro al Rifugio Casera di Bosconero, sistemo il sacco a pelo sul letto e cerco di fare ordine sommario nello zaino in vista della tappa del giorno dopo. C'è un'incombenza da risolvere, comunque, quella di sempre: svuotarsi. I bagni sono in fondo alla camerata; mi fiondo e noto che ce ne sono due, con dei disegni alle porte. Quando realizzo, rimango allegramente allibito: i disegni erano, per ciascuna porta, quelli di un pisello e di una patata. Il loro significato, lo lascio interpretare a voi lettori.
3. Il furto. Sembra incredibile come i piccoli episodi come questi possano creare una risata a livello internazionale. Tappa 6: all'arrivo al Rifugio Casera di Bosconero, la gestrice mi impone (come in ogni rifugio, d'altronde), di indossare le ciabatte all'interno della camerata e non gli scarponi. Vedo delle ciabatte vicino all'ingresso. Di tutti i tipi, ma ce ne sono alcune molto graziose. Vedo un paio che mi aggrada e lo indosso. Di lì a un'ora ritorna in rifugio un alpinista tedesco, facente parte di un gruppo di cinque. E immediatamente mi segnala che le ciabatte erano sue. Finisce qui? No... lo stesso identico episodio accade anche a Liz e Martin, che indossano (successivamente) altre due paia di ciabatte, proprio di due altri alpinisti tedeschi! Il tutto si risolve in una grassa risata di cuore, tra persone provenienti da tre nazioni diverse: Italia, Germania e Gran Bretagna. Solo la montagna può tanto.
4. Il carico. Per la serie, prendiamoci un po' meno per i fondelli. Tappa 1, ora di pagare il rifugio (Vallandro). Come spesso accade, si fanno due parole con il rifugista, si parla di meteo, di come vanno gli affari in rifugio, di mete da raggiungere il giorno dopo, di progetti. A tal proposito, parlo alla rifugista del mio percorso. Ad un certo punto le dico "Eh si, le prime tappe, con lo zaino completamente carico, sono sicuramente più dure". Lei mi chiede "Ma quanto pesa?" e io le rispondo "Eh... ventuno chili". E tutta divertita chiude così: "Ventuno? Come alla naja!?!". A me non faceva così ridere.
5. L'età. Episodio simpatico ma che fa riflettere sul futuro della montagna. Tappa 2, è ormai sera avanzata al Rifugio Vandelli e si parla delle iniziative (fatte e non fatte) dalla Sezione di Venezia del CAI. Io sottolineo la quasi totale (e preoccupante) assenza di giovani in montagna e anche all'interno del Club Alpino Italiano. La rifugista replica, in tono ironico ma anche infastidito per la situazione in cui versa il CAI, così: "Ma cosa vuoi pretendere? Nel direttivo della Sezione di Venezia la persona più giovane avrà l'età di mio padre". Settantenni al comando: ma non è lo specchio dell'Italia?
6. Il piatto. Talvolta ci sono simboli che sono così "internazionali" che possono risolvere le discussioni tra persone di diversa nazionalità. Questo è un aneddoto raccontatomi da Liz e Martin ed è successo loro in un altro rifugio dolomitico. La rifugista di turno vuole proporre loro carne di cervo, ma non sa come esprimersi ai suoi clienti in lingua inglese. Nemmeno io so come si traduce "cervo" in inglese, sinceramente. Qui, il colpo di genio della rifugista: "Bambi!". Chapeau.
7. Il crollo. Posso capire le differenze linguistiche tra l'area "austriaca" e quella "italiana" delle Dolomiti, ma al contempo penso che comunque ci troviamo in Italia ed è sacrosanto pretendere che i miei connazionali conoscano l'italiano. Tappa 1, all'arrivo al Rifugio Vallandro la rifugista mi chiede da dove vengo. Si mostra interessata alla regione di provenienza di ogni escursionista che lì trova riparo e logicamente le rispondo "Piemonte". La risposta che mi fa cadere le braccia (e non aggiungo altro): "Ma come si scrive?".
A presto!
Stefano
Una settimana di cammino, tra meravigliosi monti come quelli dolomitici, porta con sé un insieme di ricordi magnifici, panorami mozzafiato e visioni da brivido, posti indimenticabili e scenari indelebili. Un viaggio come questo, comunque, contiene anche gli istanti che non è la natura a regalarci, ma l'umanità e tutte le sue variegate sfaccettature: aneddoti, racconti, discorsi, novelle che poco hanno a che fare con l'Alta Via ma che strappano un sorriso e spesso restano impressi nella memoria più delle montagne stesse.
La tradizione è partita proprio l'anno scorso in Dolomiti (vedi post dell'11 agosto 2012) ed è continuata a Barcellona, in occasione della maratona (vedi post del 4 aprile 2013). Voglio continuare ora, con i migliori aneddoti provenienti dalle Dolomiti dell'Alta Via n.3.
1. La verdura. Quando ho visto questa cosa non ci volevo credere, non pensavo che mente umana potesse concepire tutto ciò. Tappa 6: entro al Rifugio Casera di Bosconero, sistemo il sacco a pelo sul letto e cerco di fare ordine sommario nello zaino in vista della tappa del giorno dopo. C'è un'incombenza da risolvere, comunque, quella di sempre: svuotarsi. I bagni sono in fondo alla camerata; mi fiondo e noto che ce ne sono due, con dei disegni alle porte. Quando realizzo, rimango allegramente allibito: i disegni erano, per ciascuna porta, quelli di un pisello e di una patata. Il loro significato, lo lascio interpretare a voi lettori.
Pisello vs. patata... |
2. Il ritorno. Questo è un episodio già raccontato in precedenza (vedi post del 5 luglio), ma lo ripropongo, è è stato un bellissimo momento di quest'Alta Via. Tappa 4: arrivo al Rifugio Venezia, entro e mi guardo attorno, respiro tutta la familiarità di questo posto, in cui ero già stato l'anno scorso durante il trekking che mi ha portato dal Passo Falzarego ad Alleghe. Mi annuncio alla gestrice e provo a ricordarle che ero già stato l'anno scorso con gli escursionisti del CAI UGET Torino. Non insisto ma non si ricorda. Beh, è passato un anno da allora, in fondo di facce ne passano tante, sempre nuove e probabilmente migliori della mia: effettivamente non vedo perché dovrebbe ricordarsi proprio della mia. Allora "se dico che sono celiaco magari ti ricordi!" E la lampadina si accende: "Ah si, tu eri seduto in fondo alla sala, una sera ti abbiamo fatto aspettare un'ora la cena... E la focaccia bruciata...". Come sentirsi a casa...
In partenza dal Rifugio Venezia |
3. Il furto. Sembra incredibile come i piccoli episodi come questi possano creare una risata a livello internazionale. Tappa 6: all'arrivo al Rifugio Casera di Bosconero, la gestrice mi impone (come in ogni rifugio, d'altronde), di indossare le ciabatte all'interno della camerata e non gli scarponi. Vedo delle ciabatte vicino all'ingresso. Di tutti i tipi, ma ce ne sono alcune molto graziose. Vedo un paio che mi aggrada e lo indosso. Di lì a un'ora ritorna in rifugio un alpinista tedesco, facente parte di un gruppo di cinque. E immediatamente mi segnala che le ciabatte erano sue. Finisce qui? No... lo stesso identico episodio accade anche a Liz e Martin, che indossano (successivamente) altre due paia di ciabatte, proprio di due altri alpinisti tedeschi! Il tutto si risolve in una grassa risata di cuore, tra persone provenienti da tre nazioni diverse: Italia, Germania e Gran Bretagna. Solo la montagna può tanto.
Il Rifugio Casera di Bosconero |
4. Il carico. Per la serie, prendiamoci un po' meno per i fondelli. Tappa 1, ora di pagare il rifugio (Vallandro). Come spesso accade, si fanno due parole con il rifugista, si parla di meteo, di come vanno gli affari in rifugio, di mete da raggiungere il giorno dopo, di progetti. A tal proposito, parlo alla rifugista del mio percorso. Ad un certo punto le dico "Eh si, le prime tappe, con lo zaino completamente carico, sono sicuramente più dure". Lei mi chiede "Ma quanto pesa?" e io le rispondo "Eh... ventuno chili". E tutta divertita chiude così: "Ventuno? Come alla naja!?!". A me non faceva così ridere.
5. L'età. Episodio simpatico ma che fa riflettere sul futuro della montagna. Tappa 2, è ormai sera avanzata al Rifugio Vandelli e si parla delle iniziative (fatte e non fatte) dalla Sezione di Venezia del CAI. Io sottolineo la quasi totale (e preoccupante) assenza di giovani in montagna e anche all'interno del Club Alpino Italiano. La rifugista replica, in tono ironico ma anche infastidito per la situazione in cui versa il CAI, così: "Ma cosa vuoi pretendere? Nel direttivo della Sezione di Venezia la persona più giovane avrà l'età di mio padre". Settantenni al comando: ma non è lo specchio dell'Italia?
6. Il piatto. Talvolta ci sono simboli che sono così "internazionali" che possono risolvere le discussioni tra persone di diversa nazionalità. Questo è un aneddoto raccontatomi da Liz e Martin ed è successo loro in un altro rifugio dolomitico. La rifugista di turno vuole proporre loro carne di cervo, ma non sa come esprimersi ai suoi clienti in lingua inglese. Nemmeno io so come si traduce "cervo" in inglese, sinceramente. Qui, il colpo di genio della rifugista: "Bambi!". Chapeau.
7. Il crollo. Posso capire le differenze linguistiche tra l'area "austriaca" e quella "italiana" delle Dolomiti, ma al contempo penso che comunque ci troviamo in Italia ed è sacrosanto pretendere che i miei connazionali conoscano l'italiano. Tappa 1, all'arrivo al Rifugio Vallandro la rifugista mi chiede da dove vengo. Si mostra interessata alla regione di provenienza di ogni escursionista che lì trova riparo e logicamente le rispondo "Piemonte". La risposta che mi fa cadere le braccia (e non aggiungo altro): "Ma come si scrive?".
A presto!
Stefano
venerdì 19 luglio 2013
Non è solo questione di gambe
Ciao a tutti!
Un'altra Alta Via è stata conclusa, la seconda in due anni. Tutto frutto della mia profonda passione per la montagna, per i paesaggi che la dipingono in tutta la sua bellezza. Questa passione mi permette di fare sacrifici notevoli, anche dal punto di vista di fisico, per riuscire ad arrivare perfettamente preparato a questi momenti. Chi viene in palestra con me sa bene a che allenamenti massacranti mi sono sottoposto per arrivare al top della forma fisica. Palestra, corsa e montagna stessa sono le tre vie per allenare testa, cuore, polmoni e gambe, le componenti per arrivare fino al fondo di un'Alta Via senza alcun problema (o quasi, la fatica c'è sempre e non è possibile evitarla).
Beh, non ci si ferma qui. Non è e non può essere esclusivamente merito mio. Ci sono cose che vanno oltre il semplice aspetto fisico che viene coinvolto in un percorso come questo. C'è il costante incoraggiamento dei miei amici, c'è il sostegno della mia famiglia (nonostante un eccesso di preoccupazione, a parer mio), c'è la continua ed immancabile vicinanza di Giulia, senza di lei sarebbe stata un'avventura ancora più solitaria. Possono essere piccole cose, ma non è così, il sostegno morale è importante. Non solo conforto o supporto, anche solo chiedere "come va?", una piccola faccina su WhatsApp, o un "ti amo" o "torna presto" sono ciò che più fornisce energia vitale per raggiungere il traguardo.
Quindi, il mio doveroso ringraziamento va ad Edoardo, il quale, nonostante tutte le maledizioni lanciategli sulle rampe della palestra Jump in Fit di Vigone, dove mi alleno, è uno degli artefici primari del completamento dell'Alta Via dei Camosci.
Un caloroso "grazie" lo devo anche ai miei colleghi: in primis al mio superiore con il quale ho dovuto lottare un pochino per ottenere le ferie, ma sa che queste avventure sono per me esperienze tonificanti; dopodiché grazie ovviamente anche ai miei colleghi che so aver sofferto un po' la mia assenza in ufficio (si parla di lavoro, si intende...).
E poi, ci sono loro, il cuore dell'Alta Via: i rifugi. Anche quest'anno, come in Valle d'Aosta l'anno scorso ho trovato grande accoglienza nei rifugi alpini e per questo voglio ringraziare lo staff del Rifugio Vallandro, del Rifugio Alfonso Vandelli, del Rifugio Venezia, del Rifugio Dolomites e del Rifugio Casera di Bosconero. Senza dimenticare i due alberghi che mi hanno ospitato, l'Hotel Heidi di Dobbiaco (BZ) e l'Hotel Villa Ines di Borca di Cadore (BL).
Ci tengo particolarmente a ringraziare tutti gli enti che mi hanno fornito preziose informazioni sul percorso, specie quest'anno in cui è caduta un sacco di neve in primavera: gli uffici IAT di Auronzo di Cadore, di Belluno, di Cortina d'Ampezzo, di Longarone e San Vito di Cadore, nonché la guida alpina Michele Zandegiacomo.
E, the last but not the least, le persone che mi hanno facilitato l'Alta Via, dopo due errori di percorso, concedendomi un passaggio in macchina. Senza di loro, avrei accumulato una dozzina di chilometri in più, e nelle tappe chiave. Non è una cosa da poco, quanta altra fatica avrei dovuto sopportare in più?
A tutti quanti, il mio più sincero GRAZIE.
A presto!
Stefano
Un'altra Alta Via è stata conclusa, la seconda in due anni. Tutto frutto della mia profonda passione per la montagna, per i paesaggi che la dipingono in tutta la sua bellezza. Questa passione mi permette di fare sacrifici notevoli, anche dal punto di vista di fisico, per riuscire ad arrivare perfettamente preparato a questi momenti. Chi viene in palestra con me sa bene a che allenamenti massacranti mi sono sottoposto per arrivare al top della forma fisica. Palestra, corsa e montagna stessa sono le tre vie per allenare testa, cuore, polmoni e gambe, le componenti per arrivare fino al fondo di un'Alta Via senza alcun problema (o quasi, la fatica c'è sempre e non è possibile evitarla).
Beh, non ci si ferma qui. Non è e non può essere esclusivamente merito mio. Ci sono cose che vanno oltre il semplice aspetto fisico che viene coinvolto in un percorso come questo. C'è il costante incoraggiamento dei miei amici, c'è il sostegno della mia famiglia (nonostante un eccesso di preoccupazione, a parer mio), c'è la continua ed immancabile vicinanza di Giulia, senza di lei sarebbe stata un'avventura ancora più solitaria. Possono essere piccole cose, ma non è così, il sostegno morale è importante. Non solo conforto o supporto, anche solo chiedere "come va?", una piccola faccina su WhatsApp, o un "ti amo" o "torna presto" sono ciò che più fornisce energia vitale per raggiungere il traguardo.
E anche l'Alta Via n.3 delle Dolomiti è dominata! |
Quindi, il mio doveroso ringraziamento va ad Edoardo, il quale, nonostante tutte le maledizioni lanciategli sulle rampe della palestra Jump in Fit di Vigone, dove mi alleno, è uno degli artefici primari del completamento dell'Alta Via dei Camosci.
Un caloroso "grazie" lo devo anche ai miei colleghi: in primis al mio superiore con il quale ho dovuto lottare un pochino per ottenere le ferie, ma sa che queste avventure sono per me esperienze tonificanti; dopodiché grazie ovviamente anche ai miei colleghi che so aver sofferto un po' la mia assenza in ufficio (si parla di lavoro, si intende...).
E poi, ci sono loro, il cuore dell'Alta Via: i rifugi. Anche quest'anno, come in Valle d'Aosta l'anno scorso ho trovato grande accoglienza nei rifugi alpini e per questo voglio ringraziare lo staff del Rifugio Vallandro, del Rifugio Alfonso Vandelli, del Rifugio Venezia, del Rifugio Dolomites e del Rifugio Casera di Bosconero. Senza dimenticare i due alberghi che mi hanno ospitato, l'Hotel Heidi di Dobbiaco (BZ) e l'Hotel Villa Ines di Borca di Cadore (BL).
Ci tengo particolarmente a ringraziare tutti gli enti che mi hanno fornito preziose informazioni sul percorso, specie quest'anno in cui è caduta un sacco di neve in primavera: gli uffici IAT di Auronzo di Cadore, di Belluno, di Cortina d'Ampezzo, di Longarone e San Vito di Cadore, nonché la guida alpina Michele Zandegiacomo.
E, the last but not the least, le persone che mi hanno facilitato l'Alta Via, dopo due errori di percorso, concedendomi un passaggio in macchina. Senza di loro, avrei accumulato una dozzina di chilometri in più, e nelle tappe chiave. Non è una cosa da poco, quanta altra fatica avrei dovuto sopportare in più?
A tutti quanti, il mio più sincero GRAZIE.
A presto!
Stefano
mercoledì 17 luglio 2013
Ultima puntata in Val Tovanella
Ciao a tutti!
Raramente credo di aver vissuto sensazioni in montagna come quelle dell'ultima e conclusiva tappa dell'Alta Via, dal Rifugio Casera di Bosconero a Longarone. Brividi puri ed energiche scariche di adrenalina, saranno il tema dell'ultimo post-racconto dell'Alta Via delle Dolomiti.
Si parte presto e con un briciolo di malinconia: è l'ultima tappa che va a chiudere una settimana stupenda. E saluto un luogo fantastico, per me sconosciuto fino ad allora, il Rifugio Casera di Bosconero. C'è anche, come dire, un pochino di commozione, quando saluto per l'ultima mattina Martin e Liz, i due escursionisti inglesi incontrati lungo l'Alta Via e che accompagnato e allietato le serate in rifugio, dal Vandelli fino al Casera di Bosconero. Di loro non avevo ancora parlato nel blog (se non sbaglio), ma presto rimedierò.
Il sentiero ricomincia nel bosco nel quale si era conclusa la sesta tappa (vedi post del 7 luglio 2013), subito in salita. Si deve risalire la Val Toanella, per poi infilarsi, una volta uscito dalla boscaglia, lungo un ripidissimo canalone ghiaioso stretto tra le pareti a strapiombo del Sasso di Bosconero e del Sasso di Toanella; quest'ultimo, fa veramente impressione. Ci cammini a fianco, e altrochè se ti senti piccolo... Sono circa settecento i metri di dislivello che separano il rifugio dal Forcella de la Toanella, posta a 2150 metri di quota. E sono tra i più duri dell'intero percorso, affrontare in salita un tipico ghiaione dolomitico è sempre impresa dura e faticosa, il piede tende sempre ad arretrare un po' una volta che lo scarpone affonda nella ghiaia. C'è fatica, ma c'è anche tanta sorpresa a salire questa "forcella": si scoprono nuovi scorci di Dolomiti, quelli dell'impressionante Sasso di Toanella e della Val di Zoldo. E c'è anche parecchia soddisfazione in cima: questa dovrebbe essere l'ultima vera salita dell'Alta Via. Dopo, solo più saliscendi appena sotto le creste che separano Val di Zoldo e Val Tovanella. E invece non sarà così, non sarà tutto così facile, il bello deve ancora arrivare.
Si scende per un discreto tratto in Val Tovanella, un percorso nervoso che assomiglia molto a quello affrontato il giorno prima scendendo dalla Forcella de la Calada. Il sentiero è stretto, accompagnato dai numerosi baranci a bordo strada, e alterna discrete salite con lunghi tratti di discesa, sempre intorno alla quota di duemila metri. Poi, il tratto attrezzato, appena superata la Forcella del Viaz de le Ponte. Altrochè dieci metri di fune in ferro come ci ha indicato la sera prima la gestrice del rifugio. Questa è una vera e propria via ferrata! Il casco è appeso allo zaino e l'imbrago è in fondo ad esso. Che faccio? Mi attrezzo anch'io? No, proviamo così e inizio la discesa lungo questo canalino. Non è lungo dieci metri, col cavolo! Saranno almeno cinquanta... E lo zaino ingombrante non mi aiuta. Ma lo si supera, anche in maniera migliore rispetto a come l'avevo immaginato pochi minuti prima. A ripensarci, sarebbe stata una passeggiata di piacere fossi sceso con lo sguardo verso le rocce, sarebbe stato sicuramente più comodo. Va beh, esperienza per il futuro.
Ma non finisce qui: il cammino riprende deciso verso sud, verso Longarone. E trovo altri tre tratti attrezzati con funi. Ma non sono funi messe lì tanto per dare una mano a chi soffre di vertigini, sono basilari per la propria sopravvivenza. E il primo tratto beh... mi ha fatto veramente incazzare. Sia io che i miei compagni d'avventura inglesi chiedemmo alla gestrice del Rifugio Casera di Bosconero: "Ci sono tratti attrezzati dopo la Forcella del Viaz de le Ponte?", "C'è da fare un passo del gatto?". Risposta: "No, assolutamente!". Ed alla fine, eccolo lì, il passo del gatto. Provo a passare con lo zaino: niente, non ci passo. Non resta che l'estrema ratio.
Via lo zaino. Passo io. Tiro lo zaino. Rimetto lo zaino. Passo del gatto superato.
Finito? Naah. Altri tre tratti attrezzati con le funi di ferro. Alcuni di essi veramente complessi, specie vista l'esposizione e la difficoltà del sentiero. Ma li supero, anche quelli. Dopo tre tratti del genere, inizio a pensare alla conclusione della fatica. La cresta rocciosa che corre verso sud sembra abbassarsi. Dai, la fine è vicina. Anche il Bivacco Tovanella, che segnerebbe la fine del tratto difficile della tappa, non può essere lontano.
C'è solo più uno scollinamento da affrontare, la Porta de la Serra, a 2050 metri di quota. Io vado avanti, seguo le tracce ed entro in un grande circo di ghiaia, il Vant de la Serra. Inizio a perdere quota, tra il mio malumore: quota persa vuol dire anche quota da riguadagnare. Continuo a seguire le tracce, ma non salgo più. Ad un certo tratto vedo un segnavia biancorosso, il classico segnavia che si trova in montagna. Bene, sono sulla buona strada.
Invece no: compare un numero sul segnavia, il n°477. Che non è quello giusto, il n°482. Cazzo... Guardo la cartina: proprio così, sentiero sbagliato. Guardo l'altimetro, sono già anche bello lontano. Che fare? Tornare su, perdendo una bella oretta? O vado giù fino alla SP251 che collega Forno di Zoldo a Longarone? Non ci penso un attimo: opzione n°2! Via tra i boschi, tra i fitti boschi della Val Tovanella, fino ai Casoni, frazione di Forno di Zoldo. Un sentiero dapprima infastidente, talmente è nascosto nel bosco. Poi si apre, diventa una comoda carrozzabile fino alla provinciale.
Da lì mancano circa otto chilometri circa di strada. Avrei anche potuto farmeli a piedi, ma ormai questa non è più Alta Via, qui non c'è più nessuna montagna attorno, nessuna salita da conquistare, mi ritrovo su una provinciale. Vai con l'autostop, ancora una volta. E stavolta sono estremamente fortunato, al primo colpo si ferma un Nissan Qashqai che mi accompagna fino alle porte di Longarone, quanto basta per ridurre il tratto a piedi ad una manciata di minuti.
Sono quelli i minuti che, seppur non abbia seguito negli ultimi chilometri il tracciato irregolare, rimangono sempre i più intensi. La tristemente nota diga del Vajont appare verso est, e capisci che ci sei, che hai finito, che la fatica è conclusa e hai raggiunto il traguardo. Ancora una volta, qualcosa di grande è stato portato a termine.
E per quest'estate è solo l'inizio. Pirenei, Austria... "Speriamo", dico. Ora, a poco più di una settimana dall'arrivo a Longarone, mi trovo in condizioni fisiche non eccelse, e non per l'Alta Via, ma per la bronchite che mi ha colpito ad inizio settimana. Ma prima di partire, c'è ancora molto da dire e da scrivere sull'Alta Via n.3 delle Dolomiti. Uno dei pochi buoni motivi, se vogliamo vedere positivo, per starsene a casa con il bel tempo.
A presto!
Stefano
Raramente credo di aver vissuto sensazioni in montagna come quelle dell'ultima e conclusiva tappa dell'Alta Via, dal Rifugio Casera di Bosconero a Longarone. Brividi puri ed energiche scariche di adrenalina, saranno il tema dell'ultimo post-racconto dell'Alta Via delle Dolomiti.
Si parte presto e con un briciolo di malinconia: è l'ultima tappa che va a chiudere una settimana stupenda. E saluto un luogo fantastico, per me sconosciuto fino ad allora, il Rifugio Casera di Bosconero. C'è anche, come dire, un pochino di commozione, quando saluto per l'ultima mattina Martin e Liz, i due escursionisti inglesi incontrati lungo l'Alta Via e che accompagnato e allietato le serate in rifugio, dal Vandelli fino al Casera di Bosconero. Di loro non avevo ancora parlato nel blog (se non sbaglio), ma presto rimedierò.
L'impressionante ghiaione che conduce alla Forcella de la Toanella, sotto l'altrettanto impressionante Sasso di Toanella |
Il sentiero ricomincia nel bosco nel quale si era conclusa la sesta tappa (vedi post del 7 luglio 2013), subito in salita. Si deve risalire la Val Toanella, per poi infilarsi, una volta uscito dalla boscaglia, lungo un ripidissimo canalone ghiaioso stretto tra le pareti a strapiombo del Sasso di Bosconero e del Sasso di Toanella; quest'ultimo, fa veramente impressione. Ci cammini a fianco, e altrochè se ti senti piccolo... Sono circa settecento i metri di dislivello che separano il rifugio dal Forcella de la Toanella, posta a 2150 metri di quota. E sono tra i più duri dell'intero percorso, affrontare in salita un tipico ghiaione dolomitico è sempre impresa dura e faticosa, il piede tende sempre ad arretrare un po' una volta che lo scarpone affonda nella ghiaia. C'è fatica, ma c'è anche tanta sorpresa a salire questa "forcella": si scoprono nuovi scorci di Dolomiti, quelli dell'impressionante Sasso di Toanella e della Val di Zoldo. E c'è anche parecchia soddisfazione in cima: questa dovrebbe essere l'ultima vera salita dell'Alta Via. Dopo, solo più saliscendi appena sotto le creste che separano Val di Zoldo e Val Tovanella. E invece non sarà così, non sarà tutto così facile, il bello deve ancora arrivare.
Lo spettacolare panorama dalla Forcella del Viaz de le Ponte |
Si scende per un discreto tratto in Val Tovanella, un percorso nervoso che assomiglia molto a quello affrontato il giorno prima scendendo dalla Forcella de la Calada. Il sentiero è stretto, accompagnato dai numerosi baranci a bordo strada, e alterna discrete salite con lunghi tratti di discesa, sempre intorno alla quota di duemila metri. Poi, il tratto attrezzato, appena superata la Forcella del Viaz de le Ponte. Altrochè dieci metri di fune in ferro come ci ha indicato la sera prima la gestrice del rifugio. Questa è una vera e propria via ferrata! Il casco è appeso allo zaino e l'imbrago è in fondo ad esso. Che faccio? Mi attrezzo anch'io? No, proviamo così e inizio la discesa lungo questo canalino. Non è lungo dieci metri, col cavolo! Saranno almeno cinquanta... E lo zaino ingombrante non mi aiuta. Ma lo si supera, anche in maniera migliore rispetto a come l'avevo immaginato pochi minuti prima. A ripensarci, sarebbe stata una passeggiata di piacere fossi sceso con lo sguardo verso le rocce, sarebbe stato sicuramente più comodo. Va beh, esperienza per il futuro.
Ma non finisce qui: il cammino riprende deciso verso sud, verso Longarone. E trovo altri tre tratti attrezzati con funi. Ma non sono funi messe lì tanto per dare una mano a chi soffre di vertigini, sono basilari per la propria sopravvivenza. E il primo tratto beh... mi ha fatto veramente incazzare. Sia io che i miei compagni d'avventura inglesi chiedemmo alla gestrice del Rifugio Casera di Bosconero: "Ci sono tratti attrezzati dopo la Forcella del Viaz de le Ponte?", "C'è da fare un passo del gatto?". Risposta: "No, assolutamente!". Ed alla fine, eccolo lì, il passo del gatto. Provo a passare con lo zaino: niente, non ci passo. Non resta che l'estrema ratio.
Via lo zaino. Passo io. Tiro lo zaino. Rimetto lo zaino. Passo del gatto superato.
Passo del gatto: superato! |
Finito? Naah. Altri tre tratti attrezzati con le funi di ferro. Alcuni di essi veramente complessi, specie vista l'esposizione e la difficoltà del sentiero. Ma li supero, anche quelli. Dopo tre tratti del genere, inizio a pensare alla conclusione della fatica. La cresta rocciosa che corre verso sud sembra abbassarsi. Dai, la fine è vicina. Anche il Bivacco Tovanella, che segnerebbe la fine del tratto difficile della tappa, non può essere lontano.
C'è solo più uno scollinamento da affrontare, la Porta de la Serra, a 2050 metri di quota. Io vado avanti, seguo le tracce ed entro in un grande circo di ghiaia, il Vant de la Serra. Inizio a perdere quota, tra il mio malumore: quota persa vuol dire anche quota da riguadagnare. Continuo a seguire le tracce, ma non salgo più. Ad un certo tratto vedo un segnavia biancorosso, il classico segnavia che si trova in montagna. Bene, sono sulla buona strada.
Invece no: compare un numero sul segnavia, il n°477. Che non è quello giusto, il n°482. Cazzo... Guardo la cartina: proprio così, sentiero sbagliato. Guardo l'altimetro, sono già anche bello lontano. Che fare? Tornare su, perdendo una bella oretta? O vado giù fino alla SP251 che collega Forno di Zoldo a Longarone? Non ci penso un attimo: opzione n°2! Via tra i boschi, tra i fitti boschi della Val Tovanella, fino ai Casoni, frazione di Forno di Zoldo. Un sentiero dapprima infastidente, talmente è nascosto nel bosco. Poi si apre, diventa una comoda carrozzabile fino alla provinciale.
Piccolo piccolo, sotto il Sasso di Toanella |
Da lì mancano circa otto chilometri circa di strada. Avrei anche potuto farmeli a piedi, ma ormai questa non è più Alta Via, qui non c'è più nessuna montagna attorno, nessuna salita da conquistare, mi ritrovo su una provinciale. Vai con l'autostop, ancora una volta. E stavolta sono estremamente fortunato, al primo colpo si ferma un Nissan Qashqai che mi accompagna fino alle porte di Longarone, quanto basta per ridurre il tratto a piedi ad una manciata di minuti.
Sono quelli i minuti che, seppur non abbia seguito negli ultimi chilometri il tracciato irregolare, rimangono sempre i più intensi. La tristemente nota diga del Vajont appare verso est, e capisci che ci sei, che hai finito, che la fatica è conclusa e hai raggiunto il traguardo. Ancora una volta, qualcosa di grande è stato portato a termine.
La diga del Vajont sullo sfondo: Longarone è raggiunta |
E per quest'estate è solo l'inizio. Pirenei, Austria... "Speriamo", dico. Ora, a poco più di una settimana dall'arrivo a Longarone, mi trovo in condizioni fisiche non eccelse, e non per l'Alta Via, ma per la bronchite che mi ha colpito ad inizio settimana. Ma prima di partire, c'è ancora molto da dire e da scrivere sull'Alta Via n.3 delle Dolomiti. Uno dei pochi buoni motivi, se vogliamo vedere positivo, per starsene a casa con il bel tempo.
A presto!
Stefano
domenica 7 luglio 2013
Saluti all'ombra del Bosconero
Il fruscio dei piedi nell'erba mentre passeggio pensieroso su e giù. L'acqua che scende e sbatte sulle pietre, quella brezza che muove leggermente i pini, il bagliore del sole che si scontra con le nuvole al tramonto, il calore del rifugio. Piccole cose, domani sera mi mancheranno.
Si, c'è un cambiamento di programma. Completerò domani a Longarone l'Alta Via n.3. Ci sono tanti motivi che motivano questa decisione, tra cui le condizioni del bivacco Tovanella, che pare venga lasciato in cattive condizioni dai ragazzi del luogo. Poi, la distanza tra il bivacco e Longarone, quantificata in un'ora e mezza dalla rifugista della Casera di Bosconero: poco, veramente poco per giustificare uno stop in bivacco.
E poi, il motivo più importante. Giulia, il mio amore. Nessuna montagna, neanche la più alta o la più bella, potrà mai sostituire dentro di me ciò che provo per lei. Un buon motivo per tornare un giorno prima, no? Io penso proprio di si...
Quindi... Domani, colazione alle 7 e poi partenza veloce per la Forcella della Toanella, discesa su mezza costa sul lato della Val Tovanella, poi salita alla Forcella del Viaz de le Ponte, discesa su mezza costa sul lato della Val Zoldana, ancora salita, la Porta de la Serra prima del Bivacco Tovanella. E poi l'ultima, breve, salita, alla Costa del Dou, prima di buttarsi "in picchiata" verso Longarone. Il tutto in sei ore (così dice la rifugista), speriamo bene...
A domani... E buonanotte!
Stefano
Si, c'è un cambiamento di programma. Completerò domani a Longarone l'Alta Via n.3. Ci sono tanti motivi che motivano questa decisione, tra cui le condizioni del bivacco Tovanella, che pare venga lasciato in cattive condizioni dai ragazzi del luogo. Poi, la distanza tra il bivacco e Longarone, quantificata in un'ora e mezza dalla rifugista della Casera di Bosconero: poco, veramente poco per giustificare uno stop in bivacco.
E poi, il motivo più importante. Giulia, il mio amore. Nessuna montagna, neanche la più alta o la più bella, potrà mai sostituire dentro di me ciò che provo per lei. Un buon motivo per tornare un giorno prima, no? Io penso proprio di si...
Prati in fiore sotto la Rocchetta Alta |
Quindi... Domani, colazione alle 7 e poi partenza veloce per la Forcella della Toanella, discesa su mezza costa sul lato della Val Tovanella, poi salita alla Forcella del Viaz de le Ponte, discesa su mezza costa sul lato della Val Zoldana, ancora salita, la Porta de la Serra prima del Bivacco Tovanella. E poi l'ultima, breve, salita, alla Costa del Dou, prima di buttarsi "in picchiata" verso Longarone. Il tutto in sei ore (così dice la rifugista), speriamo bene...
A domani... E buonanotte!
Stefano
Il rifugio all'improvviso
Ciao a tutti!
Anche la sesta tappa è terminata, già qualche ora fa, in questo incontaminato scrigno della natura in cui si trova il Rifugio Casera di Bosconero. Sicuramente uno dei rifugi più affascinanti che abbia mai visto: si trova immerso nella foresta, sotto il gruppo del Bosconero, in una piccola radura dalla quale si domina la Val Zoldana a ovest e la magnifica muraglia rocciosa composta (da nord verso sud) da Sfornioi, Sasso di Bosconero, Sasso di Toanella e Rocchetta Alta.
La frazione di oggi è cominciata con il saluto finale al Cadore, terra che mi ha ospitato per ben quattro giorni e che mi ha regalato istanti che porterò sempre con me. Il commiato sul Monte Rite, ove la visuale si allarga a tutta la valle del Boite, dal Pelmo all'Antelao. E non solo, ma questi, con le Tofane e il Cristallo sono i gruppi più significativi del Cadore. Non è facile andarsene, ma bisogna farlo. Un'altra tappa, altre salite e altre discese mi aspettano.
Si comincia in relax, con la lunga discesa dal Monte Rite, tramite una carrozzabile di sei chilometri circa, per buona parte tra gli alberi, ma che non disdegna di regalare qualche pregevole scorcio sulla Val Zoldana. Un veloce caffè al Rifugio Remauro, (posto sulla Forcella Cibiana, al termine della discesa) e poi via per la salita di giornata.
Il percorso ufficiale dell'Alta Via n.3 delle Dolomiti prevederebbe lo scollinamento della Forcella de le Ciavazole. Non sarà questo il percorso che seguirò: la guida dell'Alta Via lo sconsiglia in quanto definito pericoloso e anche i rifugisti del Casera di Bosconero mi avevano segnalato ciò. Escursionisti incontrati lungo il sentiero mi hanno poi spiegato che la discesa dalla Forcella de le Ciavazole è completamente sparita, portata via dalla neve. E anche un'escursionista l'anno scorso era caduta facendo trecento metri di discesa rotolando (non mi hanno poi detto che ne è stata...). La sezione locale del CAI ha provato a metterlo in sicurezza, con scarsi risultati.
L'alternativa è la Forcella de le Calade, e capirò perché è un'alternativa. Il panorama non si discute, ma il percorso della discesa è veramente tecnico e nervoso. Non eccessivamente pericoloso, ma molto ripido e capace di farti acquisire parecchia velocità. Anche il terreno non facilita la discesa. Insomma, arrivo in fondo con le gambe a pezzi. Capita, a volte le discese sono più distruttive delle salite.
Arrivato in fondo alla discesa, mi trovo in una valle franata, dalla quale devo risalire, attraverso la foresta, per raggiungere il rifugio. Le linee rosse sugli alberi tracciano la via, un percorso che fortunatamente è in salita. Anche qui sembra non si finisca mai. Quando meno te lo aspetti, il sole inizia a filtrare tra gli alberi: sono arrivato! Come detto precedentemente, il rifugio si trova in una piccola radura all'interno della foresta. Ed è una vera e propria oasi: prati verdi, pini rigogliosi e montagne perfette, bambini che giocano e famiglie che mangiano felici (dimenticavo, è domenica, oggi).
All'arrivo il cielo è parzialmente nuvoloso. Una volta lavato e riposato esco dalla camerata (anche quest'ultima, suggestiva e calorosa) e il sole splende sul Bosconero. E questa meraviglia delle Dolomiti, finora sconosciuta per me, si rivela in tutta la sua bellezza.
A presto,
Stefano
Anche la sesta tappa è terminata, già qualche ora fa, in questo incontaminato scrigno della natura in cui si trova il Rifugio Casera di Bosconero. Sicuramente uno dei rifugi più affascinanti che abbia mai visto: si trova immerso nella foresta, sotto il gruppo del Bosconero, in una piccola radura dalla quale si domina la Val Zoldana a ovest e la magnifica muraglia rocciosa composta (da nord verso sud) da Sfornioi, Sasso di Bosconero, Sasso di Toanella e Rocchetta Alta.
Eccolo, il Rifugio Casera di Bosconero! |
La frazione di oggi è cominciata con il saluto finale al Cadore, terra che mi ha ospitato per ben quattro giorni e che mi ha regalato istanti che porterò sempre con me. Il commiato sul Monte Rite, ove la visuale si allarga a tutta la valle del Boite, dal Pelmo all'Antelao. E non solo, ma questi, con le Tofane e il Cristallo sono i gruppi più significativi del Cadore. Non è facile andarsene, ma bisogna farlo. Un'altra tappa, altre salite e altre discese mi aspettano.
Si comincia in relax, con la lunga discesa dal Monte Rite, tramite una carrozzabile di sei chilometri circa, per buona parte tra gli alberi, ma che non disdegna di regalare qualche pregevole scorcio sulla Val Zoldana. Un veloce caffè al Rifugio Remauro, (posto sulla Forcella Cibiana, al termine della discesa) e poi via per la salita di giornata.
Ultimo saluto al Pelmo dal Monte Rite |
Il percorso ufficiale dell'Alta Via n.3 delle Dolomiti prevederebbe lo scollinamento della Forcella de le Ciavazole. Non sarà questo il percorso che seguirò: la guida dell'Alta Via lo sconsiglia in quanto definito pericoloso e anche i rifugisti del Casera di Bosconero mi avevano segnalato ciò. Escursionisti incontrati lungo il sentiero mi hanno poi spiegato che la discesa dalla Forcella de le Ciavazole è completamente sparita, portata via dalla neve. E anche un'escursionista l'anno scorso era caduta facendo trecento metri di discesa rotolando (non mi hanno poi detto che ne è stata...). La sezione locale del CAI ha provato a metterlo in sicurezza, con scarsi risultati.
L'alternativa è la Forcella de le Calade, e capirò perché è un'alternativa. Il panorama non si discute, ma il percorso della discesa è veramente tecnico e nervoso. Non eccessivamente pericoloso, ma molto ripido e capace di farti acquisire parecchia velocità. Anche il terreno non facilita la discesa. Insomma, arrivo in fondo con le gambe a pezzi. Capita, a volte le discese sono più distruttive delle salite.
Il circo roccioso attorno al paradiso del Rifugio Casera di Bosconero |
Arrivato in fondo alla discesa, mi trovo in una valle franata, dalla quale devo risalire, attraverso la foresta, per raggiungere il rifugio. Le linee rosse sugli alberi tracciano la via, un percorso che fortunatamente è in salita. Anche qui sembra non si finisca mai. Quando meno te lo aspetti, il sole inizia a filtrare tra gli alberi: sono arrivato! Come detto precedentemente, il rifugio si trova in una piccola radura all'interno della foresta. Ed è una vera e propria oasi: prati verdi, pini rigogliosi e montagne perfette, bambini che giocano e famiglie che mangiano felici (dimenticavo, è domenica, oggi).
All'arrivo il cielo è parzialmente nuvoloso. Una volta lavato e riposato esco dalla camerata (anche quest'ultima, suggestiva e calorosa) e il sole splende sul Bosconero. E questa meraviglia delle Dolomiti, finora sconosciuta per me, si rivela in tutta la sua bellezza.
A presto,
Stefano
Iscriviti a:
Post (Atom)