domenica 31 maggio 2015

I centomila passi

Centomila visite. Centomila.
Che traguardo incredibile. Sono passati meno di tre anni dalla nascita di questo piccolo spazio, ma ancora non riesco a comprendere come sia stato possibile riscuotere questo interesse. In fondo, questo blog non vuole raccontare nulla di straordinario, se non le passioni e le emozioni di una persona comune, come tante altre, che si diverte a correre, a viaggiare e (per quanto sia più difficoltoso in questo momento) salire montagne. E a cui piace raccontare ciò che si prova, un po' per fissare questi sentimenti negli anni che verranno, un po' per stimolare i lettori ad abbandonare il guscio della quotidianità e ad aprirsi al mondo. A maggior ragione in questi ultimi mesi, in cui il blog di montagna che era A spasso tra i Giganti al suo esordio (in occasione della mia prima Alta Via, in Valle d'Aosta) si è lentamente trasformato in un expat blog, un contenitore in cui versare tutto il bello (molto) e il brutto di una significativa esperienza all'estero.
Sinceramente non so come poter ringraziare ancora i lettori di A spasso tra i Giganti. Simbolicamente, lo voglio fare così, con le foto dei "Giganti" della Valle d'Aosta. Monte Bianco, Monte Rosa, Cervino, Grand Combin, Gran Paradiso: magnifiche creazioni della natura, senza le quali - chi lo potrà mai sapere? - probabilmente questo blog non sarebbe mai esistito...
GRAZIE A TUTTI!
Stefano

Il Monte Bianco visto dal Col de Vessonaz (foto di archivio, 16 luglio 2012)

Il Gruppo del Monte Rosa visto dal Col de Vessonaz (foto di archivio, 16 luglio 2012)

Il Cervino visto dalla Fênetre d'Ersaz (foto di archivio, 15 luglio 2012)

Il Grand Combin visto dal Rifugio Champillon (foto di archivio, 19 luglio 2012)

sabato 30 maggio 2015

Noi ci siamo! Live from Colle delle Finestre @ Giro 2015

Quando il Giro d'Italia incontra il Colle delle Finestre, questo sport entra in un'altra dimensione. È una salita dura, durissima, tra le più dure che si possano incontrare sui pedali. Ma qui sul Colle delle Finestre, c'è sempre qualcosa di particolare. Tutto il ciclismo piemontese sale sulle rampe di questa salita, ormai un classico per gli amatori e per la corsa rosa, per venire a sostenere i grandi campioni del Giro d'Italia. In Piemonte, questo è l'appuntamento ciclistico dell'anno. Solo qui, sul Colle delle Finestre, il grande ciclismo moderno incontra l'epopea dei percorsi in sterrato e l'eroismo dei grandi campioni del passato.
Noi ci siamo, anche sulla pietra e sulla polvere del Colle delle Finestre!

Uno sterrato più brutto del solito per la penultima salita del Giro 2015

venerdì 29 maggio 2015

Noi ci siamo! Live from Cervinia @ Giro 2015

Non sarà la corsa più famosa del mondo, ma è la corsa più dura del mondo nel paese più bello del mondo.
Non sarà il Mortirolo, lo Zoncolan o la Marmolada. Non ci saranno pendenze del 20%, ma questo spettacolo è anche nella bellezza della natura che lo circonda. Oggi, è il turno del simbolo per eccellenza delle Alpi, Sua Maestà il Cervino.
Oggi, ai piedi del gigante di roccia, arrivano i corridori del Giro d'Italia. Noi ci siamo.

L'arrivo della tappa n.19 (da Gravellona Toce a Cervinia) del Giro d'Italia 2015

Heysel, 29 maggio 1985

E' quasi mezzogiorno quando arriviamo a Bruxelles. Il viaggio è stato interminabile, soprattutto per me che non riesco a dormire in pullman. Lungo il percorso ogni tanto abbiamo superato altre carovane di tifosi juventini, con i quali ci siamo salutati chiassosamente, ma avvicinandoci alla città il numero di pullman bianconeri è aumentato in maniera esponenziale: siamo una marea e questo, anche se si tratta solo di una illusione, ci fa ben sperare per l'esito della partita.
Il parcheggio che ci hanno riservato è grandissimo ed è stracolmo di tifosi. Cerco qualche faccia conosciuta, ma so che è inutile. Solo io, Gino e Fabio siamo arrivati qui per strada; gli altri tifosi della mia cittadina stanno arrivando in aereo, beati loro che possono. Cerchiamo le indicazioni per lo stadio. Non ce ne sono oppure non le vediamo, seguiamo la corrente bianconera, qualcuno là davanti saprà dov'è. Una breve pausa per una foto davanti all'Atomium: l'ho visto mille volte sui libri di geografia e vederlo dal vero mi fa un certo effetto.
Finalmente arriviamo nei pressi dello stadio: esternamente non ci sembra granché, spero che sia meglio all'interno. Sui prati attorno allo stadio ci sono tantissimi gruppetti di tifosi: c'è chi mangia, chi dorme, chi legge la Gazzetta e avvicinandoci sentiamo i discorsi concitati di mille allenatori; ognuno ha la sua formazione e la sua tattica di gara, ci accomuna solo la speranza che non si ripeta la beffa di Atene.
Io, apprensivo come al solito, voglio individuare l'ingresso del nostro settore per non essere impreparato quando apriranno i cancelli; Gino e Fabio mi prendono in giro ma si uniscono a me nella ricerca. Ci avviciniamo al perimetro dello stadio e cominciamo a percorrerlo. Nei pressi di quella che dovrebbe essere la tribuna centrale ci sono delle transenne. Qui non si passa. Facciamo un giro più ampio e arriviamo in corrispondenza di una delle curve. Sarà la nostra? Assorti nella ricerca, non ci siamo accorti che il colore dei prati circostanti è gradualmente mutato: da verde, bianco e nero è diventato verde e rosso. Qui ci sono i tifosi del Liverpool. Nella illusoria speranza che la mia maglia bianconera e quella di Fabio non risultino così evidenti (come se quella blu da trasferta di Gino con il logo Ariston, lo scudetto e le stelle sembrasse una normale polo…) proseguiamo nel nostro cammino. Non posso fare a meno di sbirciare i volti dei tifosi inglesi, nel timore di una espressione di minaccia e nella speranza di un sorriso di complicità.
Un ragazzo si stacca da un gruppetto numeroso e si avvicina. Sorride timoroso, indica la mia maglia e mi parla. Accidenti, come è diversa la sua parlata dall'inglese della prof.; comprendo la metà delle sue parole, ma capisco che vuole cambiare la mia maglia con la sua. Perché no? Magari ci speravo in una cosa del genere e forse sarà per questo che, oltre alla maglia ufficiale, mi sono portato una maglia replica acquistata su una bancarella davanti al Comunale prima della partita con il Bordeaux. Facciamo lo scambio. E' bella la loro maglia, di un rosso che comunica passione; chissà quand'è che la Juve deciderà di adottare le maglie fatte con questo tessuto lucido. Ci diamo la mano e ci salutiamo. Io gli dico: "Good luck", ma non lo penso veramente, non per stasera almeno.
Proseguiamo nella nostra ricerca, arriviamo quasi alla fine della curva prima del settore dei distinti; qui c'è un po' di movimento. Non capiamo o forse capiamo ma non ci sembra possibile. Ci sono dei tifosi a cavalcioni del muro di cinta che in questo punto mi sembra più basso che altrove e con il filo spinato rotto; altri tifosi stanno passando loro dei contenitori, sembrano casse di birra. Forse stanno portando dentro degli striscioni, ma qualcosa ci dice che la prima impressione è quella giusta. Questi sembrano meno amichevoli di quelli che abbiamo incontrato prima e allora decidiamo di non indugiare troppo e ci affrettiamo ad allontanarci.
Passato il settore dei distinti, l'ambiente torna a tingersi del rassicurante colore bianconero e vediamo anche un cancello con sopra un cartello che recita “Juventus”; non ci è dato di sapere se è l'ingresso del nostro settore, ma una valutazione della piantina dello stadio disegnata dietro al biglietto di ingresso ci spinge a pensare che sia così. Chiedo a tutti quelli che incontro se è questo il settore ‘N' e puntuale arriva la presa in giro di Gino e Fabio. Siamo arrivati e anche se è un po' presto, decidiamo di fermarci qui. Anni di partite al Comunale ci hanno insegnato che se non sei davanti ai cancelli quando aprono, ti rimangono i posti peggiori.
Il pomeriggio avanza, fa caldo (perché quando compri la maglia ufficiale ti mandano sempre quella a maniche lunghe invernale?), il numero di tifosi aumenta e tutti si accalcano. Già da tempo abbiamo rinunciato a stare seduti e, per giunta, nel gruppo si è infilato anche un poliziotto a cavallo ed io, con la mia solita fortuna, sono faccia a faccia con il quadrupede. Spero che sia stato addestrato bene. Sorrido al poliziotto, nella speranza che capisca che qui non ci sono teppisti, ma lui non si smuove. “Vabbè, l'importante è che tu tenga buono Furia” penso io.
Cresce l'eccitazione. La batteria dell'orologio mi ha abbandonato, ma penso che ormai ci siamo. Ora aprono. E' come una scossa. Cominciano i cori “Juve, Juve” prima ancora di entrare. Siamo dentro. Ci sistemiamo in una posizione decente, vicino ai distinti e cominciamo a studiare quello che sarà il teatro della partita. Il prato è uno splendore. Qui il verde sembra – se possibile – più verde, che meraviglia. Però il resto non è granché: lo stadio non ci sembra molto grande; sicuramente è molto vecchio e comunque tenuto male. Addirittura i gradini larghi e bassi sono in più parti sbriciolati. Penso che sia quasi meglio il Comunale, che ho tante volte denigrato. Ricomincio a fare il solito giochetto delle “forze” sugli spalti, come se il numero dei tifosi fosse decisivo. Guardo verso al curva opposta alla nostra, dove ci sono i nostri “nemici”, ma non è tutta rossa: nella parte verso le tribune ci sono degli juventini. Chissà, forse siamo talmente in tanti che ci hanno riservato anche quel settore. Intanto lo stadio si riempie. Per ingannare l'attesa si parla, si legge un quotidiano faticosamente mendicato al vicino; ogni tanto qualcuno parte con un coro e allora tiriamo su sciarpe e bandiere e cantiamo per darci coraggio e sperando di darne ai giocatori. C'è uno dietro di me che ha uno striscione con scritto “Mamma sono qui”. Questa mi mancava.
L'eccitazione aumenta sempre più. Non riesco più a calmarmi, se continuo di questo passo esaurirò le unghie prima dell'inizio della partita. Un boato. Sono entrate delle persone con la tuta della Juve sul campo. Da qui non riconosco i volti, potrebbe essere il massaggiatore, ma potrebbe essere anche Platini. Quanto manca? Sono quasi le sette. Manca ancora parecchio ed i minuti sembrano espandersi nell'attesa. Mi metto tranquillo. Ma dura poco.
Un brivido percorre la curva, forse stanno entrando i giocatori a vedere il terreno di gioco. No, sta succedendo qualcosa sulla curva opposta. Cerco di capire. Dai due settori riservati ai tifosi del Liverpool stanno lanciando degli oggetti verso il settore degli juventini, sembrano bottiglie, forse sassi, non vedo bene. La parte della curva bianconera fischia, anche noi fischiamo. Ma proprio stasera dovevano fare casino? Fra le due tifoserie compatte si è aperta una frattura. Poi, come comandati da un unico impulso, i tifosi del Liverpool cominciano a muoversi in direzione di quelli della Juve. “Ci saranno le reti” mi dico, “Arriverà la polizia” spero, “Si fermeranno” prego. Si fermano. Ma è un attimo. Come una molla gli inglesi si ritraggono e poi ripartono, ma questa volta non si fermano, continuano ad avanzare. La massa dei tifosi bianconeri si sposta verso le tribune, forse stanno uscendo. Da qui vedo che molti si riversano sul campo di gioco. Forse gli addetti hanno aperto i cancelli e per evitare problemi li fanno entrare sulla pista. Il settore è quasi vuoto. E quelli del Liverpool si sono fermati; lentamente ritornano verso i loro settori e cantano. Cerchiamo di capire, ma da qui è difficile.
L'altoparlante dello stadio non da comunicazioni. Speriamo che non rimandino la partita. Sarebbe il colmo essere venuti fin qua per non vederla. Passano i minuti. Il settore degli juventini rimane vuoto, i suoi occupanti sono tutti in campo. Mi sembra di sentire delle sirene. Stanno arrivando i rinforzi per la polizia, oppure sono ambulanze, forse qualcuno si è fatto male.
Intanto il tempo trascorre, adesso troppo in fretta. Ma insomma, cosa fanno, perché non dicono nulla? L'altoparlante dello stadio comincia a emettere suoni, ma la confusione è tanta e i messaggi arrivano frammentati. Riusciamo a capire che i capitani delle squadre leggeranno un comunicato. Si sente una voce timida, è Scirea. Ci dicono: "La partita verrà giocata per consentire alle forze dell'ordine di organizzare l'evacuazione del terreno. State calmi. Non rispondete alle provocazioni. Giochiamo per voi". Poi un'altra comunicazione, questa volta in inglese. Questi è Neal, il capitano del Liverpool. Non riusciamo a capire. Ma la partita è valida?
Intanto il campo è sempre pieno di persone, a cui si vanno aggiungendo squadre di poliziotti o soldati che si dispongono attorno al perimetro del terreno. Se possibile, il trambusto aumenta quando entrano in campo alcuni calciatori della Juve circondati da un gruppo sempre più folto di persone. Arrivano quasi sotto la nostra curva. Nella calca mi sembra di riconoscere Cabrini, ma non ne sono certo. E' tardi, l'orario di inizio è trascorso. Scirea ha detto: “Giochiamo per voi”, spero che non ci abbiano ripensato. Impercettibilmente il campo si svuota, tutte le persone che c'erano prima sono scomparse. Forse i tifosi della Juve scesi sul terreno di gioco sono stati smistati in altri settori dello stadio. Abbiamo notato che molti spettatori dei distinti alla nostra destra sono andati via. Forse si sono impauriti per il trambusto. Vediamo un varco nella rete divisoria fra i settori e molti tifosi della curva ci passano attraverso per spostarsi nei distinti. Lo facciamo anche noi, vogliamo vedere un po' meglio. Non c'è nessuno ad impedircelo.
Sono già passate le nove, quando inizia la partita. I minuti prima lentissimi adesso passano troppo velocemente. Le squadre giocano abbastanza bene, sembra tutto normale. Voglio pensare che sia tutto normale. Noi facciamo qualche azione buona, ma anche loro non scherzano. Sono forti, lo sapevamo. Tacconi si supera in più di una occasione. Finisce il primo tempo sullo 0 – 0. Facciamo qualche commento, ognuno ha la sua ricetta per vincere, ma non sembriamo molto convinti. Un'ombra ci opprime. Entrano le squadre per la seconda parte della gara. Nella Juve non è cambiato nessuno. Passano una decina di minuti, poi un lampo. Boniek parte al galoppo. Sale l'incitamento, che diventa un boato quando i difensori del Liverpool lo stendono nei pressi dell'area. Rigore! "Ma, c'era?". L'arbitro dice di si. Tira Platini. Proprio sotto la curva degli incidenti. Contrariamente al solito, questa volta lo guardo tirare. Gol! Stiamo vincendo. "Manca molto?". Adesso il Liverpool non ci sta a perdere e ci comprime nella nostra metà del campo. Il cuore sta facendo gli straordinari. Tacconi para anche lo mosche. E' quasi finita. Una sostituzione per la Juve. Esce Briaschi, entra Prandelli; ci copriamo, il Trap ha aspettato più del solito a farlo. Manca pochissimo. Un'altra sostituzione. Esce Rossi ed entra Vignola. E' finita! Abbiamo vinto.
Ci abbracciamo. Gino piange, ma non vuole farsi vedere. La curva alla nostra sinistra, dove eravamo prima è una marea bianconera. Aspettiamo la premiazione, vogliamo la coppa più desiderata. Il tempo passa ma non vediamo nulla. Ce la siamo persa? Altri minuti, non si vede nessuno. Ma che fanno? Hanno cambiato il rituale? No, ecco i giocatori che arrivano. Non ci sono tutti. C'è Platini che corre sotto la curva. Foto. Passano Tardelli e Boniek proprio davanti a noi. Altra foto. Questo coi baffi chi è? Favero. Altra foto. Non vedo altri juventini. Ma dov'è la coppa?
Non c'è più nessuno in campo, esclusi poliziotti ed addetti. Lo stadio si sta svuotando, per stasera non fanno altro. Decidiamo di uscire. Torniamo al pullman. Occhio alle maglie rosse. Dopo quello che è successo, non si sa mai.
Ci rimettiamo in viaggio. Appena fuori Bruxelles, ci fermiamo in un posto di ristoro. E' chiuso. "Ma come? Da noi sono sempre aperti o quasi". Proseguiamo. Abbiamo fame. Un altro autogrill. Come non detto. Appena vede arrivare i pullman, qualcuno pensa bene di chiuderlo. Ci teniamo la fame, ci arrangiamo per i bisogni fisiologici e ripartiamo. Viaggiamo tutta la notte e arriviamo al confine svizzero alle prime luci dell'alba. Finalmente, un autogrill aperto. Ci fermiamo e assaltiamo letteralmente il bar. Ci guardano in modo strano. Una cameriera piange. Che succede? Io cerco l'espositore dei quotidiani. Voglio comprare una copia della Gazzetta per conservarla come ricordo. Non la trovo. Ci sono solo giornali in lingua tedesca. Ne compro uno. Ho una conoscenza scolastica del tedesco, ma riconosco il vocabolo che campeggia in prima pagina vicino ad un numero troppo alto per essere vero, 'Toten'; e le immagini che vedo mi scavano un solco profondo nella mente e nel cuore. Per sempre.
Siamo a casa nel primo pomeriggio. Un conoscente mi offre un passaggio dal terminal degli autobus fino a casa mia. Mi dice che in paese mi davano per disperso. Risultavo capogruppo nell'elenco dei tifosi partiti da qui. Quelli che sono venuti alla partita in aereo sono tornati prima di noi, ed hanno raccontato di aver sentito il mio nome chiamato più volte dallo speaker dello stadio. Mi sembra incredibile, io non ho sentito nulla. Mi dice anche che la mia ragazza ha telefonato al Ministero degli Esteri. Non le hanno saputo dare notizie. Arrivo a casa. Mia madre mi abbraccia e piange. Mio padre non mi dice nulla. Mi guarda e parte per andare al lavoro. Anni dopo mi dirà di non aver provato una paura simile nemmeno ai tempi della guerra.
Non ho mai voluto guardare la registrazione di quella serata.


Sergio
Heysel, 29.05.1985

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giovedì 28 maggio 2015

Linee rosse ed isoipse

L'immagine parla chiaro: un libro con mappe e altimetrie, varie cartine, alcuni fascicoli. Non c'è molto spazio per dubbi e domande. Terminata la sbornia podistica con la maratona di Amburgo, è giunto il momento di ubriacarsi di montagna. Dunque, occhi puntati su nuovi percorsi da percorrere a piedi. Dove? Basta osservare con attenzione la foto di questo post. Spiccano alcuni nomi: Cogne, Valgrisenche, Gran Paradiso... che quest'estate sia la volta buona per chiudere il cerchio delle alte vie valdostane con l'Alta Via n.2?
Al momento è presto per dirlo, ma le buone intenzioni, per ora, ci sono tutte...


A presto!
Stefano

mercoledì 27 maggio 2015

Sulla strada verso Francoforte: Miltenberg

Ciao a tutti!
Nel weekend che è appena finito ho avuto finalmente l'occasione d'oro per visitare, anche se molto brevemente e con scarsa possibilità di approfondimento, un paese che viene chiamato "la perla del Meno". Lo si può raggiungere con una piccola deviazione dalla strada verso Francoforte, ed è opportunamente segnalato già sull'autostrada stessa. Si chiama Miltenberg e non si può dire veramente che appartenga alla Baviera. Qui siamo in un angolo di terra sì, ufficialmente appartenente alla Baviera, ma incastonato tra l'Assia e il Baden-Württemberg. E qui non ci si sente affatto parte del Land dalla bandiera a rombi bianco-azzurri.

Vista dal Mildenburg...

Perché "perla del Meno"? Tutto è dovuto, a mio parere, alla sua posizione assolutamente speciale. Miltenberg è un paese che si trova su un'estesa ansa del fiume Meno, che permette in qualsiasi di posizione di avere un panorama grandioso. Se si ha voglia di faticare un pochino, si può salire al Mildenburg, il castello che dall'alto domina tutta l'area circostante l'ansa del Meno. Per chi vuole rilassarsi, basta camminare sul Mainbrücke, e voltarsi verso sud per abbracciare con lo sguardo il fiume e la sua città suddita. In entrambi i casi, specie durante le luci del tramonto, come quelle che ho avuto modo di incontrare.

...e dal Mainbrücke

C'è una città viva anche negli orari tipicamente più spenti. Capannelli di fronte alle varie birrerie dislocate lungo Hauptstraße, qualche famiglia va a prendersi un gelato nella Marktplatz, le coppiette passeggiano sul lungofiume, i turisti consumano una cena a base di pietanze locali in un luminoso imbrunire. È un piccolo paese, Miltenberg, non conta i diecimila abitanti, ma qui si respira un'aria positiva, rilassata e serena. È un peccato avere poco tempo a disposizione, è bello essere qui ma è triste non esserci con Giulia. Qui il Meno tocca livelli di bellezza incontrati lungo la Donauradweg (Schlögen, Maria Taferl) e sarebbe bello poterli apprezzare insieme.
Il taccuino delle mete da raggiungere quest'estate, tra i molti nomi segnati, ha sicuramente quello di Miltenberg.
Bis bald!
Stefano

martedì 26 maggio 2015

Da non chiamare "montagna"

Ciao a tutti!
A più di venti mesi dall'inizio di questa fase della mia vita, in cui mi trovo a vivere in Germania - era il 14 settembre 2013 - posso finalmente affermare di avere fatto del trekking anche in territorio tedesco. Può sembrare incredibile ma è così: le passeggiate in montagne sono una prerogativa della bella stagione, certo, ma l'anno scorso ho preferito dedicarmi ad altro... E ho così trascurato una grande passione, forse la più grande, il trekking, probabilmente anche superiore alla corsa.

Bischofsheim an der Rhön dalle alture del Kreuzberg

Non poteva essere che nell'area della Rhön la mia prima avventura a piedi in Germania. È un gruppo collinare (chiamarle montagne sarebbe eccessivo) proprio al centro del territorio tedesco, suddiviso tra tre diversi Land: Baviera, Assia e Turingia. Per i franconi queste sono montagne. Io, abituato a ben altre forme, pendenze e altitudini, le considero niente più che colline. Inizio col botto: la mia prima salita è al Kreuzberg, un'enorme collina che con i suoi 928 metri rappresenta la terza cima della Rhön. Il Kreuzberg è una delle aree più importanti della Rhön: ai suoi piedi c'è una fitta rete di sentieri e numerosi rifugi, dalla sua sommità si gode di un ottimo panorama, vi si trova un piccolo monastero francescano che richiama numerosi turisti soprattutto per la birra che ivi viene prodotta. E poi, è la stazione sciistica più importante della Rhön...

Burgwallbach

Il Kreuzberg si può raggiungere da molte direzioni. Sono svariati i sentieri chiamati "Kreuzbergweg" che portano alla terza cima della Rhön, facilmente identificabili dal triangolino rosso. Io opto per il sentiero che parte dal versante orientale, per la precisione da Schönau an der Brend. Il Kreuzberg è lontano da qui, sarebbero circa quindici i chilometri da percorrere, ma non me ne curo molto. Nonostante la geografia di quest'area mi è ancora piuttosto oscura, so che queste sono colline che difficilmente presentano salite faticose. Ho percorso più volte le due autostrade che attraversano la Rhön, la A70 verso Kassel e la A71 verso Erfurt, e dall'abitacolo mi è parso chiaro che qui, per faticare, bisogna solo macinare chilometri.

Riserva di legna

Parto di buona lena dalla frazione di Kollertshof per puntare verso ovest. C'è da attraversare la Burgwallbacher Forst, un grande bosco che prende il nome da una frazione di Schönau, Burgwallbach, che incontro dopo tre/quattro chilometri di cammino. Da qui si taglia in orizzontale la foresta fino a toccare la strada 288 che collega Bad Kissingen a Bischofsheim an der Rhön. Da qui inizia la vera "salita" verso il Kreuzberg. Rimanendo sempre nel bosco, ma alternando qualche pascolo e una prateria che probabilmente in inverno si trasforma in pista da sci, si salgono ancora poco meno di quattrocento metri. È chiaro quale sia il Kreuzberg, un'immensa torre farcita di ripetitori rappresenta la punta di questa massiccia collina.
Sul Kreuzberg si nota inoltre il profilo di tre croci: è il culmine di una via crucis che parte proprio dal monastero poco più in basso. Qui vi è una terrazza panoramica che punta verso ovest e permette di spaziare con lo sguardo verso il Rhön dell'Assia. Ma il punto panoramico migliore, a mio avviso, è lungo il percorso e permette di avere un grande colpo d'occhio su Bischofsheim an der Rhön.



Il percorso e l'altimetria verso il Kreuzberg (928 metri di altitudine)

Una nota sui boschi che ho attraversato: si estendono su spazi larghissimi (mai visto in Italia, anche se va detto che la geografia italiana è ben diversa) e sono estremamente curati. In parte i sentieri che lo attraversando sono chiaramente risultato dell'attività dei boscaioli della Rhön, quindi molto estesi e poco sconnessi; in parte essi attraversano una natura che pare rimasta tale da centinaia di anni, come se non fosse mai stato toccato un ramo. I sentieri della Burgwallbacher Forst sono perfetti per una passeggiata all'aria aperta, a piedi o in mountain bike (incrociate a decine). Ancora meglio se in compagnia, le salite scarse o poco impegnative non fanno venire il fiatone...

Cima... meglio dire un altopiano

Però è innegabile che questo trekking, lungo e tutto sommato stancante - ho camminato per quasi trenta chilometri - lasci un pochino l'amaro in bocca. Due anni fa calcavo ben altri sentieri, ben altre montagne. Altre difficoltà, e altre soddisfazioni. La realtà di oggi è fatta di colline, non più di grandi monti e panorami mozzafiato. Una realtà che fa salire alle stelle la nostalgia per la mia terra, che da montagne è circondata e grazie ad esse vive.
Bis bald!
Stefano

lunedì 25 maggio 2015

Auto in Germania? Piccolo manuale di sopravvivenza!

Ciao a tutti!
Siccome poco più di due mesi fa ho avuto a che fare con una lunga, complessa e frustrante procedura per re-immatricolare la mia automobile in Germania, ho pensato di pubblicare questo post, che vuole essere una piccola guida per tutti coloro che si trovano o si troveranno nella mia situazione (e credo ce ne saranno molti, in futuro). Io ho dovuto fronteggiare una vera e propria giungla, spero che questo post possa essere utile.
Innanzitutto, perché farlo? Ci sono persone che vogliono circolare in Germania con la propria targa italiana: questa cosa, oltre i sei mesi di residenza in territorio tedesco, è illegale. Specie se si ricevono piccole multe (come divieto di sosta o piccolo superamento dei limiti di velocità), viaggiare con la targa italiana può essere conveniente. Se non le si pagano non succede assolutamente niente. Ma alla lunga reimmatricolare la propria automobile è assai conveniente, in quanto:
   - le tariffe RCA sono decisamente più vantaggiose: con quello che mi costava assicurare la mia automobile in Italia, qui in Germania posso fare una kasko;
   - il costo del bollo auto è molto più economico;
   - in caso di incidente, le procedure burocratiche sono molto più semplici.

Automobili, che fatica (fonte: umweltbundesamt.de)

Quali sono i passi per re-immatricolare la propria automobile in Germania? Vediamoli qui di seguito.

1) Gita di ispezione: fatevi un giretto all'ufficio che risponde al soave nome di Kraftfahrzeug-Zulassungsbehörde, l'equivalente dell'italico PRA, e chiedete quali documenti siano necessari per reimmatricolare la vostra auto. Può darsi che da Land a Land ci siano delle piccole differenze nella documentazione necessaria.
2) Revisione del mezzo: presso i centri TÜV o DEKRA si può ottenere l'attestato di revisione della vostra automobile, assieme al COC, il certificato di omologazione comunitario.
3) Assicurazione - parte 1: una volta scelta l'assicurazione con la quale stipulare la RCA, si deve far rilasciare un codice chiamato eVB (Elektronische Versicherungsbestätigung), un numero elettronico di sette caratteri che l’assicurazione fornisce in tempo reale al momento della stipula, anche se non ancora finalizzata al 100%: per quello servirà la targa tedesca, ma l'eVB è indispensabile per la reimmatricolazione. Nota: per risparmiare denaro, presentatevi già con l'attestato di rischio rilasciato dall'assicurazione italiana, tornerà molto utile economicamente nella fase 8.
4) Kfz-Zulassungsbehörde - parte 1: presentatevi allo sportello di tale ufficio con la documentazione che segue. Attestato di revisione TÜV, certificato di omologazione comunitario COC, l'Anmeldung (l'iscrizione all'ufficio anagrafe comunale), documento d'identità in corso di validità, codice eVB, libretto di circolazione italiano, certificato di proprietà, eventuale prenotazione di una sigla personalizzata per la nuova targa (si può fare sul sito internet del Kfz-Zulassungsbehörde), targhe italiane smontate dalla vettura: con tutti questi documenti, si avvia la procedura di reimmatricolazione. Lasciando qualche decina di euro di tasse.
5) Stampa della targa: nei pressi dei Kfz-Zulassungsbehörde sono presenti dei negozi che stampano la targa richiesta. Indispensabile avere con sé la ricevuta del pagamento della tassa imposta dal Kfz-Zulassungsbehörde, sulla quale è riportata la sigla esatta della nuova targa. Consiglio di acquistare in loco anche due portatarga nuovi, in formato tedesco: quelli italiani sono solitamente più piccoli.
6) Kfz-Zulassungsbehörde - parte 2: con le nuove targhe in mano, si finalizza la reimmatricolazione tramite l'applicazione del bollino del  TÜV che certifica la revisione in regola e il bollino del proprio Land. Inoltre, vengono rilasciati lo Schein (il cui nome corretto è Zulassungsbescheinigung Teil I), il nuovo libretto di circolazione, e il Briefe (Zulassungsbescheinigung Teil II), il nuovissimo certificato di proprietà.
7) Montaggio della targa: Armatevi di pinze e cacciaviti. L'operazione può sembrare complicata ma in realtà è proprio banale...
8) Assicurazione - parte 2: a questo punto, con le targhe a posto, si finalizza l'assicurazione. A differenza che in Italia, non vi è il rilascio di un contrassegno. A maggior ragione per gli italiani però, è opportuno farsi rilasciare (è gratuita) la carta verde che certifica l'assicurazione anche per sinistri che avvengono fuori dal territorio tedesco.
9) Pubblico Registro Automobilistico (via e-mail, si intende): per chiedere la rimozione dell'auto dagli elenchi del PRA. Munitevi di pazienza, capita che provino a fare orecchie da mercante. Non credo faccia piacere pagare un doppio bollo auto.
That's all, anche se mi pare già abbastanza...
Bis bald!
Stefano

domenica 24 maggio 2015

Nato da un bulino

"Si gode di là una veduta di montagne bellissime... Ma la cosa più bella di cui quel sito offra la vista è la grande e superba cima del Mont Cérvin, che si leva ad altezza enorme in forma di obelisco triangolare di roccia viva, che pare lavorato a scalpello.
Horace-Bénédicte de Saussure, Voyages dans les Alpes

Lama tagliente

sabato 23 maggio 2015

Omaggio ad un eroe nazionale

"Giovanni, ho preparato il discorso da tenere in chiesa dopo la tua morte: «Ci sono tante teste di minchia: teste di minchia che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello... quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero... ma oggi signori e signore davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c'è il più testa di minchia di tutti... Uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge.»"
Paolo Borsellino


Su Giovanni Falcone e sulla sua lotta contro la mafia si è detto e scritto tanto.
Era un uomo di stato, come pochi ce ne sono stati, come sempre meno ce ne saranno in futuro, a quanto pare.
Un modello, un simbolo, una fonte di ispirazione, per tutti coloro che hanno a cuore la giustizia.
Nel giorno della sua morte, questo è il mio ricordo di Giovanni Falcone, un grande italiano.

venerdì 22 maggio 2015

Terra di Franconia: Bad Kissingen

Ciao a tutti!
Bad Kissingen, città di ventimila abitanti a circa venticinque chilometri di distanza dalla mia Schweinfurt, era uno dei tanti puntini sulla cartina, un'uscita dell'autostrada e poco altro. Ci passammo un po' per caso in una domenica di novembre. Ma come tutte le domeniche tedesche che precedono l'Avvento, la vitalità cittadina risulta di un livello a dir poco cimiteriale. E su Bad Kissingen era calato il sipario. Ho deciso di riaprirlo ora, con la scusa dei campi di colza e della bici da corsa. Dove posso andare? A Bad Kissingen! In fondo è come se non ci fossi mai andato...

Tutta l'eleganza di un centro termale
Bad Kissingen, come tutte le città tedesche che iniziano con Bad, è una città termale. Gli estimatori di queste acque sono stati numerosi e prestigiosi, tra cui il re di Baviera Ludovico I e il cancelliere tedesco Otto von Bismarck. Come tante altre città termali in Italia (mi sorgono alla mente Chianciano e Montecatini) le vie di Bad Kissingen pullulano di anziani. Sono loro che prediligono o necessitano di cure termali. I pochi giovani presenti che ho intravisto nei pressi delle terme, erano infatti invitati di un matrimonio ivi celebratosi.

Un occhio sul Frankische Saale

Ma non è per questo che Bad Kissingen va considerata una città priva di interesse. Innanzitutto è una città immersa nel verde. Vicino alle terme vi sono numerose nonché curatissime aree verdi: un viale alberato proprio di fronte all'area termale; il Rosengarten, il giardino delle rose (chissà che spettacolo a giugno), a breve distanza; il parco pubblico che segue la sponda sinistra del Saale, affluente del Meno che attraversa la città. Tutti con meravigliose fioriture, tutti abbelliti da eleganti fontane e piazze d'acqua.
Poi c'è il centro storico. Non all'altezza di altre città franconi, sicuramente, ma non per questo sfigura. La Marktplatz e il rinascimentale Rathaus sono di certo gli elementi che più spiccano nell'area più longeva di Bad Kissingen. Aver visitato questa città di sabato rende possibile apprezzare un centro storico animato dalla presenza di un vivacissimo mercato. Panini con i würstel, Brezel, birra e vino della Franconia non mancano mai. Ora, visto il periodo, si uniscono bancarelle che abbondano di asparagi bianchi, in Germania molto diffusi e consumati.

Acque curative

Ma Bad Kissingen, come già detto, è innanzitutto una città termale. L'edificio che ospita la rinomata spa, il Wandelhalle è qualcosa di più di un semplice centro benessere. Sala conferenze, teatro, opera e poi anche terme. Un elegantissimo complesso a tutto tondo, che dà lustro alla città. Dislocate nei pressi del Wandelhalle, si trovano anche alcune fontane speciali. La Maxbrunnen e la Luitpoldsprudel sono infatti due fontane dalle quali sgorga acqua ricca di sali minerali come magnesio, calcio, stronzio e potassio, e di solfati, che le conferiscono un odore che tende ad assomigliare a quello delle uova marce. Riempite le borracce con quest'acqua, amici ciclisti, prima di salutare Bad Kissingen con le vostre bici. Non avrete bisogno di assumere integratori...
Bis bald!

giovedì 21 maggio 2015

Quel caldo pomeriggio di agosto...

Se ne è andata in silenzio, come nel silenzio erano avvenute molte delle sue vittorie.
Se ne è andata oggi, Annarita Sidoti. Un nome, il suo, che a molte giovani generazioni può voler dire nulla. Io invece me lo ricordo bene. Fisico gracile, carattere d'acciaio, quello che serve per eccellere negli sport di resistenza. Era una marciatrice, una delle più forti atlete che l'Italia abbia potuto annoverare nei suoi ranghi: nel suo palmares un titolo mondiale e due titoli europei, tutti sula distanza dei 10 chilometri.
Era un pomeriggio di agosto, di quelli che se si era a casa spesso scorrevano nella noia. Ma c'erano i Mondiali di atletica leggera. Li ho sempre guardati con curiosità, quando ero ragazzo: forse è in quei momenti che ho trovato l'ispirazione per correre. Annarita Sidoti aveva portato in alto l'atletica azzurra, quel giorno, cancellando un triste "zero" dal numero degli ori conquistati dalla rappresentativa italiana. Lei che doveva essere la riserva della squadra femminile di marcia, per tradizione e storia formidabile. Lei che sembrava Davide contro Golia nel confronto con le statuarie marciatrici russe. Lei che si va a prendere un oro assurdo.
È un bel ricordo che ho con me, quello della sua vittoria ad Atene 1997. Che forse, nel suo piccolo, mi ha ispirato, mi avvicinato - anche infinitesimamente - all'atletica leggera, alla corsa. E che, su questo ne sono certo, ha fatto innamorare di questo sport, molte altre persone. Ciao, Annarita.

Annarita Sidoti vince l'Europeo 1998 a Budapest nella 10 km di marcia

mercoledì 20 maggio 2015

Bücher: Alta finanza

Ciao a tutti!
Alta finanza è il mio terzo appuntamento con un romanzo di Ken Follett, probabilmente il mio scrittore contemporaneo preferito. Questo è il suo secondo lavoro e risale al 1977, quando era ancora uno scrittore in erba. In confronto ai bestseller che pubblica quasi annualmente lo scrittore gallese, questo è considerato uno dei suoi lavori peggiori.
Può darsi, intanto nella scrittura e nella trama di Alta finanza si ritrovano più di una caratteristica peculiare dei suoi romanzi. Su tutte emerge un intricato impianto narrativo che viene magistralmente inserito in un contesto storico e sociale descritto alla perfezione (in questo caso, la City e il mondo della carta stampata degli anni '70). La trama si sviluppa nel corso di una sola giornata, in un ambiente che miscela la ricchezza sfrenata alla malavita più bieca. Nonostante questi elementi, la vicenda appare inizialmente sfilacciata, ma lentamente tutti i nodi vengono al pettine. Sebbene i colpi di scena non possano essere definiti tali, in quanto pochi e sostanzialmente prevedibili, il finale risulta alquanto avvincente. E lascia il lettore con una conclusione chiara: si può essere il giornalista più scaltro, lo speculatore più intraprendente, il criminale più spietato o l'amante più spavalda. Ma non si potrà mai portare a casa la torta intera, bisognerà sempre rinunciare a qualcosa. C'è sempre un prezzo da pagare, che sia la rinuncia ad un articolo sensazionale o all'amore di una vita.


Vivamente consigliato a chi ha voglia di una lettura leggera, veloce e senza troppo impegno.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 8/10 ««««««««««

martedì 19 maggio 2015

Come nuvole rapide

Ciao a tutti!
Una maratona è una fatica colossale ma anche un prodigioso viaggio interiore. Solo nella fatica estrema credo, in questo caso quella che spezza il fisico, si possono toccare corde che in condizioni ordinarie non si possono raggiungere. La corsa di resistenza, con i suoi tempi dilatati e gli spazi aperti, permette di esplorare il proprio animo in maniera pressoché diretta. Quante volte ho sognato istanti, riflettuto sul passato, analizzato situazioni, escogitato nuove idee... grazie alla corsa. La maratona non è da meno, anzi, essa amplifica questo tourbillon di percezioni. Sono mille e forse più le cose che attraversano la mente negli ultimi chilometri di una maratona. Sacrifici, amore, immagini, ricordi, tanta, tanta fatica.
Ciò che segue è un po' questo. Pensieri alla rinfusa, sulla linea di un arrivo (o nei suoi dintorni), dove ti conducono i sogni di un maratoneta...

In Karolinenstraße, all'arrivo della Haspa Marathon Hamburg, ho pensato...

Una dedica speciale

...a tutte quelle volte in palestra in cui invece di fermarmi a quattro serie alla pressa, ne aggiungevo una quinta.
...a tutte quelle volte in cui preparavo le patatine fritte... per Giulia e non per me
...a tutte le mattine in cui mi alzavo e il termometro segnava -3°C, ed erano giorni in cui avrei dovuto correre.
...alla fatica di quella rampa di scale nel parco dopo due ore di palestra
...alla luce soffusa dei lampioni che mi accompagnava a casa dopo l'allenamento in palestra
...a tutti i nauseabondi vestiti che Giulia mi ha lavato
...e a quelli che ha rilavato perché un ciclo solo non era sufficiente
... e alle seguenti imprecazioni
...alle ore sulla cyclette, quando avrei potuto ritoccare all'indietro la resistenza del pedale ma non l'ho fatto
...a tutto il buon cibo della dispensa di casa, che lì è rimasto
...al bello di preparare una maratona, si inizia col gelo sull'asfalto e si termina con gli alberi in fiore
...all'impresa che è una maratona, che tanti non possono o potranno mai capire
...alle torte che ho chiesto a Giulia di NON preparare
...alle mani sulle ginocchia dopo una ripetuta
...alle programmazioni delle giornate prima della maratona, perché è bello dedicare tempo alla corsa, ma le responsabilità chiamano
...a tutti quelli sui rollerblade sulla ciclovia, lepri perfette durante gli allenamenti
...e a tutti i podisti incontrati sempre sulla ciclovia, ognuno con i propri obiettivi e le loro battaglie da vincere
...a tutto il sudore prodotto e depositato sul tapis roulant e sulla cyclette
...a quel lungo da 35 chilometri in cui avrei urlato contro il cielo per il dolore che attanagliava le mie gambe
...a tutti i treni che mi sono passati a fianco duranti gli allenamenti, e all'aria che mi hanno spostato addosso
...a tutti quelli che mi considerano un pazzo
...ai 276 chilometri fatti in bici o in cyclette
...ai 506 chilometri corsi per arrivare a questo traguardo (che poi sono quelli che separano Schweinfurt da Amburgo)
...a Giulia che mi scrive “dove sei?” e molto probabilmente non ho ancora finito di allenarmi
...alla semplicità e alla purezza di questo gesto, la corsa, che accomuna e unisce tutta l'umanità
...a tutti i dolorini che giorno dopo giorno si collezionano sul proprio corpo
...ai bicchieri di vino a cui ho detto no durante cene e pranzi con gli amici
...a quelle maledette rampe di scale fatte il giorno dopo un allenamento
...a tutti i sogni e le speranze che viaggiano nella mente durante gli allenamenti
...a quei weekend in cui mi sono chiesto, nel momento di svegliarmi, ai motivi per cui corro
...e che infine a questa domanda una risposta, un vero e proprio “perché” non esiste.

Quasi in fondo, al culmine della fatica

E ancora una volta (la sesta), come sempre, a tutti coloro che hanno corso una maratona, o la correranno, una volta almeno nella vita.
Stefano

lunedì 18 maggio 2015

Tutto il giallo di questa terra

Ciao a tutti!
Tra aprile e maggio buona parte della Franconia si colora di giallo. Non è una peculiarità di questa regione ma di buona parte del territorio tedesco, dal Baden-Württemberg alla Sassonia. Sono i campi di colza, una pianta coltivatissima in Germania. Gli utilizzi sono svariati, dall'uso alimentare (umano ed animale) a quello industriale (per il biodiesel). Ma i fiori della colza, grazie al loro colore giallo intenso, modellano il paesaggio rurale della Germania. Talvolta a macchia d'olio, talvolta con continuità, le strade della Franconia attraversano grandi ed affascinanti distese gialle.

Nei pressi di Oerlenbach

Attraversando questi territori con l'auto, spesso non è facile riuscire a contemplare fino in fondo la bellezza di queste immagini che la primavera tedesca sa regalare. Ma in Germania c'è un opzione in più per poter godere di questi paesaggi. È la bicicletta. Le migliaia di chilometri di piste ciclabili che attraversano la Germania sono una grande attrattiva turistica e sono ovviamente anche un occasione di praticare uno sport pulito, sano e piacevole. D'altronde, con certi panorami, non può che essere che un amabile passatempo. In più, ad essere precisi, lavorare in Germania permette grande flessibilità: si può uscire prima dall'ufficio (se il tempo è bello) e recuperare, nei giorni precedenti o successivi (se il tempo è cattivo).

Giallo ai piedi del Mainberg...

E allora, mollate le vesti dell'impiegato, indosso quelle del ciclista, alla caccia della magia gialla dei campi di colza. Non serve andare molto lontano: qui le gialle lande circondano tutta la città. Si può andare a nord, verso Bad Kissingen, verso il Rhön. O verso est, lungo il corso del fiume Meno. Ma anche verso ovest, verso Würzburg. Ovunque il paesaggio può colorarsi di un giallo brillante che forma uno straordinario connubio con l'azzurro (qualora le condizioni meteo lo consentano...) del cielo.
E andare alla ricerca di questi campi è un ottimo allenamento. La Franconia è un territorio tutt'altro che piatto, e non ho ancora incontrato coltivazioni di colza su terreni pianeggianti. C'è da sudare non poco per inerpicarsi sulle colline franconi e poter dominare questa meraviglia di paesaggio. È tutto allenamento. Se poi lo si può condire con l'avvenenza della natura, allora non può che fare rima con... divertimento.

...e alle porte di Bad Kissingen

Bis bald!
Stefano

domenica 17 maggio 2015

Occhi sulla vita che continua...

"Lo sviluppo turistico, avviato un secolo e mezzo fa, continua a trasformare il paesaggio e la vita delle comunità. Solo il Cervino sembra rimanere immutato. Dall'alto dei suoi 4478 metri può osservare impassibile l'evolversi della storia umana."  
Marco Rolando, da Meridiani Montagne n.72 - Cervino
   
Lui domina tutto (© Daniel Metz)

sabato 16 maggio 2015

Ma quale scarico...

Ciao a tutti!
Amburgo, con tutti i ricordi che ad essa legherò per la maratona che vi ho corso, è stata superata ormai da quasi tre settimane. È passato il tempo del riposo, quella decina di giorni che servono per superare il dolore alle gambe e permettere ai muscoli di "ricostruirsi". Ma non voglio smettere di correre. Perché questa è la bella stagione, e la Germania sta insolitamente regalando giornate di grande caldo e sole. Perché nuovi obiettivi, sebbene non abbiano nulla a che fare con la corsa, sono alle porte - e serve restare in forma. Perché correre, anche quando non ci sono maratone o mezze maratone da concludere, è sempre una grande gioia.

Strade che hanno visto costruire tre maratone...

Quando si corrono le ripetute non è facile godere a fondo della corsa. L'occhio è sempre rivolto verso il cronometro, la mente alle gambe e al fiato. Correre senza obiettivi (come ad esempio nei lunghi, che io adoro) è ciò che riporta il podista ad una dimensione più naturale. E questo è ciò che pensavo di ritrovare nelle corse di questi giorni. Che si, ho trovato, assieme ad un bel passo. Non ho ancora fatto chissà quanti chilometri, poco più di venti. Ma correre in meno di 4'40"/km a due settimane da Amburgo è motivo di grande soddisfazione. C'è da continuare così, per tutta l'estate. Per ritrovarsi, alla fine di agosto, in grande condizione. La mente, in fondo, è di nuovo laggiù, in fondo ad un traguardo...
Bis bald!
Stefano

venerdì 15 maggio 2015

Storie di rimborsi

Marzo 2013: mi accorgo che durante la mia settimana a Barcellona qualche furfante ha clonato la mia carta bancomat e ha utilizzato più di duemila euro (miei) per giocare alle scommesse. Al mio rientro in Italia, inizio una lunga procedura per riavere ciò che Poste Italiane non è riuscita a proteggere. Carabinieri, uffici postali, raccomandate, solleciti. Dopo più di due anni, quando le speranze sembravano ormai finite, ecco che ricompare sul conto corrente il maltolto, fino all'ultimo centesimo, come per magia.
Gennaio 2015: l'ente affittante del nostro appartamento a Schweinfurt - per precisione, una banca - ci invia una lettera in cui è scritto che, in base a quanto versato per le spese condominiali (acqua, pulizie, spazzatura, luoghi comuni) e a quanto effettivamente abbiamo usufruito, abbiamo diritto a vederci accreditata una piccola somma a titolo di conguaglio. Dopo tre giorni di attesa, questa compare sul nostro conto corrente. Tutto vero.

Primi per lentezza (fonte: mobileworld.it)

Nonostante vadano considerate cifre e situazioni diverse, notate la presenza di qualche piccola, impercettibile, differenza tra Italia e Germania?

mercoledì 13 maggio 2015

Gib alles! - Il racconto della mia Haspa Marathon Hamburg

Ciao a tutti!
Haspa Marathon Hamburg, 26 aprile 2015, edizione numero 30. Una storia di acque, quella della pioggia che cade sul corpo dei maratoneti, e del sudore, che dal loro corpo esce. Una storia che si scrive in una grande città che vive di e sull'acqua. Una maratona è una storia fatta di tante storie, fatta di tante vite, di battaglie e di vicende personali. È una storia che si fa fatica a raccontare in parole, bisognerebbe viverla per capire fino in fondo. Io ci provo in queste righe...

Arrivo! 3h15'43"

La storia di questa maratona in fondo inizia dodici ore prima dello sparo del via. Apro la finestra della mia camera e tuona forte lo scroscio della pioggia. Non so se è un bene o un male. Se è vero che una pioggia notturna può rinfrescare l'ambiente, va detto che non è confortante andare a letto non sapendo se questa pioggia terminerà o no. La notte scorre tranquilla e al risveglio ci sono tante nuvole ma non c'è presenza di pioggia. Una ricca colazione e poi ci si veste. Ci va molto più di tempo di quello che può sembrare: ogni cosa va fatta con cura. Due ore prima dello sparo, esco dal residence verso la fermata della metro di Straßburger Straße. La banchina di questa fermata è deserta. O quasi: alle 7 di mattina siamo in quattro a calcare questo cemento, e siamo tutti podisti, inconfondibili con le borse rosse dell'organizzazione. Passa il primo treno, ed è già pieno. Solo maratoneti. Ad ogni stazione, il numero di podisti aumenta sempre di più. Quando dalla linea U1 si deve cambiare alla linea U2 non c'è bisogno di capire che direzione bisogna prendere nell'intricato ma perfettamente segnalato sistema metropolitano amburghese. C'è una fiumana di podisti che si apprestano a raggiungere la zona fieristica di Amburgo dove sono posti partenza ed arrivo della maratona, e pare infinita. Fuori dalla metropolitana poi, è il caos. Un caos organizzato, questo va detto, ma la quantità di folla è impressionante. Fortunatamente, la Hamburg Messe è così grande che anche 19.000 podisti fanno fatica a riempirla. In questa zona avviene un po' di tutto, come è solito in queste occasioni. C'è chi si concentra solitario - come il sottoscritto - e provvede agli ultimi dettagli (chip, vaselina, gel riscaldanti). C'è invece chi preferisce spezzare la tensione in gruppo, magari con un selfie. Io, come detto, appartengo alla prima categoria. Anche fossi venuto ad Amburgo in gruppo, credo che sarei stato molto taciturno nei momenti prima del via. Credo che sia più che comprensibile. La maratona non è la mia vita, ma rimane qualcosa alla quale do molta importanza: adoro fare bene qualsiasi cosa, a maggior ragione una gara di 42 chilometri.

La partenza della 30. Haspa Marathon Hamburg

Rimango seduto per terra, immerso nei miei pensieri. A spezzare la tensione è una conversazione Whatsapp, ovviamente con Giulia, proprio come due anni e quaranta giorni prima, in occasione della maratona di Barcellona. Sono le 8 di mattina, ma lei è già sveglia, pronta a starmi vicino il più possibile. Non poteva venire ad Amburgo con me questa volta, mi sono promesso che la prossima volta correrò anche in funzione dei suoi impegni. La sua presenza è sempre importante. Lo è durante i mesi di allenamento, lo è ancora di più nei giorni della gara.

Il lungo cordone di maratoneti

Consegno la borsa ai bambini addetti allo stoccaggio degli effetti personali dei podisti e inizio lo stretching. Non so se esagero troppo, ma sento un polpaccio che non va. Come se si fosse stirato un pochino. È solo un fastidio, ma i "fantasmi della maratona" sono pesantissimi pochi minuti prima della partenza. Mi tengo questa seccatura e mi preparo per andare verso la zona della partenza. Il giro che i maratoneti devono compiere per raggiungere la propria gabbia è abbastanza intricato e a tratti diventa una sorta di gimkana tra la coda di podisti pronti per i 42.195 chilometri e le code di atleti ancora diligentemente in fila per liberarsi degli ultimi liquidi in eccesso. Quando riesco ad entrare in Karolinenstraße, che vista in direzione sud è in leggera discesa, il colpo d'occhio è meraviglioso. Siamo tantissimi a riempire Amburgo. È uno spettacolo incredibile. Trovo la mia gabbia (è la quarta, sono un podista veloce, eh eh) e aspetto. Mancheranno ancora 5-6 minuti.

Sul Jungfernstieg

Proprio in quel momento, sento le prime gocce di pioggia. "Merda" è il mio primo pensiero. Proprio alle 9, proprio alla partenza, doveva cominciare a piovere? "Va beh", mi consolo, "sono solo poche goccerelline". Arriva l'ora dello sparo (tutto molto scenografico, con palloncini bianchi e rossi, i colori di Amburgo) e la tensione è tremenda. Basta fare poche centinaia di metri ed effettuare la prima curva a destra, per capire che la pioggia che scende è pioggia vera, pioggia che bagna. Il rimpianto cresce per il berrettino che ho lasciato nella borsa, portato con me nel caso il tempo si facesse brutto (fino a venti minuti dalla partenza).
Il primo chilometro non è dei più facili. Il polpaccio continua a dare fastidio, piove. C'è tensione, nervosismo. Ho un po' di mal di testa. Correre col mal di testa non è facile e spero che passi in fretta. Intanto stacco i primi mille metri in 4'55"/km. Va bene perché è il primo, ma ora mi tocca accelerare, so di dover correre a 4'37"/km per chiudere in 3h15', obiettivo personale di questa maratona. Inizio ad accelerare sulle leggere salite (leggere perché siamo all'inizio) di St.Pauli, lungo il "miglio del peccato". Non accelero spingendo a tutta, prima mi porto intorno a quello che vorrebbe essere il ritmo gara, e poi corro costantemente fino al km 7 tra 4'30" e 4'35"/km. Ho fatto bene i conti e il mio eccellente passato in matematica mi permette di sapere costantemente quanto sono avanti o dietro la soglia che mi consentirebbe di tagliare il traguardo in 3h15'. Ce ne sono tra i 20 e i 30 circa. E "purtroppo", rimarranno sempre.

Benedette/maledette banane

Solo dopo la meravigliosa sulla Elbchaussee credo di essere stato vicino ad una media gara perfetta per chiudere nell'obiettivo prefissato. È il km 11, poco dopo un confusionario rifornimento, la strada scende improvvisamente verso St.Pauli Fischmarkt: una curva e controcurva in discesa, larghissima, perfetta per rilassare un po' le braccia. Il tifo qui è tremendo, la folla è impazzita. St.Pauli Fischmarkt è probabilmente l'apoteosi del tifo di Amburgo. I tifosi sono ovunque, anche sui ponti che scavalcano questa arteria di Amburgo, una delle più suggestive: a destra il porto, di fronte l'inconfondibile sagoma della Elbphilharmonie. Il passaggio è un po' stretto per via di alcuni lavori, il rettilineo non è perfetto ma tende a svoltare leggermente: la linea blu, tracciata dagli organizzatori sull'asfalto per indicare la traiettoria più lineare, è il metodo migliore per non aggiungere metri ai metri.

Verso la Elbphilharmonie

Superato il porto, ci si introduce nella Speicherstadt. Su Bei den Mühren, la via che segna il confine tra la vecchia Speicherstadt e il centro storico di Amburgo, c'è molta meno folla e si può correre molto tranquillamente. Di lì a breve si dovrebbe svoltare verso il centro storico, passando di fronte alla stazione. Così credevo guardando il tracciato della maratona. Invece si imbocca un sottopassaggio lunghissimo che termina in corrispondenza del Binnenalster, il lago al centro di Amburgo. Si evita una salitella, ma correre al buio, in un ambiente saturo di umidità, ed uscire con i dati del cronometro sballati non è un qualcosa di positivo.
Se da una parte il Binnenalster ha rappresentato uno dei momenti più spettacolari della corsa, in quanto è il fulcro della città, dall'altro lato è coinciso con uno dei momenti più critici della corsa. Qui ho incontrato la massima intensità nella pioggia, anche un po' di vento sul ponte tra i due laghi, il Binnenalster e l'Außenalster. Dopo il ponte, si gira a destra e si punta verso nord: si corre sulla sponda destra dell'Außenalster, su una strada che inizia lentamente ad infittirsi di pozzanghere. Voglio seguire la linea blu per mantenere sempre la traiettoria migliore ma non è banale, se di mezzo ci sono tutte queste pozzanghere. Inzupparsi le scarpe potrebbe essere letale, e non ho ancora raggiunto la mezza maratona.

Sorriso di fatica

In Sierichstraße cade il km 20 e da un'occhiata al cronometro mi accorgo che mancano sempre quei fottuti 15-20 secondi. Il rettilineo in discesa non mi avvantaggia, complice un altro rifornimento caotico. E poi ci pensa il percorso a mettere i bastoni tra le ruote: curva a destra per entrare nel quartiere di Winterhude, una zona molto verde con molte curve e numerosi strappi. Qui tenere il ritmo gara è cosa difficile e infatti non a caso faccio un passaggio a 4'40"/km. Inizio a rendermi conto che forse non è ancora la volta buona per tentare di fare questo tempo. Riprendo coraggio a Barmbek, uno dei quartieri più vivaci di Amburgo. C'è molto entusiasmo sulle sue strade, aumento ancora il ritmo e recupero qualcosa. Provo a puntare qualche "lepre", chi lo può sapere che non mi possa portare all'arrivo... Per qualche chilometro funziona, ma un rifornimento è ancora una volta letale (e le lepri spariscono). Fuhlsbüttlerstraße è una strada lunga, eterna, in falsopiano. O forse no? Inizio a perdere un po' di lucidità e non riesco veramente a capire quanto sia veramente la strada ad impennare o siano le mie gambe a non averne più. Troppo forte fin da subito? 3h15' è un obiettivo troppo ambizioso?

St.Pauli Fischmarkt

Sono quasi ventotto i chilometri percorsi quando entro nel quartiere di Alsterdorf. Il rifornimento è tremendo.
Stavolta il pezzo di banana è letale. Mi si pianta sullo stomaco come un macigno e ci va molto a smaltire il suo effetto malefico. Me ne accorgo anche a livello cronometrico: 4'48"/km è un bel fardello da recuperare. Quando si gira in Rathenaustraße, un lungo rettilineo che affianca a destra l'Alster, viene voglia di mollare. Vedo l'obiettivo sfumare, penso che forse è ora di condurre a termine la maratona in maniera dignitosa, senza strappi e - a meno di imprevisti improvvisi - verso un nuovo personale. Però la maratona è lunga 42,195 chilometri e puoi dire che è finita solo quando è finita. C'è sempre margine per grandi sogni e grandi delusioni quando si corre una simile gara. Basta una curva a sinistra per ritrovare la grinta che serve per alimentare il sogno. Quando entro nel quartiere di Ohlsdorf è un mezzo delirio di folla festante. Gente con i tamburi, bizzarri personaggi che pompano musica dalle casse di casa propria, è un'acclamazione continua. Impossibile non accelerare in quei momenti. Si, ritrovo l'agonismo perso negli ultimi due-tre chilometri. Immagino che la mia espressione in quei momenti sia stata arcigna, truce, tipica del combattente che non ha smesso di battagliare per portare a casa la propria vittoria.

Zug

La carica di Ohlsdorf è come un'iniezione intramuscolare di adrenalina. Ho voglia di dare tutto, e pazienza se crollerò. Io ci avrò provato. Impongo un ritmo forte e ci riesco, a dispetto di due gambe che alzerebbero volentieri bandiera bianca. Tra il km 32 e il km 35 corro ad un passo tra 4'28" e 4'36"/km. Recupero qualcosa, ma so in cuor mio che sarebbe un mezzo miracolo per riuscire a chiudere entro 3h15'. Maienweg, un altro lunghissimo rettilineo mi vede correre forte ma inizio già a soffrire. Al termine di questo corso se ne apre un altro, ancora più largo, Alsterkrugchaussee. Inizia in salita. "Non è il primo, ma non sarà l'ultimo", penso. È enorme, ma è molto ondulato, nei tratti in leggera discesa si può vedere molto a lungo. C'è spazio per fare molti sorpassi (e così faccio). Continuo a crederci. La tanta gente presente sul percorso aiuta a non mollare, ma è con la testa che si va avanti ormai, se si vuole arrivare in fondo. Le gambe avrebbero già chiesto di fermarsi qualche chilometro fa.

La faccia "truce"

A Eppendorf, quando il mio cronometro segna 37,5 chilometri percorsi si inizia - finalmente - a vedere la Fernsehturm. Laggiù è l'arrivo, la fine di una immensa fatica, la concretizzazione di mesi passati a sognare. Ma è ancora così terribilmente lontana. Ci sono ancora cinque chilometri da correre. Eppendorf è l'apice del massimo sforzo profuso. Chiudo il chilometro 37 in 4'32"/km. Analizzando i tempi mi accorgo di essere stato proprio a cinque chilometri dall'arrivo, vicinissimo alla soglia desiderata. Non lo posso sapere ancora, ma i miei sogni di chiudere in 3h15' terminano qui. Perché nel momento in cui mi avvicino al lago, i tempi iniziano di nuovo ad alzarsi. Le cosce iniziano a pagare profumatamente lo sforzo e le energie in corpo sono ormai pochissime. Cerco qualche lepre occasionale, ma non serve. Quando sei al fondo, quando non sai più che cosa spinge un atleta a correre ancora, e ancora, e ancora, ed è difficile trovare un appiglio. Inizio a pensare ai percorsi di casa, quelli che mi hanno formato come podista, quell'anello attorno al mio paesello calcato centinaia di volte. Continuo a ragionare sulle distanze alle quali sono abituato negli ultimi mesi. Al km inevitabilmente penso che c'è ancora la distanza Schweinfurt-Mainberg da percorrere. E aggiungo: "là è peggio, è tutto un lunghissimo ed eterno rettilineo". Qui no, qualche curva aiuta a ritrovare morale.

Passaggio in pieno centro

C'è una curva a 90° verso destra. Mi ritrovo su una stradina, molto stretta se confrontata con l'ampiezza dei viali che caratterizzano Amburgo. Si ricomincia a salire, bisogna riprendere quota in prospettiva dell'arrivo. La stradina diventa corso e capisco che non siamo lontani dalla fine, attorno inizia a intraversi molta vegetazione: siamo in Dammtordamm e quello che ho sulla destra è il giardino botanico di Amburgo. L'arrivo è vicino, un sussulto di orgoglio mi fa chiudere il chilometro 40 in 4'41"/km. Non crollo, non corro oltre i 5'/km, non mollo, voglio arrivare alla fine senza avere rimpianti, conscio che quello che si poteva fare l'ho fatto come meglio non si poteva. Dammtordamm ha la sua naturale prosecuzione in Gorch-Fock-Wall, un corso che piega costantemente verso sinistra e in leggerissima, ma a questo punto tremenda, salita. Ahimé, è uno strappo che pago caro, al termine del km 42 il mio cronometro segna impietoso 4'55"/km. Lo sapevo già, ma devo mettere da parte ogni ambizione di toccare 3h15'.

Il dettaglio dei miei tempi

Quando svolto per l'ultima volta so che nulla mi può togliere una grande gioia. Non chiuderò la mia sesta maratona come avrei voluto e sperato, ma la soddisfazione enorme che proverò di lì a breve sul traguardo di Karolinenstraße è di quelle che non si potranno mai cancellare. Ho dato fondo a tutte le risorse possibili, nonostante le condizioni meteo avverse in tutta la prima metà di gara, nonostante i fastidi iniziali. Ho tirato, rischiando di andare fuori giri, ma non sono mai crollato. È una gara che mi rende molto orgoglioso di quanto fatto, in allenamento e in corsa. Ma non sono ancora arrivato. Al traguardo mancano ancora poche centinaia di metri. C'è l'ultima curva a destra. Guardo il cronometro e ho come paura di non riuscire a chiudere entro le 3h16'. È l'ultimo scatto, compiuto con forze inaspettate, ritrovate non so con quale modalità e in quale remoto angolo del mio stremato corpo. Non sarà 3h14'59" o 3h15'00", ma sara 3h15' e qualche secondo. Questo deve essere. E così sarà. Gli ultimi 500 metri, corsi ad un passo medio di 4'22"/km mi portano a chiudere la mia sesta maratona, la trentesima Haspa Marathon Hamburg, in 3h15'43". È nuovo record personale.

Ancora pochissimi metri...

Che fatica... le mani si portano rapidamente sulle ginocchia, immagine perfetta del mastodontico sacrificio fatto in gara. Ma la gioia, seppure non urlata come altre volte in passato, è incontenibile. Non ho nessuno da abbracciare questa volta. Devo tenermi tutta la soddisfazione dentro e forse questo è un qualcosa che mi permette di godere più a lungo del grande risultato ottenuto. Riesco a scambiare qualche parola con un podista che intuisco essere italiano. Con ciò che rimane delle mie gambe mi porto nella zona atleti. C'è frutta fresca che mi attende, serve riprendere energia in fretta. C'è una medaglia da mettere al collo, il più bel ricordo fisico di una grande avventura, lunga tre mesi e terminata come meglio non poteva in una piovosa giornata primaverile nel nord della Germania.

Il vincitore maschile, Lucas Rotich, chiude in 2.07.11

Recupero senza pochi patemi la mia borsa. A badare al deposito sono dei ragazzini, posso comprendere che non sappiano organizzarsi come degli adulti. Il primo pensiero va ovviamente a Giulia, che tanto ho pensato in corsa, soprattutto negli ultimi chilometri. In cui sognavo di abbracciarla forte al traguardo, cosciente che un esame me l'ha tenuta a casa. In cui sognavo di regalarle una gioia che la ripagasse dei suoi sacrifici, in quanto anche le compagne dei maratoneti fanno rinunce e considerevoli abnegazioni. Un messaggio per dirle che avevo finito, che ce l'avevo fatta, che non ho terminato in 3h15' ma che avevo dato tutto per farcela. E che comunque 3h15'43" è un gran risultato!

Lo spettacolo dei 42.195 km nel porto di Amburgo

Il mio tempo, può voler significare proprio niente. Io sono un granello di sabbia nella moltitudine di maratoneti nel mondo. E quanti corrono più veloci di me. Però questo io credo, che quello che ho compiuto domenica 26 aprile 2015 è un'impresa enorme nel momento in cui la si confronta con i milioni di persone che preferiscono passare la domenica sul divano, che preferiscono dire "non ce la farò mai", che sanno con facilità denigrarti ritenendoti pazzo. È nel confronto con loro, che io mi sento estremamente orgoglioso di essere un maratoneta, fiero di aver realizzato ciò che ho realizzato...

Ed una medaglia...

Chiudo questo mio racconto con un aneddoto. Insieme a centinaia di altri maratoneti, riporto me stesso in residence, desideroso di una doccia e di un letto. La metropolitana è ovviamente molto piena, ma riesco a trovare un piccolo posto a sedere. Che credo non avrei mollato per nulla al mondo. Di fianco a me c'è una signora di mezza età, con un cane. L'animale è accucciato sui piedi di lei, non sembra turbato dal bailamme che viene provocato in metropolitana dall'ingresso e dall'uscita di così tanti maratoneti. La signora mi sorride e dice "Es ist auch müde", "anche lui è stanco". Sorrido di rimando. Ma non può sapere cosa sia veramente correre 42,195 chilometri...
Bis bald!
Stefano

Le foto che non mi ritraggono sono state tratte dalla pagina Facebook di Haspa Marathon Hamburg.

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