lunedì 31 agosto 2015

Ricordi delle Alte Vie

Ciao a tutti!
Non ho mai nascosto quanto sia incolmabile per me il vuoto che deriva dal non poter vedere, sentire e respirare la montagna. Le grandi vette, il camminare per sentieri, la pace dei monti, sono un qualcosa che ho lasciato in Italia, qualcosa che non si può colmare con i telefoni o i social network. Devo accontentarmi di qualche giorno all'anno, in cui devo “fare il pieno”, nella speranza che il benessere dell'andar per montagne mi accompagni il più a lungo possibile.
Il grande vuoto è in gran parte costituito dalla mancanza per un'area specifica, la Valle d'Aosta, la regione italiana che più amo, forse anche di più del natio Piemonte. Quando entro in Valle d'Aosta mi si illuminano gli occhi. C'è un'aria speciale, qui. Che al termine delle Alte Vie ho provato a imbrigliare per portarmela con me, in Germania. Come? Per mezzo dei due oggetti di artigianato valdostano più famosi, la grolla e la coppa dell'amicizia.

Per non confondersi: a sinistra la "coppa dell'amicizia", a destra la "grolla"

Spesso si confondono, ma non è difficile: la “grolla” è il calice più alto, la “coppa dell'amicizia” è il recipiente più panciuto. Sono i due contenitori nel quale viene preparato il celeberrimo caffè alla valdostana, una bevanda che grazie alla presenza di grappa (personalmente, preferisco la versione con il genepy) può mettere d'accordo tutti, perfetta per una serata conviviale di inverno.
Sono senza dubbio opere di artigianato di qualità. La loro manifattura prevede alcuni passaggi rigorosamente fatti a mano, come gli intagli, o attività uniche nel loro genere, come l'immersione nel vino bollente, per renderle più scure. Sono opere bellissime anche come soprammobili, certo, ma nel momento in cui le ho acquistate a Courmayeur (la coppa dell'amicizia al termine dell'Alta Via n.1 e la grolla al termine dell'Alta Via n.2), ho solamente pensato a portare via dalla Valle d'Aosta qualcosa che fosse un ricordo di queste due avventure tra i monti. Un ricordo che possa scaldarmi nei lunghi inverni lontani dalle montagne a me più care, un ricordo da condividere con tutte le persone che mi vogliono bene…
Bis bald!
Stefano

domenica 30 agosto 2015

Marais, un giro nella palude

Ciao a tutti!
Se c'è un quartiere enigmatico di Parigi, quello è il Marais. Non voglio dire che sia meno affascinante, anzi. È probabilmente l'area, che alla fine della nostra settimana parigina, ho meno compreso, e anche per questa ragione, vorrei rivedere. Sarà che il Marais è un quartiere completamente diverso da tutti gli altri? Parigi la si può immaginare elegante, con i suoi boulevards; bohemienne, nel cuore di Montmartre; sfarzosa, al Louvre e alla Tuileries; intellettuale, nella Rive Gauche. Ma sembra strano ritrovarsi tra vie strette, quasi anguste, e pensare di essere a Parigi. Uno scenario tutt'altro che facile da immaginare, in una città come Parigi.

Place des Vosges

Invece è proprio così. Specie passeggiando nel Pletzl, il caratteristico quartiere ebraico (sono ancora molte le tipiche insegne con la stella di Davide o con le menorah), non sembra di trovarsi nella capitale della Francia, ma in un borgo di mare. In rue des Rosiers, la stretta via dal quale ha origine il labirinto di vicoli che compongono il quartiere ebraico, pullulano negozietti e ristoranti che difendono la cultura ebraica. O più semplicemente, negozi indipendenti, di nicchia, che sfuggono ai meccanismi commerciali del giorno d'oggi. Rue de Rosiers è una via tutto sommato stretta, ma affollatissima, un segno che questo quartiere, in grande movimento, nonostante non sia mai stato rinnovato urbanisticamente, è in grado attirare molti turisti alla ricerca di una Parigi insolita.

Il cortile di ingresso dell'Hôtel Carnevalet

Il porticato tipico di Place des Vosges

Lo stesso discorso si potrebbe fare per l'area che ruota intorno alla chiesa di St.Paul: Rue St-Antoine, naturale continuazione di Rue de Rivoli, non sfugge all'animosità di questo quartiere. Che però sa distinguersi anche per stile. Il Marais è l'area con la concentrazione massima di hôtel particulier, vere e proprie ville integrate nel tessuto cittadino e che furono ovviamente accessibili solamente alle famiglie più facoltose. Buoni esempi di hôtel particulier sono l'Hôtel de Soubise, che oggi ospita gli archivi nazionali, l'Hôtel Carnevalet, sede dell'omonimo museo che ripercorre la storia di Parigi, e l'Hôtel de Sully. Anche la splendida costruzione ottocentesca che ospita il municipio parigino, è un hôtel particulier, non per caso il nome del palazzo è proprio Hôtel de Ville.

Rue des Rosiers

Proprio dall'Hôtel de Sully vi è una delle porte ad uno degli angoli più incantevoli di Parigi, Place des Vosges, Fino al 1799 chiamata Place Royale, forse perché amata da Luigi XIV, Place des Vosges è una piazza a mo' di quadrilatero di incredibile originalità. Una lunga serie di palazzi uguali, dai mattoni rossastri e i tetti di ardesia ne costituisce il perimetro, sotto il quale si trova un elegante porticato in cui abbondano ristoranti e botteghe. Al numero 6 di Place des Vosges si trova anche la Maison de Victor Hugo, l'abitazione in cui il romanziere visse fino al 1848 e dove scrisse la sua opera più celebre, I miserabili. Al centro della piazza vi è un meraviglioso giardino, perfetto per trovare relax nella calura estiva.

Uno scorcio del Marais

Noi non ci sottraiamo al piacere dell'ombra degli alberi di Place des Vosges. Il Marais, assieme al vicino quartiere Bastille (nota: in Place de la Bastille ebbe inizio la Rivoluzione Francese, ma della famosa prigione non vi è traccia, anzi, la colonna al centro ricorda altri avvenimenti), rappresenta uno delle aree più rappresentative della movida parigina. È normale, dunque, che qui scorra tutta la vita parigina: innamorati su una panchina, studenti universitari alle prese con gli esami sdraiati sull'erba, anziani alla ricerca del fresco, impiegati in pausa pranzo. Place des Vosges, sui suoi vialetti e su suoi prati, potrebbe raccontare secoli di storia (e di storie) di Parigi... e noi saremmo tutt'orecchi.
Bis bald!
Stefano

sabato 29 agosto 2015

Una cattiveria speciale

"Si è alzato di buon'ora, ha buttato giù prima i cereali col miele e poi una pasta in bianco, ha indossato il pettorale n. 2157 e quella maschera di serena sofferenza che ieri ha fatto il giro del pianeta in mondovisione. Lo sguardo pietrificato, la bocca semiaperta, l'espressione immobile, gli occhi, solo gli occhi, che ruotano a destra e a sinistra, come periscopi. Poi è andato a prendersi quello a cui pensava da Sydney 2000, l'Olimpiade a cui fu costretto a rinunciare per una microfrattura da stress all'anca: la medaglia d'oro olimpica nella maratona. Aveva una maledetta fretta, Stefano Baldini da Castelnovo di Sotto: due ore, dieci minuti e cinquantacinque secondi sono un tempo ridicolo di fronte a quattro anni d’ attesa. «Quest'oro me lo sentivo, ero venuto ad Atene per fare la corsa della vita. L'inizio non è stato favorevole: andavamo troppo piano e a un certo punto mi sono venuti i crampi. Mi ha dato una mano Gharib quando è scattato al venticinquesimo chilometro: ha fatto la selezione e lì è cominciata un'altra gara. Poi sono partito io».

Una vittoria ispirante

L'aveva giurato al suo allenatore, Luciano Gigliotti, il tecnico che a Seul '88 s'era inventato uno Spyros Louis barbuto e spiritato, Gelindo Bordin, e che a Atene ha tirato fuori dal cilindro il biondino fatto di fil di ferro che alle 20.11 si è messo sotto le suole 42.195 metri d'asfalto e di fatica: «Ciao Lucio, vado a vincere l'oro». E adesso che ha mantenuto la promessa, bacia la pista dello stadio Panathinaiko e si rotola per terra, tende le mani a una volontaria per farsi tirare su in piedi e poi grida «ma vieni!» con tutto il fiato che gli rimane in gola, mentre in sottofondo Bruce Springsteen canta baby we were born to run, ragazzo siamo nati per correre. È stata una rincorsa lunga, fatta di piazzamenti (bronzo ai Mondiali 2001 e 2003), fughe (successi alla maratona di Roma '98 e di Madrid 2001) e pause per i rifornimenti: gli infortuni, le crisi di fiducia (quarto a Londra quattro mesi fa: «Avevo il morale sotto i tacchi...»), la nascita della piccola Alessia, che ieri si è presa un bel bacione in diretta tv dal suo papà, il proprietario di quella meravigliosa faccia da italiano che ha fatto la linguaccia sul podio e ha addentato la medaglia con rabbia, mentre cinque miliardi di spettatori si innamoravano della sua fossetta sul mento nel bel mezzo della cerimonia di chiusura dei Giochi 2004, un'emozione dolce dopo l'emozione feroce, quelle due ore di vita trascorse alla media di 19 km/h, da keniano bianco tra gli africani. «Devo dire la verità: nelle condizioni in cui ero oggi, non mi avrebbe battuto nessuno. Mi sono superato. Mi sento nella leggenda». Non è presunzione. È il legittimo orgoglio dell'ottavo di undici fratelli, che ha scelto la strada più impervia per entrare nella leggenda olimpica. «Questa medaglia è meravigliosa e due volte importante: è un oro olimpico ed è stato vinto in una città storica». Non ci sono dediche, se non al protagonista: «L'oro me lo tengo per me perché solo io so quanto ho sofferto per arrivarci, quanta strada ho dovuto percorrere, quanto anni di sudore ha richiesto questo successo. È il risultato di una carriera di sforzi». Questo oro gli era dovuto: «Ho semplicemente dovuto passare alla cassa per riscuotere il credito che avevo accumulato». È presto per parlare del futuro, ma qualcosa sull'onda delle emozioni si può già dire: «Con l'oro al collo faccio fatica a pensare di ritirarmi. Questo oro mi costringe ad arrivare fino a Pechino 2008». Nella sua terra, tra Castelnovo e Rubiera, dove è nato e dove si è formato atleticamente, suonano le campane. Mamma Maria e papà Tonino non hanno voluto nessuno in casa, durante la diretta della maratona, ma poi hanno aperto la porta per fare entrare gli amici, i parenti. Baldini ci riempie d'orgoglio e di certezze. Sappiamo andare in bicicletta (Bettini), sappiamo marciare (Brugnetti), sappiamo tirare di scherma e giocare a pallanuoto meglio di chiunque altro nel mondo. Sappiamo anche ingoiare la sofferenza con dignità, mantenere un'espressione serena e arrivare fino in fondo alla gara più difficile. «Mi sono allenato con una dedizione incredibile. Forse in questi mesi sono addirittura diventato più cattivo». È aumentato di peso. Servivano più muscoli sotto quel motore fantastico per reggere il confronto con i signori degli altipiani, con i maestri della maratona che da ieri hanno un nuovo maestro made in Italy, made in Castelnovo di Sotto. «Il brasiliano Lima lo tenevo d'occhio da un po'. Quando ho deciso di andarlo a prendere non c'era più niente da fare per lui». Chiede scusa: «Vado, ho voglia di cantare l'Inno». Se ne va trotterellando. Baby, he was born to run."
di Gaia Piccardi, Corriere della Sera, 30 agosto 2004

venerdì 28 agosto 2015

La Défense, statue che diventano grattacieli

Ciao a tutti!
La Défense è il grande quartiere avveniristico di Parigi, ma sarebbe un grave errore considerarlo solamente un concentrato di grattacieli e strutture futuribili, o un'adunata di uffici e centri commerciali. La Défense, a dispetto dei suoi detrattori, è uno dei quartieri più interessanti di Parigi, grazie al suo nodo ferroviario sotterraneo, ai palazzi dalle forme pionieristiche e, dulcis in fundo, alla Grande Arche, il maestrale completamento dei giochi prospettici di Parigi. Un'unica lunga linea collega infatti il Museo del Louvre alla Grande Arche, passando per l'Arc de Triomphe du Carrousel e il più conosciuto Arc de Triomphe, senza trascurare Place de la Concorde e il suo obelisco. Un incredibile spettacolo visivo che attrae gli sguardi (e gli obiettivi fotografici) di tutti i turisti in visita a Parigi.

L'Esplanade de La Défense

Ad essere precisi, La Défense non fa parte del territorio parigino, ma di altri comuni ad ovest della capitale (fra cui Courbevoie e Puteaux). Il nome ha una lunghissima storia alle sue spalle. Ha origini infatti nel XIX secolo, all'epoca della Comune del 1871. Ma la storia de La Dèfense inizia addirittura durante il regno di Enrico IV, che volle creare un asse in grado di collegare Parigi al castello di Saint-Germain-en-Laye, un asse che passa, appena superata la Senna, proprio nell'area Défense. Solo nel secondo dopoguerra, però, iniziò la vera e propria urbanizzazione del quartiere per come lo si conosce oggi e che, tra i vari alti e bassi dell'economia mondiale, ha portato all'attuale configurazione, un layout che è ancora in divenire. La Défense è lo specchio di Parigi: sempre in movimento, in continua evoluzione.

La Grande Arche

Ero molto fiducioso in ciò che avrebbe potuto regalarmi visivamente La Défense, e le mie aspettative sono state ampiamente soddisfatte. Anche Giulia, molto scettica inizialmente, si è dovuta ricredere fin da subito. La visuale che si ha dal Bassin Takis verso Avenue Charles de Gaulle e l'Arc de Triomphe è stupefacente! Poi ci si gira e ci si ritrova in una sorta di Manhattan europea (ecco, dopo l'esperienza a La Défense, sto rivalutando la possibilità di visitare New York, che non mi ha mai attratto particolarmente)... palazzi dalle vetrate multicolori, altezze spropositate (i palazzi di EDF e Total sono impressionanti), forme avventurose, come la cupola dello CNIT. Ce n'è per tutti i gusti, a La Défense. Vivace e vivibile, La Défense si presenta come un'area decisamente attrattiva anche per i turisti...

Sullo sfondo, inconfondibile, l'Arc de Triomphe

...che non perdono di certo tempo a farsi un selfie con la Grande Arche alle spalle. Il simbolo della Parigi moderna ha meno di trent'anni di vita, in quanto venne commissionata da Mitterand affinché fosse pronta per i festeggiamenti del 1989, in occasione del bicentenario della Rivoluzione Francese. Elegante (merito dei marmi di Carrara che rivestono l'esterno) nonostante la sua evidente modernità, la Grande Arche si presenta sicuramente meno ricca ma è inserita in uno spazio molto più ampio e quindi appare ancora più imponente del suo perfetto contraltare nel centro storico di Parigi, l'Arc de Triomphe. Perfetto simbolo della grandeur francese, dunque. Anche l'opera in tela e acciaio al di sotto dell'arco, Les nuages, è una bella spiegazione del sentimento di orgoglio e superbia della Francia: il loro arco è più alto delle nuvole...
Si, La Dèfense è un quartiere in cui ritornarci sicuramente, una prossima volta, e da rivedere con maggiore attenzione...

Un po' di grattacieli

...per rivedere con attenzione questi capolavori architettonici degli ultimi cinquant'anni. Di fronte a queste opere mi stupisco sempre più affascinato. Come non paragonare la Tour EDF ad una grande lama o la Tour Majunga ad un immenso blocco di marmo? Come non rimanere a bocca aperta di fronte alla variopinta Tour Iris o a quella vetrata continua della Total Coupole e della Tour Manhattan? Come non essere estasiati dalla precisione delle forme della Tour Ariane o dalla complessità stilistica della Tour D2? Io sono stato tutto ciò nelle due ore trascorse a La Défense. E spero di esserlo di nuovo, molto presto...
Bis bald!
Stefano

giovedì 27 agosto 2015

Bücher: L'armadio dei vestiti dimenticati

"Le relazioni umane sono come boschi fitti. O forse le persone stesse sono boschi, nei quali si aprono molti sentieri, a ritmo serrato; sentieri destinati a restare ignoti a molti, che si manifestano per caso a coloro che si trovano a passare in quel momento."
Riikka Pulkkinen, L'armadio dei vestiti dimenticati


Ciao a tutti!
Dal punto di vista di letterario, la Scandinavia si è rivelata una inesauribile fonte di libri nel genere crime e thriller. Con Riikka Pulkkinen si ha la dimostrazione che queste gelide terre sanno confezionare opere che superano il genere "giallo". Dal freddo della Finlandia, infatti arriva una storia di grande calore umano, di quello che arriva dalle più remote profondità dell'animo umano, L'armadio dei vestiti dimenticati.
La vicenda si svolge nel corso di due precisi momenti temporali: durante gli Anni '60, alla vigilia dei movimenti di contestazione del 1968, e ai giorni nostri. L'armadio dei vestiti dimenticati è una storia di donne: tre generazioni vengono coinvolte, la nonna Elsa, la madre Ella e la figlia Anna, tre figure molto diverse tra loro; ad esse si aggiunge la figura a tratti enigmatica di Eeva. Tutte ruotano ad un uomo, Martti, marito di Elsa ed amante di Eeva, che è il perno attorno al quale ruota l'intera narrazione. L'armadio del titolo del romanzo è lo spunto, la scintilla che dà fuoco alla vicenda: un vestito indossato da Eeva quarant'anni fa riapre una ferita aperta nel cuore di molte persone, ma non di Anna, che di questa vicenda è compeltamente all'oscuro. Elsa, malata terminale, inizia a rivangare il suo passato, con la lucidità di una persona che sta contando i giorni che gli restano da vivere. Lo stato d'animo che si prova quando si è vicini alla morte è certamente uno tra i temi meglio raffigurati in questo libro.
L'armadio dei vestiti dimenticati è un romanzo nel complesso piacevole, nonostante un enorme carico di angoscia che pervade tutto il libro ma che soprattutto nelle prime pagine sembra gratuito e fine a sé stesso, e nonostante un finale che poteva essere meglio approfondito - molti sono gli interrogativi che rimangono in me al termine della lettura. Ma non si può non apprezzare la scrittura intima, che scava nei sentimenti umani più semplici, come la solitudine, la separazione, l'ansia e la paura della morte. Il tutto raccontato con estrema delicatezza, con immagini che si rifanno alle più dolci tradizioni finlandesi. Interessante, inoltre, l'idea di sdoppiare la voce narrante a seconda del piano temporale che viene coinvolto nella narrazione.
Un buon libro, dunque, che consiglio a tutti - e nonostante l'ambientazione primaverile, lo suggerisco davanti a un camino acceso e a una tazza di cioccolata calda.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 8/10 

mercoledì 26 agosto 2015

Anche le statue si scattano un selfie

Louvre. Il famoso museo, il più famoso del mondo. Il più grande di Parigi e il più visitato del mondo. Chi sta leggendo si aspetterà che ora inizi un lungo decantare dell'immensa mole di arte contenuta all'interno del Louvre. E invece no. Questo è un post di critica. Non metto in dubbio il valore artistico del museo, quello è fuori discussione e sarebbe una pazzia aprire discussioni.
Ciò che voglio criticare è la gestione del museo, alquanto discutibile. E in secondo luogo, voglio sfogarmi contro un certo genere umano. Perché nel giorno che abbiamo dedicato al Louvre ho odiato l'umanità e ho veramente rischiato di essere tacciato per razzista.

La Pyramide, l'ingresso al Louvre

Premetto: pensavamo di aver preparato con calma la visita al Louvre. Abbiamo prenotato i biglietti anticipatamente, abbiamo fatto una selezione delle opere che volevamo vedere, perché vedere tutto il Louvre in un giorno non è umanamente fattibile.
La mole di opere d'arte presenti in questo museo varia dalla provenienza geografica alla collocazione storica. Si va dalla Mesopotamia all'Egitto, dalle antichità iraniane a quelle greco-romane, dalla pittura italiana a quella spagnola, dai dipinti francesi a quelli fiamminghi, fino alle grandi sculture italiane. Il mio desiderio era quello di vedere le opere italiane in primis, per dedicare un po' di tempo alle antichità greche e romane. Con questi presupposti speriamo di vivere una bella giornata in questo tempio "adorno d'opere d'artisti incantati", all'insegna della cultura. Nessun pensiero fu più errato.

Il Correggio se lo fila solo Giulia

Quantità di gente: troppa, troppa, troppa! All'ingresso sotto la Pyramide, la Cour Napoléon è invaso dalla folla. Caos totale. Certo, questo è l'ingresso e il museo è grande...ma possono esserci dei problemi se tutti vogliono vedere esclusivamente la Gioconda, l'Amore e Psiche del Canova e la Venere di Milo. La galleria Daru, quella che porta alla Nike di Samotracia e di conseguenza alla galleria degli italiani, è un immensa fiumana di persone. Sono troppe le visite guidate. Ci sono code ovunque, al ristorante, al bar, ai servizi igienici. In estate, il fattore folla rende impossibile una vera visita del Louvre.
Museo complesso da visitare: è un problema che deriva dalla sua vastità. Con meno visitatori sarebbe stato sicuramente più facile, ma tra i piani di una stessa ala, e le sale di uno stesso piano, non è facile districarsi.
La Gioconda: croce e delizia del Louvre. Sicuramente è grazie alla Monna Lisa che il Louvre ha acquisito un tale livello di fama mondiale. Ma davanti a questa famosa opera si scatena il delirio, come se fosse una rock star e i visitatori del Louvre i suoi fan. Cellulari e tablet che spuntano ovunque, bastoni per selfie che fanno breccia nella folla. La calca paurosa che si crea attorno alla Gioconda, adeguatamente protetta, è degna delle migliori star di Hollywood. E poi, che nervi nel vedere che i visitatori si concentrano su questa opera e non sulle altre che affollano la galleria degli italiani. Chi saranno mai Veronese, Correggio e Tiziano? Sconosciuti? Il top? Il cinese che fotografa l'indicazione per la Gioconda.
Selfie-stick: un virus incontrollato, la voglia di tirarli con violenza in testa a chi li usa. Ma io dico, ma è mai possibile visitare un museo e ritrovarsi con questi ignoranti che invece di ammirare queste opere di valore inestimabile pensano a farsi selfie con le opere esposte??? In alcuni casi, non ho resistito alla tentazione di camminare dietro di loro per rovinare il loro c***o di selfie (scusate la volgarità ma è forte la rabbia con cui scrivo).
Gli asiatici (cinesi e giapponesi): mi ricollego al primo punto, in quanto sono ovviamente loro quelli più selfie-addicted. Ma il fastidio che ho provato per i musi gialli ha oltrepassato ogni limite mai visto prima. Sono pronti a calpestarti affinché loro possano scattare il loro selfie, raggiungendo un livello inaspettato di maleducazione. Ma ciò che mi fa ancora di più salire la rabbia è l'incapacità di chiedere scusa. E purtroppo, questo non è un problema del visitatore che si presenta al Louvre. Questo è un problema che abbiamo riscontrato in numerosi altri luoghi visitati a Parigi. Beh, poi c'è quello che si toglie le scarpe in mezzo al museo e inizia a grattarsi i piedi. E quello che si siede sulla piccola ringhiera davanti al Tiziano dove lo mettiamo?
Controlli sommari: il controllo al metal detector, tutto sommato, l'hanno fatto con cura. Ma il controllo biglietti è stato quasi inesistente. Al nostro secondo ingresso all'ala Denon, il fiume umano era tale che non abbiamo neanche mostrato il biglietto agli operatori del museo.
Manutenzione: siamo sicuri che questo museo sia "conservato" a dovere? Sull'Ercole al rogo di Guido Reni abbiamo intravisto delle ragnatele...

La Gioconda = rock star

Turisti = fan

E dunque, abbiamo visto quasi completamente la collezione di pitture italiane - a parte la sala della Gioconda, nella quale non si poteva stare per più di trenta secondi senza che il cervello iniziasse a fumare. Poi è toccato alla sala delle sculture italiane. Con sempre più scarso interesse, ci siamo dedicati alle sculture dell'antica Grecia e dell'epoca romana. Con la speranza di trovare meno folla nella sala della Gioconda (dove si trova anche Le nozze di Cana del Veronese, uno a caso), proviamo a visitare la galleria dei pittori francesi. Ma abbiamo staccato il cervello da tempo. L'unica cosa da fare è andarsene.

Dai, facciamoci 'sto selfie!

Qualche spunto interessante è rimasto. Innanzitutto ho scoperto che Guido Reni era un pittore, e anche famoso. Io lo conoscevo perché il suo nome è quello di un'importante via di Torino (sigh!). E anche qualche riflessione con Giulia sul valore dell'arte italiana, molto interessante ma un po' complessa da spiegare in poche parole. E una promessa, una delle tante: al Louvre dobbiamo tornare, anche se mai più in estate. Con il Museo del Louvre abbiamo un conto in sospeso, ed è ampiamente in credito.
Bis bald!

martedì 25 agosto 2015

"Non è caduto, è morto"

Il 25 agosto può essere una data come tante altre. Non lo è invece per chi conosce bene la grande storia dell'alpinismo sul Cervino. Il 25 agosto non si celebra una scalata storica, ma è una data di grande importanza. In questa data, era il 1890, moriva Jean-Antoine Carrel, il grande conquistatore italiano del Cervino. E non lo fece in maniera "banale". Lo fece sotto la sua montagna, quella montagna che più di ogni altro alpinista credette fosse possibile scalare.

La "croce Carrel", memoria della grande guida di Valtournenche (fonte: quotazero.com)

Il 25 agosto 1890, Carrel si ritrova nel bel mezzo di una bufera lungo la cresta del Leone. Con lui ci sono il suo cliente, il compositore torinese Leone Sinigaglia, e un portatore, Carlo Gorret. Nella tempesta, nella nebbia, in mezzo ai fulmini, Carrel si posiziona come ultimo di cordata e guida magistralmente Gorret. Quando quest'ultimo capisce che il peggio è passato, da grande eroe (dopo 17 ore di discesa), Carrel si accascia ed esala l'ultimo respiro. Aveva sessantuno anni, e sulle sue robuste spalle di valdostano tenace si contano cinquantuno salite alla Gran Becca . Dove morì, sorge ora una croce, unanimemente conosciuta come la "Croce Carrel".

Jean-Antoine Carrel (fonte: matterhorn.nzz.ch)

La frase che le guide del Cervino pronunciarono dopo la morte del loro "fondatore", quando i clienti volevano sapere come e dove fosse caduto, fu sempre la stessa: "egli non è caduto, è morto".
Ma nella storia dell'alpinismo, egli è tutto fuorché morto. I giganti come Jean-Antoine Carrel sono come le montagne: immortali.
Bis bald!
Stefano

lunedì 24 agosto 2015

Père-Lachaise, la "Walk of Fame" dei morti

Ciao a tutti!
Il titolo del post non è uno scherzo. Père-Lachaise, il più grande cimitero di Parigi non è un semplice luogo dove riposano i morti. È molto di più. È un monumento stesso alla morte. Buona parte dei turisti lo ricorda come “il luogo dove è sepolto Jim Morrison”, ma non ci si può e non ci si deve limitare ad una toccata e fuga per vedere dove riposa il celebre frontman dei Doors. Père-Lachaise è un'immensa opera d'arte a cielo aperto, che giace serenamente in uno degli arrondissements più periferici di Parigi, da dove si gode di un'ottima vista sulla città.

La tomba di Oscar Wilde

Periferia è la parola chiave per capire la storia di questo cimitero. Sotto l'egida di Napoleone, si decise di vietare per ragioni di igiene, la presenza di cimiteri in centro città. Fu così che a Parigi, con l'eccezione dei cimiteri di Passy e di Montparnasse, tuttora aperti, i vecchi cimiteri vennero rimpiazzati da nuove strutture, come il Père-Lachaise, per l'appunto, e il cimitero di Montmartre. Père-Lachaise, con più di due secoli di storia è diventato il cimitero più grande di Parigi (quasi 44 ettari di terreno per settantamila tombe!) nonché una frequentata attrazione turistica. Perché qui, oltre al già citato Morrison, riposano alcuni tra i più celebri artisti, scrittori, scienziati, attori, musicisti della Francia, e anche i grandi che in Francia sono morti, come Oscar Wilde e Amedeo Modigliani.

L'affollata lapide intitolata a James Douglas "Jim" Morrison

All'ingresso del cimitero ci accoglie una mappa in cui spiega la posizione delle tombe dei personaggi più famosi. Ne sono citati un centinaio. Riuscire ad intercettarli tutti quanti richiederebbe un giorno intero. Quello che consiglio personalmente è di fare una selezione: io ho scelto alcuni grandi scienziati e musicisti, Giulia si è focalizzata sui grandi scrittori e pittori. In base alla loro dislocazione, abbiamo tracciato un tour ragionato del cimitero. In questo modo si può compiere un giro completo della struttura, senza dover perdere troppo tempo. Nonostante alcune tombe siano difficili da trovare (penso soprattutto a Modigliani e Molière), in un paio d'ore ce la siamo cavata, senza però dimenticarci il valore storico-artistico del Père-Lachaise. È un cimitero che potrebbe essere scambiato per un grande parco, o un parco che potrebbe essere confuso con un museo? I viali sono quelli di un giardino cittadino, le tombe e i monumenti funebri sono delle vere e proprie opere d'arte. Le vie all'interno del cimitero sono curate come quelle di una città. In fondo è di una città che parliamo, una città dei morti.

Cimitero o parco?

Il monumento funebre più “importante” è secondo me quello di Abelardo ed Eloisa, due personaggi del Medioevo la cui storia mi è stata narrata da Giulia durante il tragitto verso il Père-Lachaise, in metropolitana. Abelardo è un sacerdote e un insegnante ed Eloisa è una sua studentessa. I due si innamorano perdutamente l'un l'altro e, per vendetta, la famiglia di lei fa evirare tale Abelardo. Lei diventa badessa, lui si rinchiude negli studi e nella preghiera. Non si rivedranno mai più. La leggenda vuole che alla morte di Eloisa, le spoglie di Abelardo si aprirono come a volere accogliere la sua amata fra le braccia. Le loro spoglie vengono trasferite qui e riposano sotto una cappella incantevole, un vero inno all'amore eterno.

La cappella in cui riposano Eloisa ed Abelardo

Le tombe raccontano storie: una è quella di Amedeo Modigliani, che proprio a Parigi morì di tubercolosi. Accanto a lui giace la tomba della sua compagna, che per il dolore si suicidò il giorno dopo, lanciandosi da una finestra. La tomba di Modigliani, molto di più di quella di Morrison, è il monumento più surreale di Père-Lachaise (in linea con l'arte del famoso pittore italiano). E poi c'è lo stesso Morrison: sulla sua morte ancora oggi si sostengono numerose nonché disparate teorie.

Assolutamente fuori dal coro: è la tomba di Modigliani

Ma non vanno dimenticati tutti gli altri grandi, come Balzac, Proust, Pissarro, Géricault , Gay-Lussac, Chopin, Delacroix, Molière - ne cito solo alcuni per brevità. Il più grande di tutti, a detta dei visitatori presenti, è senza dubbio Oscar Wilde. Il suo monumento funebre (come anche quello di Morrison) è addirittura protetto per evitare che venisse rovinato da vandali o da appassionati troppo “accesi”. A essere sinceri, nel cimitero di Père-Lachaise c'è una leggera aura di incuria, ma a me piace pensare che sia piuttosto un voler lasciare che il tempo faccia il suo corso. Nulla è per sempre, e questi luoghi ce lo ricordano.
Bis bald!

domenica 23 agosto 2015

Soltanto il vuoto

"Come un funambolo con lo sguardo nel blu. E poi arriva il sole. L'aurora, la luce bianca, improvvisa. Mi basta questo sole che non può far ombre, perché intorno a me c'è soltanto il vuoto per potermi spingere ancora su questa nostra montagna"
Marco Barmasse

Un confine tra il reale e il cielo (© Paolo Ottina)

sabato 22 agosto 2015

All'Opéra Garnier, nella loggia del fantasma

Ciao a tutti!
Spesso le sorprese più belle provengono da ciò che meno si considera. Anche a Parigi è stato così. Per noi, l'esempio più fulgido è stato l'Opéra Garnier, uno sfarzoso palazzo, sede del famoso teatro dell'Opéra national de Paris. Quando si pensa a Parigi, può succedere che non venga in mente di visitare un teatro. Spesso i maggiori punti di attrazione turistica concentrano tutta l'attenzione dei turisti, ma posso garantire che questo teatro merita tutta l'attenzione del visitatore. L'Opéra Garnier è sicuramente uno dei monumenti parigini più sottovalutato.

Splendore: la facciata dell'Opéra Garnier

Il palazzo prende il nome dall'architetto che l'ha progettata, Charles Garnier. Fu commissionata dall'imperatore Napoleone III, proprio dopo un attentato di cui fu protagonista presso il precedente teatro dell'Opera, circondato da anguste vie. Serve spazio, e nel contesto di rinnovamento urbanistico portato avanti da Haussmann, l'imperatore indice nel 1860 il bando per la costruzione del nuovo teatro dell'Opera. A vincere è un outsider, tale Charles Garnier, che per la realizzazione di questo edificio si affida ad uno stile baroccheggiante ed eclettico, che lui stesso battezzerà in presenza dell'imperatrice, "stile Napoleone III", meglio conosciuto come "stile Secondo Impero". I lavori, condotti ad intermittenza a cause delle varie guerre, durarono una dozzina di anni. E il risultato finale, che oggi sappiamo essere meraviglioso, lasciò tutti sbigottiti.

Lo scalone

Ripensando alla visita mi chiedo come sia stato possibile trascurare nei nostri spunti di visita, questo monumento. La nostra superficialità è stata quella di moltissimi altri turisti: la coda fatta all'ingresso è stata assai infatti limitata, sicuramente inferiore ad ogni altro monumento parigino nel mese di agosto. Eppure già la facciata di questo palazzo promette così bene... Dall'esterno si può provare a comprendere cosa si troverà all'interno. Il lato più noto dell'Opéra, quello che guarda verso sud, su Place de l'Opéra, è ornato di statue con chiarissimi riferimenti ai grandi compositori e alle arti che in questo edificio vengono messe in scena. L'ingresso nei locali dell'Opéra è già di per sé delizioso, ma quando si arriva allo scalone...

Il teatro...

...e il soffitto griffato Chagall

...si rimane a bocca aperta! È impressionante, non è enorme, ma molto ampio in altezza, di estrema eleganza e sfarzo, diversi tipi di marmo pregiato sono distinguibili, un'illuminazione quasi a giorno, balconcini che paiono ottimi postazioni per corteggiare le dame, decori stupefacenti in ogni angolo della sala. Sembra quasi costruito appositamente per risaltare la posizione sociale di chi lo poteva percorrere, normalmente coloro che apparteneva alle classi più agiate, i quali prendevano posto nelle logge dalle quali assistere dall'alto allo spettacolo. Era un tempo in cui mostrarsi era già attività fondamentale per esibire il proprio ruolo in società, e i ricchi ovviamente non si tiravano certamente indietro.

Il Grand Foyer, la punta di diamante dell'Opéra Garnier

Il teatro, cuore dell'Opéra, non è grandissimo, ma risalta un lampadario enorme (ha un peso di sette tonnellate!) posto proprio sotto l'affresco di Marc Chagall, un moderno omaggio ai grandi compositori. Ma ciò che ovviamente attrae maggiormente i turisti è la loggetta in cui sederebbe il "fantasma dell'Opera", il personaggio che dà il titolo all'omonimo romanzo di Gaston Lereoux, adattato successivamente in film e musical: impossibile sbagliarsi, una targhetta recita la scritta "Loge du Fantôme de l'Opera". Sul taccuino delle letture da mettere in cantiere, intanto, vi è anche Il fantasma dell'Opera.

Il soffitto del Grand Foyer

Altri stupendi locali si affollano nell'Opéra. Ricordo bene i giochi di luci riflessi negli specchi delle Sale della Luna e del Sole, l'ambiente elegante della Rotonde du glacier, la sacralità del vestibolo. Ma nulla può rimanere più impresso del Grand Foyer.
È un salone di tutt'altro livello, il punto più alto della sfarzosità dell'Opéra, che qui si rifà allo stile più ampolloso del barocco. Ogni singolo centimetro della sala ha una decorazione, uno stucco, una scultura, un pittura. Gli specchi e le finestre che guardano su Place de l'Opéra contribuiscono a incrementare la sensazione di trovarsi in uno spazio sconfinato. Non ho dubbi, solo per il Grand Foyer dell'Opéra Garnier, vale la pena di pagare il prezzo dell'ingresso.

Giochi di luce nella Sala del Sole

Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio, vada a visitare l'Opéra Garnier. Anche solo per uscire dai circuiti turistici che prevedono la visita delle solite cose e per poter tornare a casa dicendo di avendo vissuto un vero frammento di Ottocento parigino.
Bis bald!
Stefano

venerdì 21 agosto 2015

Alla ricerca della forza di gravità

Ci sono quelli che sognano di salire il Cervino, almeno una volta nella vita. Si preparano per mesi, anni e poi, un giorno coronano il loro desiderio, in uno o due giorni di salita. Poi ci sono quelli che il Cervino lo raggiungono e lo salgono in poco meno di tre ore. Fenomeni? Extraterrestri? Può essere, anche con la faccia pulita e rilassata. Come quella di un ragazzo catalano di ventisette anni, Kilian Jornet i Burgada. Chi ama la corsa e la montagna non può non conoscere questo nome. Perché è proprio lui il detentore della salita (discesa inclusa) più veloce al Cervino. Un tempo folle, 2h52'02". Era il 21 agosto del 2013, quando quello che pareva un record indistruttibile, il 3h14'44" dell'inossidabile skyrunner valdostano Bruno Brunod, venne demolito da questo prodigio della natura.

1h56': Kilian Jornet è già in vetta al Cervino! (fonte: carrerasdemontana.files.wordpress.com)

C'è un video che gira in rete, basta digitare su Google "Summits of my life Cervino" per trovarlo. Un ragazzo vestito con maglietta, pantaloncini e scarpette tocca la croce di vetta del Cervino, come quando si saluta un amico; si getta dai ripidi pendii del Cervino con la naturalezza di chi fa questo da sempre, incurante che pochi centimetri più in basso c'è il vuoto. Accarezza velocemente le corde che hanno visto centinaia di alpinisti, perché non c'è tempo da perdere. Questo video è tutta l'essenza dell'impresa compiuta da Kilian Jornet sulla cresta del Leone, la via normale italiana.

L'arrivo a Cervinia (fonte: lastampa.it)

Per una volta metto da parte l'alpinismo romantico. Se si parla di record di velocità, beh, questo è semplicemente straordinario. Meno di due ore per raggiungere la vetta del Cervino partendo da Breuil-Cervinia, meno di un'ora per scendere, e fare meglio di Brunod, che proprio in discesa aveva costruito il record. Brunod aveva previsto tutto, il successo di Jornet e anche il tempo. Glielo dice negli ultimi metri, durante i quali si affianca al catalano, come una sorta di passaggio del testimone. Si, anche nei freddi numeri si può trovare una sorta di romanticismo...

Che emozione, questa salita

Può sembrare incredibile che centocinquant'anni dopo l'impresa di Whymper prima e Carrel poco dopo, questa montagna, immensa nelle forme e nel significato, possa essere la scenografia per una corsa che sintetizza la caccia al record, certamente, ma anche la ricerca del limite più assoluto per mezzo di una preparazione scrupolosa. Jornet, oltre al massacrante allenamento da skyrunner, ha compiuto trentaquattro salite sul Cervino, di cui nove solo negli ultimi quattordici giorni, per essere sicuro di non rischiare alcunché. Un tale sacrificio lo si può fare, solo se la montagna che vuoi conquistare si chiama Cervino.
Bis bald!
Stefano

giovedì 20 agosto 2015

Isole che sono confini

Ciao a tutti!
La seconda puntata alla scoperta di Parigi è dedicata ad una delle zone più nevralgiche della capitale di Parigi. Le due isole che dividono il corso della Senna, l'Île de la Cité e l'Île St-Louis, sono assolutamente un punto chiave nella geografia parigina, in quanto collegano, per mezzo di ben tredici ponti, le due rive della Senna. Che sono anche due diversi modi di pensare: la Rive Gauche, il lato più artistico e intellettuale, e la Rive Droite, il lato più elegante e commerciale. E come dimenticare che sull'Île de la Cité, si trova uno dei monumenti più importanti di Parigi: Notre-Dame.

La cattedrale di Notre-Dame. E una piccola coda per entrare...

Ma il percorso sulle isole della Senna comincia da Île St-Louis. Forse snobbata dai tradizionali percorsi turistici perché è "solo" un quartiere residenziale (qui si trovano le abitazioni più costose di Parigi tutta), è in realtà una delle sorprese più belle ed inaspettate della nostra settimana parigina. Gelaterie, pasticcerie, artigiani, librai, antiquari e ristoranti (spesso in locali dalle tipiche facciate in legno) punteggiano l'isola, soprattutto nella centrale Rue St-Louis en l'Île. Grande atmosfera su quest'isola, che oltre ad essere estremamente vivace (senza la confusione che regna nei punti più famosi della città) è anche molto romantica: sulle sue sponde si può camminare affacciandosi su Saint-Germain des-Prés e sul Marais.

Il Palais de Justice e, a sinistra, la Sainte-Chapelle

Ovviamente, le grandi attrazioni si trovano però sull'Île de la Cité. In circa mezzo chilometro quadro si concentrano monumenti che rappresentano la storia di Francia. Questo è uno dei motivi per cui amo camminare per le vie di Parigi. Ogni luogo a cui ci avviciniamo potrebbe raccontare una storia tutta sua, una vicenda che ha segnato il destino della Francia e dell'Europa, un avvenimento di quelli che sono stati studiati e continueranno ad essere studiati sui libri di storia.
Uno di questi è la Conciergerie, edificio che si erge imponente verso la Rive Droite, e che ha rappresentato la prima prigione parigina, nonché il carcere dove furono rinchiusi i re di Francia. Un altro è il Palais de Justice, sfarzosa costruzione (soprattutto nel lato orientale, dove il meraviglioso cancello in ferro battuto separa l'edificio dalla rete viaria dell'isola) ancora adibita a Tribunale e nella quale furono condannati numerosi personaggi illustri, fra i quali la regina Maria Antonietta. Annessa al complesso della Conciergerie e del Palais de Justice, si trova la Sainte-Chapelle, la cappella palatina nota per le sue vetrate. Le code chilometriche (tipiche del mese di agosto) ci inducono a rimandare la visita a tempi più tranquilli. Tranquilli, la Sainte-Chapelle è nel taccuino dei "must" della prossima visita a Parigi.

La decorazione esterna del coro di Notre-Dame

Poi c'è Notre-Dame, altro simbolo di Parigi, icona tra i monumenti ecclesiastici parigini, sede dei grandi avvenimenti della Francia, tra cui le incoronazioni dei reali francesi. Ok, è un simbolo. Ma è anche tremendamente bella, a partire dalla facciata, impressionante spettacolo di complessità scultorea, in ogni sua componente, nei tre portali, nel rosone, nelle gallerie che li dividono e nelle torri. Non a caso Notre-Dame è indicata come una delle opere architettoniche più importanti dello stile gotico, grazie agli archi dell'abside, all'altissima guglia e la particolare decorazione (famosa quella dei gargouilles) in ogni sua parte.
L'interno non è da meno, soprattutto per i due rosoni del transetto e per il coro. I primi, ornati da antiche vetrate, sono sicuramente le parti più fotografate dell'intera cattedrale. Il secondo è il capolavoro di Notre-Dame, una lunga recinzione composta di meravigliosi altorilievi che mettono in scena alcuni degli episodi più famosi del Vangelo. Peccato che molti dei turisti non apprezzi a fondo questa bellezza, non si concentri su questa ricchezza e preferisca scattarsi dei selfie (anche all'interno della chiesa!). Ma tutto l'interno è da ammirare. Io mi concentro sull'illuminazione naturale che raggiunge il soffitto e le arcate del matroneo: continuo a chiedermi come sia stata progettata.

Selfie col rosone? Io preferisco una bella inquadratura d'insieme

Non manca qualche piccola delusione sull'Île de la Cité: è Place Louis-Lépine, dove dovrebbe essere ospitato il mercato dei fiori. Appunto, "dovrebbe". Nei nostri passaggi nell'Île de la Cité non abbiamo visto traccia di mercato alcuno, anzi, molte cose sembrano un pochino lasciate a sé stesse. Sarà l'aria di agosto? L'altra nota "negativa" è questa - a mio modo di vedere, stupida - moda di appendere i lucchetti ai ponti: con ben tredici collegamenti, le due isole sulla Senna (in particolar modo Pont de l'Archevêche e parte di Pont Neuf) forniscono parecchio spazio agli innamorati che vogliono suggellare la loro unione in una delle più romantiche città del mondo.

Pont Neuf by night

Ma c'è un luogo sull'Île de la Cité dove vorrei trovarmi spesso. È Pont-Neuf, che a dispetto del nome, è il ponte più antico della capitale parigina. Completamente camminabile, molto ampio, è un punto chiave di Parigi, nonché uno dei più romantici. Merito di quei balconcini (quando non occupati dagli ambulanti), di un piacevole spazio verde, lo Square du Vert-Galant, (parlerò degli square in post futuri) e di una visuale eccezionale sulla Senna e in più in generale su Parigi tutta. Un passaggio obbligatorio, insomma, ogni qual volta ci si trovi nel centro di Parigi...
Bis bald!
Stefano

mercoledì 19 agosto 2015

E la volevano smontare

Ciao a tutti!
Come si potrebbe iniziare una carrellata di post su Parigi se non dal suo simbolo per eccellenza, la Tour Eiffel? Questa torre alta 324 metri, per molto tempo (dal 1889 fino al 1930) l'edificio più alto sulla Terra), è una tappa irrinunciabile in un tour parigino che si rispetti. Dalla Senna, dalla balcone del Trocadéro, dagli Champs de Mars o dal Pont d'Iena, è assolutamente necessario dedicare un'oretta alla contemplazione di questo simbolo della capitale francese, in assoluto uno dei monumenti più visitati al mondo, il più visitato in tutto il mondo tra i monumenti a pagamento.

Come non amare questo spettacolo notturno?

Perché questa forma affascina così tanto? In questa vacanza parigina ho provato a darmi una risposta, osservando la torre da diverse posizioni. D'altronde, la Tour Eiffel è spesso visibile anche da lunghe distanze, grazie alla sua altezza. Beh, una risposta, o una motivazione non l'ho trovata. Perché in fondo si tratta di una costruzione in ferro, dallo stile asciutto, senza fronzoli. Quattro pilastri leggermente incurvati che puntano sinuosamente verso il cielo per unirsi in punta, e tre piattaforme orizzontali che la racchiudono. Penso che la sua forma sia entrata così prepotentemente nell'immaginario collettivo che ognuno non può che rimanerne abbagliato. Un simbolo tra i più conosciuti, come potrebbero esserlo il Cervino, la Porta di Brandeburgo, il Colosseo, la Statua della Libertà.

Autoscatto (non selfie!) dagli Champs de Mars

Fu proprio uno dei progettisti che contribuirono alla costruzione della Statua della Libertà, Gustave Eiffel, a finanziare e a (in parte) progettare la famosa torre che porta il suo nome. Inaugurata il 31 marzo del 1889 in occasione dell'Esposizione Internazionale che avrebbe celebrato i cento anni dallo scoppio della Rivoluzione Francese, essa non fu accolta con entusiasmo dai parigini, che quasi la disprezzavano (oggi viene ancora chiamata "l'asparago di ferro"). A guidare le critiche furono due letterati di spessore, Émile Zola e Guy de Maupassant, che la definirono "un orrendo mostro metallico". Eiffel rispose con i fatti alle critiche del mondo umanistico, escludendolo letteralmente dalle facciate della torre, sulle quali sono incisi i nomi di settantadue tra i più illustri scienziati e tecnici francesi.
A Eiffel fu concesso di mantenerla in piedi per vent'anni, ma la crescente spinta delle telecomunicazioni fece sì che la sua storia continuasse. La Tour Eiffel era perfetta per l'installazione di antenne - e successivamente di una stazione meteo e di un parafulmine. A rivalutarne l'importanza fu poi la Prima Guerra Mondiale, come strumento di comunicazione all'interno dell'esercito e come mezzo per intercettare i segnali nemici. Senza la Tour Eiffel non si sarebbe inoltre verificato uno degli episodi più famosi di quel conflitto, quello dei "taxi della Marna". Nel settembre del 1914, un migliaio di taxi vennero requisiti per trasportare sul fronte quattromila soldati.

Magnifico intreccio di ferro

A questo punto, la Tour Eiffel non poté che rimanere al suo posto. Meno male, aggiungerei. Dall'alto dei suoi 324 metri ha visto tutto lo scorrere del Novecento francese. Ha visto anche l'arrivo dei nazisti, sul quale si racconta che i parigini manomisero l'ascensore per evitare che Hitler potesse salire in cima, additando come scusa un guasto non riparabile perché in tempo di guerra non si trovavano ricambi. A ripensarci, che sospiro di sollievo...

Dal Trocadéro, terrazza privilegiata

Oltre la bellezza estetica, bisogna celebrare il capolavoro ingegneristico di Eiffel. Snocciolando qualche numero, la Tour Eiffel ha un peso di oltre sette tonnellate, ma la pressione al suolo è veramente ridicola, quattro chili ogni centimetro quadro, come quella di un uomo seduto. Nonostante l'altezza, l'oscillazione è di pochi centimetri, mentre può dilatarsi nei giorni più caldi fino a 15 centimetri. Numeri sconvolgenti, che hanno però poco senso se non si prova, almeno per qualche secondo, a guardarla dalla sua base. Uno di quei momenti in cui si tocca con mano il concetto di "impressione".
Bis bald!
Stefano

martedì 18 agosto 2015

C'est Paris...

Un musicista ambulante che suona la fisarmonica nelle gallerie della stazione della metropolitana di Place de la Concorde. Pochi minuti a fissare attentamente lo scorrere della Senna in Quai des Grands Augustins. Un ultimo sguardo, non in lacrime ma con molta malinconia, alla Tour Eiffel dal Pont de Bir Hakeim. Sono queste le immagini che porto con me da Parigi, quelle che nelle ultime ore nella capitale francese hanno riempito di un mix di bellezza e tristezza la mia mente.

La Tour Eiffel vista dalla Senna

Non c'è niente da fare, Parigi ti assorbe, ti rapisce e non ti lascia più andare. In tempi non sospetti dissi che Parigi è la città più bella del mondo (Venezia non è classificabile tra le "città"). Certo, al mio giudizio mancano ancora molte altre importanti metropoli: Londra, Bruxelles, Praga, Madrid, Budapest, New York, e potrei continuare ancora con un lungo elenco. Finora, Parigi è insuperabile. In questa settimana parigina ho provato a cercare una ragione di tutta questa attrazione che provo per questa città.

L'Arc de la Défense

Per i simboli che probabilmente nessun altra città al mondo ha: quale altra città può annoverare nel raggio di pochi chilometri la Tour Eiffel, il Museo del Louvre, gli Champs-Élysées, Notre-Dame? Credo ben poche.
Perché si cammina nella storia: ogni angolo di Parigi potrebbe raccontare episodi che abbiamo letto tutti sui libri di storia, dall'Illuminismo alla Rivoluzione Francese, da Napoleone alla Belle Époque, dalla Prima Guerra Mondiale a De Gaulle.
Perché tutta Parigi pullula di arte e cultura: quanti sono, ma quanti sono gli artisti (pittori, scrittori, filosofi, cineasti) che nella capitale francese hanno costruito la loro carriera e produzione artistica? Qualche nome? Victor Hugo, Pablo Picasso e Oscar Wilde possono bastare? Qual è il valore dell'arte contenuta dei musei (e nelle case, anche!) di Parigi? Incalcolabile.
Perché ogni quartiere è una storia da sé: si viaggia dal lusso degli Champs-Élysées alla storia dell'Île de la Cité, dalla modernità della Défense alle vecchie stradine di Montmartre, dallo spirito intellettuale di Saint-Germain-des-Prés alla vivacità del Marais, dai ponti sulla Senna che potrebbero narrare la storia della Francia ai grandi musei che proprio sulle rive della Senna si affacciano, dalle grandi torri che dominano Parigi ai cimiteri in cui è sepolta una bella fetta di cultura internazionale.

Il Louvre e la sua famosa piramide

Perché, in fondo, Parigi sa essere sempre unica nei suoi tanti volti. Nel corso dei decenni Parigi è progressivamente cambiata - basti pensare alla rivoluzione urbana firmata da Haussmann e al nuovo quartiere La Dèfense - ed è ringiovanita senza perdere il suo stile, la tradizione che l'ha resa famosa nel mondo. Quelle peculiarità, ad ogni livello, come le innumerevoli brasserie, i grandi boulevards, i pittoreschi ingressi della metropolitana, i ponti sulla Senna, l'imponenza mai esuberante dei suoi monumenti, lo spirito bohemienne. È una città senza eguali, Parigi, e lo rimarrà sempre. Una promessa ce la siamo fatta, quasi in ogni angolo di Parigi. Non aspetteremo troppo tempo a ritornare in questa grande bellezza.
Bis bald!
Stefano

giovedì 6 agosto 2015

Le petit macaron d'un jeudi parisienne

"La mia grande scoperta fu che a Parigi potevo essere giovane, mentre a New York, a ventun anni, ero un vecchio in tutti i sensi."
Henry Miller

Montparnasse visual!

mercoledì 5 agosto 2015

Le petit macaron d'un mercredi parisienne

"Quanto mi sono mancati i vicoli sconnessi, i palazzi antichi, le luci che si riflettono sulla Senna, l'odore delle strade dopo la pioggia, il profumo dei castagni alle Tuileries e tutti i piccoli caffè, i bistrot e i negozi colorati di Saint-Germain, les tartelettes au citron, les meringues..."
Nicolas Barreau, Una sera a Parigi

La Senna da Pont Neuf (Rive Droite)

martedì 4 agosto 2015

Bücher: Con te fino alla fine del mondo

"È strano, il tempo. Domina la nostra vita come nessun altro parametro. In definitiva tutto ruota intorno al tempo che abbiamo, al tempo che non abbiamo, al tempo che ci rimane. E questo è il tempo cronologico. Un giorno, dieci mesi, cinque anni. Poi c’è il tempo interiore, il fratello volubile del tempo cronologico. Quello che trasforma un’ora di attesa in trentacinque e quella che abbiamo per terminare qualcosa di importante in otto minuti. Ci sfugge, ci incalza, ed esiste solo un frangente in cui i padroni siamo noi: quei rari momenti in cui viviamo completamente dentro il tempo e proprio per questo non lo avvertiamo più. Mettiamo fuori uso tutti quei piccoli ingranaggi che di solito si incastrano uno nell’altro e navighiamo senza sforzo nella vita lasciandoci sospingere dal vento. Sono i momenti dell’amore."
Nicolas Barreau, Con te fino alla fine del mondo



Ciao a tutti!
Le copertine dei libri di Barreau sono incredibilmente simili nel loro fascino. Una donna di rosso vestita e la Tour Eiffel sullo sfondo. Il contesto parigino è fondamentale in questi libri, e spesso lo è per le storie d'amore. Il mio terzo appuntamento con la penna di Nicolas Barreau si conclude proprio a Parigi. Con te fino alla fine del mondo è un libro letto su una seggiola ai Jardin des Tuileries, seduto sulla metropolitain, nel letto di un appartamento al Trocadéro, su una panchina di Place des Vosges. Leggere a Parigi, un libro che fa di Parigi la città che vede nascere una storia d'amore, è un'esperienza ancora più coinvolgente.
Qui Barreau si è superato. Un happy end era più che prevedibile, come nei precedenti libri d'altronde. In Con te fino alla fine del mondo, però, è necessario più acume e attenzione ai dettagli, per poter prevedere il finale, caratteristiche che i libri di Barreau non mi stimolano, da quanto sono perso in queste favole. Beh, il colpo di scena finale è maestoso e devo tributare un plauso all'autore che, a differenza de Gli ingredienti segreti dell'amore e Una sera a Parigi, sa tenere col fiato sospeso il lettore "fino alla fine": chi sarà la misteriosa donna che tiene in scacco le passioni amorose di Jean-Luc Champollion, affascinante gallerista di successo nonché vero e proprio "tombeur de femme"?
Lo scambio epistolare, in un mix sbilanciato di e-mail (un'infinità ne numero e nella lunghezza) e di lettere (poche ma decisive), assume i contorni del duello tra una cacciatrice che vorrebbe essere preda e un uomo che gioca spesso il ruolo del cacciatore ma è chiaramente alla mercé di questa donna, novella Cyrano de Bergerac, che lo rapisce ammaliandolo con la forza delle parole. È uno scambio serrato, senza tregua, che non trova pause in una vicenda ricca di eventi collaterali che sfiorano il tragicomico. Ma è sempre narrato con leggerezza: parliamo di un libro di evasione, un libro per fermarsi un po' a sognare. E poi c'è Parigi, Saint-Germain-des-Prés, la Gare de Lyon, Champ de Mars: sognare una grande storia d'amore come questa si può, soprattutto in una città come Parigi.
À bientôt!
Stefano

Giudizio: 10/10 

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