lunedì 27 febbraio 2017

Tutte le strade portano a Roma: l'acciacco in più

Ciao a tutti!
Sul lungo percorso verso Roma non poteva bastare la fatica degli allenamenti in palestra, durante la settimana, e all'aria aperta, nei lunghi del weekend. Ci si deve mettere di traverso qualcos'altro. Questa volta il bastone tra le ruote - sarebbe meglio dire tra le gambe - si chiama sciatica. Ebbene si, durante il mio allenamento ho dovuto e devo tuttora convivere con questo dolore. È una convivenza di lunga data, poco piacevole ma fortunatamente non deleteria per la corsa.
Tutto è cominciato ad inizio 2017 con un leggero dolore dorsale, che con qualche giorno di riposo stava per abbandonarmi. Poi, dopo essermi sottoposto ad un massaggio "benessere" alle terme di Bad Kissingen, ha iniziato a dolermi in modo ben più intenso. Chinarsi o alzarsi dalla sedia (ahimè, gesto frequente per chi svolge un lavoro sedentario) erano azioni in cui c'era veramente da stringere i denti. Per qualche giorno, a corrente alternata, questo dolore è stato veramente atroce. Poi si è attenuato. O forse avevo iniziato il processo di convivenza con il dolore. Nel frattempo, però, la zona di massimo dolore si era progressivamente spostata dalla parte alta verso la parte bassa della zona lombare, fino ad interessare i glutei. Questo tipo di problema si traduce con la parola sciatica: inizio ad invecchiare, eh?
Secondo il mio preparatore atletico e la mia osteopata di fiducia, tutto è cominciato dall'incidente occorso alla maratona di Berlino: il trauma alla gamba e un assetto sbilanciato mantenuto per molte settimane sarebbero all'origine della mia sciatica. Il massaggio è invece la classica goccia che fa traboccare il vaso.

Centro del dolore

Il fatto ancora più curioso - e fortunatamente, positivo - è che, nonostante i miei dolori alla schiena, ci fosse un unico momento nella giornata in cui potessi godere di una pausa da tutti i dolori: durante la corsa. O camminando, facendo esercizio fisico in posizione eretta. Come per magia, tutto scompariva. Salvo poi ritornare dopo qualche ora. Non ho voluto affidarmi a specialisti di cui non ho fiducia, prima della maratona, non ho voluto spezzare l'equilibrio che mi permette di correre senza problemi anche per tanti chilometri. Ho provato altre cose: il classico Voltaren, l'arnica, il "balsamo di tigre", la lampada a raggi infrarossi. Tutti espedienti che mi hanno garantito un sollievo temporaneo ma, ovviamente, mai definitivo.
A fornire un sensibile miglioramento ci ha pensato ancora una volta l'osteopatia (benedetta sia!). Una sola seduta osteopatica e una applicazione kinesioterapica hanno già ridotto sensibilmente il dolore lombare, declassandolo ad un piccolo fastidio con il quale posso tranquillamente convivere. E con il quale posso finalmente affacciarmi all'appuntamento con i quarantadue chilometri con maggior serenità.
A presto!
Stefano

domenica 26 febbraio 2017

Un 2016 con A spasso tra i Giganti

Ciao a tutti!
Anno dopo anno, questa avventura "virtuale" che si basa su "avventure" (se così si può definire il preparare una maratona, fare un viaggio in un altro continente, trascorrere settimane su sentieri di montagna, e anche altre attività ben meno rocambolesche) reali redatte sulle pagine di un blog, mi regala sempre grosse soddisfazioni. Il merito è ovviamente in gran parte dei lettori, che aumentano ogni anno, assieme al numero delle visite. Una nuova soglia è stata superata: ben sessantaseimila visite nel solo 2016, come testimoniano le statistiche di visita relative all'anno appena trascorso. Motivo di grande gratificazione, è poter raccontare a qualcuno, trasmettere ad una (seppur piccola) platea di lettori, tutte le mie emozioni che provo nelle mie attività, con l'intento di aiutare qualcun altro a rivivere la stessa gioia. I miei post, i miei lettori, un connubio che spero continui in questo modo anche nel 2017.
A presto!
Stefano

Nel caso abbiate desiderio di rileggere i post più apprezzati dell'anno...

  1. 2013 visualizzazioni: Dieci motivi (personali) per rallegrarsi dell'eliminazione della Germania dall'Europeo
  2. 1112 visualizzazioni: Erding, l'acquapark di Baviera
  3. 941 visualizzazioni: Tutto il meglio dell'Alta Via n.2 della Valle d'Aosta (e sondaggio)
  4. 933 visualizzazioni: Wertheim, non solo un centro commerciale
  5. 891 visualizzazioni: La città di merda
  6. 765 visualizzazioni: Occhio al prezzo! - Puntata n.6
  7. 741 visualizzazioni: Hannoversch Münden
  8. 679 visualizzazioni: La regina del nord
  9. 613 visualizzazioni: Occhio al prezzo! - Puntata n.8
  10. 601 visualizzazioni: L'affare del latte

Segue la Top-10 dei dieci post più visitati* dall'apertura di A spasso tra i Giganti.

  1. 2252 visualizzazioni: Non solo le ali, anche i brividi
  2. 2013 visualizzazioni: Dieci motivi (personali) per rallegrarsi dell'eliminazione della Germania dall'Europeo
  3. 1412 visualizzazioni: I numeri dell'Alta Via n.3 delle Dolomiti
  4. 1112 visualizzazioni: Erding, l'acquapark di Baviera
  5. 941 visualizzazioni: Tutto il meglio dell'Alta Via n.2 della Valle d'Aosta (e sondaggio)
  6. 933 visualizzazioni: Wertheim, non solo un centro commerciale
  7. 891 visualizzazioni: La città di merda
  8. 876 visualizzazioni: Compagni d'avventura: Garmont Ferrata GTX
  9. 812 visualizzazioni: "Non è caduto, è morto"
  10. 783 visualizzazioni: Il percorso dell'Alta Via dei Giganti

*statistiche aggiornate al 31 dicembre 2016

sabato 25 febbraio 2017

Tutte le strade portano a Roma: collaudo superato

Ciao a tutti!
Prima di considerarmi "abile e arruolato" in vista della maratona di Roma, c'era ancora un ostacolo, sulla carta piccolo, da valicare. È la visita medica di idoneità alla pratica agonistica dell'atletica leggera. Esame che svolgo regolarmente, con cadenza annuale o quasi, presso l'Istituto di Medicina dello Sport di Torino. Un esame completo che va oltre la determinazione della mia idoneità: si va dalle semplici misure antropometriche alla spirometria, dall'esame obiettivo generale alla densitometria. Un esame tosto: per determinare quelle che gli addetti ai lavori chiamano le soglie aerobica e anaerobica, bisogna correre, correre fortissimo. Non per molto: l'esercizio per determinare questi parametri è relativamente breve (una ventina di minuti di corsa) ma intenso. Deve essere intenso, a livello tale da portare l'organismo ad una condizione non più sostenibile, gambe in acido lattico, fiato azzerato, cuore che scoppia. Si parte dalla corsa lenta (8 km/h), ogni minuto si aumenta di 0.5 km/h. Fino al punto in cui bisogna dire basta. L'analisi dei parametri ventilatori e dell'elettrocardiogramma consente di stabilire prima la soglia aerobica, dove inizia ad aumentare la concentrazione di lattato, quindi la soglia anaerobica, quando - detto brutalmente - l'acido lattico raggiunge quantità insostenibili nel lungo periodo per l'organismo.

Un organismo in tabelle

Prima di tutto: sono idoneo. Quello lo sentivo dentro di me, ma è sempre meglio avere il conforto di un esame medico. E comunque, senza il foglietto che lo attesta, non si può correre una maratona - quantomeno in Italia. Ogni possibile ostacolo verso il 2 aprile è dunque stato rimosso.
In cuor mio pensavo che i mesi di stop potessero influire sulla performance del mio motore. E invece così non è stato, forse i meccanismi andavano un pochino oliati. Qualcosina è da perfezionare: il peso è ancora superiore a quello consigliato e c'è da smaltire un po' di massa grassa sull'addome (eh, la pancetta non me la toglierò mai). Ma andando a valutare i valori registrati durante la visita, i parametri ventilatori e cardiaci si sono mantenuti pressapoco sugli ottimi livelli che avevo ottenuto nell'ultima visita, nell'ottobre 2015, in vista della maratona di Firenze. Il consumo massimo di ossigeno e la frequenza di soglia anaerobica sono pressoché intatti. Ma soprattutto, la velocità massima raggiunta è di 17.5 km/h, superiore di 0.5 km/h rispetto a tutti gli altri controlli: il collaudo è ampiamente superato, questo motore non vede l'ora di mettersi nuovamente in moto alla partenza di una maratona.
A presto!
Stefano

venerdì 24 febbraio 2017

Bücher: Born to run

"C'è qualcosa di strano nel raccontarsi per iscritto. A conti fatti, non è che una storia, una storia che ho composto a partire dagli episodi della mia vita. Non vi ho detto «tutto» di me. La discrezione e il rispetto per la sensibilità degli altri me lo impediscono. Tuttavia, c'è una promessa che l'autore di un libro come questo fa al lettore: aprirgli la propria mente."
Bruce Springsteen, Born to run


Amate The Boss? E allora fiondatevi in libreria ad acquistare Born to run. Non il famoso disco che diede il la alla pluridecennale carriera di Bruce Springsteen (quello sono sicuro che ce l'hanno tutti i suoi fan), ma l'autobiografia del rocker del New Jersey.
È un libro prezioso, per chi vuole conoscere qualcosa in più di Bruce Springsteen. È un libro sincero, in cui si apre al lettore senza nascondersi più di tanto dietro al volto che riempie gli stadi da oltre quarant'anni. È un libro che narra la vita di un uomo normale, di un uomo ricco di talento, ma anche con i suoi problemi, che spiega con schiettezza, senza filtri. A cominciare dal rapporto con il padre, tanto tormentato quanto approfondito nelle pagine di Born to run, per passare dunque al legame con l'alcol e agli antidepressivi. Insomma, Springsteen racconta molto di ciò che le sue canzoni non dicono. Ma proprio come le sue canzoni, lo fa in modo diretto, in parole che escono dal cuore.
Born to run è anche il modo per scoprire l'origine di alcune canzoni: The river racconta l'adolescenza della sorella, Born in the USA è l'omaggio ai tanti amici partiti per il Vietnam e mai più tornati, Bobby Jean celebra l'amicizia con il suo chitarrista Little Steven Steve Van Zandt, Dancing in the dark è il sentimento che esce dopo le dure sessioni di registrazione in studio, My city of ruins è dedicato alla sua città di origine, Born to run è... No, questo non lo dico, il capitolo dedicato esclusivamente a questa canzone è uno dei intensi ed emozionanti della sua autobiografia.
Molto spazio è dedicato ovviamente alla sua gioventù (durante il quale confessa i suoi punti di riferimento: Dylan, Presley, Beatles E Stones) e agli inizi della carriera, un caposaldo del libro ma della sua vita stessa, perché grazie alla gavetta Springsteen si dimostrerà sempre capace di non innalzarsi sul piedistallo del successo ma di rimanere sempre con i piedi piantati per terra, alla ricerca costante di realizzare le sue idee musicali e i suoi desideri.
Bruce Springsteen racconta invece la maturità come un bimbo ultrasessantenne, in grado di stupirsi o di commuoversi di fronte a piccoli grandi eventi: la nascita del primo figlio, lo spettacolo durante il Superbowl, il duetto live con i Rolling Stones, la morte del suo amico sassofonista Big Man Clarence Clemons.
Avvertenza finale, prima di dare spazio a qualche passo tratto da Born to run: leggetelo con la possibilità di vedere qualche video su Youtube o di ascoltare qualche sua canzone. L'effetto sarà ben diverso...
A presto!
Stefano

Giudizio: 9/10 

Le frasi più belle e significative tratte da Born to run (a mio parere)

[sulla registrazione di Born in the USA] La casa discografica voleva più voce, così ci ritrovammo una sera in uno studio a New York, ma bastò mezz'ora per renderci conto che l'impresa era impossibile. Non saremmo mai riusciti non dico a riprodurre quel sound, ma nemmeno ad avvicinarci a quella compattezza musicale, al furioso muro di chitarre, tastiere e batteria. Per rispetto verso i pezzi grossi ascoltammo alcuni degli altri take che avevamo registrato: in alcuni la voce era più alta, però mancava... la magia. Il cantante doveva dare l'impressione di mettercela tutta per sovrastare il frastuono di un mondo che se ne fregava. No: c'era una sola versione capace di far rombare il soggiorno come il motore di un Boeing 747, di tenere in bilico l'universo per un breve istante. Twang, esplode l'accordo cosmico, e poi via. Ci avevamo preso e ci eravamo riusciti una volta sola... ma una volta è sufficiente.

Cominciai dal riff di chitarra. Se trovi un riff che funziona, sei sulla buona strada.

[su "Big Man" Clarence Clemons] Insieme, raccontavamo una storia che trascendeva quelle delle mie canzoni. Una storia sulle possibilità dell'amicizia, una storia che Clarence portava nel cuore. Anzi, la portavamo entrambi. Una storia in cui Scooter e Big Man spaccano la città in due. Una storia in cui siamo invincibili e ricostruiamo la città, trasformandola in un posto nel quale la nostra amicizia smette di essere un'anomalia. Ecco cosa mi sarebbe mancato: la possibilità di stare di fianco a lui per rinnovare quella promessa, sera dopo sera. Ecco qual era la nostra storia.

[sull'esibizione al Superbowl 2009] «Ladies and gentlemen, per i prossimi dodici minuti porteremo la virtuosa e invincibile potenza della E Street Band nelle vostre splendide case. Giù le mani dal guacamole, posate il pollo fritto e correte ad alzare il volume AL MASSIMO!» Ovviamente c'è UNA SOLA COSA che voglio sapere: «SIETE VIVI?!».

Squilla il telefono. È Mick Jagger. Tanti anni fa sognavo di ricevere una telefonata del genere, però no, gli Stones non hanno bisogno di un frontman - un tempo - foruncoloso per il prossimo concerto. MA CI MANCA POCO! Suonano nel New Jersey, a Newark, e hanno pensato di coinvolgere un chitarrista-cantante in Tumbling Dice per far scuotere le chiappe al pubblico.

[sugli avvenimenti dell'11 settembre 2001] «Bruce, abbiamo bisogno di te!»: quel tipo mi chiedeva troppo, però lo capivo, perché anch'io avevo bisogno di qualcosa, di qualcuno. Quel terribile giorno, tornato a casa dai miei figli, da mia moglie, dalla mia gente e da voi, ancora una volta avevo fatto ricorso all'unico linguaggio con il quale abbia mai saputo scacciare le paure della notte, reali o immaginarie che fossero. Non potevo fare altro.

Io avevo la mia chitarra nuova, un ibrido anni Cinquanta composto dal corpo di una Telecaster e dal manico di una Esquire che avevo comprato per centottantacinque dollari al Belmar di Phil Petillo. Con il suo corpo di legno rovinato come un pezzo di croce, era lo strumento che avrei suonato per i successivi quarant'anni: l'affare migliore della mia vita.

Il mio manager era un genio. Se all'epoca due nullità riuscivano a entrare nell'ufficio newyorkese di una figura storica del calibro di John Hammond, figuratevi quanto è cambiato il settore discografico.

Noi italiani tiriamo dritto fino allo stremo delle forze, teniamo duro finché non cedono le ossa, non molliamo la presa finché i muscoli resistono, balliamo urliamo e ridiamo finché non ce la facciamo più, fino alla fine.

[sulla registrazione di Born in the USA] One, two, three, four... Avevo il testo, un titolo fantastico, due accordi, un riff di sintetizzatore, ma nessun vero arrangiamento. Era il secondo take. Un muro del suono si riversò nelle mie cuffie. Inizia a cantare. La band mi guardò attentamente, aspettandosi indicazioni per un arrangiamento improvvisato, e Max Weinberg si esibì nella performance di batteria più straordinaria della sua carriera. Quattro minuti e trentanove secondi dopo, avevamo inciso Born in the USA.

Per quanto assurdo possa sembrare, oggi ho un rapporto «personale» con Gesù Cristo: rimane uno dei miei padri, ma - come è successo con il mio vero papà - ho smesso di credere alle sue facoltà divine. Credo profondamente nel suo amore, nella sua capacità di salvarci... ma non in quella di condannarci... può bastare, grazie.
to run] Gli artisti di nicchia non hanno futuro alla Columbia. Se avessimo fatto fiasco, fine dei giochi e con ogni probabilità ci avrebbero rispedito nella foresta del Jersey del Sud. Dovevo realizzare un disco che incarnasse ciò che poco alla volta avevo dimostrato di saper fare. Qualcosa di epico e straordinario, qualcosa di mai sentito prima. Di strada ne avevo già fatta ma avevo ricominciato a fiutare la preda. Per il nuovo album avevo scritto una sola canzone. Si intitolava Born to run.

Il tempo passa e cresciamo tutti, ben sapendo che «it's only rock'n'roll»... e invece no. Dopo una vita trascorsa di fianco a un uomo che sera dopo sera ripete il suo miracolo solo per te, più che rock'n'roll questo sembra amore.

La matematica del mondo reale ci insegna che uno più uno fa due. La persona comune (e spesso anch'io) se ne accorge tutti i giorni. Va al lavoro, fa il suo dovere, paga le bollette e torna a casa. Uno più uno fa due. Il mondo gira così. Artisti, musicisti, imbroglioni, poeti, mistici e così via, al contrario, sono pagati peer sovvertire la matematica, per accendere il fuoco sfregando insieme due bastoncini. Una magia che riesce a tutti prima o poi nella vita, solo che è difficile da ripetere e facile da scordare. Quando il mondo dà il meglio di sé, quando ciascuno di noi dà il meglio di sé, quando la vita assume tutta la sua pienezza, è allora che uno più uno fa tre. È l'equazione essenziale dell'amore, dell'arte, del rock e dei gruppi rock. È la ragione per cui l'universo non sarà mai pienamente comprensibile, l'amore continuerà a estasiarci e disorientarci e il vero rock non morirà mai.

Le persone non vengono ai concerti per imparare, ma per ricordare qualcosa che già sanno e sentono nel profondo del cuore.

Spesso le vie dell'«arte» sono misteriose, e ciò che rende grandiosa un'opera può anche essere un suo punto debole, proprio come negli esseri umani.

Giovinezza e morte costituiscono da sempre un cocktail irresistibile per i creatori di miti che sono ancora fra noi. È il disgusto per se stessi, pericoloso e persino violento, è da tempo la miccia che accende il fuoco della trasformazione. Quando il «nuovo io» prende vita, le forze parallele del controllo e dell'incoscienza appaiono indissolubilmente legate. È il sale della vita. Spesso a rendere affascinante e divertente un artista è proprio l'alta tensione fra queste due forze, che però può anche rivelarsi fatale. Quanti di noi ne sono usciti logorati o se ne sono andati? Letteratura e musica documentano il culto della morte nel rock, ma cosa rimane dell'artista e delle sue canzoni? Una bella vita non vissuta, partner e figli in lutto, un buco per terra. L'uscita di scena gloriosa è solo un mucchio di stronzate.

«È più facile che un cammello passi per la cruna di una ago, che un ricco entri nel regno di Dio»: se era vero, ne sarebbe trascorso di tempo prima che varcassi le porte del Paradiso, ma nessun problema, c'era ancora tanto lavoro da fare qui sulla Terra. Ecco le premesse di «The Ghost of Tom Joad»: qual è il nostro compito nel breve tempo che abbiamo a disposizione?

Ci sono dischi che vivono di vita propria, e tu non puoi farci nulla. Uno di questi è «Born in the USA».

Ero ancora troppo ambizioso, spavaldo, affamato e consapevole del potere della musica per lasciare che il lavoro di una vita scivolasse nei nobili annali del rock. Quel giorno sarebbe arrivato, sicuro come la morte, le tasse e la fame di nuovi idoli, ma... non... ora, quanto meno finché rimanevo un urlatore rock gagliardo e pieno di psicosi, insomma, non ancora!

Per poter durare, i gruppi rock devono rendersi conto di un'essenziale realtà umana: la persona che hai accanto è più importante di quanto tu creda. Naturalmente, lo stesso vale per la persona che sta accanto a lui o a lei, cioè per te. Oppure: tutti devono spendere e spandere ed essere disperatamente al verde. Oppure: l'una e l'altra cosa.

[sugli avvenimenti dell'11 settembre 2001] Era ora di andare a prendere i bambini a scuola e tornare a casa da Patti. Mentre uscivo dal parcheggio del beach club, esitai prima di immettermi nel traffico di Ocean Boulevard. In quel momento una macchina proveniente dal ponte mi schizzò davanti con il finestrino abbassato. «Bruce, abbiamo bisogno di te!» gridò l'autista, che mi aveva riconosciuto. Capivo cosa intendeva dire, tuttavia...

Prima di tutto, scriviamo per noi stessi... per interpretare le esperienze e il mondo che ci circonda. È una delle soluzioni che ho trovato per prendermi cura della mia salute mentale. Storie, libri e film sono tentativi di far fronte a quel caos traumatizzante che è la vita.

Tutti gli artisti famosi si trovano a dover decidere se fare dischi o fare musica. A volte, se va bene, non c'è differenza.

giovedì 23 febbraio 2017

Meine schöne Stadt vol.4

Una domenica di febbraio con un po' di sole e qualche grado in più sono gli ingredienti base per una passeggiata che inizia dal centro città e ci porta su colline dalle quali la città stessa viene abbracciata con un semplice colpo d'occhi. Il verde è ancora spento, perché questo, della primavera, è solo un accenno. Il cielo non vuole ancora svestirsi di quella tipica foschia invernale. L'unica macchia di colore intenso rimane il trenino della Deutsche Bahn che collega Schweinfurt a Bamberga. Ma il panorama dal Bismarckhöhe, poco oltre la tenuta vinicola del Peterstirn, è di quelli che non deludono, mai, in qualsiasi stagione dell'anno.
Appena sopra i vigneti più prestigiosi di Schweinfurt, l'occhio cade sull'altro patrimonio della città, le colline che la circondano a sud. E verso oriente, il serpeggiante corso del Meno, il castello del Mainberg e la placida Schonungen. Basta già, in attesa dei più vividi colori di estate ed autunno.

Vista sul Meno dal Bismarckhöhe

Bis bald!
Stefano

domenica 19 febbraio 2017

Tutte le strade portano a Roma: è solo un secondo e mezzo

Ciao a tutti!
Dov'è che si mettono in evidenza i frutti di un allenamento per la maratona, se svolto con intensità e passione? Nei lunghi, in quelle uscite che tradizionalmente lascio per il fine settimana, quando ho più tempo e soprattutto possono diventare un'ottima occasione di relax mentale. Perché se è vero che da un lato, correre per tanti chilometri significa mettere a dura prova le proprie gambe, è altrettanto vero che è piacevole potersi dedicare a qualche ora di sport all'aria aperta dimenticando lo stress della settimana. Senza pensare, devo tenere questo ritmo per un tot di minuti, come succede nelle ripetute. No, qui si corre e basta, in base alle sensazioni del momento.
Un lungo non è comunque una passeggiata di piacere. Va affrontato seriamente, per creare il "fondo" che permette di resistere fino alla fine di una maratona, per imparare ad ascoltare i segnali che manda il corpo durante la corsa, per provare qualche novità in termini di attrezzatura ed alimentazione. I lunghi sono una prova di gara, e proprio per questo andrebbero anche svolti nell'orario in cui si svolge la maratona, dopo una ricca colazione. Certo, nel fine settimana ci sono tante esigenze da conciliare e non è sempre così scontato poter correre di prima mattina.
Questo è un fatto valido soprattutto quando ci si sta preparando ad una maratona primaverile, che significa correre in pieno inverno. E qui in Germania, l'inverno sa picchiare duro. I minimi registrati a gennaio - quando il Meno è stato per molti giorni una pista di pattinaggio - sono un ricordo, ormai. Nonostante ciò, l'impatto dell'aria fredda, sul volto e su un corpo che non deve essere eccessivamente coperto, è all'inizio una sensazione scioccante. Quando poi le gambe ingranano, allora tutto svanisce.

Lunghi: un programma come al solito intenso

Cosa dicono le gambe, o meglio, cosa dice il cronometro dopo i primi lunghi sotto i trenta chilometri? I dati sono confortanti ma non eccellenti, in linea con quello che mi aspettavo. Devo mettermi in testa che dopo l'incidente di Berlino e tanti mesi di inattività, ho bisogno di tempo per macinare chilometri a ritmi pre-incidente. Forse bastano quelle settimane che di qui mi separano alla maratona di Roma, forse sono necessari mesi, e una maratona in mezzo.
C'è da limare qualche secondo, non tantissimo, per tornare a quei livelli. Per esempio, se vado a rivedere i dati relativi alla preparazione per la maratona di Firenze nel 2015, vedo che per un allenamento su una distanza di circa 27 chilometri mi sono serviti una cinquantina di secondi in più: 1,5 secondi sul passo, all'incirca. Non è tanto ma quando si corrono tanti chilometri scendere di oltre un secondo sul passo, può essere esercizio complesso.

Qualche dato sui lunghi sotto i trenta chilometri

Come ho già detto, però, sono soddisfatto di ciò che sta uscendo da questo primo mese di allenamento. Onestamente, non credevo fosse possibile tornare a correre già così "forte" dopo due mesi (ottobre e novembre 2016) di nulla totale, dopo quasi tre mesi e mezzo senza corsa. Invece, sono di nuovo qui, sull'asfalto della Mainradweg, ogni domenica, sognando un nuovo traguardo.
Bis bald!
Stefano

sabato 18 febbraio 2017

Buon compleanno, Divin Codino

"Mi hanno chiamato malato immaginario. Non hanno mai saputo che io, tutta la mia carriera da professionista, l'ho giocata con una gamba e mezza. Migliaia di ore di lavoro per tenere viva una gamba che, fosse per lei, si rimpicciolirebbe ogni giorno. L'ho giocata senza stare bene del tutto, mai, che se giocassi le partite solo quando mi sento al cento per cento giocherei tre partite l’anno. L'ho giocata con la speranza assurda, per un giocatore di talento, di trovare terreni allentati, magari un po' fangosi così che quel ginocchio destro soffrisse meno, avesse la possibilità di appoggiarsi su una superficie più morbida. L'importante era che non fosse dura, con quel maledetto effetto rimbalzo, quella rotula che non ne vuol sapere di darmi tregua. Da quando il pubblico mi conosce convivo con il dolore, duecentoventi punti e un ginocchio a orologeria. Il mio dribbling migliore è stato andare avanti, nonostante tutto. Fregandomene delle chiacchiere, ponendomi ogni giorno davanti nuovi obiettivi. E sì, lo penso ancora, quel dribbling, quel doppio passo, quella veronica con cui ho superato un ostacolo apparentemente insormontabile - e ci ho messo due anni, due lunghissimi anni, due anni comunque da vivere - sono stati un capolavoro di volontà e passione. Ne vado fiero."
Roberto Baggio, Una porta nel cielo

Una vita da numero 10

Cinquant'anni, Roberto Baggio da Caldogno. Sembra impossibile, per chi ha iniziato a seguirti che era un bambino, che iniziava a tirare (modestissimi) calci ad un pallone nel cortile di casa, cercando di emulare le tue gesta. Il tempo passa per tutti, ma certe immagini, certi gesti, certe giocate restano per sempre. Le emozioni che hai dato ad un'intera nazione, quelle sono già storia e leggenda, si tramandano di generazione in generazione. Gli auguri di buon compleanno sono il ringraziamento per una persona che tanto ha dato al calcio, ai suoi appassionati. E che continua ad insegnare come si superano ostacoli e si fanno sacrifici.
Buon compleanno, Divin Codino.

mercoledì 15 febbraio 2017

Tutte le strade portano a Roma: l'ingegneria della corsa

Ciao a tutti!
È già passato un mese da quando ho intrapreso la lunga strada verso Roma, un nuovo ciclo di allenamento per una maratona sulla quale non ho maturato finora speciali ambizioni. Il percorso di Roma non può essere semplice, se Roma è la città dei sette colli. E inoltre, sarebbe il primo confronto con i quarantadue chilometri dopo mesi in cui ho dovuto prima pensare a recuperare un piede rotto, e dopo a ritrovare la condizione atletica. A Roma, il 2 aprile, andrò per divertirmi. E anche per tornare in quello scrigno di bellezza che è Roma, ovviamente.
Non per questo, però, voglio rinunciare a correre al massimo delle mie possibilità. Per farlo, serve l'allenamento specifico. In una parola: ripetute. Dunque, ciò che ho iniziato a svolgere in questa prima fase di preparazione, dopo un po' di sano e rafforzante interval training, è un nuovo e massacrante allenamento preparatomi dal mio coach di fiducia. Un misto di ripetuta e corsa a ritmo maratona, come si può vedere nello schizzo che mi aiuta a ricordare il ciclo da seguire. Roba da togliere il fiato.

Appunti di corsa

Ho scelto di correre sul tappeto per due motivi principali. Il primo è senza dubbio l'aspetto climatico: i giorni sono ancora corti e correre di notte non è di certo sicuro sulla fidata Mainradweg, non tanto perché abbia paura di qualche malintenzionato, bensì per la paura di non sapere dove atterrano i miei piedi (che di fratture ne hanno già vista una). Il secondo è l'aspetto tecnico: correre sul tappeto mi costringe a macinare metri ad una determinata velocità, e non ho chance alcuna di resa mentale a fattori avversi, non posso dire "no, va beh, questa velocità, non la tengo". Sul tappeto non ti puoi ingannare, si deve solo correre.
Perché si, le velocità da prendere qui, sono notevoli, fino ai 15 km/h (ergo, 4'/km): certo, non le devo tenere a lungo, e ho spazio sufficiente per poter riprendere fiato. Ma correre sul ritmo maratona, dopo tre quarti d'ora già percorsi sotto un continuo cambio di ritmo, non è cosa semplice. C'è tanto sudore a fine sessione. Ma so che è da questo fiato distrutto e tutto questo sudore che passa una bella maratona...
Ses snart!
Stefano

martedì 14 febbraio 2017

Quelli che pedalano

E ora mi alzo sui pedali come quando ero bambino
Dopo un po' prendevo il volo dal cancello del giardino
E mio nonno mi aspettava senza dire una parola
Perché io e la bicicletta siamo una cosa sola
E mi rialzo sui pedali ricomincio la fatica
Poi abbraccio i miei gregari passo in cima alla salita
Perché quelli come noi hanno voglia di sognare
E io dal passo del Pordoi chiudo gli occhi e vedo il mare
E vedo te...e aspetto te...
Stadio, E mi alzo sui pedali

Pantani lungo la salita al Col du Galibier nel Tour de France del 1998 (fonte: campi sportivi.com)

San Valentino, per gli appassionati di ciclismo, da tredici anni a questa parte, non può essere semplicemente il giorno degli innamorati. Non quando viene in mente che in questo giorno se ne è andato il più grande eroe del ciclismo moderno.

sabato 11 febbraio 2017

Senza titolo, 09/02/2017

"Michele Angelo ha aspettato alla vigna tutta la notte. Dai e dai quel fazzoletto di terra è diventato un frammento del paradiso terrestre, quando Adamo capì che da soli non si può stare. Terra buona, lavoro serio, innesti giusti ed ecco i grappoli che scoppiano di salute sui tralci. Seduto tra due filari Michele Angelo sta facendo una preghiera e una richiesta. Perché, sta dicendo senza dire, perché? A chi lo chieda non lo sa esattamente. Rognoso come Giobbe, Michele Angelo prende a rinfacciare la sua pena: quale destino ho io? Di non vedere i miei figli crescere, due, due, me li hai già tolti... [...] Michele Angelo in piedi guarda la sua vigna. Lui al funerale non c'è andato, perché ha qualcosa di preciso da fare. E sarebbe che c'ha da chiarire un paio di cose con chi ha precisamente stabilito un percorso tanto terribile per la sua vita. Va bene, va bene tutto, si sta dicendo, guarda che io non ti ho chiesto di avere di più di quello che mi spettava, ma solo quello che mi spettava, solo quello. E tu? Bravo, bravo davvero. Qual è il dolore, questa vigna? Eh? Qual è? Sta gridando, a chi non si sa, o forse si a pensarci bene. Pover'uomo, è straziante solo a vederlo. Come un bue infastidito dalle mosche si sta agitando per togliersi di dosso il dolore che lo assale. È una giornata atroce per fare un funerale. È atroce di smalto puro, come se fosse necessario frugare con lo sguardo fino ai particolari più minuti. Infatti si vede tutto: gli acini gonfi, vetrosi, le foglie di un verde ramarro, i tronchi asciutti e scuri come carne secca. Non è che si può parlare con Dio e contemporaneamente essere costretti a tanta chiarezza, a tanta minuzia. tutto è sensazionale in quel momento, Michele Angelo Chironi sta facendo i conti, sta tirando le somme. E proprio quando pretende ascolto ecco che guarda e sente le cose come non le aveva mai viste e intese, un nastrino rosso che sventola impigliato a un filare, un pezzo di carta che scivola sospinto dalla corrente d'aria, il ruscello poco distante che dice la sua, il battito d'ali di una gazza. Tutto serenamente perfetto. Che quasi viene da pensare che quella perfezione sia già di per sé una risposta definitiva."
Marcello Fois, Stirpe

venerdì 10 febbraio 2017

Bücher: Stirpe

"Certo era arrabbiato contro questa sorte che con una mano dava e con due prendeva, ma non piegava la testa, aveva esperienza di tenacia e aveva imparato che certe leghe, apparentemente inviolabili, cedono quando meno te lo aspetti, basta un colpo in più, basta non arrendersi. Il metallo è cosa viva, lui capisce la mano che lo forgia. Capisce il cuore di chi lo lavora."
Marcello Fois, Stirpe


Con Fois e il suo romanzo Stirpe scopro come in un libro possano convivere una scrittura elegante e la crudele rappresentazione dell'infausto destino che può esserci riservato. Questa è per me, in poche parole, l'essenza di questo libro che narra le vicende dei Chironi, una famiglia nata nel cuore più umile di una Sardegna di inizio Novecento, dall'unione di due trovatelli, Michele Angelo Chironi e sua moglie Mercede Lai.
La meraviglia di Stirpe sta nel sapere alternare pugnalate di durezza indicibile, al limite del disumano (in questo senso è esemplare la descrizione del massacro di Antonia Mesina), ad istantanei momenti di bontà. Tutto tramite una prosa raffinata, a tratti compassata, ma ricca di passi veramente illuminati. Una prosa plasmata al servizio della vicenda come fosse il ferro che viene lavorato dal protagonista, di professione fabbro. Una vicenda, quella di Stirpe, che tanto mi ha riportato alla mente i miei studi superiori, con il verismo di Giovanni Verga ne I Malavoglia. Alcuni dei tratti verghiani sono ben delineati in Stirpe: l'immutabilità di un implacabile antagonismo e della sopraffazione del più forte sul più debole, la descrizione di una realtà in cui tutto è dominato da un effimero progresso e non dalla giustizia, il soccombere di fronte agli eventi e alla morte, la rassegnazione agli eventi che il destino ha in serbo per l'uomo. Dal darwinismo sociale di Verga, tuttavia, si distacca Fois con il magistrale finale di Stirpe, indicando chiaramente (dopo tante eccellenti pagine ma senza una direzione evidente) la via della speranza: nonostante la tragedia, il dramma e la cattiveria dell'uomo, il piccolo lume della fiducia rimane sempre acceso.
Stirpe è una storia semplice e solida, di gente semplice e solida. Una storia per riscoprire la Sardegna, una regione d'Italia che da queste pagine sembra descritta quasi come un paese lontano anni luce. Una storia che se i nostri nonni e bisnonni leggessero, probabilmente apprezzerebbero. Una storia per noi che viviamo nel Duemila, per non dimenticare l'oscurità di certe epoche (la Prima Guerra Mondiale, il fascismo) che oggi sembrano quasi anacronistiche. Ma che non possono diventarlo.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 9/10 

sabato 4 febbraio 2017

Meine schöne Stadt vol.3

In queste giornate di inverno, a Schweinfurt, ci sono due vantaggi. Il primo è che quando il cielo è sereno, sgombro dalle nubi, è di una limpidezza totale: l'aria è leggera e la luce bassa sembra proprio fatta apposta per essere respirata. Il secondo è che... quando tramonta, tramonta proprio dietro il fiume!
Transitavo qualche giorno fa, in automobile, su uno dei due ponti che dividono la mia città dalla sua area industriale. Un cerchio di luce pronto a "rinfrescarsi" all'orizzonte, gettandosi nelle gelide acque del Meno. Mi sono detto «qui ci devo tornare». Mi appunto l'ora, perché quel sole che tramonta in un Meno dai colori infuocati non è uno spettacolo al quale siamo abituati regolarmente. Detto fatto, il giorno dopo, ecco che mi presento sul Maxbrücke dotato di macchina fotografica. Per fissare un tramonto che rivedremo nel 2018...

Un sole pronto a rinfrescarsi

Bis bald!
Stefano

mercoledì 1 febbraio 2017

Tutte le strade portano a Roma: anatomia di un recupero

Ciao a tutti!
Mancano esattamente due mesi alla maratona di Roma, sessanta giorni che mi porteranno (come dico sempre, salvo infortuni, influenze ed imprevisti vari, sempre dietro l'angolo) a presentarmi nuovamente alla partenza di una maratona, questa volta nella fantastica cornice di Via dei Fori Imperiali. Il conto alla rovescia è cominciato, e questi due mesi saranno lunghi ed intensi, carichi di aspettative, di domande ma soprattutto carichi di... allenamento. Come sempre, quando si deve preparare una tale prova.

Quella voglia di ricominciare (fonte: iflmagazine.it)

Ma è bene non dimenticare quanto fatto finora. Perché arrivo da un infortunio occorso proprio durante una maratona. A Berlino mi sono rotto un osso del piede, e questo è un incidente che richiede calma e pazienza. Il piede è l'interfaccia tra il corpo e il terreno, inutile aggiungere quanto sia importante riuscire a riprenderne la corretta funzionalità. Dopo un lunghissimo ottobre, passato quasi interamente con il gesso prima e con il tutore dopo, ho finalmente ricominciato a camminare e a utilizzare la bici per i miei spostamenti casa-ufficio. Non che non camminassi col tutore - certi giorni ero costretto ad uscire farmi la spesa in stampelle... - ma senza i vari ammennicoli è tutta un'altra sensazione. Camminare, dopo un tale incidente, dopo un mese di inattività, è un gesto che sembra quasi estraneo, posso garantirlo. La mia andatura inizialmente sembrava quasi zoppicante e si, il piede faceva male. Ma era tutto normale, perché gli stessi del muscoli del piede, prima abituati a continui movimenti, avevano perso il piacere di muoversi. Dovevo solo pazientare qualche giorno.
Poi è venuto il tempo della cyclette, sulla quale ho sparso non poco sudore, per ritrovare il tono muscolare nelle gambe, perso inevitabilmente soprattutto sul lato sinistro, senza caricare muscoli ancora indeboliti. Dunque è giunto il momento della mia prima corsetta post-infortunio. Pochi chilometri, in patria, due mesi dopo la frattura, per saggiare lo stato del piede. E ancora tanta tanta cyclette. Al rientro in Germania, dopo le feste natalizie, ho ripreso a caricare le gambe in palestra e quindi a correre. In palestra prima, sul tappeto (sia benedetto lui, con il gelo che c'è qui in Germania), all'aperto dopo. Fino a correre quasi diciannove chilometri in 4'40"/km, senza problemi e senza dolore alcuno: era il segnale che attendevo per iscrivermi alla maratona di Roma.
A oltre quattro mesi da quella mattina di settembre a Berlino, posso dire di essermi lasciato definitivamente alle spalle tutto quanto. Non so se correrò ancora forte come prima (io spero e credo di sì, basta continuare ad allenarsi e non aver fretta), ma sono tornato a correre, sognando, con la stessa passione di sempre. Quella non scende mai.
Bis bald!
Stefano

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