mercoledì 19 luglio 2017

Storie di fulmini - Il giro del Sassolungo

Qualcuno leggendo il titolo potrebbe pensare: perché fare il giro del Sassolungo quando solo il giorno prima hai fatto il giro di Sassolungo E Sassopiatto? È assai semplice: per poter salire al Rifugio Demetz e scendere nel Vallone del Sassolungo. Un tratto di sentiero per me inedito, assolutamente spettacolare, che attendevo di percorrere da molto tempo. E che rappresenta l'ultimo atto del mio luglio tra i monti pallidi delle Dolomiti.

Il Vallone del Sassolungo
Per il giro del Sassolungo parto dal Col Rodella, forse il miglior balcone dal quale osservare il Gruppo di Sella e il gruppo del Sassolungo. Sorvolo sui motivi per cui ho iniziato il cammino dal Col Rodella, ci tornerò (polemicamente e successivamente) in un altro post. Affronto la ripida discesa per raggiungere il Passo Sella, dove ha inizio la salita verso il Rifugio Demetz. Un rifugio, questo, che si potrebbe raggiungere tranquillamente tramite l'ovovia che parte dal passo. Troppo comodo per i miei gusti, meglio affrontare il sentiero. Dal basso sembra una salita ardua, ma se affrontata con passo rilassato e costante, lo zig-zag che conduce alla Forcella del Sassolungo, ove giace il Rifugio Demetz, si rivela in realtà meno onerosa del previsto. Servono tra i quaranta e i sessanta minuti per raggiungere questo rifugio che sì, questo è proprio un nido d'aquila.

Che salita per raggiungere il Rifugio Demetz!

La storia del Rifugio Demetz è una vicenda che non può lasciare insensibile chi ama la montagna. Il rifugio è intitolato a Toni Demetz, che nel 1952 era una giovane guida di Santa Cristina Valgardena, nonché promettente alpinista. Nonostante la sua giovane età, conosceva già il Sassolungo come le sue tasche. Il 17 agosto di quello stesso anno, Toni Demetz è sulla parete del Sassolungo con due clienti milanesi. Un violento fulmine si abbatte sulla montagna, uccide all'istante uno dei due clienti e ferisce Toni e l'altro cliente. Il padre di Toni, Giovanni, anch'egli guida, si precipita a soccorrere il figlio e il suo cliente, entrambi in fin di vita. Sceglierà di dare priorità al cliente e pur in uno stato d'animo comprensibilmente disperato riuscirà a portarlo in salvo a valle. Giovanni risalirà una seconda volta il Sassolungo per soccorrere il figlio, ma sarà troppo tardi. Molti padri avrebbero maledetto quel luogo. Non fu così per Giovanni Demetz, che ottenne il permesso di costruire sulla Forcella del Sassolungo un rifugio in memoria di suo figlio, un rifugio che potesse offrire supporto e aiuto agli alpinisti in difficoltà. Un rifugio che ancora oggi, a oltre sessant'anni dalla tragica morte di Toni, è gestito dalla famiglia Demetz.

Il circo di roccia

Pietre che incombono

Trovarsi al rifugio Demetz, alla Forcella del Sassolungo, è come entrare in una basilica dell'alpinismo. Qui hanno compiuto imprese grandi nomi dell'alpinismo: il primo salitore del Sassolungo, Paul Grohmann; il primo saliore dello spigolo nord del Sassolungo, Eduard Pichl; Emilio Comici e il Salame che porta il suo nome; Oskar Schuster, che in suo nome è intitolata la ferrata sulla est del Sassopiatto; Angelo Dibona e Reinhold Messner, che sul Sassolungo aprirono due nuove vie di scalata; Gino Soldà, che sul Sassolungo firmò quattro prime ascensioni. Trovarsi al rifugio Demetz vuol dire anche trovarsi nel santuario della roccia. Tutto è pietra attorno, una pietra che incute una certa agitazione. Le guglie del Sassolungo sembrano reliquie in grado di poterti giudicare, la mole delle Cinque Dita e della Punta Dantersas infonde soggezione a chi osa penetrare questo regno dominato esclusivamente dai sassi.

Il profilo del Salame Comici svetta su tutto

La discesa verso il Rifugio Vicenza è veloce, velocissima. Troppo rapida, perché in quel mare di pietre avrei voluto rimanere ancora a lungo. Un paesaggio che appare veramente incontaminato, preistorico, dove non vi è traccia di opera umana - esclusi i lontani pascoli dell'Alpe di Siusi che si aprono tra il Sassopiatto e il Sassolungo. Scendendo le guglie appaiono sempre più alte, così elevate che bisogna torcersi il collo per ritrovare l'azzurro del cielo. Il Sassolungo è una muraglia sulla quale non troverei una sola via di uscita, le Cinque Dita sembrano volersi piegare verso il vallone per afferrare i disturbatori della sua quiete: centinaia di escursionisti che ogni giorno percorrono il sentiero che collega i rifugio Demetz e Vicenza.

Ultimo sguardo a queste meraviglie, prima di tornare a casa

Ripercorro fino al Passo Sella e quindi al Col Rodella un itinerario simile a quello affrontato nel giro del Sassolungo e del Sassopiatto, con una differenza: nel tratto tra la Forcella Ciaulonch e il Rifugio Comici decido di rimanere sul sentiero più basso, meno panoramico, ma che mi permette di poter osservare in pienezza tutta la formidabile ed assurda verticalità della parete nord del Sassolungo, forme che non posso concepire essere state calcate da mani umane. Dopo il Rifugio Comici, tutto il sentiero è ormai storia nota: una piacevole passeggiata con sullo sfondo il Sella - finalmente sgombro dalle nubi. Ritorno al Col Rodella con immagini memorabili negli occhi, tutte le vette del Sassolungo che signoreggiano luminose nel cielo, e un po' di mestizia: so che questo è l'ultimo sentiero, per quest'anno, sulle Dolomiti. Quantomeno, chiudo con un itinerario di quelli che non dimenticherò facilmente.
A presto!
Stefano

martedì 18 luglio 2017

I nove rifugi - Il giro del Sassolungo e del Sassopiatto

Sassolungo, un gruppo montuoso che non ha eguali nelle Dolomiti, un gruppo montuoso che meritava di essere circumnavigato nella sua totale interezza. Il Sassolungo, infatti, è gruppo che annovera più vette, nove per la precisione, oltre a quelle più note e conosciute, come il Sassolungo stesso e il Sassopiatto: Cinque Dita, Sasso Levante, Torre Innerkofler, Dente del Sassopiatto, Punta Dantersas, Torri del Sassopiatto. Tutte assai ravvicinate tra loro, difficilmente accessibili, che si innalzano da dolci pascoli. Perché percorrere un itinerario ad anello attorno a questo atollo di roccia dolomitica? Perché il Sassolungo è un gruppo unico nel suo genere, e dai sentieri che lo circondano i panorami di cui si può godere sono numerosissimi.

Il gruppo del Sassolungo visto dal Col Rodella

Il Rifugio Pertini è la base di partenza della mia escursione attorno al Sassolungo. Piccolo ed accogliente, il rifugio è ovviamente dedicato a Sandro Pertini, Presidente della Repubblica dal 1978 al 1985 e assiduo frequentatore di queste montagne, soprattutto della Val Gardena. Dal Rifugio Pertini il sentiero corre verso ovest, sempre a mezza costa, sui pendii erbosi ai piedi del Sassopiatto. È un sentiero molto piacevole, che rimane sempre sulla stessa quota, e garantisce costanti scorci panoramici sul Catinaccio e sulla Val di Fassa. Poco prima di incontrare il primo rifugio sul percorso, superato il Giogo di Fassa (il collegamento tra Val di Fassa e l'Alpe di Siusi) incontro un sentiero che sale sulla destra. È il sentiero che sale in cima al Sassopiatto, l'unica cima del gruppo raggiungibile a piedi. L'unica cima che salirò con i miei piedi in questi giorni di Dolomiti. 

La parete ovest del Sassopiatto

Il sentiero risale prima una piccola valle erbosa, per portarsi sui pascoli alla base del Sassopiatto, quindi iniziano i cinquecento metri di dislivello per raggiungere la croce di vetta della cima centrale del Sassopiatto. Una salita non eccessivamente ripida, ricca di zig-zag e dalle pendenze sostanzialmente costanti. Bisogna fare attenzione, soprattutto in salita e nella prima parte, ai segnavia ed agli ometti di pietra. Le indicazioni del sentiero non sono perfette e il quadro di insieme quando si avanza in salita non è mai completo come quando si procede in discesa. Dal sentiero che porta al Sassopiatto risulta evidente il perché del nome di questo monte. La parete est è un dirupo verticale, mentre la parete ovest è un piano inclinato di 30°, dalla superficie apparentemente levigata composta da erba, roccia e ghiaia e una cresta sommitale dentata. Dopo cinquanta minuti di salita, intervallata continuamente da pause di orientamento (lo ammetto, ho perso un paio di volte la via giusta, ma c'erano tante false indicazioni), vedo finalmente la croce di vetta. Sono in cima al Sassopiatto! Essendo la cima in posizione ravvicinata con il Sassolungo, il panorama in direzione est è il Sassolungo stesso, ma girandosi e osservando in altre direzioni si può ammirare un bel pezzo di Dolomiti, nuvole permettendo. Il Catinaccio e lo Sciliar, in particolar modo, così come i sottostanti prati dell'Alpe di Siusi. Poi la verdissima Val Gardena e i gruppi delle Odle e del Puez che la sovrastano a nord. Ma soprattutto, un inferno di roccia, il paradiso per chi ama questo genere di montagna: le guglie del Sassolungo e delle vette che lo circondano hanno radici profonde, risalgono verso il cielo senza timore. Tra di loro corrono valloni angusti, circondati da pietra terrorizzante e ghiaioni non meno rassicuranti. Un ambiente semplicemente da brividi. Proprio per la notevole inaccessibilità di questo ambiente, il gruppo del Sassolungo non offre molte possibilità agli escursionisti. Se non girarvi attorno.

Il Rifugio Pertini

Sulla cima del Sassopiatto non rimango a lungo. Il giro completo del gruppo richiede sei/sette ore, tanto tempo, e dell'Alpe di Siusi stanno risalendo nuvole che potrebbero significare una discesa nella nebbia. Possibilità che vorrei scongiurare, poter vedere ometti e segnavia è essenziale. Fortunatamente sono partito presto alla conquista del Sassopiatto, lungo la discesa incontrerò almeno una trentina di escursionisti. Tutti ansimanti, alcuni mi chiedono quanto manca alla vetta; io penso invece che potrebbero fare un'alta via valdostana...

In cima al Sassopiatto

Al fondo della discesa trovo una gran folla al Rifugio Sasso Piatto, una struttura datata 1935 ma decisamente rimodernizzata rispetto a qualche anno fa (sono già stato qui in ben tre altre occasioni). Il motivo di tutta questa folla è molto semplice: questo rifugio è una delle escursioni più classiche dell'area, facilmente raggiungibile sia dell'Alpe di Siusi che dal Passo Sella.

Il Sassolungo visto dalla cima centrale del Sassopiatto

La Val Gardena vista dal Sassopiatto

Non è di certo qui che voglio fermarmi, anzi. Il giro del Sassolungo e del Sassopiatto è ancora lunghissimo. Prima di raggiungere il prossimo rifugio (il Rifugio Vicenza, lo Zallinger Hütte lo lascerò alla mia sinistra) serve completare il giro attorno al Sassopiatto, che è veramente una montagna enorme. Il tratto che separa i rifugi Sasso Piatto e Vicenza è forse il più piacevole dell'intero tour, salita e discesa mai difficili si alternano regolarmente e piacevolmente. Tutto il tratto è dominato dalla mole del Sassopiatto, ma soprattutto dai panorami sulla Val Gardena, ma soprattutto sull'Alpe di Siusi. I suoi verdi pascoli, qua e là interrotti da boschi di conifere, rappresentano una delle aree più interessanti delle Dolomiti, ottime se si vuole sperimentare un turismo "lento": raggiungibile in cabinovia e solo parzialmente in automobile, molte possibilità di escursionismo a misura di famiglia, senza dimenticare che il Sassolungo è lì, a guardare il lento scorrere del tempo sull'alpe.
Salita al Sassopiatto esclusa, l'ascesa al Rifugio Vicenza è certamente il tratto più severo fisicamente. Il Rifugio Vicenza è incastonato al termine del vallone del Sassolungo, ai piedi della Punta Dantersas e circondato da tutto il circo di guglie e vette che costituisce il gruppo del Sassolungo: uno dei rifugi alpini più spettacolari che abbia mai incontrato in dieci anni di escursionismo. Per raggiungerlo, bisogna sudare non poco, però.

L'Alpe di Siusi

Il gruppo dello Sciliar

Lo sforzo è però ricompensato dall'ambiente incredibile del Sassolungo. Le pareti attorno al Rifugio Vicenza cadono verticali ed imperiose a poca distanza da questa vecchia struttura che nei giorni d'estate si riempie a dismisura di escursionisti. Da lontano appare come un nido d'aquila, ma sono le immense proporzioni delle vette circostanti che lo rendono così falsamente piccino. Il Rifugio Vicenza è uno dei tanti rifugi dolomitici passati in mano al CAI dopo la Grande Guerra. Questo era proprietà della sezione viennese del DÖAV, prima di passare al CAI di Vicenza al termine della guerra. 

Vista sul Vallone del Sassolungo

Lascio il Rifugio Vicenza diretto al Rifugio Comici, dedicato al grandissimo arrampicatore, morto a Vallunga per un banale incidente in falesia e che sulle pareti del Sassolungo ha firmato una delle sue tante imprese: la prima salita alla guglia che oggi prende il nome di Salame Comici (pare sia impressionante se visto da Santa Cristina in Val Gardena). Se da un lato il Sassolungo offre scarse opportunità escursionistiche, dall'altro ne offre parecchie alpinistiche. Non solo Comici ha lasciato il segno su questo gruppo, ma anche alpinisti di grande spessore, come Gino Soldà, Reinhold Messner, Angelo Dibona e Ivo Rabanser.

Il Rifugio Vicenza

Questo è un tratto lungo e che mi ha provato fisicamente, il continuo saliscendi su sentiero "scomodo", pieno di sassi e roccette, l'aggirare lo sfasciume... si fa sentire sulle gambe. D'altro canto, il panorama sull'Alpe di Siusi e sulla Val Gardena (curiosità: si può vedere anche il tratto iniziale della Saslong, la pista in cui si disputano le gare di Coppa del Mondo di sci alpino) rimane immenso, fino alla Forcella Ciaulonch. Lungo tutto questo tratto, si può toccare con mano la possanza e la verticalità delle pareti del Sassolungo: rimanendo sul sentiero alto (dopo la Forcella Ciaulonch si può continuare il percorso su un sentiero più agevole in basso) ci si cammina a fianco, a volte su una piccola cengia. In alcuni tratti, invece, il sentiero "entra" nella pietra e si può camminare proprio sotto la nera roccia del Sassolungo. Proprio qui si può meglio apprezzare l'origine del Sassolungo e delle rocce che lo compongono, un enorme affioramento calcareo proiettato direttamente verso l'alto, dove non esistono fasce intermedie tra i pascoli e la roccia. Alzando lo sguardo, lo strapiombo del Sassolungo è assolutamente impressionante. 

Scorci di Val Gardena

Al Rifugio Comici (più ristorante di classe che rifugio alpino, mi preme segnalare) appare finalmente anche il Gruppo di Sella. Ne approfitto per fermarmi e bere qualcosa di fresco. Caronte è arrivato anche qui, in quota, e ho una sete pazzesca. Dal Rifugio Comici fino ai rifugi del Passo Sella (Passo Sella, Valentini, Salei), il sentiero è un grande balcone sul Gruppo di Sella e sulle vette del gruppo. Da qui, le vette del Sassolungo iniziano finalmente a diventare chiare, o meglio, riconoscibili. Ci ho messo una giornata, ma infine sono riuscito a distinguere il Sasso Levante (o Punta Grohmann, dedicata al primo salitore del Sassolungo, Paul Grohmann) dalla Torre Innerkofler e il Sassolungo dalle Cinque Dita. Una curiosa leggenda è legata al nome di questa vetta, che in realtà è fatta di molteplici punte. Si narra che nei dintorni del Sella vivessero giganti pacifici in pace ed armonia con i montanari. Uno di loro, il Sassolungo, era però più discolo e si divertiva a farne di ogni colore agli alpigiani. I giganti non vollero credere alle sue bugie e per mezzo di un incantesimo venne seppellito sottoterra. Ma rimase fuori una mano, quella che oggi prende il nome di Cinque Dita.


Il Salame Comici

Prima di arrivare al Passo Sella, si incontra un'area che è curiosamente denominata Città dei sassi. Si tratta di enormi e spettacolari blocchi che si sono letteralmente staccati dalla parete est del Sassolungo (circa diecimila anni fa). Questo è l'unica traccia intermedia tra la parete verticale e i pascoli circostanti nel gruppo del Sassolungo. Tutti i grandi giganti dolomitici sono circondati da ghiaioni e zone di frana (uno degli esempi più lampanti è il gruppo delle Tre Cime di Lavaredo), mentre il Sassolungo no. La Città dei Sassi è l'unica traccia di una frana nel gruppo del Sassolungo; il sentiero basso tra il Rifugio Comici e il Passo Sella si perde in questo labirinto di massi, un labirinto che suscita grande malinconia. Perché, presto o tardi, questa sarà la fine delle Dolomiti, indipendentemente all'antropizzazione di questa area o dai cambiamenti climatici. 

La Città dei Sassi

Cerco di superare il più velocemente il bailamme di Passo Sella. Un paradiso rovinato dalla mercificazione del territorio: alberghi che si professano rifugi, orrendi impianti di risalita per sciatori, sentieri che sono stradone, orrendi parcheggi. Affronto l'ultimo dura salita del giro, quella alla Forcella Rodella, il passo che sta ai piedi del Col Rodella, ove arriva una funivia dalla Val di Fassa. Tutte le opere che si trovano qui sono decisamente invasive sul paesaggio del Passo Sella, assai poco rispettose dell'ambiente e del panorama di uno dei più meravigliosi passi dolomitici. 

Il gruppo di Sella

Dal Col Rodella il giro del Sassolungo e del Sassopiatto segue il sentiero noto come l'Alta Via Federico Augusto. Parte dal Col Rodella e termina all'Alpe di Tires, e prende il nome dal re di Sassonia, Federico Augusto III. Oltre ad essere un sovrano, Federico Augusto III era un escursionista e uno scalatore provetto. Quando veniva in montagna (soggiornava a Siusi allo Sciliar) amava rimanere nell'anonimato, mescolandosi a montanari e scalatori. Era un alpinista instancabile, i suoi accompagnatori lo descrivono come un amante della natura, è per amore della natura non si poneva problemi ad affrontare gelo e pioggia, o lunghe escursioni di oltre dieci ore. Proprio per questi motivi era molto amato dai montanari di Siusi e dalle sue guide. Nell'occasione della sua scalata al Großglockner, fece recapitare alle sue guide un prezioso premio: una fibbia d'argento decorata con il simbolo della corona sassone. Un monarca come pochi.

Praterie fiorite sotto il gruppo del Sassolungo

A Federico Augusto III è dedicato anche un rifugio, l'ultimo prima di raggiungere nuovamente il Rifugio Pertini. Un rifugio meraviglioso, curato nei minimi dettagli, quasi un albergo in quota, e arricchito di tanti stereotipi di matrice tedesca. Cameriere in abiti bavaresi, tavoli sistemati come un Biergarten, la musica di Heidi dalle casse. È chiaramente un rifugio che vuole attrarre i gitanti di un giorno, vista la vicinanza con il Passo Sella, ed è meno interessato agli alpinisti.
Al Rifugio Pertini non manca più molto. Il sentiero si restringe e corre sempre vicino alla roccia, talvolta superando qualche canalone detritico. Occhi in basso per vedere dove si sta andando, occhi in alto per osservare lo spettacolo della roccia del Sassolungo, che proprio nel versante sud concentra diverse vette. Quando vedo che il Dente del Sassolungo, sotto il quale si trova il Rifugio Pertini, è più vicino, capisco che la fine delle fatiche è giunta, e il favoloso giro del Sassolungo e del Sassopiatto è concluso! Ora un po' di riposo è necessario, perché domani avrò ancora a che fare con il Sassolungo, e questa è una montagna che fa sudare...
A presto!
Stefano

lunedì 17 luglio 2017

Il momento del Sassolungo

Tre Cime di Lavaredo: fatto. Marmolada: fatto. Ora è il momento del gruppo del Sassolungo. L'ultima parte della settimana dolomitica ha inizio ora, dal Passo Sella, un tempio per chi conosce e ama la montagna, da dove raggiungerò il Rifugio Pertini, che sarà la base dei prossimi due (ed ultimi) giorni di escursioni tra Trentino-Alto Adige e Veneto, due giorni su sentieri conosciuti e lungo percorsi che i miei scarponi non hanno ancora calcato. Ai piedi (e non solo, se il meteo lo consentirà) di alcune tra le più suggestive vette delle Dolomiti.

Di fronte ad un tempio della montagna. Foto di archivio, 8 luglio 2011

Solo percorrere la tortuosa strada che porta al Passo Sella può provocare un tuffo al cuore...addentrarsi nei sentieri che partono da qui, non potrà che essere spettacolare!
A presto! (che mi aspettano in rifugio...)
Stefano

Marmolada, è solo un arrivederci

Il giro della Marmolada è concluso! Stamattina, in circa due ore, ho terminato la quarta ed ultima tappa attorno al gigante delle Dolomiti, dal Rifugio Contrin, in cui ho pernottato stanotte, fino a Canazei. È stata un'ultima tappa felice e nostalgica allo stesso tempo. Come spesso capita in queste occasioni, da una parte c'è la gioia di aver completato un percorso naturalisticamente e panoramicamente meraviglioso, non difficile ma a tratti arduo; dall'altra, c'è la malinconia della fine di un viaggio - e quando questo è fatto di momenti che rimarranno nell'archivio dei bei ricordi, è ancora più difficile.

Le acque del torrente Avisio a Canazei: il giro della Marmolada (sullo sfondo) è terminato! 

L'ultima tappa è stata una lunghissima discesa, a parte alcuni brevi tratti di salita, verso Canazei, sfruttando inizialmente la sterrata che corre a fianco del Rio di Cirelle, e successivamente il sentiero denominato Troj di Ladins. Anche stavolta ho iniziato l'ultimo tratto di cammino presto, quando il Sass Vernale, sotto la quale vetta sorge il Rifugio Contrin, è ancora all'ombra. Tutto il sentiero, nei tratti iniziali è all'ombra, è così presto che pure questo sentiero - un classico dell'escursionismo in Val di Fassa - sempre affollato è vuoto; durante la discesa incontro solo un anziano signore che mi apostrofa così: "Giovanotto, perbacco che zaino!" (non a torto). Di illuminato, però, c'è già il gruppo del Sassolungo. Sul Sassolungo e sul gruppo di Sella, tutto il sentiero offre numerosi spunti panoramici, quasi come a voler dire: hai finito il giro della Marmolada, ora tocca a noi.
E ora tocca a lui! 

Ma la Marmolada rimane lì, fiera e leggiadra. La potrò rivedere ancora nei prossimi giorni, certo. Ma la rivedrò in futuro. Ci porterò la mia famiglia, farò vedere loro dove ho camminato, farò vedere loro quanto è meravigliosa questa montagna.
A presto!
Stefano

domenica 16 luglio 2017

La luna all'Ombrettola

Dopo la tappa più lunga, ecco che arriva la frazione con il passaggio più alto di quota. E con la quale si conclude sostanzialmente il giro della Marmolada. Domani, la lunga discesa verso Canazei sarà il veloce epilogo a tre giorni di trekking in compagnia di un maestoso massiccio come quello della Marmolada.

Dal Passo d'Ombrettola

Per raggiungere il Rifugio Contrin, avevo due possibilità di percorso. Esse coincidono con altrettanti passi: il Passo Ombretta, a quota 2704; il Passo d'Ombrettola, a quota 2864. Il gestore del Rifugio Falier mi consiglia il secondo che, sebbene comporti un dislivello e una estensione chilometrica superiori da coprire, è un sentiero migliore per panorama, sia sul versante veneto verso Rocca Pietore, sia sul versante trentino verso Canazei. Il motivo è molto semplice: il panorama è indiscutibilmente superiore salendo e scendendo dal Passo d'Ombrettola. In salita, restando il sentiero sul lato del Monte Fop e del Sasso Vernale, consente una migliore visuale sulla parete sud della Marmolada; in discesa, la vista può spaziare sulle cime che separano le due valli di San Nicolò e San Pellegrino. E non solo, come scoprirò più tardi.

La parete sud della Marmolada

Inizio la tappa molto presto. Il Rifugio Falier, come ogni rifugio CAI che si rispetti, consente di fare colazione già all'alba. E il Falier ospita sempre qualche alpinista pronto a cimentarsi con qualche via sulla sud della Marmolada, che necessita di lasciare il rifugio quando è ancora quasi notte. L'affollamento del rifugio, inoltre, mi induce a svegliarmi anticipatamente per poter essere alle 6 in prima fila per fare colazione. E così, non sono neanche le 7 che sono già in cammino verso il Passo d'Ombrettola, quando del Pelmo si intuiscono solo i contorni e alle spalle la Valle Ombretta è di un verde ancora tenue, illuminato com'è dalle prime luci del giorno. Decido di intraprendere la salita con passo tranquillo, perché so che la tappa non sarà eterna come quella del giorno precedente, ma anche perché il tallone dolorante durante la tappa precedente dà ancora fastidio.

Valle d'Ombretta alle prime luci del giorno

Salendo guardo costantemente la parete sud della Marmolada, una delle più ambite dagli alpinisti di tutto il mondo. Su questa roccia tanti fuoriclasse dell'alpinismo hanno lasciato un segno indelebile: Gino Soldà, Ettore Castiglioni, Reinhold Messner, per citarne alcuni. Altri alpinisti invece, come Heinz Mariacher, Maurizio Giordani e Armando Aste, legheranno per sempre il loro nome e la loro carriera alpinistica a questa parete. Una parete che sembra così aspra, come fatta di tante enormi e spesse dita, levigate dal tempo e dall'acqua, che si protraggono verso il ghiaccio della Marmolada. Quando i primi raggi del sole filtrano e vanno ad illuminare le punte di queste dita di roccia, la sud della Marmolada si trasforma in una superba visione.

La luna nel Vallone d'Ombrettola

A mano a mano che guadagno quota, la sud della Marmolada si cela sempre di più per far spazio ad un altro monolite, il Sasso Vernale, poca cosa rispetto alle dimensioni della Marmolada, ma che risulta imponente perché vi cammino a fianco. Il sentiero sale su regolare, ripido ma senza eccessi, prima su prati e poi sullo sfasciume tipico delle alte quote dolomitiche.
Il paesaggio roccioso che mi accompagna fino al Passo d'Ombrettola è grazia selvaggia. Sulla destra ho le forme oblunghe del Sasso Vernale, sulla sinistra si apre un circo di pietra con le vette del Monte Fop, del Sasso di Valfredda e della Cima d'Ombrettola. Uno scenario che adoro, quando mi trovo da solo, nel silenzio delle alte quote, circondato esclusivamente da roccia. I verdi prati della Valle Ombretta sono lontanissimi, attorno a me c'è solo un silenzio che viene interrotto momentaneamente da qualche piccola frana in lontananza.

Ed è solo roccia e pietrisco

Ma in realtà non sono solo. Non lontano da me ci sono tantissimi ungulati. Solo col binocolo scoprirò trattarsi di stambecchi. Inizialmente non ero riuscito a intuire se fossero stambecchi o camosci, ma la potenza del binocolo ha chiarito tutto: sono stambecchi, che essendo relativamente giovani, hanno le corna più corte. Con uno di loro, più anziano e probabilmente più abituato a trovarsi a tu per tu con l'uomo, ingaggio un emozionante faccia a faccia, a suon di scatti fotografici.

Pascolando all'ombra del Sassolungo

Sono quasi sotto il passo, dove si trova il tratto più difficile della salita. Lo sfasciume è tale che un passo in avanti ne comporta un mezzo in indietro. È la regola di questo tipo di terreno. Ma il cielo inizia a prendere sempre di più il largo, al colle manca pochissimo. Dunque arrivo al Passo d'Ombrettola. Eh, qui mi fermerò a lungo, perché il panorama che da questo passo si può osservare è qualcosa da riverire a lungo. Di fronte a me, con lo sguardo verso la discesa intercetto con la vista il gruppo del Sassolungo e del Sassopiatto, più a sinistra l'imponenza del Catinaccio. Grandiose le Cime Cadine e la Cima dell'Uomo (un altro tremila dolomitico), oltre le quali spuntano alcune lontane vette innevate: sono l'Ortles, il Cevedale e la Palla Bianca. Se invece mi giro, posso vedere tanti altri gruppi dolomitici: Croda dei Toni, Sorapiss, Antelao, Pelmo, Civetta. Ci sono vette a sufficienza per dichiarare il Passo d'Ombrettola come uno dei migliori balconi delle Dolomiti. Grazie, Dante Dal Bon (gestore del Rifugio Falier)!

Stambecco solitario

La discesa invece si rivela più ardua del previsto. Bisogna affrontare uno sfasciume come in salita, ma la differenza è che si presenta molto più ripido e in alcuni tratti non vi è segnavia. Solo dopo essere sceso di 150/200 metri - ed essermi fermato ripetute volte per togliermi dei sassolini dagli scarponi - ritrovo finalmente segnavia ed ometti di pietra, che mi rendono più agevole la discesa. Impossibile perdersi quando attorno a te c'è un deserto di roccia, ma il buonsenso del camminatore suggerisce sempre di restare su un sentiero segnato.

Il gruppo del Sassolungo visto dal Passo d'Ombrettola

Quando finisce lo sfasciume, iniziano i pascoli. E che pascoli. Verdissimi, protetti da montagne imponenti. Attraversare queste praterie è un idillio. Passeggiare tra i rododendri e i pini o tra prati al culmine della loro fioritura, dove l'unico rumore, oltre allo scroscio dei torrenti, sono le scampanellate delle mucche... Beh, questo è il paradiso!

Arrivato al Rifugio Contrin

Il Rifugio Contrin non è lontano, l'ho individuato quando ero ancora tra le pietre. Basta scendere, un passo alla volta, e raggiungerò la meta di questa tappa. Non ho fretta. È solo ora di pranzo, e in un'assolata domenica estiva, un rifugio ha molto da fare. Mancheranno cinque minuti al rifugio, io mi metto all'ombra di un piccolo pino. Guardo tutto ciò che mi circonda, e provo a vivere questi momenti intensamente. So che non potrò godere della pace e della bellezza di questi luoghi a lungo. Domani... c'è Canazei!
A presto!
Stefano

sabato 15 luglio 2017

Sempre più piccolo

Ciao a tutti!
La seconda tappa del Giro della Marmolada, dal Rifugio Viel dal Pan al Rifugio Falier si prospettava come la più lunga in assoluto nel tour attorno alla "regina delle Dolomiti". Lunga lo è stata eccome, perché in una sola tappa sono passato dal trovarmi di fronte alla parete nord, quella del ghiacciaio e del Passo Fedaia, fino all'arrivo sotto la parete sud, dove si trovano i più importanti itinerari di arrampicata. Lunga e dura, certo, ma anche estremamente panoramica.

Il Rifugio Padon all'ombra della Marmolada

Il Rifugio Viel dal Pan può vantare infatti una balconata incredibile, situato com'è, appena sotto la cresta che separa le valli che portano ai passi Pordoi e Fedaia. La mattina si apre con un cielo terso, preludio di una buona giornata. Il colpo d'occhio sulla Marmolada e sul sottostante Lago di Fedaia è memorabile. Dispiace invece constatare l'ulteriore arretramento del fronte del ghiacciaio. Rispetto a sei anni fa, il ghiaccio ha perso terreno (100-150 metri?) e l'estremità del massiccio della Marmolada è sempre più grigio e sempre meno bianco. Lo scioglimento dei ghiacciai è un problema globale ma fa male vederne le conseguenze su un ghiacciaio relativamente piccolo - il più grande nelle Dolomiti, che non conta molti ghiacciai.

Scrutando la Marmolada

Per lunghissima parte della tappa, il sentiero rimane in quota, tra 2300 e 2500 metri di altitudine, tagliando a mezza costa quei rilievi che separano il Fedaia e il Pordoi, che fanno capo al Sasso Cappello e alla Mesola. Talvolta si aprono notevoli scorci panoramici, in particolar modo sul Gruppo di Sella, esattamente di fronte alla Marmolada, sulle Tofane e sulle Dolomiti di Fanes, con meravigliosi scorci sui verdi pascoli della Val Badia.

Piz Boè, Arabba e oltre

Il sentiero è estremamente comodo e praticabile. Nessuna salita particolarmente faticosa, nessuna discesa ripida. Incontro due rifugi, il Rifugio Gorza e il Rifugio Padon, situati all'arrivo degli impianti che portano gli sciatori in quota, rispettivamente da Arabba e da Malga Ciapela. Il primo che ho citato, posto al Passo di Porta Vescovo, è un enorme struttura, moderna recentemente rinnovata, e... chiusa. L'afflusso turistico estivo non può essere paragonato a quello invernale, ma con l'aria fredda che tirava oggi...qualcuno si sarebbe sicuramente fermato a consumare qualcosa di caldo! Il Rifugio Padon è invece vivo e vegeto ed è collocato nella posizione ideale per una sosta a base di caffeina.

Il Lago di Fedaia

Effettivamente dopo un paio d'ore in quota, anche se assolutamente non dure, una piccola pausa non fa male. Perché ciò che mi attende è una lunghissima discesa a valle, seguendo in parte un percorso denominato Alta Via delle Creste. Non scendo subito di quota, rimango su pendii erbosi per parecchio tempo (al punto tale che mi sorge spontaneo chiedermi se non sto sbagliando sentiero), fino ad arrivare ad un piccolo passo, il Passo delle Crepe Rosse. Di qui inizia una discesa difficile, su un sentiero stretto e ripido, da affrontare con le giuste cautele, qualcosa che non mi consente di buttar l'occhio sulla Marmolada. Circa trecento metri di discesa che mi spaccano in due le gambe al punto tale che, quando ritrovo un po' di pianura, mi stendo per terra stremato. Ho infatti trovato un prato tra alcune casette (di pastori, suppongo) nella località Ère, perfetto per riposarmi e per rifocillarmi.

Dopo la discesa dal Passo delle Crepe Rosse

Come da consiglio dell'istrionico gestore del Rifugio Viel dal Pan, evito di continuare il mio giro della Marmolada lungo la strada che scende dal Passo Fedaia a Rocca Pietore, ma sfruttare la pista di sci che corre al suo fianco. Tra vaste praterie ai piedi della Marmolada, boschi e greggi di pecore impazzite, raggiungo velocemente Malga Ciapela. Ma con la mente torno indietro di quasi vent'anni. Era il 1998 e in questa località transitava il Giro d'Italia. Proprio a Malga Ciapela, a pochi chilometri dallo scollinamento del Passo Fedaia, ci fu lo scatto decisivo che permise a Marco Pantani di conquistare la maglia rosa. Dolci e nostalgici ricordi di gioventù.

Ère

Dalla stazione della funivia che sale alla Punta di Rocca della Marmolada, inizia di fatto la salita che chiude la tappa odierna al Rifugio Falier. La strada sale blandamente, per poi inerpicarsi tramite una serie di ripidissimi tornanti all'interno di una fitta foresta di conifere. Non è tardi, non ho fretta, quindi salgo con calma, mantenendo un passo lento e regolare, cosicché, quando gli alberi iniziano a diradarsi, posso godermi il panorama sul Pelmo e sulla Civetta.

Valle Ombretta e la sud della Marmolada

Il tratto di salita più arcigno termina a quota 1900 metri, agli alpeggi di Malga Ombretta. Sono pascoli meravigliosi, questi. Praterie appartate, racchiuse a nord della parete meridionale della Marmolada e a sud dalle pendici del Monte Fop. Qui ho il primo contatto visivo con ciò che è la parete sud della Marmolada: un grandissimo anfiteatro roccioso, un complesso sistema di colonne calcaree che sembrano fatte apposta per essere scalate. Chissà quanti scalatori hanno visto i bovini della Valle Ombretta, mi chiedo.

Il Rifugio Onorio Falier, ai piedi di una delle più belle pareti dolomitiche

Verso il termine della tappa, inizia ad acutizzarsi un problema al piede destro. Sembra una infiammazione tendinea, che ipotizzo dovuta alla mia disabitudine agli scarponi da montagna. Gli ultimi metri di salita sono duri, faccio fatica a spingere con forza. Mi dà carica vedere il Rifugio Falier, inizialmente minuscolo e illuminato dalla luce del tardo pomeriggio, sempre più vicino a me, protetto dalla sud della Marmolada e da un fresco boschetto che lo circonda.

Tramonto sul Pelmo, mi mancava...

All'arrivo sono piuttosto sudato, ma felice, confortato dall'animosità festosa del rifugio, già intasato da una comitiva della sezione di Villasanta del Club Alpino Italiano. La tappa più lunga è conclusa, e ora nulla mi può togliere un più che meritato riposo, all'ombra della regina Marmolada.
A presto!
Stefano

venerdì 14 luglio 2017

Viel dal Pan

Ciao a tutti!
La prima tappa del Giro della Marmolada si è conclusa molto velocemente. Meno di un'ora di cammino in quota, per prendere confidenza con nuovi panorami e con nuove montagne. Niente di più di una passeggiata in totale relax, quello che ci vuole per risparmiare le energie in vista di giornate assai più faticose.
Scelgo l'avvicinamento in cabinovia (da Canazei a Pecol) e funivia (da Pecol al Col dei Rossi), per comodità e tempo. 

In cammino verso il Rifugio Viel dal Pan, con un occhio al Lago di Fedaia

Arrivato a Canazei intorno alle 16.30, dopo tre ore di cammino nelle gambe (la discesa dal Rifugio Lavaredo a Carbonin) e dopo aver valicato tre passi in automobile (Cimabanche, Falzarego e Fedaia), l'ipotesi di arrivare in rifugio in serata inoltrata non mi fa fare salti di gioia. Per una volta mi concedo questa comodità e si, lo dico, il giro della Marmolada comincia dal Col dei Rossi.

Sassolungo e Sella, che vista dal Col dei Rossi! 

Col dei Rossi è una balconata pazzesca sulle vette che circondano Canazei - che per questo motivo, secondo me, rimane la località dolomitica più versatile in assoluto. Verso ovest, Sassolungo e Sassopiatto, parzialmente avvolti in quella nebbia estiva che succede ad un temporale. Verso nord, la meravigliosa stratificazione del Gruppo di Sella. Verso est/sud-est, la Marmolada e il suo piccolo ghiacciaio, difesa da quello scudo di roccia argentea del Gran Vernel. C'è materiale a sufficienza per fermarsi qui. 

Il sentiero del pane, che porti alla Marmolada? 

Invece no, si deve iniziare il cammino che mi porterà al primo rifugio sul giro della Marmolada, il Rifugio Viel dal Pan. Dopo aver superato la zona degli impianti sciistici e delle piste di discesa per biker, su strade ampie, si imbocca l'omonimo sentiero Viel dal Pan. Il nome curioso si potrebbe tradurre in "sentiero del pane". Il tracciato del Viel dal Pan collega Canazei al Passo Fedaia passando per il Passo Pordoi, ed era una delle vie di comunicazione preferite per le genti di montagna, prima che i passi alpini come li conosciamo ora prendessero il sopravvento. 

L'accogliente Rifugio Viel dal Pan

Il Viel dal Pan è un sentiero incredibile. Sempre in quota, intorno a 2400 metri, taglia a mezza costa le pendici del Pre de Ciapel, garantendo costante visuale sulla Marmolada e dunque sul Lago di Fedaia. Sale e scende, scende e sale, ma si percorre facilmente, senza fatica. Mi disturba un po' il vento e finalmente, quando compare il Rifugio Viel dal Pan, sono decisamente contento. Il panorama non si discute, ma il freddo...

Luci del tramonto sul Gran Vernel


Con calma, dopo la doverosa cena a base di salsiccia, polenta e funghi, mi affaccio dalla balconata del rifugio per scrutare meglio il panorama. Realizzo che questo è uno dei rifugi alpini tra i più suggestivi quanto a posizione. In un sol colpo d'occhio si va dalle pareti del Civetta, alla superficie ora dai riflessi metallici del Lago di Fedaia, dalla tozza parete nord della Marmolada a quel Gran Vernel che il tramonto si diverte a colorare di oro. Ci sono molte nuvole in cielo, ma queste non sono fatte per restare. Sono nate per muoversi e domani potrebbero non esserci più. Per poter godere al meglio di tutto lo splendore dell'avvenente "Regina delle Dolomiti"...
A presto!
Stefano

Regina delle Dolomiti

Ciao a tutti!
Stamattina ho salutato le Tre Cime di Lavaredo...
Quando si ha di fronte per l'ultima volta (sempre sperando che ci sia una prossima volta) qualcosa di così meraviglioso come le Tre Cime di Lavaredo, non si può non essere (almeno un pochino) tristi. Quella sensazione di improvvisa malinconia però può svanire, sapendo che qualcosa di altrettanto grande sta per riempire i giorni che verranno. Tutto ciò, nel mio caso, prende il nome di Marmolada, la più alta vetta dolomitica, e sarà attorno alla sua mole di roccia e ghiaccio che camminerò nei prossimi giorni.

La Marmolada e il suo ghiacciaio. Foto di archivio, 4 luglio 2011

Quattro giorni di trekking, tre notti in rifugio, questo è il programma necessario per compiere il giro della Marmolada:
- venerdì 14 luglio: Canazei - Rifugio Viel dal Pan (con avvicinamento in cabinovia e in funivia)
- sabato 15 luglio: Rifugio Viel dal Pan - Rifugio Onorio Falier
- domenica 16 luglio: Rifugio Onorio Falier - Rifugio Contrin
- lunedì 17 luglio: Rifugio Contrin - Canazei
Il sentiero inizia ora, dal belvedere di Col dei Rossi, sopra Canazei, balconata sui grandi gruppi dolomitici. E mi accompagnerà per quattro giorni, sicuramente indimenticabili.
A presto!
Stefano

Un arrivederci nella nebbia

Ho salutato le Tre Cime di Lavaredo. È stato un saluto malinconico, reso ancora più carico di intrinseca nostalgia, da una nebbia che non mi ha permesso oggi di guardarle ancora una volta nella loro interezza. La nebbia deforma, modella, cambia le immagini, anche di queste montagne tra le più iconiche delle Alpi. 

Nebbia alla Forcella Lavaredo

E fortunatamente è stata solo nebbia. Perché la notte ha portato pioggia, tanta pioggia. Pioggia che ho anche incontrato nella prima parte del sentiero che ho percorso per tornare a Carbonin. Il Rifugio Lavaredo è avvolto da una coltre che sembra invalicabile, la stazione meteorologica indica una decina di gradi e umidità ai massimi livelli. Oggi sarà una giornata diversa dalle precedenti, ma lo sapevo già dalle ultime previsioni. Anche delle Tre Cime di Lavaredo non c'è traccia. Solo la Cima Piccola si può vedere da sud, ma dalla Forcella Lavaredo non si intravede alcunché se non la roccia alla base. In cuor mio speravo di poterle vedere ancora una volta nel loro profilo più classico.

Il massimo visibile delle Tre Cime, stamane

Mestamente, scendo lungo il comodo sentiero che va verso il Locatelli-Innerkofler, salvo poi scartarlo per scendere deciso verso Landro, percorrendo il sentiero che corre lungo la Val Rienza. Incontro anche una leggera pioggerellina, che mi costringe ad indossare la giacca a vento. Nulla di serio, per fortuna. Qualche timido tentativo di schiarita si intravede all'orizzonte: la Croda Rossa si scopre e lentamente sempre più parete delle Tre Cime si mostra ai miei occhi.

Val Rienza

Scendendo lungo la Val Rienza, le Tre Cime spariscono lentamente dalle mie possibilità di osservazione. Il sentiero scende ripido verso valle, in un'alternanza di scoscesi gradini glaciali e falsopiani gradevoli. Questo sentiero è un'ottima via d'accesso per chi vuole raggiungere le Tre Cime senza sfruttare la strada che giunge da Misurina, perché se da un lato è ripido, dall'altro va detto che ci sono più occasioni per respirare e prendere fiato. E non trascurerei quel dettaglio che è la soddisfazione di vedersi comparire tutt'a un tratto queste vette così desiderate...

Il Lago di Landro, ai piedi del gruppo del Monte Cristallo

La discesa termina a Landro, una frazione di Dobbiaco nota per l'omonimo lago, uno specchio d'acqua di un'aspra tonalità celeste. Da qui ritorno a Carbonin seguendo la Ciclabile Dolomiti, un comodo percorso situato sulla vecchia ferrovia che collegava Cortina d'Ampezzo a Dobbiaco, sede di una delle più interessanti competizioni podistiche estive, la Cortina-Dobbiaco Run (il runner in me già ci pensa). Gli ultimi chilometri prima di ritrovare la mia automobile sono al cospetto del Monte Cristallo. La sua bellezza, e il sapere che fra poco mi attenderanno altri percorsi dolomitici, attenua la malinconia di questo saluto alle Tre Cime, di un arrivederci consumato troppo in fretta. Come sempre, quando si parla di montagne speciali.
A presto!
Stefano

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