mercoledì 30 novembre 2016

Bye bye autunno - Nell'isola del vino

Ciao a tutti!
Sebbene i boschi della nostra cara Franconia paradossalmente appaiono ancora vivaci e colorati, in questi giorni l'autunno ci sta definitivamente salutando. Il termometro scende da due notti sotto lo zero e questo è il presagio che la stagione più rigida è dunque arrivata. Arrivano i mercatini di Natale e come è giusto che sia, fa un freddo che solo il Glühwein può calmare. Bye bye autunno, quindi. Il saluto ad uno dei momenti in cui splende tutta la bellezza di questa terra lo voglio fare con le fotografie scattate un mese fa circa, durante una gita fuori porta nella Weininsel, la rinomata "isola del vino" in cui vengono coltivati i migliori vigneti della Franconia. Colline, piantagioni e scenari che in autunno si colorano di intense tonalità gialle e rosse. Una bella cartolina dunque, da Nordheim am Main e Volkach, i paesi più "alcolici" di questa terra.
















Bis bald!
Stefano

domenica 27 novembre 2016

Basta un...

Ciao a tutti!
Raramente parlo di politica, perlomeno su questo blog. Ne parlo in famiglia, ne parlo con gli amici, come è normale, ne discuto anche seppur più limitatamente sui social network. Stavolta ne voglio parlare anche qui, su queste pagine, perché la scelta che ci viene posta dinanzi con il referendum del 4 dicembre è una scelta tutt'altro che banale. Con questo voto popolare ci si gioca il futuro e il destino dell'Italia, nel bene o nel male. Onestamente parlando è assai difficile dire se è meglio votare a favore della Riforma costituzionale Renzi-Boschi oppure se è meglio rigettarla mantenendo l'attuale impianto della Costituzione.
In ogni caso, il mio voto sarà infine una scelta senza entusiasmo. Perché la Costituzione è vecchia, ma questa riforma non è esattamente tutto ciò che servirebbe.

Dilemma

Perché SI. Questa Costituzione necessita di cambiamenti. La nostra Costituzione è molto bella ma era adeguata ad una situazione storica di settant'anni fa, mentre ora appare decisamente sorpassata. Il bicameralismo paritario, per esempio, è una caratteristica che poteva essere utile dopo anni di dittatura, non ora che l'Italia è una democrazia matura.
L'abolizione del CNEL, un ente oltremodo inutile (e sinceramente, chi sa cosa è e che funzioni svolge?), è un altro punto a favore. 
Alcune materie vengono accentrate, passando dalla competenza regionale a quella del Parlamento: meno conflitti su tante tematiche la cui legislazione appare confusa. Le regioni perderebbero un po' di forza, ma dopo i vari scandali che hanno coinvolto più di un ente regionale, non è certo un male.
Un restyling della Costituzione è indispensabile, se non si vota per il Si ora, chissà quanto tempo si dovrà aspettare: dieci anni? trent'anni? I nostri politici storicamente non brillano certo per velocità di esecuzione, se non quando interessa a loro.
E poi, votare come vota certa gentaglia (il termine "accozzaglia" non è poi così sbagliato) proprio non mi piace. Sapere che a votare No ci saranno ignorantoni come Matteo Salvini, populisti come Beppe Grillo, criminali come Silvio Berlusconi e addirittura impresentabili "sigle politiche" come Forza Nuova... mi spinge a votare Si senza ulteriori riflessioni.

Buoni motivi per votare SI...
Perché NO. Con il "combinato disposto" della Riforma costituzionale e della nuova legge elettorale, c'è una tendenza a "sdemocratizzare" il paese. Non diventeremmo una dittatura, questo no, ma il potere popolare, quel poco che effettivamente c'è, verrebbe diminuito. Il Senato non viene più eletto ma nominato dalle Regioni. Il numero di firme necessarie per un referendum di iniziativa popolare viene triplicato in luogo di un abbassamento del quorum. Meno democrazia, in sostanza.
Meno spese? Si, se si fosse abolito il Senato. E i rimborsi-viaggio di sindaci, presidenti e consiglieri regionali? Un costo che va comunque sostenuto. E sempre restando sul Senato, come può un sindaco adempiere in modo adeguato ad un doppio incarico?
Leggi più veloci? Un Senato così stravolto rischia solamente di complicare il processo legislativo nelle materie in cui il Senato mantiene il potere di legiferare. All'Italia servono leggi di qualità migliore, non leggi più rapide (l'ha detto pure il Financial Times due mesi fa circa). Anche perché quando i parlamentari italiani vogliono essere veloci lo sono eccome: basti vedere la legge Fornero per credere.
Dulcis in fundo, un'ultima considerazione da votante come cittadino italiano residente all'estero. Dove è finita la par condicio? La lettera del primo ministro Renzi agli italiani residenti all'estero, oltre ad essere lo specchio delle manie di auto-protagonismo del nostro premier, è un meschino tentativo di portare a favore del Si un elettorato che spesso - per varie ragioni - si autoesclude dall'informazione di ciò che succede in Italia. Va bene fare propaganda, ma in pari condizioni. Fortunatamente si è risolta nel più clamoroso degli autogol.

...e per votare NO

Insomma, i buoni motivi per dire Si e quelli per dire No ci sono eccome. Ciò che è importante è recarsi alle urne ed esprimere il proprio voto. Perché qui si gioca il destino del nostro paese e, dal mio punto di vista, astenersi non serve a niente. Bisogna rispondere presente, innanzitutto per far sapere alla nostra classe politica che l'Italia c'è, è viva. Poi si accetterà il risultato del voto, qualunque esso sia. Non sapremo cosa succederà, ma non ci saranno apocalissi, né con la vittoria del Si, né con la vittoria del No.
Bisogna però prendersi la responsabilità della propria scelta. La storia dell'Italia, ce lo hanno insegnato a scuola, passa dai referendum.

venerdì 25 novembre 2016

Grandi americani

"As a songwriter, a humanitarian, America's rock and roll laureate, and New Jersey's greatest ambassador, Bruce Springsteen is, quite simply, The Boss. Through stories about ordinary people, to Vietnam veterans to steel workers, his songs capture the pain and the promise of the American experience. With his legendary E Street Band, Bruce Springsteen leaves everything on stage in epic, live, communal live performances that have rocked audiences for decades. With empathy and honesty, he holds up a mirror to who we are, as Americans chasing our dreams, and as human beings trying to do the right thing. There's a place for everyone in Bruce Springsteen's America."
Barack Obama, Bruce Springsteen's official Presidential Medal of Freedom citation, 23 novembre 2016

Due grandi americani (Getty Images - Alex Wang)



Due giorni fa Bruce Springsteen riceveva dal presidente americano Barack Obama uno dei più importanti riconoscimenti degli Stati Uniti, la Medaglia presidenziale della libertà. Questo è un titolo che il presidente americano conferisce una menzione speciale a tutti gli americani che hanno fornito "un contributo meritorio speciale per la sicurezza o per gli interessi nazionali degli Stati Uniti, per la pace nel mondo, per la cultura o per altra significativa iniziativa pubblica o privata".
Il piacere nel leggere questa notizia è innegabile. Un po' perché vado pazzo per la musica di Bruce Springsteen, un po' perché il personaggio Obama mi piace molto. Ma penso alla parola freedom, libertà. Chi meglio di Bruce Springsteen l'ha raccontata nei suoi testi, veri e propri inni alla libertà. Chi meglio di Barack Obama in otto anni alla Casa Bianca l'ha incarnata nel mondo? Ecco, questa foto, è proprio l'immagine della libertà: un'immagine, tra le più belle del 2016, che guarderò negli anni a venire, con grande rispetto ed ammirazione.

mercoledì 23 novembre 2016

Il tempo di qualità

L'ultimo weekend italiano prima delle vacanze natalizie si è concluso ieri. Tra la pioggia, tra le nuvole, in un clima decisamente malinconico, me ne sono tornato in Germania. Per l'ultima volta nell'anno solare, ho percorso in direzione Germania gli oltre ottocento chilometri che mi separano tra il mio paese di origine e Schweinfurt. Mi ero quasi disabituato a guidare per così tanti chilometri, perché l'ultima volta fu addirittura quattro mesi fa. Non mi era mai accaduto di rimanere per così tanto tempo lontano dal mio paese. Certo, non si fosse messo di traverso un piede rotto, probabilmente sarei tornato ben prima in Italia. Però questa è la realtà dei fatti, e ad essa mi devo adeguare.

Scene da un ritorno in Germania: a Mesocco, sulla salita verso il Tunnel del San Bernardino

Il clima così inclemente ha reso tutto il viaggio verso Schweinfurt più triste. Se è vero che ai sette/otto giorni che trascorrerò in Italia durante le feste natalizie non manca molto - e in mezzo c'è il magico mese dei Weihnachtsmarkt - è altrettanto vero che questi tre giorni pieni in Italia sono stati una manna dal cielo, una ricarica di risorse morali, la miglior cura per la nostalgia del mio paese. Quattro mesi sono un lungo lasso di tempo, ma ho ritrovato tante cose esattamente così come erano rimaste. Qualcosa è cambiato, certamente. Sicuramente, la felicità di tornare in Italia, nel mio paese, con i miei amici, con la mia famiglia, beh, quella non cambia mai. In tre giorni è difficile riuscire dedicare tempo a tutti, sono costretto a dividermi tra le varie persone, ritagliando loro uno spazio di tempo più o meno grande. Un pomeriggio per il nucleo più grande di amici, un pranzo con il mio testimone di nozze, un paio di ore con la mia nonna. Purtroppo non sono potuto andare a trovare i miei vecchi colleghi, ma trovare un momento per tutti è quasi sempre impossibile. «Vieni a trovarmi quando scendi, mi raccomando», questo mi dicono molte persone. Ad ogni rientro mi propongo di vedere questa o quell'altra persona, di fare questa e quell'attività, piuttosto che andare in un certo negozio o visitare un preciso luogo. Tante belle intenzioni, che poi si scontrano con la dura realtà delle cose. Il tempo non è mai sufficiente per tutti i buoni propositi.

Scene da un ritorno in Germania: tramonto sul Lago di Costanza, nei pressi di Bregenz

Ma quel piccolo spazio di tempo che dedico ai miei cari ogni volta che scendo è goduto intensamente, vissuto fino in fondo, indipendentemente dalla sua durata. In oltre tre anni, ho imparato a convivere nel conflitto tra il desiderio e la realtà, e sfruttare al meglio ogni spazio delle mie giornate in Italia. Io lo chiamo tempo di qualità. È tempo di qualità visitare un museo con gli amici e dopo ritrovarsi di fronte al tradizionale bicerin, è tempo di qualità trascorrere due ore con il tuo migliore amico, interrompendo la conversazione solo perché lui deve tornare al lavoro, è tempo di qualità mangiare le castagne assieme ai miei genitori, è tempo di qualità parlare anche solo per dieci minuti con il tuo vecchio compagno di classe che incontri casualmente per le strade del paese, è tempo di qualità trovarsi con gli amici di sempre il sabato sera in un tranquillo locale e parlare, ridere, sparlare e ancora ridere.

Aggiungi didascalia

Gli spazi sono quelli che sono, ma io sono contento di essere sceso per questi spazi. Non mi pesa aver affrontato i cantieri delle autostrade tedesche, le dogane svizzere, la prima neve sul San Bernardino e il maltempo imperante al confine tra Italia e Svizzera. Non mi pesa perché so cosa vado a trovare, perché so che incontrerò le persone che mi fanno stare bene. Vero, non è più come prima, perché adesso mi devo affidare al telefono, alle mail, a Whatsapp o a Facebook - e non è la stessa cosa - ma so che da questi sporadici momenti posso trarre una grande gioia. Gioia che ripaga tutta la stanchezza che accompagna il viaggio di andata e soprattutto quello di ritorno.
Durante il quale sono felice, perché la mia vita in Germania è positiva, ma soprattutto perché penso alla prossima volta. Sempre proiettato sul futuro, con le immagini del passato prossimo fermamente stampate in testa, e un sorriso sul mio volto. E poi dai, la prossima volta sarà Natale. Mica è poi così lontano il prossimo rientro...
Bis bald!
Stefano

martedì 22 novembre 2016

Creta on the road: Sfakiá, il foro è la regola

"Non c'è nessun mistero in fondo a un rettilineo. Il rettilineo non accorcia un bel niente: ti mangia la vita, è un interminabile nulla, una condanna come la galera."
Paolo Rumiz, La leggenda dei monti naviganti
    

Quando ho letto sulla guida di Creta che il villaggio di Hóra Sfakíon era famoso per i cartelli stradali crivellati da colpi d'arma da fuoco ho pensato subito che era doveroso farci una visita, raggiungere questo luogo così singolare. Un mezzo per conciliare il mio desiderio di scoprire qualcosa di nuovo su quest'isola - qualcosa di così incredibile per noi che greci non siamo - con un bel tuffo nelle acque cretesi e la voglia di attraversare nuovamente le montagne di Creta, così deserte e uniche nel loro genere.


La regione di Sfakiá è la più sudorientale della provincia che fa capo a La Canea. Si affaccia sul Mar Libico e spesso i suoi villaggi costieri sono complicati da raggiungere, perché spesso non sono collegati tra di loro. Nella maggior parte dei casi, serve risalire verso l'entroterra per qualche chilometro, prima di poter scendere in un altro villaggio. Il caso più eclatante è quello di Frangokástello e Hóra Sfakíon, due borgate che distano in linea d'aria otto chilometri, ma in auto ne distano il doppio.  Alcune, come la stessa Hóra Sfakíon e l'isolata Agía Rouméli, sono collegate solo tramite battello. La costa meridionale di Creta è la quintessenza della natura selvaggia di quest'isola, e il viaggio verso Hóra Sfakíon e Frangokástello ne è la dimostrazione. Tornanti e controtornanti che provano a dominare un territorio ostico, fatto di dirupi scoscesi, alture pallide e paesaggi mozzafiato.



Per dirigersi verso i paesi di Frangokástello e Hóra Sfakíon dobbiamo però percorrere un lungo tratto nella National Road, l'autostrada cretese, una delle tante contraddizioni greche. I limiti di velocità sono cosa folle, perché non si può imporre una circolazione ad una velocità massima 50 km/h in una strada di grande comunicazione. E i cretesi, che non amano le regole, nonostante la moltitudini di sensori e rilevatori, se ne strafottono e mettono in mostra tutto il loro peggior repertorio al volante. Il bello del viaggio inizia proprio quando termina la National Road: i rettilinei si divorano l'avventura e la annichilano, l'eterna successione di curve invece la fortificano e la elevano alla massima potenza, proprio come diceva Rumiz nella sua citazione ad inizio post.



La strada fa in fretta ad inerpicarsi sui rilievi dei Lefka Ori, le montagne bianche di Creta. Quando sul nostro percorso incontriamo le prime capre, riceviamo un segnale preciso: si entra in un'altra dimensione di Creta, quella più arcaica e legata alle tradizioni cretesi. Tra queste vi è la fede, amplificata in ogni dove dalla presenza di curatissime cappelle e piccoli santuari. Vi è la famiglia, come testimoniano le cappelle votive all'esterno di ogni casa. Dunque la pastorizia, e non c'è bisogno di dirlo, perché le capre pascolano ovunque a Creta, anche sulla più trafficata delle strade. Questi non saranno luoghi in cui arricchirsi economicamente ma luoghi in cui arricchirsi spiritualmente, qui contano i valori. E che valore hanno certi paesaggi, come il fertile altopiano di Askýfou, dove due secoli fa i cretesi sconfissero in una cruenta battaglia l'esercito turco. Se visto dalla strada che collega le due coste, pare impossibile che in un'isola dalle spiagge così idilliache possa esistere un luogo che ha il profumo dell'Appennino o della Provenza.



L'attraversamento delle montagne finisce in pratica a Ímbros, dove iniziano le omonime gole, non affollate come quelle di Samariá ma non per questo seconde per bellezza. Lunghe otto chilometri circa, si restringono fino all'ampiezza minima di 1.60 metri, fino ad arrivare a Komitádes, la porta verso il Mar Libico. La mulattiera che attraversa le gole di Ímbros era l'unico collegamento tra La Canea e Hóra Sfakíon, prima che la strada che abbiamo percorso in auto fosse costruita. La gola ha assistito anche all'evacuazione di diverse migliaia di soldati britannici durante la Seconda Guerra Mondiale, prima di riparare verso l'Egitto.
Sulla strada, invece, poco sopra Komitádes, si apre un meraviglioso panorama sulla costa meridionale di Creta. Ogni singolo tornante è una balconata sul litorale tra Hóra Sfakíon e Frangokástello. Scenari che da soli valgono tutto l'impegno e la lunghezza del viaggio.





Nella discesa verso Frangokástello la leggenda dei cartelli stradali crivellati di colpi diventa realtà. Da quelli che comunicano l'ingresso in un centro abitato a quelli che avvertono la presenza di una curva pericolosa, non vi è segnale stradale che non sia intaccato da un proiettile. Questi cartelli stradali così conciati, a volta al punto tale da impedirne la lettura, sono l'emblema del carattere focoso degli sfakioti, gli unici cretesi a non essere mai stati soggettati ad alcuna dominazione: . Non c'è mai stato infatti alcun arabo, veneziano, turco o tedesco che sia stato in grado di portare uno sfakiota sotto la propria egemonia. Questi cartelli sono un avvertimento: gli stranieri qui non sono benvenuti, saranno respinti a suon di spari. In realtà non è proprio così, perché la popolazione locale è invece molto accogliente. L'antica paura dell'invasore, rinvigorita da secoli di guerre contro l'oppressore del momento, è diventata oggi esclusivamente folklore da stampare sui souvenir per i turisti.
Osservare i fori si trasforma in un'attività curiosa: il loro diametro varia da uno fino a diversi centimetri. Questo testimonia come le armi utilizzate per sforacchiare di colpi i malcapitati cartelli stradali siano svariate. Pistole, fucili e carabine, chi più ne ha più ne metta. Se in Grecia le leggi sul possesso di armi è decisamente rigorosa, a Creta si fa a gara a chi ha l'arsenale più nutrito.



Frangokástello ha nel nome una delle più longeve tracce del periodo veneziano a Creta, una fortezza che risale al XIV secolo, costruita proprio dai veneziani per poter tenere a bada sfakioti e pirati, successivamente utilizzata dagli stessi cretesi nelle guerre contro l'Impero Ottomano. Qualcuno, come testimoniano le statue vicino al castello, ha lasciato qui la vita per il bene di Creta e della Grecia, durante le guerre di indipendenza greca.
La fortezza veneziana fa da sfondo ad una delle spiagge più tranquille dell'isola, qualcosa che nulla ha a che vedere con il caos di Elafonisi, per fare un esempio. Qualche ombrellone, pochi spiaggianti e un paio di taverne che richiamano l'attenzione. E quel castello che ci guarda mentre ci rinfreschiamo dopo oltre due ore di guida.



Hóra Sfakíon è invece il più bel villaggio marino che abbiamo incontrato durante la nostra settimana a Creta. Un manipolo di case bianche che sembrano volersi gettare in acqua. Chi nell'acqua di Hóra Sfakíon si è invece gettato a capofitto sono gli undicimila soldati di Gran Bretagna e Australia che nel maggio del 1941 furono evacuati al termine di una lunghissima e disperata ritirata dalle postazioni vicino a La Canea e Rethymno.
Hóra Sfakíon è un pacifico porticciolo sul quale si affacciano tutte le taverne e tutti i negozietti del piccolo paese, che ormai ha perso la storica inospitalità per aprirsi al turismo. E sono infatti tanti i turisti qui, molti dei quali ammassati nella vicina spiaggia di Vríssi. Piccola, incastonata tra due mura di rocce a precipizio nel mare, un vero gioiellino.



Un gioiello come tutto ciò che abbiamo incontrato in questa giornata on the road, su queste strade che tagliano i monti per collegare i due mari che bagnano Creta. Le spiagge, il buon cibo, il sole, certo. Ma la vera anima di Creta è qui, tra curve e controcurve su monti con vista mare.
Bis bald!
Stefano

domenica 20 novembre 2016

Bücher: Dolce come le amarene

"Annie si sentiva come se la pelle le stesse scoppiando, una sorta di seconda nascita. Allora si era separata dal corpo di sua madre, adesso si stava allontanando ancora, e la cosa era altrettanto dolorosa, però non erano i corpi a strapparsi l'uno dall'altro, erano le anime a separarsi, e anche stavolta sarebbero rimaste delle cicatrici. Da piccola non era stata contemplata come si deve - per tutta la vita ne avrebbe portato il peso."
Claudia Schreiber, Dolce come le amarene


Dolce come le amarene giaceva su uno scaffale della libreria alla quale faccio normalmente visita nelle mie capatine in Italia. Un look poco accattivante ma inconsueto nel panorama letterario, una quarta di copertina che però mi ha attratto da subito. E così questo libro della scrittrice e sceneggiatrice tedesca Claudia Schneider, ai più semisconosciuto e pubblicato da una giovane casa editrice fuori dai circuiti di massa, è finito nelle mie mani. E come spesso accade quando il libro non è incensato dall'editore, dalla critica, dalle recensioni, finisce per essere adorato.
Dolce come le amarene è la vicenda di Annie, una ragazzina che vive con la famiglia in una cascina attorno alla quale si trova un enorme frutteto, che ogni estate sforna deliziose amarene e nel quale Annie ha trascorso la sua infanzia e proprio per questo ne è profondamente legata. Così come è legata al suo piccolo nucleo familiare, composto da una madre in costante ricerca di stabilità economica e affettiva, e da un nonno che fugge con una giovane amante conosciuta in rete. Ciononostante la famiglia di Annie insegna lei come prendersi cura delle piante di amarene. La vita di Annie cambia radicalmente quando alla sua fattoria arriva Paula, una giovane ragazza incinta e scappata di casa per la vergogna. Questo incontro sarà una svolta per entrambe. Caparbietà, abilità, onestà di pensiero, forza e coraggio permetteranno ad Annie di superare le difficoltà che le si presentano continuamente di fronte e con le quali diventerà adulta.
Dolce come le amarene è uno di quei libri che si fa in fretta a leggere, perché si vuole intensamente scoprire come va a finire, e poi perché ci si innamora in fretta dei personaggi. Soprattutto di Annie, impossibile non immedesimarsi in un personaggio così empatico, così tenero e in balia del mondo degli adulti. Con lei si ride (i dialoghi con gli amici sono molto divertenti) ma altrettanto, si piange (il rapporto con la famiglia è devastante). Dolce come le amarene presenta al lettore due storie di esperienza genitoriale agli antipodi, quella trascurata e lassista di Annie, e quella iperprotettiva e ossessionante di Paula, due vicende che viaggiano parallele per poi trovare un punto di unione nella creazione di una nuova vita. Dimostrando che essere genitori, è cosa tutt'altro che semplice e scontata.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 9/10 

sabato 19 novembre 2016

La scarica

La "Palma d'oro per l'uomo più felice del mondo" del 19 novembre 2016 non possono che darla a me. Sono tornato a correre, a distanza di quasi due mesi dalla maratona di Berlino in cui mi sono procurato quell'incidente al piede che mi ha costretto ad un riposo forzato di trenta giorni circa. Sono tornato a correre, ed è stato come rinascere a seconda vita.
Un po' per caso, un po' no - un po' l'ho voluto - sono tornato a correre sulle strade di casa. Su una ciclabile in cui ho costruito maratone e mezze maratone, sotto lo sguardo di zolle di fertile terra piemontese, su una strada che che conosco a memoria, nonostante la mia sempre più sporadica presenza al paesello nel quale ho vissuto per ventotto anni. Ora dirò una cosa banale: tornare a correre a casa, in quella che sentirò sempre dentro come "casa mia", è stato bello.

Il mio paradiso è qui

Sono uscito dalla porticina di casa con il fuoco negli occhi, con il desiderio di spaccare l'asfalto. Zero stretching, zero riscaldamento, gli gnocchi al pomodoro che mia mamma ha preparato per pranzo che ancora ballano nello stomaco, e via a correre, per capire se il piede fa ancora male. Sono partito come se fosse una gara di mezzofondo, senza pensare che avrei potuto rimanere senza fiato dopo poche centinaia di metri. Ma in quel momento non me ne fregava niente. Volevo soltanto correre, e basta. E allora ho corso, quattro chilometri così, tanto per cominciare. Alla fine di fiato ne avevo pochino (ma ho anche corso in un dignitosissimo 4'26"/km), ma nel mentre avevo riempito il mio corpo di gioia. Il piede non fa male, e ho fatto pure la curva a gomito senza alcun dolore. Se sia pronto per correre quarantadue chilometri ancora non lo so, ma non mi serve ora questa informazione. Voglio solo poter tornare ad allenarmi e godere di quel benessere psicofisico che rimane nei muscoli dopo una bella corsa. Ma il primo passo verso la prossima avventura, verso la prossima maratona, è stato appena compiuto. A casa.
A presto!
Stefano

venerdì 18 novembre 2016

Perdersi a La Canea

Ciao a tutti!
La Canea (il nome italianizzato di Haniá) è una città speciale, per tanti motivi. Avventurarvisi è qualcosa di irrinunciabile durante un soggiorno nella zona occidentale di Creta. Non tanto perché è la città più grande della omonima "unità periferica" (l'equivalente della provincia), non tanto perchè è una delle città più grandi dell'isola. E neanche perché è uno dei centri sui quali si fondano le vicende storiche cretesi. Il motivo è molto semplice. Questa è la città più affascinante di tutta l'isola di Creta. Nella quale il mio consiglio è perdersi. Non geograficamente, ma spiritualmente.

Tramonto veneziano

Perdersi a La Canea vuol dire perdersi in una città dalle mille anime che la contraddistinguono, che derivano dalle varie dominazioni che si sono susseguite. La variegata architettura di La Canea è figlia di secoli in cui Creta è stata oggetto di continui successioni nel dominio dell’isola. L'epoca minoica e quella ellenistica, prima; poi è giunta l'età veneziana, dalla quale ha ereditato le sue tracce più rilevanti nel porto, nelle fortificazioni adiacenti e nel Grande Arsenale; infine, prima della tanto agognata indipendenza, l'epoca ottomana, che ha lasciato più che un segno, ad esempio l'appariscente Moschea di Kioutsouk Hasan.

L'anima greca e quella turca di La Canea

Perdersi a La Canea significare farsi inebriare dall'animosità della Plateia Venizelou, la piccola piazza che conduce al porto. Significa perdersi in viuzze anguste che dividono case che sembrano sul punto di crollare, ma proprio per questo sono un gran pezzo di folklore di Grecia. Significa fermarsi davanti ad ogni negozio, dove artigiani e commercianti espongono con sapienza merce pregiatissima, dove la frutta secca o essiccata, l'olio d'oliva cretese e il raki sono molto più di una tentazione golosa.

Probabilmente il più bel porto di Creta

Perdersi a La Canea vuol dire perdersi in una passeggiata nel porto: poche cose possono essere romantiche come una rilassante passeggiata da un lato all'altro dell'Akti Koundoriouti. Perdersi a La Canea è farsi inebriare dalle fragranze dei ristoranti che guardano sul porto. Se è vero che i ristoranti con i buttadentro sull'uscio sono veramente fastidiosi, è altrettanto vero che senza i guarnitissimi ristoranti dai menu a base di pesce e delle più tipiche specialità greche, il porto di La Canea non sarebbe la stessa cosa. Perdersi a La Canea vuol dire fermarsi per un attimo vicino al faro veneziano e guardare il tramonto. Da fissare bene nelle retine, perché questo è un tramonto non banale. Non banale come questa incantevole città.
A presto!
Stefano

lunedì 14 novembre 2016

Working on a dream (terza parte)

Dunque il viaggio fotografico per riscoprire due settimane di Africa, termina qui, in questo terzo e ultimo post di una serie che ho voluto dedicare in via eccezionale a tutto il meglio che ci ha regalato il "continente nero".
In questo post ci sono ancora oltre trenta immagini da proporre, ma spero di aver emozionato almeno un poco chi le ha lette. Un sorriso, una esclamazione di stupore, un pizzico di meraviglia, anche un briciolo di invidia (se sana, perché no?), il desidero di fare le valigie e partire per l'Africa. Spero di avere contribuito a trascorrere qualche secondo di felicità, che infine fa bene, a stare bene.
Bis bald!
Stefano

Una famiglia di giraffe in posa

Oltre il Capo di Buona Speranza, solo gli oceani

Un rinoceronte allo specchio

Carica e scarica, carica e scarica

Pinguini innamorati?

Dalla God's Window

I grattacieli di Città del Capo che forano lo smog

Buongiorno leonessa!

Vie di roccia sopra Sandton

Victoria Falls: dieci tonnellate no, però...

Mai far arrabbiare un bufalo

Le otarie di Hout Bay

Nordhoeek, la spiaggia infinita

Un giorno che finisce a Waterfront

Uomo vs. rinoceronte

Sudafrica 2.0

Hout Bay

Zambesi sunset

Nascosti per benino...

Mpumalanga driving

Il sorriso famelico e i denti insanguinati del coccodrillo dopo un lauto pasto

Volatile meraviglioso

Talis mater talis filius

Ancora un po' più giù ed è tramonto

Il roditore mattiniero

Doppio arcobaleno!

Buchi nella roccia

Anche la Table Mountain è contenta di vedere il colore di Bo-Kaap

Occhi rosa

Al lavoro con le perline

Un po' di yellow in un mare di blue

Tripla zebra

Musiche di Città del Capo

Mimetico come nessun altro, il coccodrillo

Anche in Sudafrica c'è l'inverno

Lo sguardo prima di...

Inferno in arrivo

Apri il becco!

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