lunedì 30 novembre 2015

Creati per faticare

"Il miglior riconoscimento per la fatica fatta non è ciò che se ne ricava, ma ciò che si diventa grazie a essa"     
John Ruskin


Con la medaglia del finisher in Piazza della Signoria

domenica 29 novembre 2015

'Orrere, 'orrere! - 3.14.32 a Firenze!

La settima maratona è stata quella buona per scendere finalmente sotto le 3h15'. Ma non è stata cosa agevole. In una Firenze vestita a festa ed assatanata nel tifo, ho dovuto ricorrere alle energie mentali più recondite per portare al termine questa difficile prova. Il lastricato di Firenze non lascia scampo e anche le mie cosce hanno subito l'impatto di questo suolo duro e crudele. Due minuti, ho lasciato, sulla pietra del centro storico fiorentino. Ma l'obiettivo è stato raggiunto, in questa fresca domenica di sole, non posso che provare un'enorme gioia per il nuovo traguardo è il nuovo personale.

Ora appendo la canotta al chiodo, per un po', ma con una medaglia in più

Per chi si fosse interessato delle mie condizioni di salute, beh, il soleo sinistro e con esso tutto il polpaccio, stanno benissimo. Sono altre, le parti che mi fanno male, come il ginocchio destro che inaspettatamente mi ha dato noia per metà gara. Capita. Passerà!
Ora, riposo e reintegro energie!
A presto!
Stefano

Adrenalina vol.3

It's not why you're running
It's where you're going
It's not what you're dreaming
But what you're gonna do
U2, Summer rain

Tra poche ore, sarò, saremo, qui, all'arrivo della Firenze Marathon

sabato 28 novembre 2015

Notte, prima della gara

Ciao a tutti!
Pare che manchi poco allo start della Firenze Marathon. Poco più di nove ore, insomma. Forse come non mi era mai capitato prima, arrivo alla sera di vigilia con addosso una tranquillità mai provata prima. Il nervosismo scarseggia, nonostante le ultime due settimane siano state emotivamente intense e ricche di patemi (esagerati, forse?) sulle condizioni della mia gamba sinistra. Sembra essere un controsenso, ma è così. Il cuore non batte a mille, l'adrenalina non gira ancora come al solito e sono quasi sicuro che stasera mi addormenterò senza troppi problemi. Ma non mi illudo: domani mattina, la tensione sarà alta e si sentirà ancora. Fino allo sparo, poi lì tutto si scioglie per incanto nella magia della corsa, insieme ad altri diecimila atleti.

Una Firenze così grande che è tutta da correre!

Come sta la gamba? Boh. Non lo so, sinceramente. Ho camminato molto in questi giorni fiorentini e non ho avvertito fastidi. Aggiungerò: nel salire alla cupola della Cattedrale di Santa Maria in Fiore e alla terrazza del Campanile di Giotto, si percorrono quasi mille gradini, alcuni molto ripidi, anche. E di dolori nemmeno l'ombra, anche lì dove più provavo fastidio, nel scendere le scale. Quindi dico che non dovrei temere, per ora. Intanto continuo con arnica e Voltaren, che male di certo non fanno. In più, forse più per un conforto personale che per altro, partirò con due bustine di antiinfiammatorio nel taschino dei pantaloncini. Speriamo di non doverle usare in gara ma poterle tranquillamente riporre nella sua scatola a fine corsa.

Piazza Santa Croce è quasi pronta

Il giorno di vigilia non è stato tanto dedicato a preparare la gara: d'altronde, la preparazione si fa nei due-tre mesi antecedenti la maratona. Non ho sostanzialmente fatto alcun tipo di ricognizione sul percorso, anche se ho intravisto in alcuni punti la linea verde tracciata dall'organizzazione per indicare la traiettoria più corta in assoluto. Mi sono solamente recato sul Lungarno Pecori Giraldi, sede del via, per studiare l'area. Capire come si svolgerà la partenza, vedere come sono dislocati i servizi. E mi sono sorpreso nel vedere tanti podisti - sicuramente tutta gente che domani sarà al via - correre sui marciapiedi del Lungarno. Ho sempre ritenuto che correre il giorno prima della gara, per quanto piano, non fosse una grande idea. In compenso, di chilometri ne ho macinati con le mie gambe, camminando, e inebriandomi del centro storico di Firenze. Anche in Piazza Santa Croce, la piazza più ariosa di Firenze, già pronta per ospitare l'arrivo dei maratoneti.
Anche sulla cupola del Brunelleschi ho intravisto maratoneti. Lo capisci da certo abbigliamento, da certe giacche o da certe scarpe, oppure ne hai conferme palesi quando li vedi con la borsa bianca del pacco gara. Più che giustamente, sono venuti a rendere omaggio alla città che il giorno dopo li vedrà protagonisti, andando ad ammirare una spettacolare veduta panoramica. La vista della quale si gode dal balcone della cupola in muratura più grande del mondo è assolutamente unica. Si, Firenze è una città enorme e domani vi correremo una maratona. Sarà una corsa lunga, dentro una tale città.

Una foto di rito in Piazza San Giovanni

Ma in fondo si pensa sempre che questa sia una corsa infinita, una corsa destinata a non terminare mai perché i chilometri scorrono sempre lenti, soprattutto alla fine. E invece no. Quelle tre e qualche manciata di minuti, finiscono sempre troppo in fretta. Ciò che il maratoneta vive in quegli istanti di vita pura - perché la corsa è vita - così difficile da descrivere per chi non si è mai affacciato al mondo della corsa, è una gioia immensa che, come tutte le cose belle, finisce sempre troppo in fretta. Certo, durante e dopo una maratona rimangono dolori altrettanto indescrivibili, che durano giorni, che portano (chi non corre) a chiedere perché tutto questo patimento gratuito, per cosa? La risposta non ce l'ho, forse non ce l'avrò mai, ma posso dire con certezza che a questo dolore, a questa fatica, un maratoneta non rinuncia mai. Come se si cibasse di chilometri da correre, di suole da usurare e di tanto acido lattico nelle gambe.
Ecco, io credo proprio che domani mattina, dalle 9.15 alle 12.30 circa di domani, il tempo deciderà di accelerare il suo scorrere inesorabile. Dovremo essere bravi, noi maratoneti, a coglierne tutto il meglio. Perché certe emozioni, passano, restano per sempre, ma non ritornano.

Un pezzo di carta che mi accompagnerà per 42 chilometri

Tutto è preparato al mio fianco: la canotta, le scarpe, i pantaloncini, i cerotti, l'orologio, il pettorale e le spille per fissarlo. Stanotte saranno loro i miei vicini di letto. Ora mi metto a letto e provo a dormire. Provo, perché nelle orecchie c'è un brusio di fondo che è frutto della movida fiorentina. Ma domani, la vera movida saremo noi: diecimila atleti, altrettanti cuori pulsanti, ventimila scarpe e il suono delle loro suole su una striscia d'asfalto e pietra lunga quarantadue chilometri.
A presto!
Stefano

venerdì 27 novembre 2015

Non siamo corridori, siamo maratoneti

Ciao a tutti!
Il giorno del pettorale, il giorno atteso dall'inizio di una preparazione della maratona è sempre giunto di sabato. Stavolta è arrivato di venerdì. Da ieri sera mi trovo in una ventosa, solare e sempre attraente Firenze. A parte riposare dopo l'estenuante trafila aeroportuale, l'impegno che ho voluto sbrigare per primo è stato ritirare pettorale e pacco gara.

Go and run Firenze!

Alle 10 di stamattina mi trovo dunque allo Stadio Luigi Ridolfi, dove è stato allestito l'Expo Marathon, un grande carosello di espositori: comitati organizzatori di maratone italiane e estere, sponsor e aziende che operano nel mondo della corsa. Il bello del visitare il cuore del pre-gara a 48 ore dalla partenza è il poter scorrazzare tra gli stand con calma, senza la tipica ressa del sabato - con lo svantaggio di trovare i soliti venditori e accalappiatori da strapazzo. Ma soprattutto, posso dedicarmi con calma al ritiro del pettorale. Un momento importante, chi è un maratoneta lo sa bene. La tensione è minore del solito, non è il sabato di vigilia, manca ancora molto al via. Mi presento straordinariamente tranquillo al momento di fronte al box del ritiro. Passeggio senza meta tra gli stand, guardo un po' in giro le tante cose interessanti esposte: le scarpe di domani, gli ultimi orologi, prossimi obiettivi podistici. Mi fermo imbambolato di fronte allo "spazio Asics": anche qui, come in molte altre maratone a cui ho partecipato, Asics è il main sponsor. I suoi filmati pubblicitari sono assolutamente ispirazionali e mi portano sul limite della commozione. Quando scorrono le immagini delle maratone (tra cui quella di Venezia), le immagini di concorrenti comuni che sorridono, piangono per il dolore e per la gioia, si divertono al traguardo dei 42,195 chilometri.

Più di diecimila alla partenza

Alla "vigilia della vigilia" mi scorrono davanti queste immagini, e tante altre cose. Pensieri ed emozioni di ieri, speranze di domani. Quello che credo di capire è che la corsa mi ha cambiato tanto, in maniera incalcolabile. E mi sento di dire che lo abbia fatto in meglio. Senza la corsa non sarei la stessa persona.
Con queste riflessioni, esco dal piccolo tempio fiorentino della maratona del fine settimana e comincio le ore di attesa. Saranno snervanti? Non dovrebbe essere così. A Firenze, assieme alla mia famiglia e così circondati dall'arte e dalla cultura, non dovrei neanche trovare il tempo per preoccuparmi troppo per l'appuntamento di domenica. Ma ne riparliamo tra ventiquattro ore.
A presto!
Stefano

giovedì 26 novembre 2015

Firenze Marathon 2015, il percorso

Ciao a tutti!
A tre giorni dall'appuntamento con la mia settima maratona, è giunto il momento di provare a capire qualcosa in più sul percorso dell'imminente Firenze Marathon.
Il tracciato a prima vista appare molto interessante e sicuramente poco noioso, per due motivi. Il primo è di natura "scenografica": il tracciato attraversa quasi tutte le aree più conosciute e ammirate di Firenze: Ponte Vecchio, il Lungarno, Piazza della Signoria, Piazza Duomo, fino all'arrivo in Piazza Santa Croce. La Firenze Marathon è quindi una specie di grande tour all'interno di una delle capitali mondiali dell'arte. Ad ogni chilometro, ci sarà qualcosa di molto bello da vedere, e questo può essere positivo a livello mentale. So bene che effetto fa, che grande carica ti regala, correre di fianco alla Sagrada Familia o in Piazza San Marco. Il secondo motivo è la "forma" del tracciato. La Firenze Marathon, maratona disegnata esclusivamente nell'area urbana di Firenze, è per concezione molto diversa dalla Turin Marathon, caratterizzata da rettilinei ampi e apparentemente senza fine, o anche dalla Venice Marathon, dove per buona parte del percorso (direi ¾ di maratona) si corre su strade molto lineari e con curve dolci. Il tracciato della Firenze Marathon presenta invece zone in cui si devono compiere delle gimkane, con inversioni di marcia a 180°, soprattutto nella zona del Parco delle Cascine e in zona Campo di Marte.

Simply Firenze. Foto di archivio, 31 dicembre 2007.

Ci sono poi alcune incognite, che potrei in parte chiarire tra venerdì e sabato. Quello della Firenze Marathon è veramente un percorso piatto come viene presentato? Ci sono pochi metri di differenza tra il punto più alto e il punto più basso del percorso, questo è vero. Ma ci sono ponti, ben quattro, da superare (nell'ordine Ponte alla Vittoria, Ponte San Niccolò, Ponte Santa Trinità e Ponte Vecchio). E ci sono alcuni sottopassaggi e cavalcavia. Che assicurano la presenza di salite, più o meno dure, la cui severità è per l'appunto, un'incognita.

Il percorso della Firenze Marathon 2015

L'altra incognita è la pavimentazione stradale di Firenze. La mia ultima volta a Firenze risale a quasi otto anni fa e ovviamente non ricordo più come essa si presentasse. Qualcuno mi ha parlato di una superficie dura, non estrema come i sampietrini di Roma, ma comunque ostico, specie negli ultimi tre-quattro chilometri, tutti nel centro storico. Ovviamente io spero nella presenza di più asfalto possibile, dato che è lì che mi alleno normalmente. So però che altre pavimentazioni non dovrebbero ostacolarmi. Già a Torino e a Venezia negli ultimi chilometri ho dovuto convivere con lastricati, pavé e marciapiedi.

Si correrà anche sotto questa meraviglia, il Campanile di Giotto. Foto di archivio, 31 dicembre 2007.

Ma il percorso della Firenze Marathon, secondo me, regalerà molte sorprese, sotto tutti i punti di vista. Attraverserà zone della città a me completamente sconosciute e – speriamo – non meno interessanti. Magari ci saranno molte salite e altrettante discese, giusto così per mettere i bastoni tra le ruote. Mi è difficile capire come il percorso di domenica influenzerà la gara. Mi aspetto però una meravigliosa cornice, che in città come quella di Firenze è una garanzia. Aggiungo anche il supporto del pubblico fiorentino… Firenze non è Torino e stavolta non indosserò una maglia bianconera!
Bis bald!
Stefano

mercoledì 25 novembre 2015

Direzione Ponte Vecchio: sei, cinque, quattro...

Ciao a tutti!
Il countdown verso Firenze oggi espone la cifra 4. Sono infatti quattro i giorni che mi separano dal momento più atteso dell'autunno, l'appuntamento con la Firenze Marathon. Il livello di adrenalina sale parallelamente alla tensione. Perchè dopo tre mesi di allenamento intenso, a volte estremamente faticoso sia fisicamente che psicolgicamente, che toglie molto pur regalando altrettanto, c'è molta voglia di correre, di fare bene, di divertirsi certo ma sempre con uno sguardo importante ai possibili obiettivi.

Passaggio in Piazza della Signoria (fonte: medalinframe.com)

Obiettivi per domenica? Allo sparo dello starter bisogna essere predisposti a raggiungere in primis due cose: 1) chiudere i quarantadue chilometri e 2) farlo divertendosi. Nella maratona che mi accingo ad affrontare domenica, tutto il resto dipenderà dalle condizioni della mia gamba sinistra, che non poco mi ha fatto penare negli ultimi dieci giorni (vedi post). Ora la situazione è certamente migliorata, non poteva essere altrimenti dopo una settimana in cui arnica, Voltaren e ghiaccio sono diventati i miei migliori amici. Però, ed è la mia natura, rimango diffidente. Sono ottimista ma non sono sicuro al 100% che questa gamba possa sostenere corsa a ritmo sostenuto per oltre tre ore.

Santa Croce, questo lo sfondo dell'arrivo. Foto di archivio, 31 dicembre 2007

Partendo dal presupposto che non in corsa non succeda niente, l'obiettivo minimo è migliorare il personale di Amburgo 2015, 3h15'43''. L'obiettivo "un-po'-più-che-minimo" sarebbe scendere finalmente sotto le 3h15'. Si può fare, ne sono sicuro, gli allenamenti di questo autunno me lo confermano. L'obiettivo da sogno sarebbe scendere sotto 3h10', ma questo vorrebbe significare correre tre ore ad un ritmo di 4'30"/km, qualcosa di assolutamente impensabile fino a qualche mese fa. Ma ripeto, le performance in allenamento, fino ai 33-35 chilometri, mi hanno indicazioni positive sulla concreta possibilità di tenere questa velocità per tutta la corsa. L'obiettivo realistico? Arrivare al traguardo di Piazza Santa Croce in 3h12'-3h13'. Sarebbe già questo un risultato straordinario, che mi ripagherebbe di tutti gli sforzi fatti.
Come interpretare la gara? Questa è sempre una gran bella domanda. Seguire il pacemaker delle 3h15' (solitamente vanno molto più forte) per una decina di chilometri e poi valutare il da farsi? Fissare come ritmo di partenza 4'30"-4'32" e aspettare che succede? O è un ritmo forse esagerato? Ripeto, con quello che ho fatto in allenamento è lecito sperare di poter mantenere quel passo. Tante domande, nessuna risposta. Per quelle bisognerà forzatamente aspettare domenica mattina.

Piccoli di fronte all'arte fiorentina (fonte: blog.ilgiornale.it)

Le condizioni meteo dovrebbero essere al limite della perfezione: mattina priva di copertura nuvolosa e di precipitazioni, con temperature previste tra i 5.1°C alla partenza e i 10.4°C all'arrivo. Meglio di così, proprio non si può chiedere.
Un'incognita è ancora quella del percorso. Non l'ho ancora studiato a dovere, solo una rapida occhiata. Viene presentato come un percorso veloce, ma in realtà il miglior tempo fatto segnare su questo percorso è di 2h08'40", un tempo in linea con Venezia ma più lento rispetto a quello di altre maratone come Torino e Milano. La pavimentazione del centro storico di certo non aiuterà, soprattutto negli ultimi chilometri. Ci sono sicuramente un paio di sottopassaggi e un paio di cavalcavia che romperanno le scatole e il ritmo, oltre a quattro attraversamenti sull'Arno. Speriamo che sia tutto qui.
Bis bald!
Stefano

martedì 24 novembre 2015

Bücher: K2 La verità. Storia di un caso

"C'è chi gli ha rimproverato di non aver saputo perdonare chi aveva mentito sulla storia del K2. Costoro non hanno conosciuto Bonatti. Lui per coerenza ha dovuto, quasi contro la sua stessa volontà e con amara fatica, portare avanti la sua lotta: non poteva lasciare dubbi dietro di sé. Non avrebbe sopportato il minimo errore proprio, a compromettere gli sforzi di tutta una vita di perseverante attenzione. Come avrebbe potuto pensare al perdono di chi aveva gettato ombre sulla sua onestà e sulla sua integrità?"
Sandro Filippini, da La Gazzetta dello Sport, 15 settembre 2011 - estratto da K2 La verità. Storia di un caso di Walter Bonatti


Walter Bonatti, la leggenda dell'alpinismo italiano, ha abituato la nutrita platea dei suoi lettori a racconti sul filo dell'impossibile. Le scalate che nessun altro all'epoca poteva concepire o i viaggi in terre lontane ed inesplorate. In K2 - La verità. Storia di un caso, si legge un altro Bonatti. Si legge, in un corposo volume di scritti dal taglio giornalistico, quello che è stato in realtà la grande spedizione nazionale del 1954 alla conquista del K2, la seconda montagna più alta della Terra.
Il "caso K2" è una pagina indelebile della storia dell'Italia, simbolo di una nazione che provava a risollevarsi nell'orgoglio dopo essere uscita con le ossa rotte dalla Seconda Guerra Mondiale. E lo è, ovviamente, anche per l'alpinismo italiano. Ma, come tante vicende italiane, tante ombre si addensano su quello che doveva essere un trionfo. Fino al punto da essere stata definita come una storia "di confusione, tradimento e spudorata ipocrisia come nessun’altra nella storia dell’alpinismo" da Rob Buchanan, redattore della rivista Climbing. Perché non solo Bonatti (con il portatore hunza Amir Mahdi) fu lasciato a morire in un assurdo bivacco oltre quota 8000 metri, ma fu accusato ingiustamente di aver "succhiato" dell'ossigeno dalle bombole che verranno utilizzate da Compagnoni e Lacedelli per il salto finale in vetta.
Bonatti argomenta, con estrema dovizia di particolari, tutta la sua verità che - dopo oltre cinquant'anni - verrà finalmente accettata dal CAI e riconosciuta ufficialmente. Lo fa raccogliendo prove, fatti, documenti, lo fa descrivendo con rabbia e con la tenacia dello scalatore formidabile che fu, l'ingiustizia che gli fu comminata. Può sembrare assurdo ciò che sto per dire, quando si legge un testo che è una cronaca di eventi, quasi una ricostruzione al limite del giudiziario. Ma ci si emoziona, quasi ci si commuove nel sapere che un uomo può finalmente morire in pace, rasserenato, dopo che per più di cinquanta anni gli è stata negata la sola verità, quindi giustizia e merito. Questa è la vicenda umana di uno dei più grandi italiani, Walter Bonatti.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 8/10 

lunedì 23 novembre 2015

Direzione Ponte Vecchio: cronaca di giornate folli

Ciao a tutti!
Ero rimasto ad un allenamento da quasi 37 chilometri, compiuto con un morale già basso per ciò che è successo a Parigi ed ulteriormente abbassato causa la scarsa prestazione, nel freddo e sotto il primo nevischio. Un allenamento spezzagambe ma soprattutto spezzamuscoli. Si, perché alla fine di questo ultimo lungo "lunghissimo", a due settimane dalla Firenze Marathon, mi sono trovato con un muscolo, il soleo sinistro, a pezzi (vedi post).
Ed inizialmente, sembrava tutto a posto. Cioè, i soliti dolori da corsa. Ma evidentemente così non era. Mi accorgo che è stranamente gonfio, e durante la giornata di domenica, è pure arrossato, un qualcosa che mi preoccupa e non mi lascia tranquillo, perché si tratta di una novità assoluta. Fa impressione ad essere osservato, questo muscolo, sembra quasi che voglia uscire dalla gamba. È duro, più caldo rispetto al resto della muscolatura, e visibilmente più grande rispetto al collega della gamba destra. Avere male non è mai una bella sensazione, ma è ancora peggio non sapere il perché.

Arnica: la mia migliore amica dell'ultima settimana (fonte: wala.de)

E allora, nella giornata di lunedì, durante la quale faccio un po' di scarico sulla cyclette, investo un po' di tempo in rete per capire cosa sta affliggendo la mia gamba. Si, lo so che non si dovrebbe fare, che dovrei andare da un dottore, un ortopedico, un fisioterapista o qualcos'altro ancora, ma di prendere appuntamenti in tempi brevi con gente che non conosco, della quale ora non mi fido, beh, non ne ho tanta voglia, specie a così breve distanza dalla maratona. E allora ecco che le diagnosi fioccano come margherite in primavera: contrattura muscolare (magari fosse solo questo!), edema muscolare, versamento, periostite tibiale, una roba che se uno legge da cosa può essere causata smette immediatamente di correre. Cosa sia veramente ancora non lo so, ma decido che è l'ora di passare all'azione. Impacchi di ghiaccio, stretching, Voltaren come se non ci fosse un domani, alternato a pomate di arnica. Tutto può far brodo. Risultato: il muscolo non si sgonfia, rimane un pochino caldo ma soprattutto rimane duro, e permane un fastidio a momenti alterni mentre cammino e continuo facendo corsa sul posto e scendendo le scale. Non vuole andarsene, apparentemente. La giornata di martedì è la peggiore, questo problema può essere una complicazione, non tanto per finire come vorrei la maratona, quanto per finire la maratona stessa. Correre quarantadue chilometri su un muscolo infiammato, malconcio o quello che è, non è buono e non è positivo anche per il futuro. Non può essere una giornata positiva, con tutta questa negatività in testa.

Per rendere l'idea (fonte: starbene.it)

La situazione inizia a migliorare - fortunatamente, anche per i nervi - mercoledì. Il fastidio sembra attenuarsi. Riesco a camminare tranquillamente, solo lo scendere le scale mi crea ancora dei piccoli problemi. Proviamo a vedere come va, proviamo a correre. Tre chilometri, non di più. 10 km/h, poi 12, quindi 14. Un quarto d'ora di lavoro, non molto, solo per vedere come sto. Nulla di speciale, pare. Bene...
Siccome mi piace non farmi mancare nulla, ho chiesto un parere di carattere osteopatico: avanti con pomate, ghiaccio e arnica. E magari anche un cerotto kinesio, proprio per completare in bellezza il quadro. Con un po' di scetticismo, perché di un'applicazione self-made mi fido poco. Intanto, anche se lentamente, i fastidi che permanevano sono spariti, alla palpazione il soleo non provoca più dolore e anche scendere le scale non è più un problema. Ciò che rimane non sono altro che i classici "dolorini dell'ultima settimana". Si, perché nei giorni prima della maratona, quasi a volerlo fare apposta, il corpo lancia variegati segnali negativi (fastidi e dolorini vari) che un runner alle prime armi può interpretare come chissà quali infortuni, ma che col tempo ho imparato a non dar loro molta importanza. Mi piace pensare che siano l'indicazione che il corpo e la mente si stiano preparando al grande momento. Per stare tranquillo, non rimane che continuare ad assumere granuli di arnica. Non so se veramente servano ad eliminare il dolore, ma di certo a rilassarmi sono perfetti: mai sentito parlare di effetto placebo?

Così alla partenza della Firenze Marathon? (fonte: centrofisioterapiapicentia.it)

Cosa sia successo ancora non lo so. La mia teoria è che abbia affrontato l'ultimo allenamento, quello sui 37 chilometri, con superficialità, senza l'adeguato riscaldamento muscolare, e nel clima gelido di quel pomeriggio, ci sia stato un piccolo ma doloroso strappo. A questo punto, non posso sperare altro che tale "strappo" si sia riassorbito (o che lo faccia in questi ultimi giorni). Sarebbe bello arrivare alla partenza sul Lungarno della Zecca Vecchia con una fetta di sogni ancora intonsa. Lufthansa permettendo.
Bis bald!
Stefano

domenica 22 novembre 2015

La settimana dell'attesa

"La maratona è una sorta di credo permanente: basta aver corso volta soltanto per sentirsi maratoneti a vita. Un po' come per la psicanalisi. Sì, la considero una forma di arte marziale, una disciplina interiore. Lo è intrinsecamente. Per gli allenamenti che richiede, per il modo in cui ti porta a percepire l'ambiente, per lo sforzo che esige dal tuo corpo. Il maratoneta è un samurai con le scarpette al posto della spada: è estremamente severo verso se stesso, non si perdona mai, è costantemente in lotta contro i propri limiti... Sbaglia chi pensa alla maratona come a una scelta sportiva, è una disciplina massimamente estetica. È proprio una visione del mondo: non sono solo quei quarantadue chilometri da correre nel minor tempo possibile, è l'idea di resistere, di andare oltre...
Mauro Covacich

Ancora una settimana di attesa (fonte: sportoutdoor24.it)

sabato 21 novembre 2015

Quella vetta così ammirata

"Guardi, se lei chiede il nome di una montagna ad un bambino, non c'è partita. Everest, K2, Monte Bianco? No, c'è solo il Cervino. È una montagna esemplare."  
Reinhold Messner
 
Una freccia dorata nel cielo

venerdì 20 novembre 2015

"Le ho trovate!"

Ciao a tutti!
Quest'autunno ho riscoperto il gusto di un cibo che per ben due anni è mancato dalla mia tavola. La tradizione delle castagne fu, dopo tanti anni, messa da parte, in quanto la castagna non è proprio qualcosa di tipico in Germania. E infatti, nei primi due inverni trascorsi in Germania, ho evidentemente frequentato i negozi locali sbagliati - è anche vero che non sono mai andato al mercato. Quando le ho viste, mi si è aperto il cuore, perché ho capito che potevo riabbracciare una delle tradizioni di casa che più mi erano mancate.

Lebkuchen, Glühpunsch, Glühwein e castagne: tutto il calore di casa nostra

Famiglia seduta poco dopo la fine della cena attorno ad un tavolo, castagne ancora calde della stufa a legna, bicchiere di vino novello. Si, è un'immagine che da tempo non potevo più osservare. Adesso la famiglia è ristretta a me e Giulia - per ora. La stufa a legna non c'è, ma il microonde supplisce benissimo, se non meglio, in termini di gusto. Al vino novello prodotto da mio papà c'è il tedesco Glühwein (o in questi giorni pre-maratona, l'analcolico Glühpunsch): una bella commistione di tradizione italiana con l'usanza tedesca. Ci sarà meno poesia, ma in queste fredde e piovose giornate, al calore dei Maronen con una tazza di vino caldo non si comanda mai.
Bis bald!
Stefano

giovedì 19 novembre 2015

La destra e la sinistra del diavolo

Ciao a tutti!
Oggi è giorno di incredibili scoperte. Tutto è cominciato ieri sera, alla ricerca di un notiziario che ci potesse informare sugli ultimi avvenimenti del giorno. Nel mio peregrinare alla ricerca di un telegiornale, mi sono imbattuto in uno spot in cui... "non è possibile, ma questi sono Bud Spencer e Terence Hill!". Ebbene si, il canale tedesco Kabel Eins, stasera trasmetterà ben due film della celebre accoppiata che ha fatto ridere l'Italia (e non solo, a quanto pare) tra gli anni Settanta e Ottanta. Per la precisione, Due superpiedi quasi piatti e Non c'è due senza quattro.
Sono sinceramente sconvolto.

Da non crederci: la locandina tedesca di Lo chiamavano Trinità (fonte: filmposter-archiv.de)

Allora cerco di informarmi un pochino di più. Sia Bud Spencer che Terence Hill hanno una pagina dedicata a loro su Wikipedia, in lingua tedesca. Da lì apprendo i titoli tradotti dei loro film, e posso garantire che le traduzioni sono veramente buffe. Altrimenti ci arrabbiamo in Germania è conosciuto come Zwei wie Pech und Schwefel (= "Due come fuoco e zolfo"), mentre Lo chiamavano Trinità, per me il film più bello e credo anche il più famoso, qui è intitolato Die rechte und die linke Hand des Teufels (= "La mano destra e la mano sinistra del diavolo"), un titolo che anche per simbologie religiose ha un significato completamente differente. In generale, molti dei loro film in Germania sono intitolati come Zwei wie... (= "Due come..."), quasi a voler significare che il protagonista del film non è uno dei due ma la coppia stessa.

Dalla programmazione odierna di Kabel Eins

Eppure, curiosando su Internet, emerge un fatto curioso. Il più amato della coppia è Bud Spencer, il quale è addirittura osannato. Nel 1979 Bud Spencer vinse il tedesco Premio Jupiter come star più amata dell'anno, mentre la sua biografia ufficiale, pubblicata nel 2010, ha venduto in Germania oltre centocinquantamila copie! Ma perché proprio lui? Alcuni lo spiegano con le differenze caratteriali: Bud Spencer è solitamente il personaggio più quieto della coppia ma spesso decisivo quando si tratta di intervenire: in sintesi, raffigura meglio rispetto a Terence Hill, lo stereotipo di un tedesco.
Ma sul suolo tedesco Bud Spencer, quando era ancora un nuotatore ed era conosciuto con il suo nome di battesimo, Carlo Pedersoli, fu il primo uomo a scendere sotto il minuto nei cento metri stile libero. Avvenne nel 1951 nella piscina di Schwäbisch Gmünd, pacifica cittadina nei pressi di Stoccarda. E addirittura, fu sollevata la richiesta di intitolare tale piscina proprio a Bud Spencer. Non ho capito se infine la proposta fu accettata, ma tutto ciò per me, continua ad avere veramente dell'incredibile!
Bis bald!
Stefano

mercoledì 18 novembre 2015

Mannschaft, il valore della diversità

Ciao a tutti!
Questo post mi ronzava in testa da molto tempo. Da quando mi sono trasferito in Germania, sostanzialmente. Poi, la vittoria del mondiale di calcio 2014 da parte della Germania e la recente crisi dei profughi siriani, hanno incrementato il desiderio di parlarne. I fatti di Parigi mi "costringono", in un certo senso, a raccontare quanto la diversità culturale, etnica e religiosa possa essere una risorsa, una fonte di unione e non motivo di divisione e pretesto per entrare in guerra. E per me, l'esempio più lampante è la nazionale tedesca di calcio, la Mannschaft.
"La Germania ha recepito i cambi avvenuti nella società e li ha introdotti nella legislazione per garantire i diritti di tutti", dice Carlo Balestri, responsabile del dipartimento politiche internazionali dell'UISP (Unione Italiana Sport Per tutti). Il riferimento è alla riforma "della nazionalità" attuata nel 2000 in Germania. Esso prevede un sistema basato sullo uno ius soli modificato, ma che permette ad una buona fetta di figli di immigrati di ottenere la cittadinanza tedesca. Ovviamente, anche lo sport ne ha giovato e l'esempio più lampante è la nazionale di calcio che ha trionfato nei Mondiali del 2014 in Brasile.

Sami Khedira, Jérôme Boateng e Mesut Özil, tre colonne della nazionale campione del mondo (fonte: bilder4.n-tv.de)
Tra le file della Mannschaft in quell'edizione del Mondiale, ci sono infatti alcuni giocatori le cui origini sono tutt'altro che tedesche: Sami Khedira (di origine tunisina), Mesut Özil (di origine turca), Lukas Podolski e Miroslav Klose (di origine polacca), Jérôme Boateng (di origine ghanese), Shkodran Mustafi (di origine albanese). Tre di loro fecero anche parte della formazione titolare nella finalissima scontro l'Argentina. I benefici in termini di immagine (e quindi, anche in termini economici) derivanti da una vittoria in un Mondiale di calcio sono difficili da calcolare ma sono decisamente grandi.
Quello che la Germania e la sua nazionale di calcio può rappresentare è un esempio di integrazione in tutta Europa. Ciò che si è visto con la squadra di calcio è ritrovabile in generale anche nella società tedesca - nonostante non vadano dimenticati i moti neonazisti di Pegida, movimento molto attivo nelle regioni più "povere" dell'ex-DDR. Lo dimostra il buon livello di integrazione di tanti stranieri arrivati in Germania, soprattutto nelle ondate degli anni Cinquanta-Sessanta e degli anni del crollo del blocco comunista, ma anche di quelli più recenti. I numeri sono importanti: su più di ottanta milioni di persone, ben sedici circa di essi hanno un'origine extra-tedesca. Il merito della buona integrazione è certamente delle politiche attuate nell'ultimo ventennio per favorire la partecipazione degli immigrati alla vita sociale. La formazione scolastica e l'inquadramento nel mondo del lavoro sono al centro delle politiche sociali del governo tedesco. Non a caso, in Germania esiste un "piano nazionale di integrazione", nel quale vengono definiti i programmi di inserimento: corsi di integrazione linguistica, accesso facilitato alla cittadinanza, progetti finalizzati alla partecipazione sociale, corsi di formazione.

Doppio passaporto (fonte: dtj-online.de)

L'affermazione di una Germania multietnica agli ultimi Mondiali di calcio (che fa riflettere su quanto si potrebbe fare in Italia) è solo la punta dell'iceberg di un sistema di integrazione che in Europa è certamente un modello positivo da esportare. Perché in generale, positivo lo è: il sottoscritto, anche se non extracomunitario, non vengo guardato male in quanto straniero, e questo è anche più che positivo.
Molto c'è ancora da fare, soprattutto in questi tempi in cui le barriere proliferano, la diversità fa paura e la violenza è sempre più di attualità. Io credo, mi auguro, che almeno in Germania sia stata presa la strada giusta per un mondo più giusto.
Bis bald!
Stefano

lunedì 16 novembre 2015

Direzione Ponte Vecchio: l'allenamento frontale

Ciao a tutti!
L'ultimo lungo prima della maratona di Firenze, alla quale manca meno di due settimane, è definibile come un'esplorazione in territori sconosciuti in allenamento. Mi è stata consigliato al fine di provare di coprire quella lacuna (che più o meno ho sempre patito) di energia e brillantezza muscolare negli ultimi chilometri della maratona. Per farlo ho provato a superare quota trentacinque chilometri, una vera e propria soglia in allenamento. Mi sono spinto oltre, verso chilometraggi visti solo in corsa, fino a quasi trentasette chilometri. Eh si, qui le sensazioni della maratona le si provano proprio tutte.

Correre di notte... (fonte: fastbreakathletics.com)

Le condizioni di partenza non sono buone. Il sabato scelto non è di quelli migliori per effettuare questo allenamento. Non sono ancora passate ventiquattro ore dagli sconvolgenti attentati di Parigi, che mi hanno profondamente colpito; sono sveglio dalle 5 per un eccezionale sabato in ufficio; il mio corpo, per "sopravvivere" a questo dovere, è pieno di caffeina; gli orari e le quantità dei pasti sono stati completamente sballati; l'orario di corsa non è quello giusto, non è mattina, è gia pomeriggio inoltrato e a novembre, le giornate mica sono tanto lunghe. Fuori fra freddo, più freddo del solito, e di sole non se ne parla neanche. Non voglio fare meglio dell'ultimo lungo (4'40"/km), ma non voglio correre piano, nonostante l'obiettivo ultimo sia quello di restare sulle gambe per tre ore.
La partenza è buona, chiudo i primi cinque chilometri ad un ritmo di 4'42"/km. Forse un po' veloci, ma cercando di rallentare mi sembra di correre eccessivamente piano. Tutto sembra procedere bene. Ma intorno al sesto/settimo chilometro inizio a percepire dapprima qualche goccia, e poi un piccolo fastidio muscolare - che scoprirò solo al termine essere localizzato nel soleo, muscolo che assieme ai gemelli forma il tricipite della gamba - che mi accompagnerà da qui fino a fine allenamento - e ancora mi accompagna. Anche per non caricare troppo questo muscolo, decido di forzare il rallentamento, senza esagerare troppo: la prima metà di corsa viaggia via in 4'46"/km.

Tutti i lunghi da agosto a novembre...

Intanto la notte scende senza guardarmi in faccia e allora ricomincio la seconda metà di corsa predisponendomi per la corsa in notturna. Sapendo che avrei terminato l'allenamento a notte avanzata, mi sono dotato di lampada frontale per poter correre in sicurezza anche con il buio. Non ce n'è ancora bisogno, ma non voglio arrivare impreparato al momento in cui la luce diventerà indispensabile. Purtroppo, oltre alla notte, scende anche la neve. Lo capisco grazie alla luce della frontale: non è proprio neve, bisognerebbe parlare più di nevischio, di pioggia mista a neve. La temperatura si è abbassata, di tanto, e si sente. E inizia ad abbassarsi anche il livello di energia: è un calo inesorabile. Pur cercando di mantenere la stessa intensità di corsa, mi accorgo che il cronometro non dà gli esiti attesi. I tempi che prima rimanevano facilmente tra 4'40"/km e 4'45"/km ora sono sempre tra 4'45"/km e 4'50"/km. Bisogna ricorrere ad uno sforzo extra per tenere alto il ritmo. E intanto il soleo inizia a fare male. Il ritmo è ancora accettabile, ma quando supero la chiusa di Ottendorf le gambe mollano: a tenere quel ritmo non ce la faccio più, e vado oltre 4'50"/km.

Selfie distrutto post-37 chilometri

La nevicata si fa intensa, i dolori muscolari sono improvvisamente e inspiegabilmente atroci dappertutto, il soleo poi... la vescica che mi accompagna da un mese sulla pianta del piede sembra riacutizzarsi. E intanto i tempi al chilometro aumentano vistosamente. Anche con la testa ho mollato, l'importante è superare questa sera e rimettere i piedi a casa. E allora chissenefrega di quel che segna il cronometro, nella piccola nevicata - che l'effetto ottico della frontale amplifica di una strana bufera - devo arrivare in fondo con le mie gambe. Chiudo i miei trentasette chilometri al ritmo di 4'55"/km. Il tempo è altissimo, ed è un allenamento che segna anche un grosso passo indietro, ma comunque rimane un tempo che non è più scadente dell'ultimo lungo corso prima della maratona di Amburgo, sette mesi fa. Il soleo fa male, è infiammato, gonfio (ed è ancora adesso dolorante), nonostante tutta l'arnica e il Voltaren che sto spalmando con generosità.
Cosa posso dire dopo un tale allenamento? Ovviamente non sono contento, ma cerco di sforzarmi di vedere i lati positivi. Il soleo mi fa male, si, ma ho avuto guai peggiori, e credo sia più che recuperabile in vista degli ultimi allenamenti e della maratona del 29 novembre. Il tempo che ho fatto segnare non mi soddisfa di certo, ma vanno valutate tutte le condizioni al contorno, di certo non positive. Forse ho sognato troppo nelle ultime settimane, ma lo spazio per fare una grande corsa a Firenze. La possibilità di terminare la mia settima maratona con un bel tempo è ancora intatta.
Bis bald!
Stefano

domenica 15 novembre 2015

Un angolo di Italia a Francoforte

Ciao a tutti!
Da italiani residenti all'estero, questo giorno prima o dopo sarebbe arrivato. Parlo del momento in cui avremmo dovuto recarci presso il Consolato d'Italia, nel nostro caso nella sede di Francoforte sul Meno. Quale occasione ci ha spinto a lasciare per un giorno la pacifica Schweinfurt per recarci nel caos di una metropoli come Francoforte? È presto detto. Alcuni documenti, come il passaporto o il certificato di capacità matrimoniale, per i cittadini all'estero, si possono - e in alcuni casi, devono - fare qui. 

Si entra - e comincia un'avventura

Avevamo un po' di timore di questo momento, a dirla onestamente. Per due motivi, in particolare. Il primo è legato agli ultimi mesi, in cui abbiamo provato a contattare il consolato per via telefonica, con risultati poco incoraggianti. L'ufficio di stato civile, per fare un esempio, risponde alle telefonate un'ora al giorno, dalle 11 alle 12. La linea è sempre occupata, e se provi a chiamare alle 11.59 nessuno più risponderà. Un inizio non dei più edificanti, anche se va detto che il servizio online delle prenotazioni è molto semplice ed efficiente. Il secondo motivo è legato ad esperienze molto negative vissute da amici e anche lette su Facebook - ma riguardo un'altra sede consolare, quella di Stoccarda. Insomma, cosa troveremo a Francoforte, nel momento in cui varcheremo la soglia del consolato?
Abbiamo trovato innanzitutto efficienza e professionalità. All'ufficio di stato civile avevamo un appuntamento per le 11. Beh, noi alle 11 siamo usciti con il nostro certificato, già stampato e pagato (!!!). Nell'ufficio passaporti l'orario di appuntamento è stato rispettato secondo una modalità più tedesca che italiana. Tutto è filato liscio senza intoppi.

Vignette italo-tedesche al Consolato

Abbiamo trovato cordialità. All'ingresso una guardia guascona, negli uffici impiegati che scherzano tra loro e che ci sorridono (e ridono, quando mi accorgo di avere un problema nel consegnare l'indice destro per la rilevazione delle impronte digitali), gentilezza in ogni corridoio. Un bell'ambiente, non c'è che dire, soprattutto quando, uscendo dal consolato intorno all'ora di pranzo, emergeva chiaramente un'aroma di pasta al ragù. È Italia, questa.
Ed è anche (o forse soprattutto) un luogo di storie, di umanità, di libri aperti, di vite che raccontano la sofferenza per la separazione dalla propria terra natia. Vite che ora proseguono a duemila chilometri di distanza dal proprio paese natale, vite divise dalla geografia ma che si uniscono in una terra che non è la propria ma nella quale si riesce a dimenticare l'italiano. Vite di speranza, per un futuro migliore per sé e per i propri figli, ma dalle quali trasuda il dolore del sacrificio. Un luogo dal quale potrebbe uscire un grande romanzo, ne sono convinto.
Bis bald!
Stefano

sabato 14 novembre 2015

Parigi non brucerà, neanche stavolta

Parigi, 13 novembre 2015.
Ore 21.20: prima esplosione nella zona circostante lo Stade de France, nel quale si sta giocando l'amichevole tra Francia e Germania. Ore 21.25: sparatorie nei pressi del ristorante Le Petit Cambridge. Ore 21.32: esplosione su Rue de la Fontaine du Roi. Ore 21.43: attacco kamikaze su Boulevard Voltaire. Ore 21.48: sparatorie in Rue de Charonne. Ore 21.49: quattro terroristi irrompono nel locale Bataclan e mietono un'ottantina di vittime.

Quanto mai attuale: La libertà che guida il popolo, di Eugène Delacroix (fonte: geometriefluide.com)

Di primo acchito, ho pensato (a livello esclusivamente personale): "assurdo, sto pubblicando un post su Parigi, sulla sua bellezza, sulla sua meraviglia, e nel frattempo succede questo" (vai al post). Inizialmente, quando le notizie erano ancora frammentarie, non ho dato molto peso a ciò che stava succedendo, forse abituato come sono – da tifoso italiano – a dover sentire notizie di esplosioni all'interno e all'esterno degli stadi. E sono andato a dormire tranquillo. Al mio risveglio, anticipato rispetto a quello di un normale sabato causa "urgenti" motivi lavorativi, mi sono reso conto che la portata di ciò che è successo a Parigi (mentre la stavo magnificando sul mio blog) è enorme, per il contenuto di tragedia e disperazione per le vittime – 127, nel momento in cui scrivo – e per le loro famiglie, per il contenuto di paura e angoscia nel futuro che verrà.

Panico allo Stade de France (fonte: urbanpost.it)

Tra i leader politici che stamani hanno espresso cordoglio e sostengo nei confronti della Francia, chi mi ha colpito e toccato di più è stata Angela Merkel: “La nostra vita libera è più forte del terrore”. Facile a dirsi, molto meno a farsi: chi può sentirsi sicuro oggi in Europa? Questi bastardi vogliono colpire simbolicamente il cuore dell'Europa: una partita di calcio di grande impatto, come Francia-Germania (due nazionali che fanno della valorizzazione multietnica la loro chiave), un locale come il Bataclan, un polo di multiculturalità nel centro di Parigi. Come ho letto in rete, un concerto, un caffè, una cena, un bicchiere di vino non possono essere una colpa, un pericolo, l'anticamera di una morte assurda e infame; una partita di calcio, neanche.

Prime pagine sconvolgenti (fonte: kleinezeitung.at)

Cosa possiamo fare? Di certo non si deve cedere alle provocazioni di “politici” che utilizzano questi fatti per trasformarli in campagna elettorale, così come non si devono amplificare i titoloni di "giornali" che cavalcano il sentimento di terrore della gente (in Italia abbiamo già alcuni esempi poco edificanti). Piuttosto, ci si può guardare un attimo indietro, alla ricerca di capire che cosa è stato fatto di sbagliato – o cosa non è stato fatto. Si può provare ad esaminare come gli interessi economici e le religioni stiano distruggendo questa nostra Terra.

Un omaggio

“Bruciate Parigi!” pare disse Adolf Hitler nel 1944, in un momento della Seconda Guerra Mondiale in cui la Germania nazista era ormai destinata alla sconfitta. Parigi non bruciò, esattamente come in tanti altri momenti della sua travagliata storia. Parigi, esattamente come l'intera Francia, non è mai capitolata. Il merito è del suo senso di appartenenza, del suo orgoglio, delle libertà di pensiero e di espressione, che in Europa probabilmente non hanno pari. E a pochi minuti dalle stragi, la Francia si scopre attaccata ma si riscopre coraggiosa. I francesi cantano la Marsigliese all'uscita dallo Stade de France, i parigini aprono le loro porte a tutti coloro che si sono trovati in difficoltà durante questa irragionevole notte.
La soluzione è proprio questa, non perdersi d'animo, avere coraggio. La Francia è il paese dei grandi illuministi: Voltaire, Montesquieu, Rousseau, Diderot, tutta gente che riletta con attenzione oggi è esattamente l'antitesi dello Stato Islamico, l'acerrima nemica dell'estremismo. Non saranno armi e nuove guerre a salvarci. A sanare le ferite saranno altre cose. Leggere, studiare, pensare con la nostra testa. In due parole: RIMANERE UOMINI. Proprio quello che questi barbari vogliono negare al mondo.

venerdì 13 novembre 2015

Parigi, solo le più belle

"Parigi è la città in cui amo vivere. A volte penso che questo sia perché è l'unica città al mondo dove basta fare un passo fuori da una stazione ferroviaria, la Gare d'Orsay, e vedere, contemporaneamente, i principali incantesimi: la Senna con i suoi ponti e le bancarelle, il Louvre, Notre Dame, i giardini delle Tuileries, Place de la Concorde e l'inizio degli Champs Elysées. Insomma quasi tutto, tranne i Giardini di Lussemburgo e il Palazzo Reale. Ma quale altra città offre così tanto quando si scende da un treno?"
Margaret Anderson

Ciao a tutti!
Parigi è PIENA di incantesimi. In questi ultimi tre mesi, nei post dedicati a Parigi, ho provato a trasmettere la magia che questa città suscita sui propri visitatori. Non sono sicuro di esserci riuscito ma, nel qual caso, voglio provare a rimediare. La fotografia è la via che provo a percorrere in questo post: ho scelto alcune foto per raccontare quella che è stata per me Parigi in questa settimana estiva vissuta nella capitale francese.
Nonostante sia ben conscio che nessuna immagine potrà mai sostituire la bellezza di questa città quando essa si proietta sui nostri occhi...
Bis bald!
Stefano

Il gigante e la giostrina

Girandole

Maschera

Place des Vosges

Artwork n.1

Bouquinistes della Rive Gauche

Spunta una torre

L'oiseau de la Concorde

Frecce davanti al Louvre

La piscina spianata

Favola, poesia

Cultura in piazza

Dal basso verso l'alto

Sfarzo dell'Opéra Garnier

Scie che rimangono

Bianco su bianco

La prima visione di Parigi

Dalla Tour Montparnasse

Magniloquenza

Onda verde-rossa

Povero Diderot: non se lo cagava nessuno

Je t'aime dans toutes les langues du monde

La città bianca

Tuileries

Macarons: sinfonia di colori (e di sapori)

Artwork n.2

L'uscita

Cartelli nel Marais

Il ristorante delle sorelle

Louvre, ma quanto sei grande?

Leggende

Occhi che guardano turisti

Geometrie perfette

Eiffel, onore al merito

Il corridoio di luce

Pantheon, austerità di forme e colori

Immensità...

La bancarella di Matilde

Concerto di luci e riflessi

I colori del Pompidou

Quadretti bianchi e rossi

Una foto da "The end"

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