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venerdì 14 luglio 2017

Un arrivederci nella nebbia

Ho salutato le Tre Cime di Lavaredo. È stato un saluto malinconico, reso ancora più carico di intrinseca nostalgia, da una nebbia che non mi ha permesso oggi di guardarle ancora una volta nella loro interezza. La nebbia deforma, modella, cambia le immagini, anche di queste montagne tra le più iconiche delle Alpi. 

Nebbia alla Forcella Lavaredo

E fortunatamente è stata solo nebbia. Perché la notte ha portato pioggia, tanta pioggia. Pioggia che ho anche incontrato nella prima parte del sentiero che ho percorso per tornare a Carbonin. Il Rifugio Lavaredo è avvolto da una coltre che sembra invalicabile, la stazione meteorologica indica una decina di gradi e umidità ai massimi livelli. Oggi sarà una giornata diversa dalle precedenti, ma lo sapevo già dalle ultime previsioni. Anche delle Tre Cime di Lavaredo non c'è traccia. Solo la Cima Piccola si può vedere da sud, ma dalla Forcella Lavaredo non si intravede alcunché se non la roccia alla base. In cuor mio speravo di poterle vedere ancora una volta nel loro profilo più classico.

Il massimo visibile delle Tre Cime, stamane

Mestamente, scendo lungo il comodo sentiero che va verso il Locatelli-Innerkofler, salvo poi scartarlo per scendere deciso verso Landro, percorrendo il sentiero che corre lungo la Val Rienza. Incontro anche una leggera pioggerellina, che mi costringe ad indossare la giacca a vento. Nulla di serio, per fortuna. Qualche timido tentativo di schiarita si intravede all'orizzonte: la Croda Rossa si scopre e lentamente sempre più parete delle Tre Cime si mostra ai miei occhi.

Val Rienza

Scendendo lungo la Val Rienza, le Tre Cime spariscono lentamente dalle mie possibilità di osservazione. Il sentiero scende ripido verso valle, in un'alternanza di scoscesi gradini glaciali e falsopiani gradevoli. Questo sentiero è un'ottima via d'accesso per chi vuole raggiungere le Tre Cime senza sfruttare la strada che giunge da Misurina, perché se da un lato è ripido, dall'altro va detto che ci sono più occasioni per respirare e prendere fiato. E non trascurerei quel dettaglio che è la soddisfazione di vedersi comparire tutt'a un tratto queste vette così desiderate...

Il Lago di Landro, ai piedi del gruppo del Monte Cristallo

La discesa termina a Landro, una frazione di Dobbiaco nota per l'omonimo lago, uno specchio d'acqua di un'aspra tonalità celeste. Da qui ritorno a Carbonin seguendo la Ciclabile Dolomiti, un comodo percorso situato sulla vecchia ferrovia che collegava Cortina d'Ampezzo a Dobbiaco, sede di una delle più interessanti competizioni podistiche estive, la Cortina-Dobbiaco Run (il runner in me già ci pensa). Gli ultimi chilometri prima di ritrovare la mia automobile sono al cospetto del Monte Cristallo. La sua bellezza, e il sapere che fra poco mi attenderanno altri percorsi dolomitici, attenua la malinconia di questo saluto alle Tre Cime, di un arrivederci consumato troppo in fretta. Come sempre, quando si parla di montagne speciali.
A presto!
Stefano

giovedì 13 luglio 2017

Attorno al regno del sesto grado

Sarà iperturistico, iperfrequentato, ipermonetizzato, ma il Giro delle Tre Cime di Lavaredo rimane sempre un itinerario da favola. Proprio per questa ragione, quando stavo iniziando a coltivare nella mia mente l'idea di tornare nelle Dolomiti per una settimana di trekking, non avevo dubbio alcuno sul dove avrei voluto essere. Sulle Tre Cime, sull'anello che - congiungendo i rifugi Auronzo, Lavaredo e Locatelli-Innerkofler -permette di ammirare tutta l'unicità di queste vette.

La combinazione montagna/rifugio più famosa delle Alpi

Le Tre Cime di Lavaredo, che in realtà sarebbero ben di più (non si considerano Cima Piccolissima, Punta Frida e Sasso di Landro), non sono solo le più famose vette dolomitiche, sono icone, sono simboli. Come la Tour Eiffel per Parigi o il Colosseo per Roma. Come il Cervino per svizzeri e valdostani. Non a caso, le Tre Cime di Lavaredo sono sulla copertina di mappe, guide e libri sulle Dolomiti. Sono un fenomeno culturale, intriso di una carica simbolica dall'orogenesi ben più tardiva rispetto a quella che le rende uniche al mondo. Di fenomeno si tratta, se oltre cinquantamila persone all'anno si recano ai loro piedi per poter stare qualche ora sotto questi muri che hanno fatto sognare generazioni di alpinisti.

Cime piccole, piccolissime

Già, la verticalità delle Tre Cime di Lavaredo non trova paragoni in nessun altro gruppo montuoso delle Alpi. La parete nord della Cima Grande fu uno dei cinque "problemi alpinistici irrisolti", fino al 1933 quando Emilio Comici e i fratelli Dimai aprirono la prima via su questa parete apparentemente inviolabile, via che tuttora è un pensiero fisso nella testa di tanti alpinisti. Non da meno è la parete nord della Cima Ovest, meno frequentata perché più arcigna, ma che fu inviolata addirittura dopo, rispetto alla Cima Grande: era il 1935 quando Riccardo Cassin e Vittorio Ratti firmarono una delle "prime" più celebrate della storia dell'alpinismo.

Rifugio Lavaredo, sullo sfondo il Cadini di Misurina

La morfologia delle Tre Cime è ben visibile dal Rifugio Locatelli-Innerkofler. Il massiccio appare come lacerato, laddove la doccia si tinge di giallo. Questa colorazione è dovuta allo scioglimento di un ghiacciaio che, togliendo il sostegno a della roccia instabile, ha causato crolli catastrofici. I quali segni sono ancora ben visibili sulla porzione di sentiero tra il Rifugio Locatelli-Innerkofler e il Rifugio Auronzo, che corre a fianco di ampi ghiaioni. I ghiaioni alla base sono elementi essenziali per l'estetica delle Tre Cime di Lavaredo. Senza di essi l'effetto visivo di queste pareti, che sembrano uscire dal nulla lacerando cielo e nuvole, non sarebbe affatto lo stesso...

Tre lame che si ergono nel cielo

Inizio il mio giro delle Tre Cime dal Rifugio Lavaredo, base di questi giorni di escursioni nelle Dolomiti di Sesto, incastonato ai piedi della Cima Piccola. La Cima Piccola fu metaforicamente sede di una polemica che ebbe molta risonanza ai tempi (correva l'anno 1998). I protagonisti furono due vere e proprie anime libere nel loro settore: l'alpinista Reinhold Messner e lo scrittore Erri De Luca. Messner andò all'attacco contro la "mistificazione" della montagna, sempre più profanata da infrastrutture e violata da persone lontane anni luce dallo spirito sacro che dovrebbe muovere gli animi in montagna. De Luca dichiarò invece che, durante la salita dello Spigolo Giallo della Cima Piccola (una delle vie classiche delle Tre Cime di Lavaredo), non si sentì affatto infastidito dalla moltitudine di folla che in basso percorreva i comodi sentieri che ruotano attorno alle Tre Cime - oltre a ribadire la non esclusività della montagna. C'è la montagna per chi sale i sesti gradi e per chi può camminare un'ora su un comodo sentiero. Come la penso io? Io mi schiero in mezzo: frequentare la montagna è diritto di tutti, ma entro certi limiti. La gestione del lato sud delle Tre Cime è infatti...più che discutibile.

Vista orientale delle Tre Cime di Lavaredo

Il giro comincia con una prima salita tranquilla verso la Forcella Lavaredo, dalla quale si gode di una delle tre principali prospettive delle pareti nord delle Tre Cime, quella orientale; certamente è la migliore per rendersi conto della verticalità totale della Cima Grande e della Cima Ovest. Nei migliori dei casi, la parete è un muro. Nel peggiore, è un tetto che obbliga ad evoluzioni vietate dalla fisica. È mattina, il cielo è ancora terso, le condizioni migliori per godere al meglio di uno degli scorci più famosi delle Alpi. Bisogna fare in fretta con le foto, comunque: su questa forcella soffia un deciso vento che invita a riparare verso quote più basse e aree più protette.

Piccoli uomini sulla grande nord della C

Scendendo dalla Forcella Lavaredo per raggiungere il Rifugio Locatelli-Innerkofler, si entra nel Parco Naturale delle Tre Cime (una delle sei aree protette della Provincia di Bolzano). Ecco la differenza di gestione tra Bolzano e Belluno, i primi cercano di conservare e preservare l'area, limitando l'accesso di automobili e anche mountain-bike; i secondi costruiscono un parcheggio che è un insulto per chi ama la montagna. Le Tre Cime di Lavaredo sono cippi di confine, non solo tra due regioni, due province e due aree linguistiche, ma anche (soprattutto) tra due diverse filosofie di come si vuole intendere la montagna.

Contemplazione estatica

Raggiungo il Rifugio Locatelli-Innerkofler seguendo il sentiero più comodo e largo, più a valle, quello che scende per poi impennarsi improvvisamente in vista del rifugio. Interessante per me osservare la quantità di fiori a bordo del sentiero: mi sono sempre chiesto come i fiori riescano a trarre nutrimento dall'ambiente roccioso. Questo tratto è sicuramente uno dei sentieri più panoramici delle Alpi, perché oltre all'ombra (reale) del Monte Paterno si aggiunge l'ombra delle Tre Cime di Lavaredo. Al Rifugio Locatelli-Innerkofler c'è già molto movimento, ma ne ero conscio. Questo è uno dei rifugi più desiderati delle Alpi, e centocinquanta posti non sono talvolta sufficienti a contenere la richiesta di pernottamenti. E poi ci sono le ferrate, quelle al Sasso di Sesto, alla Torre di Toblin e soprattutto al Monte Paterno. Quest'ultima non è solo una delle vie ferrate più frequentate ma ha anche una ragguardevole valenza storica. Proprio qui, il 4 luglio 1915 perse la vita Sepp Innerkofler, alpinista e guida alpina a cui è dedicato il rifugio più noto ai piedi delle Tre Cime. Fu ucciso durante una ricognizione che guidò personalmente con un manipolo di soldati austriaci, con l'intento di riconquistare il Monte Paterno in mani italiane. I fatti non sono molto chiari, per alcuni Innerkofler era conscio di andare a morte certa (così come ne erano consci i suoi superiori...), per altri la guida fu uccisa dal fuoco amico. Quel che è certo è che l'esercito italiano tributò a Innerkofler il giusto riconoscimento al nemico. Paradossale invece come il rifugio, oltre che a Sepp Innerkofler, sia intitolato all'asso dell'aviazione italiana Antonio Locatelli - che sulle Tre Cime non lasciò di certo un'impronta enorme come quella di Innerkofler. Che unire i nomi di due eroi, un italiano e un austriaco, fosse un tentativo di riconciliazione?

Il Rifugio Locatelli-Innerkofler, ai piedi del Sasso di Sesto

Dal Rifugio Locatelli-Innerkofler le fotografie che scatto sono numerose ma provvedo ad utilizzare anche il binocolo per provare ad intercettare qualche alpinista alle prese con la dolomia delle Tre Cime. Individuo una cordata di quatto persone sulla via Comici-Dimai alla Cima Grande, e una cordata di due persone sulla Ovest, incerto se sulla via Cassin o sulla direttissima degli Scoiattoli. Le Tre Cime di Lavaredo, e mi riferisco soprattutto alla Cima Grande e alla Cima Ovest, sono state spesso territorio di grandi conquiste e battaglie alpinistiche. Memorabili le sfide negli anni Trenta per salire per la prima volta le pareti nord, e verso la fine dei Cinquanta per firmare la prima direttissima sulla nord della Cima Ovest.

Roccia e fiori

Per terminare il giro delle Tre Cime imbocco il sentiero che scende nel Pian da Rin, una prateria che è circondata da un bastione roccioso enorme, così alto che preclude la vista delle pareti nord. Riguadagnando quota, le nord riprendono forma, una forma diversa perché questa è frutto di luci, angoli e profondità. Costruzioni che la natura ha modellato in costante movimento. La visuale occidentale delle Tre Cime lascia a bocca aperta per la verticalità della Ovest e per il suo spaventoso "tetto", qualcosa indicato solo ai temerari e ai più grandi fuoriclasse dell'arrampicata libera. Fu proprio il versante occidentale delle Tre Cime a comparire in una stampa del 1861, pubblicata da due esploratori inglesi sul libro illustrato The Dolomite Mountains, a dare il via al fenomeno del turismo su queste montagne. Ma l'angolazione ovest è perfetta per godere della meraviglia della natura che sono le Dolomiti e nella fattispecie le Tre Cime di Lavaredo: la morfologia a strati della roccia dolomitica. Impressionante come queste cime, così apparentemente inviolabili, divine e immortali, non siano altro che (semplicisticamente parlando) una serie di strati di roccia calcarea, uno sopra l'altro, che si innalzano provocatorie fino a quasi tremila metri.

Rifugio Auronzo... nell'occhio del ciclone? 

La salita prosegue fino alla Forcella Col di Mezzo, aggirando così il meno celebre Sasso di Landro. Qui si rientra in territorio veneto, ed ecco che compare lo scempio. La strada delle Tre Cime, un'opera importante che collega Misurina al Rifugio Auronzo, ma soprattutto il maxi parcheggio che deturpa un panorama di prim'ordine. Cadini di Misurina, Sorapiss, Cristallo, Croda Rossa. E poi un parcheggio. D'accordo, un pedaggio di 25 euro per ogni macchina, con l'attuale afflusso turistico, porta nelle casse del comune di Auronzo di Cadore una cifra sicuramente superiore al milione di euro. Come biasimare questo modello gestionale? Io non sono contro la strada: come ci si sarebbe arrivato il Giro d'Italia, senza? Cosa si dovrebbe dire dello Stelvio, allora? No, sono contro l'accesso indiscriminato ad automobili e moto. Una navetta elettrica sarebbe un bel segno di cambiamento, in chiave ecologica. Meno traffico, meno inquinanti e (forse) qualche marmotta in più sui prati sotto le Tre Cime.

Il "tetto" della nord della Cima Ovest

Raggiungo il Rifugio Auronzo per rifocillarmi e per godere dell'incredibile cafonaggine di chi viene su, cose che non sono avvezze a chi è abituato alla fatica dell'andar per sentieri o per vie di arrampicata. Il giro delle Tre Cime di Lavaredo è questo e tanto altro, perché sui sentieri ci sono persone che probabilmente non hanno mai messo degli scarponi da montagna, e anche anziani dall'iperventilazione sostenuta, come se un collasso potesse prenderseli via da un momento all'altro. Questo sentieri, grazie alle infrastrutture che il lato bellunese delle Tre Cime ha messo in campo, ha consentito l'invasione di turisti tutto fuorché "selezionati", con grave impatto sugli equilibri dell'area. Non è questa la montagna che sogno, ma per amore di questo spettacolo che sono le Tre Cime di Lavaredo, ingoio il boccone amaro e vado avanti nel cammino.

Vista occidentale delle Tre Cime di Lavaredo

Che prosegue sul sentiero più calpestato delle Dolomiti, quello tra il Rifugio Auronzo e il Rifugio Lavaredo. Nessuna difficoltà, percorribile anche con un passeggino, volendo. È una passerella ai piedi delle pareti sud delle Tre Cime, che solo il tira e molla tra nuvole e roccia rende piacevole. Oltre ai Cadini di Misurina, un fitto sistema di guglie scoscese e di ripidi ghiaioni...prossima meta di un prossimo viaggio nelle Dolomiti? Dopo una piccola cappella ai piedi della Cima Grande, ecco che compare il Rifugio Lavaredo. Il mio tour attorno alle Tre Cime è concluso, tra incomparabile bellezza e un po' di delusione per l'eccessivo sfruttamento turistico. Ma questa è la mia terza volta che giro attorno alle Tre Cime di Lavaredo, qualcosa vorrà pur dire: che ne sia perdutamente innamorato? Io la risposta ce l'ho da sempre. E non può che essere affermativa.
A presto!
Stefano

mercoledì 12 luglio 2017

Monte del sangue versato

Ciao a tutti!
Il primo giorno dolomitico si è concluso ed è stato subito ricco di belle soddisfazioni su tutti i fronti. Belle montagne (e su questo non c'erano dubbi, se il meteo lo permette), ottimi sentieri, notevole chilometraggio e dislivello percorso, buona forma fisica, incontri interessanti. Non posso di certo chiedere di meglio dal primo giorno di trekking. Ma questa è una descrizione sommaria e decisamente riduttiva di una giornata che in realtà ha molto da raccontare.

Testimonianza di una guerra di un secolo fa

Giornata che inizia col brivido: mi alzo e dalla finestra appare tutto grigio. La nebbia è foltissima su Carbonin, una località posta in un vero e proprio cul de sac. Sono sicuro che la nebbia se ne andrà presto: il tempo di una (estremamente ricca) colazione e il cielo è di nuovo blu. Il colpo d'occhio che da Carbonin si gode sulla Croda Rossa è formidabile.

Carbonin

La prima meta di giornata è il Monte Piana (o Monte Piano). Teatro di anni di guerra cruenta tra italiani e austriaci durante il primo conflitto bellico, il Monte Piana deve il suo nome alla sua forma: visto da ovest è una parete scoscesa, visto da est è un panettone, ma in entrambi i casi è ben visibile come sia completamente piatto. Ottimo per scavare delle trincee. Per raggiungerlo bisogna risalire il " Sentiero dei turisti", dopo aver guadato un rio che in tempi passati avrebbe anche essere stato un torrente. Attraverso qualcosa di conosciuto. Quattro anni fa, durante la seconda tappa dell'Alta Via dei Camosci, guadai lo stesso rio, ma con ben altra difficoltà: nel 2013 la primavera fu molto nevosa e i fiumi risultarono assai ricchi di acqua in estate. Inizio la salita del Sentiero dei turisti di buona lena, forse anche troppa. In pochi minuti, infatti, il mio volto e è una maschera di sudore, roba che mi irrita anche gli occhi. Il sentiero è veramente ripido...o sono io a non essere più abituato a certe pendenze? Tra un riposo e l'altro (mica tanto però, se copro 650 metri di dislivello in un'ora!), mi godo qualche bella visuale: su Carbonin, sul Lago di Landro e sull'omonima valle quasi fino a Dobbiaco, sul massiccio del Cristallo circondato dalle nubi e sui pascoli sotto il Vallandro.

Il Lago di Landro

Incontro un tratto attrezzato: un po' di funi e qualche scaletta per aggirare un canale detritico. Superato questo, le pendenze sono più dolci e si raggiunge finalmente la Forcella dei Castrati, il punto che divide le cime Nord e Sud del Monte Piana. Da qui ho finalmente il primo contatto con le Tre Cime di Lavaredo. Sarebbe meglio dire con la Cima Ovest, l'unica visibile - per angolazione e per la presenza di nuvole ingombranti. La Cima Ovest, impressionante per verticalità, è come un muro di gomma in grado di assorbire qualsiasi urto. Le nubi provano a sfondare quel muro ma non c'è verso.

Facile passaggio attrezzato sul Sentiero dei turisti

Il Monte Piana ha una straordinaria particolarità. È un museo storico a cielo aperto, in quanto conserva testimonianze della Prima Guerra Mondiale, e molte di queste in ottimo stato di conservazione. Trincee (talvolta percorribili a piedi), gallerie di mina, ricoveri, postazioni. I sentieri che si dipanano alla scoperta di queste tracce di un passato bellico "lontano" sono molti. Percorrendoli è inevitabile condurre qualche riflessione. Tornerò in futuro sull'argomento - ho bisogno di riflettere ancora su quanto ho visto oggi - ma certamente ho messo a fuoco la duplice natura dell'uomo. Intelligente, quando si tratta di trovare e realizzare soluzioni al limite dell'impossibile (come testimoniano le gallerie e i sentieri a ridosso dello strapiombo). Inetto, se si considera il contesto, una guerra lunga e inutile, voluta da pochi per motivi futili e che ha distrutto o rovinato le vite di molti. E c'è qualcosa che stride, che crea un contrasto insanabile: le campane della pace e le targhe al valore (quale valore? aver ucciso uomini è un valore?).



Le trincee italiane al Monte Piana

Le trincee austriache

La galleria dei Kaiserjäger austriaci

Le gallerie di mina costruite dall'esercito italiano

Mentre le nubi continuano a combattere senza sosta la loro personale guerra con la Ovest di Lavaredo e altri nembi giocano ad ombreggiare i Casini di Misurina (vette che dovrò considerare in una prossima visita nelle Dolomiti!), consumo un meritato pasto. Lo faccio in compagnia di Bruno e Gianfranco, due escursionisti settantenni di Latina, amanti delle Dolomiti da oltre quarant'anni. Con loro discuto un po' di montagna (parlare di cime e Monti con chi è molto più vecchio di te è sempre istruttivo) e nel mentre mi convinco che loro sono invecchiati nel modo giusto: cervello a posto, gambe in forma e tanta passione per la montagna.

I Cadini di Misurina visti dal Monte Piana

Scendo al Rifugio Bosi, sulle pareti del quale si sprecano lapidi e targhe al valore (?). Poco sopra, anche una cappella dedicata ai morti per la patria - dietro ad un vecchio cannone puntato al cielo (...contraddizioni continue). Una sosta al Rifugio Bosi è importante, per consumare quel caffè che mi può dare quella scarica di energia necessaria ad affrontare la seconda parte di cammino. Dal Rifugio Bosi scendo prima lungo la carrozzabile che porta a Misurina, con bella vista sulla selvaggia Val Popena Alta (fonte di ricordi dell'Alta Via dei Camosci). Dunque attraverso una foresta molto ombreggiata (ciò che serviva) prima di raggiungere il Lago d'Antorno. Qui incrocio la strada (tanto contestata) che da Misurina sale al Rifugio Auronzo, ma fortunatamente un sentierino permette di non condividere il mio cammino con le automobili. Poco prima della stazione di pedaggio (25 euro per salire in auto e parcheggiare al Rifugio Auronzo!) il sentiero scarta decisamente verso destra, per attraversare prima bucolici pascoli all'ombra del Ciadin dei Toce e del Ciadin de le Bisse e poi risalire la Val del Cadin di Longeres, un ambiente roccioso misto a prati.

Il terrificante profilo della Cima Ovest di Lavaredo

Dal Lago di Antorno ci sono ancora 400/500 metri di dislivello per arrivare al Rifugio Auronzo, il sentiero è impegnativo, ma non è tanto la pendenza a fare male alle gambe ma la stanchezza accumulata. Se guardo verso ovest intravedo il Monte Piana, e allora mi rendo conto che i chilometri percorsi sono stati già tanti. Ma lo sguardo non può che puntare ai muri calcarei delle Tre Cime, mai completamente allo scoperto, non per questo meno affascinanti. Quando vedo finalmente il Rifugio Auronzo mancano ancora 150 metri di salita. Molto su sentiero, ma anche a bordo di una strada che mi lascia ogni volta perplesso (a partire dagli odori dei gas di scarico che sembrano quelli di una Milano in pieno inverno). Bisogna promuovere il turismo, bisogna espandere il bacino di utenza, ma nel caso del Rifugio Auronzo si è messa in piedi una operazione di esagerato sfruttamento della montagna. Troppe automobili, troppi bus (non di linea), troppo asfalto, troppe persone che con la montagna hanno poco a che fare, troppa cagnara. La montagna dovrebbe essere rumorosa alla sera, dentro un rifugio, e silenziosa di giorno, contemplata da chi vuole trarne il meglio.

A piedi verso il Rifugio Auronzo

Non mi fermo più di tanto al Rifugio Auronzo, i motivi li ho chiariti. Meglio procedere alla svelta verso la meta in cui trovare un pasto meritato e tanto riposo, il Rifugio Lavaredo, posto appena sotto la Forcella Lavaredo e ai piedi della Cima Piccola di Lavaredo), in posizione meravigliosa, sia per il panorama (sulla Croda Passaporto e sui Cadini di Misurina) che per le possibilità escursionistiche di vario livello (dai sentieri alle vie ferrate, fino alle vie alpinistiche tra le più celebri delle Alpi). Infatti, sull'enorme carrozzabile che collega il Rifugio Auronzo al Rifugio Lavaredo, una sorta di "passerella" in alta quota. Si incontra proprio di tutto lungo questa strada: rocciatori e ferratisti, inconfondibili per il loro abbigliamento e per l'imbrago che indossano; normali escursionisti in gita; persone che si affacciano forse per la prima volta alla montagna (sperando che non sia l'ultima), ai quali occhi io, con uno zaino enorme, sembro quasi un alieno. Non mi curo di come mi guarda la gente, non l'ho mai fatto in vita mia, tantomeno ora che vivo in Germania (...), preferisco invece guardare in alto. Chi lo dice che le montagne sono più belle senza nuvole? Oggi le tenebrose nubi, seppur innocue, che coprivano il versante meridionale delle Tre Cime di Lavaredo si sono divertite a giocare con i contorni di queste rocce, che in un cielo terso ci appaiono così netti. Basta una nube per sfocare tutto e per mutare la sagoma di una montagna.

Il Rifugio Lavaredo, all'ombra di una Croda Passaporto coperta dalle nuvole

Ma guardo anche avanti a me, perché non può passare inosservata il lontano specchio d'acqua del Lago di Santa Caterina (dove si trova anche il comune di Auronzo di Cadore), nonché il bastione di roccia della Croda Passaporto. Ma soprattutto, guardo avanti alla ricerca del Rifugio Lavaredo. Il primo giorno è sempre duro, soprattutto se si inizia con venti chilometri di cammino e più di 1500 metri di dislivello. Serve riposo, servono energie nuove, perché l'indomani porta sentieri conosciuti da vivere con occhi sempre curiosi. Dopo le trincee, giunge l'ora di dedicarsi esclusivamente alla purezza di un incomparabile panorama alpino.
A presto!
Stefano

martedì 11 luglio 2017

Un veloce sguardo alla dentiera

Un viaggio lungo dalla Baviera alle Dolomiti. Otto ore di auto tra code inspiegabili, temporali repentini e pioggia a secchiate. Otto ore in cui ho abbandonato le dolci colline franconi per riabbracciare le vette del Tirolo prima e quindi quelle dolomitiche. Per ora solo dal volante della mia auto...

Primo contatto con le Tre Cime di Lavaredo

Mi trovo in questo momento a Carbonin, una piccola frazione di Dobbiaco che prende il nome dalle carbonaie dell'Ottocento. È una località che divide non solo tre porzioni di Dolomiti e altrettanti parchi (Tre Cime di Lavaredo, Braies e Ampezzo) ma è il confine tra Dobbiaco e Cortina, il confine tra popolazioni che parlano lingue diverse. Da qui, domattina, inizierò il mio cammino alla volta delle Tre Cime di Lavaredo. Che ho cercato con ansia durante il viaggio, che ho infine già intravisto dal finestrino, come a voler scrutare che tutto fosse a posto, come a voler verificare che la sagoma delle vette più verticali delle Dolomiti non sia cambiata a distanza di qualche anno. Domani avrò modo di fare una visita più completa. Meteo permettendo, perché se il cielo continua a versare tutta quest'acqua...
A presto!
Stefano

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