giovedì 18 agosto 2016

Apartheid Museum: una pietra per l'impegno

Ciao a tutti!
Un viaggio in Sudafrica non si può molto probabilmente considerare completo senza una visita all'Apartheid Museum di Johannesburg. Perché non è sostanzialmente possibile comprendere questo paese senza confrontarsi con la sua storia, con la dura realtà di una folle politica di segregazione messa in atto dai governanti bianchi nei confronti della popolazione di colore per quasi cinquant'anni, dal 1948 al 1994. L'Apartheid Museum è un museo che lascia il segno nell'animo del visitatore, non meno di quanto lo possa fare un museo di un campo di concentramento (in quei momenti ho spesso ripensato a Mauthausen). Perché l'apartheid, alla fine dei conti, non è poi così lontano dalla follia antisemita messa in pratica da Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale.

Apartheid

Lo si capisce immediatamente, entrando nel museo. L'ingresso è un concentrato di simbolismo: i tornelli per entrare sono due, uno per i tagliandi con la dicitura "whites" e uno per i tagliandi con la dicitura "non-whites". Si, perché a partire dal 1953, ogni attività del paese (anche salire sull'autobus) era divisa per le quattro categorie "razziali": bianchi, neri, coloured (i meticci) e indiani. Qualcosa di assolutamente non-sense, oltre che profondamente ingiusto. Appena superati i tornelli si possono vedere alcune delle carte d'identità in vigore durante l'apartheid, le quali stabilivano a quale categoria razziale appartenesse il cittadino.

L'ingresso all'Apartheid Museum

Questo non vuole essere un post sull'apartheid - ne servirebbero cento e forse più - ma una piccola testimonianza di un momento importante durante il nostro viaggio in Sudafrica. Come si capisce nel corso della visita, l'apartheid aveva lo scopo di mantenere la "purezza" nella razza bianca. I documenti, fisici e multimediali, esposti nell'Apartheid Museum, spiegano bene come ogni scrupolo venne cancellato da parte dei politicanti sudafricani. Gli arresti, le condanne a morte le torture e i genocidi più selvaggi sono la parte che più lascia il segno. Ma anche scoprire che a scuola i bambini non avevano banchi, perché era più conveniente lasciarli nell'ignoranza, oppure sapere che negli ospedali ai neri venivano affidate coperte infette... rende l'idea quale crudeltà sia stata l'apartheid.

"Per soli bianchi"

Ovviamente, nell'Apartheid Museum è ovviamente ben raccontata la storia della lotta all'apartheid, storia che va a braccetto con la figura di Nelson Mandela, il più importante artefice del percorso che ha guidato il Sudafrica verso la fine di questa pazzia. Tutto è meravigliosamente documentato da immagini e filmati dell'epoca, una quantità di materiale che non lascia insensibili i visitatori. Così come è impossibile rimanere freddi di fronte alla cella in cui pendono 131 cappi, che simboleggiano i giustiziati per la libertà dei neri durante il periodo dell'apartheid. Questa cella è solo l'apice di un percorso ben strutturato - e costruito appositamente in locali tetri e sinistri - che aiuta a conoscere una vicenda, quella del dopoguerra in Sudafrica, che in Europa non è conosciuta a sufficienza.

Una pietra per il Sudafrica

La visita si chiude in una grande stanza, in cui risuona l'inno nazionale africano e in cui campeggiano la nuova bandiera sudafricana (adottata con la fine dell'apartheid) e grandi scritte che rappresentano i sette punti cardinali della costituzione del Sudafrica. Oltre a due mucchi di sassi, in una grande teca di vetro: qui, seguendo un rituale africano, i visitatori sono invitati a prendere una pietra da un mucchio, per posizionarlo sulla pila a fianco, a titolo di impegno personale nella lotta contro il razzismo e la discriminazione. Ovunque si possano incontrare. Questo è tutto il senso dell'Apartheid Museum.
Bis bald!
Stefano

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