giovedì 2 agosto 2018

Parigi, venti anni dopo

Stump. Questa storia inizia con uno schianto e tante lacrime: respinto dalla traversa, il pallone calciato da Gigi Di Biagio scappa nel cielo di Parigi, portandosi dietro le speranze di vittoria azzurra al Mondiale 1998. I tifosi italiani piangono e imprecano contro quella che è diventata una maledizione: dopo il 1990 e il 1994, ancora i rigori sbarrano la strada alla Nazionale. Anche Marco Pantani è triste, ma per motivi diversi. Otto giorni prima, il 26 giugno, ha perso la sua guida, l'uomo che nel 1995 aveva creduto in lui nonostante la gamba maciullata, tenuta insieme dal ferro impiantato dai dottori del CTO torinese.
Luciano Pezzi, prima partigiano poi una vita da gregario di Fausto Coppi e un'altra da direttore sportivo iniziata alla grande con Felice Gimondi, era andato a prendersi il Pirata direttamente in ospedale: «Lascia la Carrera e vieni con noi: ti costruisco la squadra intorno. Sei il più forte, vincerai Giro e Tour». Sembravano parole al vento, azzardo destinato al fallimento. E invece il grande saggio aveva visto giusto: nel 1997 Pantani rimesso a nuovo ritrova scatti micidiali e sensazioni giuste sulle salite francesi con una maglia destinata a fare la storia: Mercatone Uno. Sale sul podio, come nel 1994. È il preludio al trionfo in Rosa: arriva nel giugno 1998 dopo un duello all'ultimo respiro col russo Pavel Tonkov. C'è una fotografia che ferma il tempo e restituisce la felicità di quei momenti: Pezzi tiene stretto Marco, lo abbraccia. E il romagnolo sorride, un sorriso bello come quello di un bimbo. C'è di più: il Panta indossa una mantellina gialla, un segno premonitore.
In quel luglio 1998 gli italiani vanno in vacanza scornati per la delusione Mondiale: Zidane trionfa su Ronaldo e alza la Coppa. Il giorno prima, sabato 11, il Tour parte da Dublino. C'è pure il Pirata e non era scontato. Anzi, per tutto il mese precedente sembrava che dovesse accadere il contrario. «Sono scarico mentalmente, dopo la vittoria del Giro ho fatto aldoria per una settimana. Che ci vado a fare in Francia?», ripeteva a tutti il cpaitano della Mercatone. E tutti gli davano ragione, tutti tranne uno: Pezzi, «Marco, dimentica pure sella e pedali per 15 giorni, ma lì devi andarci. Ho studiato il percorso, ci sono le pendenze per fare l'impresa e spezzare la maledizione gialla». Eh già, non ci sono solo i rigori a disturbare il sonno degli sportivi italiani. Per chi vive a pane e bicicletta, il Tour è una ossessione: dal 1965 l'inno di Mameli non fa da ninna nanna all'Arc de Triomphe. Trentatré anni dalla zampata di Gimondi, un'eternità. Pezzi punta tutto sul romagnolo, ma il destino suona alla sua porta: il cuore del vecchio leone smette all'improvviso di battere. Pantani è in Spagna con la squadra, una telefonata gli oscura l'alba: versa lacrime su lacrime. Nei giorni successivi in testa gli rimbombano le parole del suo mentore: «Devi andare al Tour, devi andare al Tour, devi andare al Tour...». E Marco gli rispinde al funerale, mettendo una mano sulla bara: «Ci vado, Luciano. Ci vado». Il resto non lo dice, ma lo pensa: «Ci vado e vinco, Luciano». Anche queste sembrano parole al vento.

Circondato dalla folla sul Galibier (fonte: couleur.cc)

Ma dal quel 26 giugno le cose cambiano: i gregari vedono negli occhi del capitano la scintilla che conoscono bene. Macinano chilometri su chilometri per recuperare il tempo perduto e arrivare alla partenza nelle condizioni migliori. La sfida è a Jan Ullrich, astro nascente e vincitore nel 1997. Il Mondiale viene in soccorso del Panta: la Grande Boucle, per non disturbare il tifo calcistico, posticipa il via di circa una settimana. Ossigeno e allenamenti in più per i muscoli del romagnolo. Ma il gap sembra lo stesso incolmabile: quando il 18 luglio la locomotiva tedesca della Telekom stravince la cronometro a Correze, si prende la maglia gialla e rifila 4' e 21" al Pirata, gli italiani spengono la tv e si concentrano sui bagni al mare. La spiaggia chiama, non ci saranno sorprese.
La Grande Boucle intanto si inerpica sui Pirenei, montagne che infilzano il cielo. Il Panta attacca a ogni tappa: inanella un secondo e un primo posto. Vuoi vedere...? Ullrich è in affanno, le gote sempre più rosse. Il giorno  del giudizio è il 27 luglio, sulle Alpi: da scalare il gigante Galibier, poi picchiata e risalita a Les Deux Alpes. È un pomeriggio estivo che più bugiardo non si può: pioggia gelata, vento, foschia e nuvoloni neri. Ai -4 chilometri da quota 2642 e a circa 50 dal traguardo, il Pirata di alza sui pedali e va all'arrembaggio con la pelata protetta da insolita bandana celeste. La ruota gialla della sua Bianchi solca l'acqua, lascia una scia nell'asfalto banato. E va su ancora, va su canterebbe Gino Paoli. Mezza Italia è incollata alla tv: salta sul divano, grida e scatta in ciabatte tra giardini e salotti. Come per magia quei momenti vivono in una bolla temporale, non vanno più via. Basta chiudere gli occhi per ritrovarsi indietro di 20 anni, ascoltare la voce amica di Adriano De Zan, annusare gli odori, rivivere le emozioni, i battiti del cuore sempre più accelerati. E lo scalatore arrivato dal mare ora va giù, va giù ancora. Poi, dopo la picchiata, di nuovo salita: l'arrivo è vicino, Ullrich sempre più lontano. Vince, il Pirata. Taglia il traguardo con gli occhi chiusi, braccia aperte come ali e il viso che è un matrimonio di sofferenza e gioia.
Sembra un novello Cristo, l'opera madonnara di un artista di strada. È "solo" Marco Pantani. Indossa la maglia gialla mentre il tedesco sbuffa ancora verso Les Deux Alpes: becca quasi 9 minuti dall'italiano. Non rimonta più, non ci sono rigori, gatti neri, macchine in contromano e altre diavolerie. La maledizione del Tour è spezzata, Gimondi alza il braccio del Pirata mentre risuona forte Fratelli d'Italia. «Quel 1998 ha cambiato tutto, facevo piadine e non capivo nulla di ciclismo», ricorda Tonina, la mamma di Marco. «Dopo sembravano tutti impazziti, ma se potessi ridarei indietro coppe e Tour per riavere il mio Antonio Inoki, come chiamavo Marco da piccino. In questi lunghissimi anni ho combattuto per ridare dignità a mio figlio, continuerò a farlo fino all'ultimo respiro. È stato maciullato e abbandonato dopo Madonna di Campiglio. Cosa inimmaginabile solo qualche mese prima». Già, nell'agosto 1998 Cesenatico diventa l'ombelico del mondo: alla festa in piazza arrivano da tutta Italia, c'è pure il premier Romano Prodi e Dario Fo, futuro Nobel, manda un quadro per celebrare l'impresa del romagnolo. Il 199 si tinge di rosa e giallo, è l'"anno di Pantani", è una goduria nazionale. Così, non ci sarà più.
Francesco Ceniti, Sportweek, 7 luglio 2018

sabato 5 maggio 2018

Dieci, da quanto tempo...

Ciao a tutti!
Corro ancora, nel poco tempo rimasto tra lavoro, lavoro post-lavoro, un pannolino e un biberon. Si, un po' di tempo libero è rimasto, e lo uso per tenermi in una discreta forma, per provare a presentarmi alla partenza di qualche corsa. Un po' come farò domani, proprio nella città in cui mi sono trasferito, nel mio passaggio dall'Italia alla Germania, ed ora - da qualche mese - ex-città di residenza.
La prima domenica di maggio è da un po' di tempo il momento della MainCityRun, l'evento podistico dell'anno nella città di Schweinfurt: distanze per tutti i podisti e per tutte le gambe, dai cinque chilometri alla mezza maratona, un momento di sicuro interesse per gli appassionati di corsa della regione, anche grazie alla buona organizzazione.
Nelle edizioni passate ho sempre corso la distanza più lunga, quella della mezza maratona. Proprio qui, un anno fa, stabilii il mio record personale sui 21,097 chilometri. Quest'anno, vari i fattori complici, ho scelto di puntare sui dieci chilometri. Una distanza che non correvo in gara da oltre cinque anni, se non ricordo male.

MainCityRun 2017, la partenza dei 10 chilometri (fonte: maincityrun.de)

Da una parte c'è l'orario: la partenza per la prova sui dieci chilometri è fissata per le 11, mentre per la mezza maratona bisogna aspettare le 13. Quando fa più caldo, quando vorrei già essere a tavola con il resto della famiglia, soprattutto adesso che è più larga. Poi c'è la curiosità di vedere e riprovare la sensazione di correre i dieci chilometri. Sulla mezza maratona e sulla maratona si corre in un modo. Sui dieci chilometri si provano fatiche e sofferenze completamente diverse. Si corre di meno, ma si corre più forte, e questo non vuol dire per forza, minori tormenti. Provare a correre su velocità più alte, potrebbe essere un buon inizio per un percorso futuro. Poi, dulcis in fundo: e se la mezza maratona volessi affrontarla sì, ma tra qualche giorno? Lo deciderò domani, alla luce di come correrò questi dieci chilometri... (a oltre sette mesi dall'ultima manifestazione!)
Bis bald!
Stefano

giovedì 29 marzo 2018

27 marzo 2018

Da adesso in poi com'è che andrà
Con te che hai detto sono qua
E davvero, sei qua fra noi
Fra noi me e lei
Tu che hai davanti quel che hai
Comunque sia da adesso in poi, Auguri
Da me saprai, saprai che vale la pena vivere
Mi chiederai sì, ma perché?
So solo che ti dirò vale la pena, vedrai
Da adesso in poi
Ligabue, Da adesso in poi

Alle 16:49 di martedì 27 marzo è venuta alla luce Rossana, un piccolo batuffolo di 2 chili e 900 grammi circa, che gode di ottima salute, così come sua mamma Giulia.


Benvenuta fra noi, Rossana. Ti prometto che proverò a farti scoprire tutta la parte più bella del mondo. In cammino, o di corsa... ma comunque insieme.

venerdì 23 marzo 2018

Fünf Jahre

The best thing that ever happened a boy
You’re the best thing about me
I’m the kind of trouble that you enjoy
You’re the best thing about me
U2, You’re the best thing about me



martedì 13 marzo 2018

Time-out

Ciao a tutti!
Ritorno a scrivere su questo blog dopo un periodo di pausa forzata, non voluta né tantomeno desiderata, ma necessaria. E dire che di cose di cui parlare ce ne sono state, e pure tante. E ancora ce ne saranno nei prossimi mesi. In queste ultime settimane, in questi ultimi quattro mesi, cause di forza maggiore mi hanno allontanato dal blog. Arrivano, per tutti, inaspettatamente o no, momenti in cui bisogna fissare delle priorità e rispettarle. Quel momento è arrivato anche per me, nel novembre dell'anno scorso: un bebè in arrivo e una casa nuova hanno completamente assorbito il mio tempo libero, e anche oltre.

Ma la pausa è finita...

Non c'era spazio per la scrittura. Non c'era spazio per raccontare. Per qualche mese ho dovuto mettere da parte questo pezzo di me che è A spasso tra i Giganti, per concentrarmi su altri progetti. Niente a che vedere con le corse, con le montagne, con i viaggi. Cercherò di recuperare il terreno perso strada facendo - perché c'è sempre qualcosa da raccontare. E l'anno che è in corso, porta con sé grosse novità: c'è qualcosa più grande di un figlio, c'è un'esperienza più incredibile di una paternità? La prole che verrà non sarà l'unica sfida da affrontare nel 2018: sono sempre (meno male!) tante le idee che passano per la testa. Tempo permettendo, proverò a realizzarle e a raccontarle, sempre su queste pagine.
Bis bald!
Stefano

martedì 2 gennaio 2018

Tutti i colori delle maratone

Dieci maratone. Dieci volte i 42,195 chilometri. Dieci medaglie sudatissime. Dieci preparazioni. Dieci emozioni diverse, dieci storie che si possono riassumere in modo molto semplice.
Con un colore.

Dieci colori per dieci maratone

Il bianco è indubbiamente il colore della mia prima maratona, nel 2012 a Torino. Perché è stata la mia prima esperienza con questa distanza. Il bianco è il colore della prima pagina da riempire di ricordi. E chi l'avrebbe mai detto, che poi di ricordi ce ne furono ancora così tanti...
Alla mia seconda maratona, a Barcellona nel 2013, associo il rosa. Un colore lieto e pieno di speranza, al quale collego il bel ricordo di una settimana catalana ma soprattutto i giorni in cui poi mi stavo innamorando... di colei che poco più di tre anni dopo sarebbe diventata mia moglie.
L'azzurro è il colore della mia prima maratona a Venezia, sempre nel 2013. L'azzurro è colore di positività (e come non esserlo dopo aver migliorato il mio personale di oltre quattro minuti?), ma è il colore del cielo di Venezia dopo aver sfondato il muro di nebbia della pianura, è il colore delle acque del Canal Grande, un momento per il quale vale la pena essere un maratoneta.
Il grigio è il colore della mia seconda maratona a Torino, nel 2013. La sintesi del bianco e nero che indossai quel giorno, ma soprattutto è la giornata plumbea, un esito di certo non brillante (rimane tuttora la peggior performance) e molti episodi che mi hanno deluso - mi riferisco alla scadente organizzazione e ahimè, mi duole ammetterlo, ai torinesi stessi. Episodi che mi hanno allontanato da quella maratona che dovrebbe essere "di casa".
La mia seconda volta a Venezia, nel 2014, in cui sono fortissimamente voluto tornare dopo la bella esperienza dell'anno precedente, è quella che senza dubbio alcuno lego al colore rosso. Il colore dell'amore per una maratona, in cui sì, limai di un minutino il mio personale, ma che io ricordo solamente per aver chiesto a Giulia se voleva sposarmi...
La mia prima volta all'estero è stata nel 2015, ad Amburgo: la maratona che io abbino al colore verde. Per un percorso, per l'appunto, ricco di verde, ma soprattutto per l'equilibrio che mantenni per tutta la corsa. Per una speranza concretizzatisi nel nuovo personale e finalmente, per la prima volta, in una maratona completata in 3h15' (e qualcosina).
Dunque è il turno del viola, il colore della sofferenza. E mai come nel 2015 a Firenze sperimentai questa sensazione negli ultimi cinque chilometri. Quelli che furono i chilometri molto probabilmente più lenti che abbia mai corso in una maratona.
Anno 2016, maratona di Berlino. Una chance di miglioramento sfruttata male, per una preparazione troppo lunga, un allenamento svoltosi in un caldo fuori dalla norma, la sfiga. E soprattutto il ritorno a casa con un piede rotto. C'è poco da aggiungere, il colore che associo a questa maratona è certamente il marrone.
La maratona che a livello di risultati ritengo la più bella di sempre la lego al colore arancio. Parlo della maratona di Roma, nel 2017: un percorso duro scelto per ritornare sui 42,195 chilometri dopo mesi per rimettermi in forma dopo la frattura al piede, convinto di non poter mai e poi mai migliorare il mio miglior tempo. E invece, in una giornata tetra, dopo due acquazzoni (e un terzo evitato per questione di minuti) e sampietrini che diventano saponette, arrivo ai Fori Imperiali con il miglior tempo di sempre. Nelle gambe, quel giorno, avevo il fuoco.
Il giallo, che per me è sinonimo di maturità, lo voglio associare alla mia decima maratona, la terza a Venezia. Decima maratona che corsi più per romanticismo che per vera volontà: era la decima, e avrei desiderato tanto che fosse a Venezia. Per innumerevoli ragioni. Ma le gambe non sempre vanno di pari passo con la testa. E se manca quella, non si va lontano. Solo con l'esperienza di dieci maratone sono arrivato al traguardo senza massacrarmi. Già proiettato verso la prossima volta...
Bis bald!
Stefano

mercoledì 1 novembre 2017

Storie napoletane vol.4

"L'imperatore Tiberio governava da Capri quel mondo antico di cui il Mediterraneo era il «centro», libero di realizzare qualsiasi capriccio della sua immaginazione. Aveva la certezza fisica di essere il vero padrone di tutto ciò su cui il suo sguardo poteva spaziare."
Richard Newbury

Capri e i suoi Faraglioni, what else? 

martedì 31 ottobre 2017

Storie napoletane vol.3

"La bellezza di Napoli cresce di giorno in giorno, di settimana in settimana, via via che scopre i suoi segreti. Finché si giunge a intendere che veramente è questo il più bel golfo della terra."
Guido Piovene

Napoli e il suo golfo dalla Certosa di San Martino

lunedì 30 ottobre 2017

Storie napoletane vol.2

"Un proverbio italiano dice: – Vedi Napoli e poi muori!, ma io dico: – Vedi Napoli e vivi – perché c'è molto qui degno di essere vissuto."
Arthur John Strutt

Un angolo di Piazza del Plebiscito

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...