mercoledì 12 luglio 2017

Monte del sangue versato

Ciao a tutti!
Il primo giorno dolomitico si è concluso ed è stato subito ricco di belle soddisfazioni su tutti i fronti. Belle montagne (e su questo non c'erano dubbi, se il meteo lo permette), ottimi sentieri, notevole chilometraggio e dislivello percorso, buona forma fisica, incontri interessanti. Non posso di certo chiedere di meglio dal primo giorno di trekking. Ma questa è una descrizione sommaria e decisamente riduttiva di una giornata che in realtà ha molto da raccontare.

Testimonianza di una guerra di un secolo fa

Giornata che inizia col brivido: mi alzo e dalla finestra appare tutto grigio. La nebbia è foltissima su Carbonin, una località posta in un vero e proprio cul de sac. Sono sicuro che la nebbia se ne andrà presto: il tempo di una (estremamente ricca) colazione e il cielo è di nuovo blu. Il colpo d'occhio che da Carbonin si gode sulla Croda Rossa è formidabile.

Carbonin

La prima meta di giornata è il Monte Piana (o Monte Piano). Teatro di anni di guerra cruenta tra italiani e austriaci durante il primo conflitto bellico, il Monte Piana deve il suo nome alla sua forma: visto da ovest è una parete scoscesa, visto da est è un panettone, ma in entrambi i casi è ben visibile come sia completamente piatto. Ottimo per scavare delle trincee. Per raggiungerlo bisogna risalire il " Sentiero dei turisti", dopo aver guadato un rio che in tempi passati avrebbe anche essere stato un torrente. Attraverso qualcosa di conosciuto. Quattro anni fa, durante la seconda tappa dell'Alta Via dei Camosci, guadai lo stesso rio, ma con ben altra difficoltà: nel 2013 la primavera fu molto nevosa e i fiumi risultarono assai ricchi di acqua in estate. Inizio la salita del Sentiero dei turisti di buona lena, forse anche troppa. In pochi minuti, infatti, il mio volto e è una maschera di sudore, roba che mi irrita anche gli occhi. Il sentiero è veramente ripido...o sono io a non essere più abituato a certe pendenze? Tra un riposo e l'altro (mica tanto però, se copro 650 metri di dislivello in un'ora!), mi godo qualche bella visuale: su Carbonin, sul Lago di Landro e sull'omonima valle quasi fino a Dobbiaco, sul massiccio del Cristallo circondato dalle nubi e sui pascoli sotto il Vallandro.

Il Lago di Landro

Incontro un tratto attrezzato: un po' di funi e qualche scaletta per aggirare un canale detritico. Superato questo, le pendenze sono più dolci e si raggiunge finalmente la Forcella dei Castrati, il punto che divide le cime Nord e Sud del Monte Piana. Da qui ho finalmente il primo contatto con le Tre Cime di Lavaredo. Sarebbe meglio dire con la Cima Ovest, l'unica visibile - per angolazione e per la presenza di nuvole ingombranti. La Cima Ovest, impressionante per verticalità, è come un muro di gomma in grado di assorbire qualsiasi urto. Le nubi provano a sfondare quel muro ma non c'è verso.

Facile passaggio attrezzato sul Sentiero dei turisti

Il Monte Piana ha una straordinaria particolarità. È un museo storico a cielo aperto, in quanto conserva testimonianze della Prima Guerra Mondiale, e molte di queste in ottimo stato di conservazione. Trincee (talvolta percorribili a piedi), gallerie di mina, ricoveri, postazioni. I sentieri che si dipanano alla scoperta di queste tracce di un passato bellico "lontano" sono molti. Percorrendoli è inevitabile condurre qualche riflessione. Tornerò in futuro sull'argomento - ho bisogno di riflettere ancora su quanto ho visto oggi - ma certamente ho messo a fuoco la duplice natura dell'uomo. Intelligente, quando si tratta di trovare e realizzare soluzioni al limite dell'impossibile (come testimoniano le gallerie e i sentieri a ridosso dello strapiombo). Inetto, se si considera il contesto, una guerra lunga e inutile, voluta da pochi per motivi futili e che ha distrutto o rovinato le vite di molti. E c'è qualcosa che stride, che crea un contrasto insanabile: le campane della pace e le targhe al valore (quale valore? aver ucciso uomini è un valore?).



Le trincee italiane al Monte Piana

Le trincee austriache

La galleria dei Kaiserjäger austriaci

Le gallerie di mina costruite dall'esercito italiano

Mentre le nubi continuano a combattere senza sosta la loro personale guerra con la Ovest di Lavaredo e altri nembi giocano ad ombreggiare i Casini di Misurina (vette che dovrò considerare in una prossima visita nelle Dolomiti!), consumo un meritato pasto. Lo faccio in compagnia di Bruno e Gianfranco, due escursionisti settantenni di Latina, amanti delle Dolomiti da oltre quarant'anni. Con loro discuto un po' di montagna (parlare di cime e Monti con chi è molto più vecchio di te è sempre istruttivo) e nel mentre mi convinco che loro sono invecchiati nel modo giusto: cervello a posto, gambe in forma e tanta passione per la montagna.

I Cadini di Misurina visti dal Monte Piana

Scendo al Rifugio Bosi, sulle pareti del quale si sprecano lapidi e targhe al valore (?). Poco sopra, anche una cappella dedicata ai morti per la patria - dietro ad un vecchio cannone puntato al cielo (...contraddizioni continue). Una sosta al Rifugio Bosi è importante, per consumare quel caffè che mi può dare quella scarica di energia necessaria ad affrontare la seconda parte di cammino. Dal Rifugio Bosi scendo prima lungo la carrozzabile che porta a Misurina, con bella vista sulla selvaggia Val Popena Alta (fonte di ricordi dell'Alta Via dei Camosci). Dunque attraverso una foresta molto ombreggiata (ciò che serviva) prima di raggiungere il Lago d'Antorno. Qui incrocio la strada (tanto contestata) che da Misurina sale al Rifugio Auronzo, ma fortunatamente un sentierino permette di non condividere il mio cammino con le automobili. Poco prima della stazione di pedaggio (25 euro per salire in auto e parcheggiare al Rifugio Auronzo!) il sentiero scarta decisamente verso destra, per attraversare prima bucolici pascoli all'ombra del Ciadin dei Toce e del Ciadin de le Bisse e poi risalire la Val del Cadin di Longeres, un ambiente roccioso misto a prati.

Il terrificante profilo della Cima Ovest di Lavaredo

Dal Lago di Antorno ci sono ancora 400/500 metri di dislivello per arrivare al Rifugio Auronzo, il sentiero è impegnativo, ma non è tanto la pendenza a fare male alle gambe ma la stanchezza accumulata. Se guardo verso ovest intravedo il Monte Piana, e allora mi rendo conto che i chilometri percorsi sono stati già tanti. Ma lo sguardo non può che puntare ai muri calcarei delle Tre Cime, mai completamente allo scoperto, non per questo meno affascinanti. Quando vedo finalmente il Rifugio Auronzo mancano ancora 150 metri di salita. Molto su sentiero, ma anche a bordo di una strada che mi lascia ogni volta perplesso (a partire dagli odori dei gas di scarico che sembrano quelli di una Milano in pieno inverno). Bisogna promuovere il turismo, bisogna espandere il bacino di utenza, ma nel caso del Rifugio Auronzo si è messa in piedi una operazione di esagerato sfruttamento della montagna. Troppe automobili, troppi bus (non di linea), troppo asfalto, troppe persone che con la montagna hanno poco a che fare, troppa cagnara. La montagna dovrebbe essere rumorosa alla sera, dentro un rifugio, e silenziosa di giorno, contemplata da chi vuole trarne il meglio.

A piedi verso il Rifugio Auronzo

Non mi fermo più di tanto al Rifugio Auronzo, i motivi li ho chiariti. Meglio procedere alla svelta verso la meta in cui trovare un pasto meritato e tanto riposo, il Rifugio Lavaredo, posto appena sotto la Forcella Lavaredo e ai piedi della Cima Piccola di Lavaredo), in posizione meravigliosa, sia per il panorama (sulla Croda Passaporto e sui Cadini di Misurina) che per le possibilità escursionistiche di vario livello (dai sentieri alle vie ferrate, fino alle vie alpinistiche tra le più celebri delle Alpi). Infatti, sull'enorme carrozzabile che collega il Rifugio Auronzo al Rifugio Lavaredo, una sorta di "passerella" in alta quota. Si incontra proprio di tutto lungo questa strada: rocciatori e ferratisti, inconfondibili per il loro abbigliamento e per l'imbrago che indossano; normali escursionisti in gita; persone che si affacciano forse per la prima volta alla montagna (sperando che non sia l'ultima), ai quali occhi io, con uno zaino enorme, sembro quasi un alieno. Non mi curo di come mi guarda la gente, non l'ho mai fatto in vita mia, tantomeno ora che vivo in Germania (...), preferisco invece guardare in alto. Chi lo dice che le montagne sono più belle senza nuvole? Oggi le tenebrose nubi, seppur innocue, che coprivano il versante meridionale delle Tre Cime di Lavaredo si sono divertite a giocare con i contorni di queste rocce, che in un cielo terso ci appaiono così netti. Basta una nube per sfocare tutto e per mutare la sagoma di una montagna.

Il Rifugio Lavaredo, all'ombra di una Croda Passaporto coperta dalle nuvole

Ma guardo anche avanti a me, perché non può passare inosservata il lontano specchio d'acqua del Lago di Santa Caterina (dove si trova anche il comune di Auronzo di Cadore), nonché il bastione di roccia della Croda Passaporto. Ma soprattutto, guardo avanti alla ricerca del Rifugio Lavaredo. Il primo giorno è sempre duro, soprattutto se si inizia con venti chilometri di cammino e più di 1500 metri di dislivello. Serve riposo, servono energie nuove, perché l'indomani porta sentieri conosciuti da vivere con occhi sempre curiosi. Dopo le trincee, giunge l'ora di dedicarsi esclusivamente alla purezza di un incomparabile panorama alpino.
A presto!
Stefano

Nessun commento:

Posta un commento

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...