Eh già, a Berlino volevo fare il nuovo personale. Perché non abbassarlo di due/tre minuti? Perché non sognare di chiudere in tre ore e dieci minuti? Invece no, nulla di tutto questo. Non solo non mi miglioro, ma addirittura non riesco a stare dentro le 3h15, e nemmeno sotto le 3h20'. 3h20'08" il tempo finale. Disastro totale? No, perché - col senno di poi - dovrei dire che ho corso più di trentasette chilometri, quasi il 90% dell'intera maratona... con un piede rotto!
Eppure io pensavo di aver preso una bella botta alla pancia e alla gamba destra. Certo, la botta c'è stata, ed è stata il risultato finale di una rovinosa caduta, provocata dalla più classica delle storte. Una storta... Quante ne ho prese di storte in cinque anni di corsa, soprattutto in allenamento. Anche in maratona, me ne ricordo una dopo neanche un chilometro, alla mia prima maratona di Torino. Non era successo niente. Questa invece mi ha spaccato il tarso.
Questo è infatti l'esito degli esami fatti qualche giorno fa. A due/tre ore circa dalla fine della maratona, a freddo, ho iniziato ad avvertire un certo dolore al piede sinistro. Tolgo la scarpa e il piede è visibilmente gonfio. Una distorsione, penso, qualcosa che si recupera nel giro di qualche giorno. Però camminare su questo piede è doloroso. E oltre ai dolori tipici della maratona, le gambe che piangono ad ogni scalino e gli addominali sofferenti ad ogni risata, si aggiunge un piede che lancia evidenti segnali di tormento. Camminare è faticoso, ma non impossibile. La sera del lunedì post-maratona diventa evidente anche un brutto ematoma sul lato esterno del piede. Bisogna fare un controllo perché l'aspetto è tutt'altro che confortante.
Gli esami del giorno dopo (esperienza che meriterebbe un post a parte) parlano chiaro: microfrattura al tarso del piede sinistro. Un pezzettino di tessuto osseo si è staccato dal tarso e se ne è andato per i fatti suoi nel piede, con tutto ciò che ne consegue: gonfiore, infiammazione, ematoma, liquidi vari. Qualche giorno di riposo assoluto, gesso, stampelle. Da un lato non è un problema enorme. Perché non è un dolore impossibile, anzi: a riposo non fa assolutamente male. Perché dopo una maratona, per qualche giorno, di correre non se ne parla proprio. Perché con la maratona di Berlino avrei comunque chiuso questo anno di corse.
Dovermi fermare così, questo no, proprio non me lo immaginavo. C'è sempre una prima volta, prima volta col gesso, prima volta con un osso (micro-)fratturato. Fermo ai box, non è prima la volta e non sarà neanche l'ultima.
Bis bald!
Stefano
venerdì 30 settembre 2016
giovedì 29 settembre 2016
Sorci e musicanti
Ciao a tutti!
Nel nostro viaggio di ritorno da Lubecca, abbiamo pensato che una sosta ad Hameln, cittadina di circa cinquantamila abitanti nel bel mezzo della Bassa Sassonia, fosse qualcosa di quasi doveroso. Perché Hameln è la città famosa nel mondo non tanto per il suo centro storico, per le sue case a graticcio, per una personalità o per un'azienda, ma per una favola. Parlo della leggenda del pifferaio magico, il cui nome in tedesco spiega come essa sia indissolubilmente legata a questa città: Der Rattenfänger von Hameln.
Nel nostro viaggio di ritorno da Lubecca, abbiamo pensato che una sosta ad Hameln, cittadina di circa cinquantamila abitanti nel bel mezzo della Bassa Sassonia, fosse qualcosa di quasi doveroso. Perché Hameln è la città famosa nel mondo non tanto per il suo centro storico, per le sue case a graticcio, per una personalità o per un'azienda, ma per una favola. Parlo della leggenda del pifferaio magico, il cui nome in tedesco spiega come essa sia indissolubilmente legata a questa città: Der Rattenfänger von Hameln.
Un pifferaio magico dipinto su una casa a graticcio di Hameln |
Nonostante sia domenica, ci imbattiamo in una Hameln piuttosto movimentata. Merito di una manifestazione di street food che richiama molte persone e che induce molti negozianti a lasciare aperti i loro esercizi. È una piacevole sorpresa per chi alla domenica è abituato vedere città fantasma. Hameln ha molti elementi della classica cittadina tedesca, vie eleganti che si dipanano lungo file di case a graticcio, e che convergono verso una piazza ampia e raffinata.
Ma questa è una città che vive della fama del pifferaio magico e della sua leggenda, la quale narra del musicante che, su richiesta della popolazione di Hameln, allontana i topi che infestavano la città con il suono del suo piffero; quando la città gli nega il compenso per l'opera di "disinfestazione", egli si vendica imbrogliando i bambini di Hameln grazie al suo piffero e portandoli via con sé. Secondo alcune versioni, li annegherà nel Weser (il fiume che scorre a fianco della città di Hameln); secondo altre, li rinchiuderà in una caverna.
Ma questa è una città che vive della fama del pifferaio magico e della sua leggenda, la quale narra del musicante che, su richiesta della popolazione di Hameln, allontana i topi che infestavano la città con il suono del suo piffero; quando la città gli nega il compenso per l'opera di "disinfestazione", egli si vendica imbrogliando i bambini di Hameln grazie al suo piffero e portandoli via con sé. Secondo alcune versioni, li annegherà nel Weser (il fiume che scorre a fianco della città di Hameln); secondo altre, li rinchiuderà in una caverna.
Hochzeithaus, il palazzo delle campanelle |
Alla storia del pifferaio è dedicato un museo, nella meravigliosa Leistsches Haus. Il percorso di visita guidata per scoprire la città è contraddistinto da un tassello metallico incastonato nel pavé con al centro un topo. Sul ponte ciclabile che oltrepassa il Weser, i ciclisti sono accolti da un gigantesco sorcio dorato. Case pitturate con scene della storia dell'acchiappatopi, e pure tra i souvenir più gettonati ci sono solamente stuoli di ratti. La leggenda del pifferaio, ad Hameln, è in ogni dove.
Pifferai ovunque |
Nella Markt, durante le domeniche della stagione estiva viene messo in scena uno spettacolo teatrale all'aperto con la saga del pifferaio. Ma la Markt, così come alcune vie come Osterstraße e Bäckerstraße, sono veramente un inno a quello che viene denominato "Rinascimento del Weser" lo stile architettonico più caratteristico della Bassa Sassonia, un'interessante miscela del Rinascimento italiano e francese con elementi di stampo più nordico: l'elevata presenza di pinnacoli e statue è tipica di questo stile.
Tra l'inizio della Riforma protestante (1517-1521) e la Guerra dei Trent'Anni (1618-1648) la regione attorno al Weser sperimentò una sorta di boom edilizio. Il fiume stesso, giocando un ruolo significativo nel commercio e nella comunicazione delle idee, si limitò semplicemente a definire l'estensione geografica da nord a sud di un movimento culturale che si estendeva verso ovest fino alla città di Osnabrück e verso est fino a Wolfsburg. Castelli, manieri, municipi, palazzi ed edifici religiosi di questo periodo sono stati conservati e sono stati "tramandati" in grande densità, in quanto l'economia della regione recuperò lentamente dalle conseguenze della Guerra dei Trent'Anni. Non erano infatti ancora disponibili i mezzi tali da garantire quella trasformazione in chiave barocca che si è verificata nel sud della Germania - penso soprattutto ad alcune città come Würzburg e Heidelberg.
Stiftsherrenhaus e Leistsches Haus, due tra le più belle costruzioni di Hameln |
Ma pare che la definizione di "Rinascimento del Weser" sia dovuta alla provenienza della materia prima per la costruzione degli edifici. L'argilla sarebbe stata proprio estratta dal letto del Weser, il fiume che attraversa da sud a nord, da Hannoversch Münden a Bremerhaven, buona metà del territorio tedesco. Con l'argilla del Weser direi che è stato fatto proprio un bel lavoro. Alcuni edifici, come la Stiftsherrenhaus o la Rattenfängerhaus, sono edifici di eleganza superiore e, aggiungo, una visita ad Hameln è consigliata non solo se si vuole scoprire la leggenda del pifferaio.
Bis bald!
Stefano
mercoledì 28 settembre 2016
Bücher: Zorba il greco
"Ascolta: un giorno, in un paesello, vidi un vecchio di novanta anni che lavorava a piantare un mandorlo. «Ma come, nonno!» esclamai, «Pianti un mandorlo?» Ed egli curvo come era, si volse a guardarmi: «Figlio mio, io vivo come se non dovessi mai morire!» dichiarò tranquillo. «Io, invece» gli risposi, «tiro avanti come se dovessi morire da un momento all'altro!» Chi di noi due aveva ragione, padrone?"
Zorba il greco. Un libro consigliato dalla guida turistica di Creta ai tutti quelli che volessero scoprire l'isola per mezzo di un romanzo. Un libro che ci siamo procurati prima di partire per Creta, un libro che Giulia ha descritto come "dalla trama esile". Un libro che, durante tutta la lettura, ho sinceramente apprezzato. Un libro che consiglierei a tutte le persone che vivono un momento difficile o sono cadute in depressione. Zorba il greco è un libro che è vita!
La vicenda di Zorba il greco si svolge nei primi del Novecento e racconta il rapporto tra due uomini tanto diversi quanto complementari tra loro. Uno è proprio Zorba: vecchio ma arzillo, donnaiolo ma saggio, spigliato e pieno di vitalità. L'altro è un giovane scrittore anglo-greco, dal carattere più tormentato, illuso ma poetico, affascinato dalla filosofia buddista. Due personaggi agli antipodi, due immagini descritte con maestria, soprattutto quella di Zorba, al limite del caricaturale. Con la scusa di ripristinare una vecchia miniera di carbone sull'isola di Creta, i due instaurano un'amicizia profonda, intensa, che diventerà eterna. E nel mentre, ritroveranno sé stessi.
Zorba il greco racconta il tutto e il niente. Il tutto è nel saper cogliere il secondo di vita che passa velocemente, vivendo ogni istante con intensità. È indifferente come: viaggiando, lavorando, amando, ballando, bevendo raki, suonando un santuri. Basta non aver sprecato il tempo che un'entità superiore ci ha messo a disposizione. Il niente è la guerra, la lotta per una vittoria effimera, perché si possono tagliare teste o si può diventare ricchi, ma poi arriva il momento in cui saremo divorati da vermi voraci. La miniera può andare a rotoli ma la danza (espressione della vita) è salvifica. Niente rimane, tutto pervade.
Il romanzo di Nikos Karantzakis reso famoso dall'omonimo film del 1964, con Anthony Quinn nel ruolo di Zorba e candidato a tre premi Oscar, è un quasi un manuale di filosofia di vita, dal linguaggio colto ma non complesso, un romanzo che esprime completezza in un affascinante mix di comicità e di tragedia (la morte di Madame Hortense e l'incendio del monastero ne sono la riprova). Un bel testo con il quale scoprire Creta in frasi che fanno emergere nella testa del lettore immagini, sapori, odori e suono dell'isola, un libro per scoprire il popolo cretese, semplice, rozzo, superstizioso. Un romanzo cristallino, puro, di rara umanità, di quelli da conservare e tramandare ai posteri.
Nikos Kazantzakis, Zorba il greco
Zorba il greco. Un libro consigliato dalla guida turistica di Creta ai tutti quelli che volessero scoprire l'isola per mezzo di un romanzo. Un libro che ci siamo procurati prima di partire per Creta, un libro che Giulia ha descritto come "dalla trama esile". Un libro che, durante tutta la lettura, ho sinceramente apprezzato. Un libro che consiglierei a tutte le persone che vivono un momento difficile o sono cadute in depressione. Zorba il greco è un libro che è vita!
La vicenda di Zorba il greco si svolge nei primi del Novecento e racconta il rapporto tra due uomini tanto diversi quanto complementari tra loro. Uno è proprio Zorba: vecchio ma arzillo, donnaiolo ma saggio, spigliato e pieno di vitalità. L'altro è un giovane scrittore anglo-greco, dal carattere più tormentato, illuso ma poetico, affascinato dalla filosofia buddista. Due personaggi agli antipodi, due immagini descritte con maestria, soprattutto quella di Zorba, al limite del caricaturale. Con la scusa di ripristinare una vecchia miniera di carbone sull'isola di Creta, i due instaurano un'amicizia profonda, intensa, che diventerà eterna. E nel mentre, ritroveranno sé stessi.
Zorba il greco racconta il tutto e il niente. Il tutto è nel saper cogliere il secondo di vita che passa velocemente, vivendo ogni istante con intensità. È indifferente come: viaggiando, lavorando, amando, ballando, bevendo raki, suonando un santuri. Basta non aver sprecato il tempo che un'entità superiore ci ha messo a disposizione. Il niente è la guerra, la lotta per una vittoria effimera, perché si possono tagliare teste o si può diventare ricchi, ma poi arriva il momento in cui saremo divorati da vermi voraci. La miniera può andare a rotoli ma la danza (espressione della vita) è salvifica. Niente rimane, tutto pervade.
Il romanzo di Nikos Karantzakis reso famoso dall'omonimo film del 1964, con Anthony Quinn nel ruolo di Zorba e candidato a tre premi Oscar, è un quasi un manuale di filosofia di vita, dal linguaggio colto ma non complesso, un romanzo che esprime completezza in un affascinante mix di comicità e di tragedia (la morte di Madame Hortense e l'incendio del monastero ne sono la riprova). Un bel testo con il quale scoprire Creta in frasi che fanno emergere nella testa del lettore immagini, sapori, odori e suono dell'isola, un libro per scoprire il popolo cretese, semplice, rozzo, superstizioso. Un romanzo cristallino, puro, di rara umanità, di quelli da conservare e tramandare ai posteri.
Bis bald!
P.s.: come si può vedere dalla foto in alto, ho iniziato la lettura di questo libro sulla spiaggia di Stavros, dove fu girato il finale dell'omonimo film.
Giudizio: 10/10 ■■■■■■■■■■
martedì 27 settembre 2016
Stavros, una caletta da film
Ciao a tutti!
Sono quasi sicuro che se non avessi scoperto l'esistenza di un libro dal titolo Zorba il greco, e probabilmente dell'omonimo film a quale si rifà la sceneggiatura, non avremmo mai scoperto uno dei luoghi che più a cuore ci sono rimasti, al termine della settimana cretese: la cala di Stavros. Zorba il greco, opera del cretese Nikos Kazantzakis, è un libro ambientato proprio a Creta ed è unanimemente riconosciuto come il miglior testo per conoscere la tradizione e la cultura dell'isola. L'omonimo film con Anthony Quinn, vincitore di tre premi Oscar, uscì nel 1964 e proprio nella cala di Stavros fu girata la scena conclusiva in cui si balla il sirtaki.
Sono quasi sicuro che se non avessi scoperto l'esistenza di un libro dal titolo Zorba il greco, e probabilmente dell'omonimo film a quale si rifà la sceneggiatura, non avremmo mai scoperto uno dei luoghi che più a cuore ci sono rimasti, al termine della settimana cretese: la cala di Stavros. Zorba il greco, opera del cretese Nikos Kazantzakis, è un libro ambientato proprio a Creta ed è unanimemente riconosciuto come il miglior testo per conoscere la tradizione e la cultura dell'isola. L'omonimo film con Anthony Quinn, vincitore di tre premi Oscar, uscì nel 1964 e proprio nella cala di Stavros fu girata la scena conclusiva in cui si balla il sirtaki.
Stavros, che in greco significa croce, è una località balneare situata ad una ventina di chilometri da La Canea (versione italianizzata di Chania), sul lato settentrionale della penisola di Akrotiri. Originariamente villaggio di pescatori, il paese è diventato oggi un importante centro turistico dotato di alberghi e infrastrutture turistiche: la notorietà dovuta alla produzione americana di Zorba il greco e alle spiagge della zona hanno contribuito allo sviluppo del turismo anche in quest'area un po' più lontana dai normali circuiti turistici di Creta.
Acqua di cristallo |
La caratteristica peculiare della cala di Stavros è una ripidissima montagna a forma di cammello, che si tuffa nel mar Egeo proprio di fronte al pittoresco porticciolo di Stavros. Queste asperità formano dunque una baia ben protetta dai venti che arrivano da nord. L'acqua, inoltre, è fra le migliori incontrate a Creta, grazie ad un fondale composto da un mix di sabbia bianca e roccia. Questo contrasto tra il mare e la montagna, tra la spiaggia molto frequentata e i selvaggi pendii della penisola di Akrotiri, contribuisce a rendere Stavros un posto perfetto per un'insolita nuotata - e una meravigliosa location cinematografica.
Come già detto, la cala di Stavros è adeguatamente attrezzata con lettini ed ombrelloni, dai quali godere di una meravigliosa vista su baia e montagne. Ciò non toglie però il gusto della scoperta e dell'esplorazione. A stuzzicarmi è infatti il non poter vedere dove termina la baia, la cui piatta lingua d'acqua, coperta da una abitazione, è nascosta allo sguardo.
Questa lacuna nella visuale della cala di Stavros mi porta a percorrere a piedi, non senza prima calzare i sandali, un piccolo tratto dell'insenatura rocciosa. La percorriamo lungo il suo perimetro, fin dove ci è possibile: una rete metallica ci sbarra il passaggio. Il motivo è presto chiarito dalla presenza dell'animale "simbolo" di Creta, la capra. Laddove la baia si chiude, sul quale tratto di costa dove vengono depositati dal mare detriti ed alghe, pascola un piccolo gregge di caprini. Intenti a mangiare dagli arbusti circostanti, ma anche dai mucchi di alghe. E, cosa ancora più curiosa, a bere acqua direttamente dal limpido specchio salato della cala di Stavros. Evidentemente, con la scarsità di acqua nelle montagne, anche le capre devono fare di necessità virtù.
La caratteristica montagna che domina la cala di Stavros |
In questo angolo più appartato della cala di Stavros fare un bagno è esperienza mistica e di puro relax. Niente può disturbare la quiete di un posto che, nonostante l'antropizzazione dei dintorni e l'impianto balneare nei pressi, rimane un angolo dove poter trovare tranquillità e frescura nel caldo di una giornata d'estate a Creta. Paradossalmente, la fama dovuta ad un celebre film e la posizione (a pochi chilometri da La Canea e sulla penisola dove sorge anche l'aeroporto cittadino) non sono sufficienti a rendere questa spiaggia invivibile.
Proprio per questo, salutare la spiaggia di Stavros nel bel mezzo della lettura di Zorba il greco (si, ho voluto iniziare questo libro proprio in una delle location dove l'omonimo film è stato girato) è più difficile che altrove.
Io non sono un fanatico del mare e non lo sarò mai quanto lo sono invece della montagna. Ripugno la vacanza "spiaggia, lettino ed ombrellone" (per intenderci, quella in stile riviera romagnola) e quando sono al mare, sono costantemente alla ricerca della caletta incontaminata, della spiaggia nuova piuttosto che dell'angolo più occulto, ove la confusione e la cafonaggine siano possibilmente ridotte ai minimi termini. Ma Stavros è una di quelle spiagge che potrebbe farmi rivedere le mie convinzioni su una vacanza marittima. Dove potrei veramente dire "ah, ora mi fermo qui per una settimana e non mi muovo più". "Rimango qua, a guardare il mare".
Bis bald!
Stefano
lunedì 26 settembre 2016
La gioia intangibile
"Non importa se otteniamo dei risultati o meno, se facciamo bella figura o no, in fin dei conti l'essenziale, per la maggior parte di noi, è qualcosa che non si vede, ma si percepisce nel cuore."
Ritorno a casa da Berlino con una maratona in più sulle gambe, una medaglia da aggiungere alla collezione, un piede gonfio con il quale si fa veramente fatica anche solo a camminare. Ma con un cuore che ha fatto il pieno di belle immagini. In ogni dove dei quartieri attraversati dalla maratona, è stata una festa continua. E arrivare in fondo con un piede parzialmente fuori uso e una gamba che per parecchi chilometri lanciava urla di dolore, su questo arrivo, ha il sapore del trionfo. Sono sentimenti che solo una prova estenuante, infinita ma che scorre sempre troppo velocemente, come la maratona, può garantire.
Haruki Murakami, L'arte di correre
Io vedo l'arrivo |
Ritorno a casa da Berlino con una maratona in più sulle gambe, una medaglia da aggiungere alla collezione, un piede gonfio con il quale si fa veramente fatica anche solo a camminare. Ma con un cuore che ha fatto il pieno di belle immagini. In ogni dove dei quartieri attraversati dalla maratona, è stata una festa continua. E arrivare in fondo con un piede parzialmente fuori uso e una gamba che per parecchi chilometri lanciava urla di dolore, su questo arrivo, ha il sapore del trionfo. Sono sentimenti che solo una prova estenuante, infinita ma che scorre sempre troppo velocemente, come la maratona, può garantire.
Ora si torna alla vita quotidiana, un po' meno di corsa, un po' più di relax (soprattutto per il piede malconcio), ricaricando le batterie per il 2017. Quest'anno è con ogni probabilità chiuso qui quanto alle corse, ma il prossimo, nella mia mente, è già alle porte.
Bis bald!
Stefano
domenica 25 settembre 2016
A mezzo servizio - 3.20.08 a Berlino!
Qualcuno dice che portare a termine una maratona sia solamente uno stato mentale in cui tutto diventa possibile. L'ultima maratona che concluso all'ombra della Porta di Brandeburgo e tra i boschi del Tiergarten, mi ha spiegato quanto sia vera questa affermazione.
Il tempo ufficiale registrato dall'organizzazione è di 3h20'08": un tempo completamente fuori dalle mie aspettative alla partenza. Speravo come minimo in un nuovo personale, se non qualcosa in più. E invece ho dovuto accontentarmi di un tempo veramente alto. Alla luce di quanto successo, però, non è un tempo che mi lascia l'amaro in bocca. Una caduta al quinto chilometro, purtroppo, ha condizionato il resto della corsa, con dolori forti agli arti che si sentivano dopo neanche mezz'ora di gara. Oltre ad un piede che mi faceva vedere le stelle ad ogni curva. Non c'è nulla di grave. Sto bene, o almeno credo, deambulo come al solito dopo una maratona, quindi va bene. Purtroppo, il piccolo incidente ha segnato in negativo tutti i chilometri seguenti.
Va detto comunque, che è stata anche una questione mentale. Sul momento, ho pensato di ritirarmi per il dolore post-caduta. Ma una botta si può recuperare e così ho fatto, ma correndo più piano. La mente si fa sentire anche sulle gambe, che comunque oggi non mi sono sembrate particolamente brillanti. L'incidente c'è stato, ma credo che anche senza non so se sarei riuscito a fare un tempo più soddisfacente. Stanco ero negli ultimi allenamenti, stanco ero oggi. Ma alla fine ho terminato la maratona in una cornice pazzesca, tale da farmi correre un ultimo chilometro come mai l'avevo corso in tutto il resto della corsa.
Vediamo cosa fare il prossimo anno - per me il 2016 è praticamente finito. Ma ora c'è solo da dormire e mangiare per tornare in forma il più presto possibile!
Bis bald!
Stefano
Il tempo ufficiale registrato dall'organizzazione è di 3h20'08": un tempo completamente fuori dalle mie aspettative alla partenza. Speravo come minimo in un nuovo personale, se non qualcosa in più. E invece ho dovuto accontentarmi di un tempo veramente alto. Alla luce di quanto successo, però, non è un tempo che mi lascia l'amaro in bocca. Una caduta al quinto chilometro, purtroppo, ha condizionato il resto della corsa, con dolori forti agli arti che si sentivano dopo neanche mezz'ora di gara. Oltre ad un piede che mi faceva vedere le stelle ad ogni curva. Non c'è nulla di grave. Sto bene, o almeno credo, deambulo come al solito dopo una maratona, quindi va bene. Purtroppo, il piccolo incidente ha segnato in negativo tutti i chilometri seguenti.
Altra medaglia meritatissima! |
Va detto comunque, che è stata anche una questione mentale. Sul momento, ho pensato di ritirarmi per il dolore post-caduta. Ma una botta si può recuperare e così ho fatto, ma correndo più piano. La mente si fa sentire anche sulle gambe, che comunque oggi non mi sono sembrate particolamente brillanti. L'incidente c'è stato, ma credo che anche senza non so se sarei riuscito a fare un tempo più soddisfacente. Stanco ero negli ultimi allenamenti, stanco ero oggi. Ma alla fine ho terminato la maratona in una cornice pazzesca, tale da farmi correre un ultimo chilometro come mai l'avevo corso in tutto il resto della corsa.
Vediamo cosa fare il prossimo anno - per me il 2016 è praticamente finito. Ma ora c'è solo da dormire e mangiare per tornare in forma il più presto possibile!
Bis bald!
Stefano
sabato 24 settembre 2016
Andiamo a maratonare
Ciao a tutti!
La vigilia sta per concludersi, il giorno sta per arrivare. L'alba del giorno (podisticamente parlando) sta per sorgere. La sveglia che mi farà sobbalzare dal letto già in piena eccitazione pre-maratona suonerà fra poche ore. E la canzone scelta per svegliare le mie membra e dare il via ai lunghi preparativi è un po' il manifesto di ogni appassionato di corsa, Born to run di Bruce Springsteen. Sarà necessaria o, come poco meno di quattro anni fa, quando corsi la mia prima maratona a Torino sarò già bello sveglio e pronto a correre quei lunghissimi quarantadue chilometri?
Proprio per questo motivo la vigilia di questa maratona di Berlino non è stata all'insegna del riposo assoluto. Mi sono concesso un paio di passeggiate nella vecchia Berlino Est, alla East Side Gallery in solitudine, e a Treptower Park in ottima compagnia. Come sforzo, niente di trascendentale, eh. Camminare il giorno prima della maratona è una consuetudine collaudata e ritengo sia necessario per rodare le gambe in vista della fatica totale del giorno dopo. Mai lasciarle completamente al loro destino, meglio far capire loro che devono essere attive.
Come ho detto sopra, ho trascorso la maggior parte della giornata in giro per Berlino. Ho visto le facce di tanti maratoneti, per un giorno turisti. Lo intuisci dalle scarpe multicolor, dal fisico asciutto, dal sorriso. Oppure dal pacco-gara, se ce l'hanno a spalla. Oppure dal braccialetto fornitoci dall'organizzazione al momento del ritiro del pettorale, volto a prevenire lo scambio di pettorale in corsa. Una piccola striscia di stoffa bianca e blu con lo la sagoma delle più famose attrazioni turistiche di Berlino: la Porta di Brandeburgo, Potsdamer Platz, la Kaiser-Wilhelm-Gedächtnis-Kirche, il Berliner Dom, la Colonna della Vittoria. Li vedremo tutti, da vicino o da lontano, questi luoghi, domani, noi maratoneti.
Ovviamente ci sono anche tanti italiani. Saremo più di 1100 domani in Straße des 17. Juni. Il nostro popolo è inconfondibile. Parliamo sempre con qualche decibel in più, parliamo con tutto il corpo, esprimiamo emozioni nel linguaggio come nessun altro. Come le due famiglie italiane incontrate oggi sulla U1, visibilmente emozionati per la maratona e un po' preoccupati per le condizioni climatiche, dato che puntano a rimanere sotto le quattro ore e quindi ad arrivare in un orario che presenta temperature più elevate.
Ma anche in albergo ho trovato tante persone pronte ad affrontare i 42.195 chilometri. Da tutto il mondo. Dal tedesco tutto ossa, muscoli e nervi allo spagnolo più cicciottello. C'è il cinese all'ottava maratona che mi guarda come un alieno quando gli dico che punto a migliorare il mio primato di 3h14' - ben conscio che se io vado forte, ci sono migliaia di persone che in confronto a me sono dei fulmini. C'è il polacco che mangia la pastasciutta con avidità dicendomi che domani vuole fare 2h40': lui sì che va forte. Il popolo della maratona è questo, una meraviglioso potpourri di uomini mai in competizione tra loro (a livello amatoriale, si intende) ma solo pronti a tutto contro i propri limiti.
La sera scivola via, sempre troppo in fretta, tra riti mai banali nonostante siano ormai consolidati - è l'ottava sera di vigilia per me. Il solito piatto di pasta, la tisana per digerirla, le solite spille con cui fissare il pettorale alla canotta, il chip da infilare tra i lacci delle scarpe (stavolta con il logo di BMW, main sponsor della maratona di Berlino: che mi aiuti ad andare più forte), l'orologio da mettere in carica, i sali e la vaselina da non dimenticare, tutto l'occorrente per la colazione di domani. Sono passati quasi quattro anni da quella sera nervosa e da quella notte quasi insonne, ma l'emozione, il batticuore rimangono sempre gli stessi.
Perché è così, noi maratoneti viviamo di queste emozioni, difficili da comprendere per chi una maratona non l'ha mai corsa. Ci nutriamo di momenti come questi, istanti che sono incancellabili. Sono il pane necessario per portare a termine un allenamento, l'energia per perseguire un miglioramento di qualche secondo. Secondi che continueranno fino a domani alle 9.15. Poi il giorno atteso da mesi, per qualcuno anche da anni, si trasforma in realtà sotto il frastuono di uno sparo. E lì è solo più una storia di gambe e forza brutale.
Bis bald!
Stefano
La vigilia sta per concludersi, il giorno sta per arrivare. L'alba del giorno (podisticamente parlando) sta per sorgere. La sveglia che mi farà sobbalzare dal letto già in piena eccitazione pre-maratona suonerà fra poche ore. E la canzone scelta per svegliare le mie membra e dare il via ai lunghi preparativi è un po' il manifesto di ogni appassionato di corsa, Born to run di Bruce Springsteen. Sarà necessaria o, come poco meno di quattro anni fa, quando corsi la mia prima maratona a Torino sarò già bello sveglio e pronto a correre quei lunghissimi quarantadue chilometri?
Tutto pronto in Straße des 17. Juni (fonte: facebook.com/berlinmarathon) |
Proprio per questo motivo la vigilia di questa maratona di Berlino non è stata all'insegna del riposo assoluto. Mi sono concesso un paio di passeggiate nella vecchia Berlino Est, alla East Side Gallery in solitudine, e a Treptower Park in ottima compagnia. Come sforzo, niente di trascendentale, eh. Camminare il giorno prima della maratona è una consuetudine collaudata e ritengo sia necessario per rodare le gambe in vista della fatica totale del giorno dopo. Mai lasciarle completamente al loro destino, meglio far capire loro che devono essere attive.
Anche la canotta è pronta. Pettorale 17016 |
Come ho detto sopra, ho trascorso la maggior parte della giornata in giro per Berlino. Ho visto le facce di tanti maratoneti, per un giorno turisti. Lo intuisci dalle scarpe multicolor, dal fisico asciutto, dal sorriso. Oppure dal pacco-gara, se ce l'hanno a spalla. Oppure dal braccialetto fornitoci dall'organizzazione al momento del ritiro del pettorale, volto a prevenire lo scambio di pettorale in corsa. Una piccola striscia di stoffa bianca e blu con lo la sagoma delle più famose attrazioni turistiche di Berlino: la Porta di Brandeburgo, Potsdamer Platz, la Kaiser-Wilhelm-Gedächtnis-Kirche, il Berliner Dom, la Colonna della Vittoria. Li vedremo tutti, da vicino o da lontano, questi luoghi, domani, noi maratoneti.
Ovviamente ci sono anche tanti italiani. Saremo più di 1100 domani in Straße des 17. Juni. Il nostro popolo è inconfondibile. Parliamo sempre con qualche decibel in più, parliamo con tutto il corpo, esprimiamo emozioni nel linguaggio come nessun altro. Come le due famiglie italiane incontrate oggi sulla U1, visibilmente emozionati per la maratona e un po' preoccupati per le condizioni climatiche, dato che puntano a rimanere sotto le quattro ore e quindi ad arrivare in un orario che presenta temperature più elevate.
Il famoso piatto di pasta "della sera prima" |
Ma anche in albergo ho trovato tante persone pronte ad affrontare i 42.195 chilometri. Da tutto il mondo. Dal tedesco tutto ossa, muscoli e nervi allo spagnolo più cicciottello. C'è il cinese all'ottava maratona che mi guarda come un alieno quando gli dico che punto a migliorare il mio primato di 3h14' - ben conscio che se io vado forte, ci sono migliaia di persone che in confronto a me sono dei fulmini. C'è il polacco che mangia la pastasciutta con avidità dicendomi che domani vuole fare 2h40': lui sì che va forte. Il popolo della maratona è questo, una meraviglioso potpourri di uomini mai in competizione tra loro (a livello amatoriale, si intende) ma solo pronti a tutto contro i propri limiti.
Con l'augurio che domani le mie gambe spingano come una BMW |
La sera scivola via, sempre troppo in fretta, tra riti mai banali nonostante siano ormai consolidati - è l'ottava sera di vigilia per me. Il solito piatto di pasta, la tisana per digerirla, le solite spille con cui fissare il pettorale alla canotta, il chip da infilare tra i lacci delle scarpe (stavolta con il logo di BMW, main sponsor della maratona di Berlino: che mi aiuti ad andare più forte), l'orologio da mettere in carica, i sali e la vaselina da non dimenticare, tutto l'occorrente per la colazione di domani. Sono passati quasi quattro anni da quella sera nervosa e da quella notte quasi insonne, ma l'emozione, il batticuore rimangono sempre gli stessi.
-1, e anche meno (fonte: facebook.com/berlinmarathon) |
Perché è così, noi maratoneti viviamo di queste emozioni, difficili da comprendere per chi una maratona non l'ha mai corsa. Ci nutriamo di momenti come questi, istanti che sono incancellabili. Sono il pane necessario per portare a termine un allenamento, l'energia per perseguire un miglioramento di qualche secondo. Secondi che continueranno fino a domani alle 9.15. Poi il giorno atteso da mesi, per qualcuno anche da anni, si trasforma in realtà sotto il frastuono di uno sparo. E lì è solo più una storia di gambe e forza brutale.
Bis bald!
Stefano
venerdì 23 settembre 2016
Il mondo si riunisce a Berlino
Ciao a tutti!
Dunque, sono arrivato a Berlino, pronto ad immergermi nello spirito positivo che circonda una città quando si sta per svolgere la maratona. Nella giornata di venerdì questa positività si può appena percepire, perché non c'è ancora la ressa del sabato, quando tutta la città è presa d'assalto da maratoneti che trascorrono le ore prima della gara passeggiando con il caratteristico sacco-gara sulle spalle. Proprio per questo quel momento intimo che è il ritiro del pettorale l'ho voluto fare al venerdì, quando la ressa è ancora limitata e si può assaporare questo momento con calma.
Il ritiro del pettorale avviene in una vecchia stazione di Berlino, "fantasiosamente" denominata Station Berlin. Gran ressa già nella stazione della metropolitana di Gleisdreieck, a due passi da quest'area espositiva. Preoccupato mi chiedo che coda ci sarà al ritiro del chip e del numero di gara. Gli italiani, come sempre in numero consistente alla BMW-Berlin Marathon, si fanno sentire, con il loro vociare ad alto volume.
Qui non c'è solo spazio per maratoneti. Come quasi sempre in queste manifestazioni - e ancora più a Berlino, la cui maratona è una major - al ritiro del pettorale è associata una manifestazione fieristica con numerosi espositori, normalmente i migliori brand legati al mondo della corsa. Così, volendo, il ritiro del pettorale diventa anche un momento per osservare qualche novità nel settore. Io me ne frego sempre abbastanza, perché questa è un'attività che si addice maggiormente quando si è in gruppo. Essendomi recato a Berlino da solo, non mi sento particolarmente stimolato a fermarmi ad ogni singolo stand per vedere le nuove proposte sul mercato. Tanto lo so che il prossimo anno continuerò a correre con le mie canottiere consunte, pantaloncini della Mizuno dove lo stemma ha già salutato da tempo e un paio di scarpe di Adidas.
Quello che mi piace fare, invece, è fermarmi un po' allo stand di Asics. Ancora una volta lo stand più bello, nonostante non sia il main sponsor (che è Adidas, con uno stand enorme ma anonimo). Di certo Asics è lo stand più ispirazionale, con messaggi pubblicitari che invogliano a spaccare i culi in corsa: "non correre, vola" piuttosto che "lascia che parlino i tuoi piedi" o "pretendi di più".
E poi, c'è l'area firme, il gigantesco pannello predisposto dall'altro top sponsor della maratona di Berlino, ossia BMW. Su questo spazio tutti, maratoneti e non, podisti e loro familiari, possono lasciare un messaggio. Un auto-incoraggiamento, una dedica, un in bocca al lupo. Oppure scrivere semplicemente il proprio nome esplicitando anche da dove si viene.
E qui viene il bello. La meraviglia della Berlin Marathon è che ci sono partecipanti da tutto il mondo. Ventimila tedeschi (su quarantaseimila partecipanti, neanche la metà!), tremila americani, un migliaio di italiani (1127 il numero esatto), altri tremila tra inglesi e francesi. Ma ci sono rappresentanti da ogni continente, da nazioni in cui uno potrebbe pensare che è impossibile che ci si possa allenare per una maratona, da paesi in cui sembra così strano immaginare che una persona scenda in strada per correre. Maldive, Guatemala, Macao, Pakistan, Siria, Iran, Brunei, Zambia. Pure un rappresentante dello Zimbabwe! Addirittura ventiquattro partecipanti (24!!!) dalle Isole Fær Øer: oh, si corre duro in questo remoto arcipelago, perché in proporzione, l'Italia dovrebbe schierarsi con duecentomila atleti alla partenza!
Ma questa è la maratona di Berlino, una delle più rappresentate a livello internazionale, ben 118 nazioni possono vantare un partecipante. Domenica sarà una grande miscellanea di culture e bandiere, esserci non può che essere ulteriore motivo di orgoglio, indipendentemente da come andrà a finire. Perché la maratona è la corsa più massacrante ma è anche fare parte di un sogno collettivo in cui migliaia di persone guardano nella stessa direzione, verso un unico obiettivo, l'agognato traguardo. In questo mondo, è un'utopia.
Bis bald!
Stefano
Dunque, sono arrivato a Berlino, pronto ad immergermi nello spirito positivo che circonda una città quando si sta per svolgere la maratona. Nella giornata di venerdì questa positività si può appena percepire, perché non c'è ancora la ressa del sabato, quando tutta la città è presa d'assalto da maratoneti che trascorrono le ore prima della gara passeggiando con il caratteristico sacco-gara sulle spalle. Proprio per questo quel momento intimo che è il ritiro del pettorale l'ho voluto fare al venerdì, quando la ressa è ancora limitata e si può assaporare questo momento con calma.
Presente a Berlino! |
Il ritiro del pettorale avviene in una vecchia stazione di Berlino, "fantasiosamente" denominata Station Berlin. Gran ressa già nella stazione della metropolitana di Gleisdreieck, a due passi da quest'area espositiva. Preoccupato mi chiedo che coda ci sarà al ritiro del chip e del numero di gara. Gli italiani, come sempre in numero consistente alla BMW-Berlin Marathon, si fanno sentire, con il loro vociare ad alto volume.
Qui non c'è solo spazio per maratoneti. Come quasi sempre in queste manifestazioni - e ancora più a Berlino, la cui maratona è una major - al ritiro del pettorale è associata una manifestazione fieristica con numerosi espositori, normalmente i migliori brand legati al mondo della corsa. Così, volendo, il ritiro del pettorale diventa anche un momento per osservare qualche novità nel settore. Io me ne frego sempre abbastanza, perché questa è un'attività che si addice maggiormente quando si è in gruppo. Essendomi recato a Berlino da solo, non mi sento particolarmente stimolato a fermarmi ad ogni singolo stand per vedere le nuove proposte sul mercato. Tanto lo so che il prossimo anno continuerò a correre con le mie canottiere consunte, pantaloncini della Mizuno dove lo stemma ha già salutato da tempo e un paio di scarpe di Adidas.
Ancora poco traffico alla distribuzione di chip e pettorali |
Quello che mi piace fare, invece, è fermarmi un po' allo stand di Asics. Ancora una volta lo stand più bello, nonostante non sia il main sponsor (che è Adidas, con uno stand enorme ma anonimo). Di certo Asics è lo stand più ispirazionale, con messaggi pubblicitari che invogliano a spaccare i culi in corsa: "non correre, vola" piuttosto che "lascia che parlino i tuoi piedi" o "pretendi di più".
E poi, c'è l'area firme, il gigantesco pannello predisposto dall'altro top sponsor della maratona di Berlino, ossia BMW. Su questo spazio tutti, maratoneti e non, podisti e loro familiari, possono lasciare un messaggio. Un auto-incoraggiamento, una dedica, un in bocca al lupo. Oppure scrivere semplicemente il proprio nome esplicitando anche da dove si viene.
E qui viene il bello. La meraviglia della Berlin Marathon è che ci sono partecipanti da tutto il mondo. Ventimila tedeschi (su quarantaseimila partecipanti, neanche la metà!), tremila americani, un migliaio di italiani (1127 il numero esatto), altri tremila tra inglesi e francesi. Ma ci sono rappresentanti da ogni continente, da nazioni in cui uno potrebbe pensare che è impossibile che ci si possa allenare per una maratona, da paesi in cui sembra così strano immaginare che una persona scenda in strada per correre. Maldive, Guatemala, Macao, Pakistan, Siria, Iran, Brunei, Zambia. Pure un rappresentante dello Zimbabwe! Addirittura ventiquattro partecipanti (24!!!) dalle Isole Fær Øer: oh, si corre duro in questo remoto arcipelago, perché in proporzione, l'Italia dovrebbe schierarsi con duecentomila atleti alla partenza!
Tutto il mondo in pochi metri quadrati |
Ma questa è la maratona di Berlino, una delle più rappresentate a livello internazionale, ben 118 nazioni possono vantare un partecipante. Domenica sarà una grande miscellanea di culture e bandiere, esserci non può che essere ulteriore motivo di orgoglio, indipendentemente da come andrà a finire. Perché la maratona è la corsa più massacrante ma è anche fare parte di un sogno collettivo in cui migliaia di persone guardano nella stessa direzione, verso un unico obiettivo, l'agognato traguardo. In questo mondo, è un'utopia.
Bis bald!
Stefano
giovedì 22 settembre 2016
Berlino Express: il treno dei carboidrati
Correre è uno sport meraviglioso. Tante definizioni e tanti aggettivi possono essere attribuiti alla corsa. Primordiale, perché riporta l'uomo ad un gesto che si impara fin dalla tenera età. Popolare, perché è praticabile da tutti, in ogni quando e in ogni dove. Democratico, perché anche l'amatore può correre, seppur per pochi metri, a fianco del fuoriclasse. Intimo, in quanto correre è un incredibile catalizzatore di pensiero. Queste sono tutte accezioni positive che si possono assegnare a questo sport. Ma tra le tante caratteristiche che rendono "speciale" la corsa (ma è valida per tutti gli sport di resistenza) ce n'è una veramente peculiare: chi corre non ingrassa (quasi) mai e, in particolari momenti, può concedersi qualche sfizio in più.
Per un maratoneta, quel momento arriva proprio ora, nei tre giorni precedenti la gara. È il momento in cui bisogna fare il pieno di energie. Basti pensare che una maratona per un soggetto con le mie caratteristiche fisiche richiede poco più di 2600 chilocalorie, mentre il mio fabbisogno energetico giornaliero, durante il ciclo di allenamento, è di 3100 chilocalorie. Cioè, in tre ore brucio quello che normalmente brucio in un giorno! Ecco perché l'alimentazione gioca un ruolo chiave nella preparazione alla maratona, un ruolo preponderante nell'ultima settimana, in cui si deve correre poco o niente, bensì mangiare molto e bene.
La prima parte di settimana è un po' più complessa: meglio metter dentro proteine e grassi (roba sana, eh) e lasciar stare i carboidrati, soprattutto quelli di pane, patate, riso e pasta. Tre giorni senza non sono affatto facili. Poi, nella seconda metà, ci si può scatenare con la pasta. L'obiettivo è quello di "fare il pieno" alle riserve di glicogeno nei muscoli. Mantenere una dieta ipoglicemica per qualche giorno, per poi alzare improvvisamente la quantità assunta di carboidrati, aiuta ad immagazzinare meglio il glicogeno, il carburante chiave durante la maratona. Quando si sente parlare di "muro" dei 30/35 chilometri, quella situazione psicofisica che si presenta a molti atleti in maratona, si intende sostanzialmente "fine del glicogeno". Proprio per questo motivo le riserve di glicogeno devono essere massime nel momento della partenza.
Per ritardare il più possibile il "muro" c'è l'allenamento specifico, che tende a stimolare il consumo di grassi durante la corsa, la cura dell'alimentazione nelle settimane di allenamento, il mantenimento di un ritmo costante e senza strappi durante la corsa. Ma innanzitutto bisogna incamerare carboidrati, bisogna permettere al glucosio presente negli alimenti di immagazzinarsi nei muscoli sotto forma di glicogeno.
Per ritardare il più possibile il "muro" c'è l'allenamento specifico, che tende a stimolare il consumo di grassi durante la corsa, la cura dell'alimentazione nelle settimane di allenamento, il mantenimento di un ritmo costante e senza strappi durante la corsa. Ma innanzitutto bisogna incamerare carboidrati, bisogna permettere al glucosio presente negli alimenti di immagazzinarsi nei muscoli sotto forma di glicogeno.
E allora sotto con riso e pasta, gli alimenti principe nei tre giorni pre-maratona! Senza strafare, ovviamente. Porzioni fino a 150 grammi di pasta vanno bene. Sono quel tanto che basta in più per veder sorridere lo stomaco del maratoneta.
Bis bald!
Stefano
Bis bald!
Stefano
mercoledì 21 settembre 2016
BMW-Berlin Marathon 2016, il percorso
Se c'è un percorso che accende gli animi dei maratoneti, soprattutto in Europa, è quello della maratona di Berlino. L'appuntamento degli appassionati di atletica, da qualche anno ormai, è fissato per l'ultima domenica di settembre, per vedere se negli ampi viali berlinesi qualche fuoriclasse proveniente dall'Africa orientale riuscirà ad abbassare ulteriormente il record del mondo.
Le statistiche parlano chiaro. Gli ultimi sei record del mondo, riscritti tra il 2003 e il 2014, sono stati realizzati a Berlino. Nei ventiquattro (reali) abbassamenti del limite mondiale dal dopoguerra sui 42.195 chilometri, sette sono stati fatti a Berlino. E, se si compila una classifica dei più forti maratoneti di sempre in base al loro miglior tempo, si scoprirà che i primi sette hanno fatto registrare la loro migliore performance assoluta proprio nella capitale tedesca - due di loro, Emmanuel Mutai e il vincitore 2013 Wilson Kipsang saranno ai nastri di partenza domenica. Non c'è alcun dubbio: se si cerca il meglio dal percorso, bisogna puntare alla maratona di Berlino.
Qualche asperità sul percorso, comunque, c'è. Dall'altimetria pubblicata dall'organizzazione e dalle tracce GPS che si possono trovare in rete ho individuato alcuni punti più difficili lungo il percorso. Il primo è nel primo quarto di corsa, nella zona del Reichstag (dopo poco più di sette chilometri): è il ponte che supera la Sprea, sul confine che trent'anni fa separava Berlino Ovest e Berlino Est. Il secondo potrebbe essere in Innsbrucker Platz. L'altimetria fa segnare in corrispondenza di questa piazza una discesa ed una salita in rapida successione: che sia un sottopassaggio? Il punto più elevato (e contemporaneamente più ripido) del percorso cadrà invece a due terzi esatti di corsa, in Lentzeallee. Apparentemente, dalle immagini satellitari, dovrebbe essere un lungo viale in salita. Questa dovrebbe essere l'ultima asperità del percorso, ed è una bella notizia, in quanto l'ultimo terzo di corsa non dovrebbe presentare salita ma quasi esclusivamente leggera discesa.
Conosco Berlino, ma non bene come altre città tedesche, come Norimberga, Monaco di Baviera o Amburgo. Diciamo che conosco i tipici punti più turistici e poco più. Nonostante ciò, l'impressione che ho dal tracciato è che questo sia una meravigliosa cartolina della capitale tedesca. Dei dodici distretti di Berlino, ben sei vengono toccati (Mitte, Charlottenburg-Wilmersdorf, Friedrichshain-Kreuzberg, Neukölln, Tempelhof-Schöneberg, Steglitz-Zehlendorf) dal percorso della maratona e sono anche tra i più centrali. Dovrebbe bastare come garanzia che il percorso - quantomeno per ciò che vedrò attorno - non sarà affatto noioso.
A cominciare dalla zona della partenza e dell'arrivo, nel bel mezzo del Tiergarten. Si parte in una Straße des 17.Juni ancora ombreggiata dagli alberi del Tiergarten e si arriva di nuovo lì, ma giusto qualche centinaio di metri dopo il passaggio sotto la Porta di Brandeburgo - questo il momento, presumo, più atteso dai maratoneti.
Ma il percorso offrirà svariate occasioni per guardarsi intorno e ammirare la capitale tedesca. Il Reichstag e la sua cupola, dopo sette chilometri di corsa. Poco dopo, si passa vicino alla Fernsehturm. Non in Alexanderplatz, ma poco lontano. Dunque i quartieri di Neukölln e Kreuzberg, aree per me quasi sconosciute e dalle quali mi auguro di trovare un bel pubblico pronto a dare manforte al popolo della maratona. Dunque Schöneberg e Steglitz, anch'essi per me ignoti, dove dovrebbero esserci i tratti più ondulati del percorso. Quindi Charlottenburg, area che conosco meglio: il passaggio sul Kurfürstendamm, che ricordo come un viale larghissimo e tappezzato di centri commerciali e negozi di tendenza, dovrebbe garantire velocità e un tifo indiavolato.
Le statistiche parlano chiaro. Gli ultimi sei record del mondo, riscritti tra il 2003 e il 2014, sono stati realizzati a Berlino. Nei ventiquattro (reali) abbassamenti del limite mondiale dal dopoguerra sui 42.195 chilometri, sette sono stati fatti a Berlino. E, se si compila una classifica dei più forti maratoneti di sempre in base al loro miglior tempo, si scoprirà che i primi sette hanno fatto registrare la loro migliore performance assoluta proprio nella capitale tedesca - due di loro, Emmanuel Mutai e il vincitore 2013 Wilson Kipsang saranno ai nastri di partenza domenica. Non c'è alcun dubbio: se si cerca il meglio dal percorso, bisogna puntare alla maratona di Berlino.
Comincio dalla fine (la Porta di Brandeburgo) |
Qualche asperità sul percorso, comunque, c'è. Dall'altimetria pubblicata dall'organizzazione e dalle tracce GPS che si possono trovare in rete ho individuato alcuni punti più difficili lungo il percorso. Il primo è nel primo quarto di corsa, nella zona del Reichstag (dopo poco più di sette chilometri): è il ponte che supera la Sprea, sul confine che trent'anni fa separava Berlino Ovest e Berlino Est. Il secondo potrebbe essere in Innsbrucker Platz. L'altimetria fa segnare in corrispondenza di questa piazza una discesa ed una salita in rapida successione: che sia un sottopassaggio? Il punto più elevato (e contemporaneamente più ripido) del percorso cadrà invece a due terzi esatti di corsa, in Lentzeallee. Apparentemente, dalle immagini satellitari, dovrebbe essere un lungo viale in salita. Questa dovrebbe essere l'ultima asperità del percorso, ed è una bella notizia, in quanto l'ultimo terzo di corsa non dovrebbe presentare salita ma quasi esclusivamente leggera discesa.
Il percorso dell'edizione numero 43 della BMW-Berlin Marathon |
Conosco Berlino, ma non bene come altre città tedesche, come Norimberga, Monaco di Baviera o Amburgo. Diciamo che conosco i tipici punti più turistici e poco più. Nonostante ciò, l'impressione che ho dal tracciato è che questo sia una meravigliosa cartolina della capitale tedesca. Dei dodici distretti di Berlino, ben sei vengono toccati (Mitte, Charlottenburg-Wilmersdorf, Friedrichshain-Kreuzberg, Neukölln, Tempelhof-Schöneberg, Steglitz-Zehlendorf) dal percorso della maratona e sono anche tra i più centrali. Dovrebbe bastare come garanzia che il percorso - quantomeno per ciò che vedrò attorno - non sarà affatto noioso.
L'altimetria della BMW-Berlin Marathon 2016 |
A cominciare dalla zona della partenza e dell'arrivo, nel bel mezzo del Tiergarten. Si parte in una Straße des 17.Juni ancora ombreggiata dagli alberi del Tiergarten e si arriva di nuovo lì, ma giusto qualche centinaio di metri dopo il passaggio sotto la Porta di Brandeburgo - questo il momento, presumo, più atteso dai maratoneti.
Ma il percorso offrirà svariate occasioni per guardarsi intorno e ammirare la capitale tedesca. Il Reichstag e la sua cupola, dopo sette chilometri di corsa. Poco dopo, si passa vicino alla Fernsehturm. Non in Alexanderplatz, ma poco lontano. Dunque i quartieri di Neukölln e Kreuzberg, aree per me quasi sconosciute e dalle quali mi auguro di trovare un bel pubblico pronto a dare manforte al popolo della maratona. Dunque Schöneberg e Steglitz, anch'essi per me ignoti, dove dovrebbero esserci i tratti più ondulati del percorso. Quindi Charlottenburg, area che conosco meglio: il passaggio sul Kurfürstendamm, che ricordo come un viale larghissimo e tappezzato di centri commerciali e negozi di tendenza, dovrebbe garantire velocità e un tifo indiavolato.
E finisco con l'inizio (Straße des 17.Juni) |
Si continua su Potsdamer Platz, piazza in cui torno più che volentieri. Quindi il pieno centro di Berlino, Leipzigerstraße, il Deutscher Dom e tra il chilometro 41 e il chilometro 42, l'ultima vera curva della maratona, per entrare in Unter den Linden. Altro viale enorme, che non finirà più. Ad occhio e croce, mancherà ancora un chilometro.
E già lo so, che saranno mille metri E-TER-NI. Una Pariser Platz da raggiungere, una Porta di Brandeburgo tutta da vedere, ma impossibile da toccare quando nei muscoli c'è più lattato che energia, un traguardo che sembrerà un miraggio. Già lo so.
Bis bald!
Stefano
E già lo so, che saranno mille metri E-TER-NI. Una Pariser Platz da raggiungere, una Porta di Brandeburgo tutta da vedere, ma impossibile da toccare quando nei muscoli c'è più lattato che energia, un traguardo che sembrerà un miraggio. Già lo so.
Bis bald!
Stefano
martedì 20 settembre 2016
Bücher: Il mastino dei Baskerville
- C'è in lei, Watson, un'ingenuità così deliziosamente fresca, che esercitare a sue spese le mie modeste facoltà mi procura un vero piacere. Un gentiluomo se ne va a spasso in una giornata piovosa e fangosa. Se ne ritorna a sera lindo e pulito, col cappello e le scarpe assolutamente immacolate. Perciò non può che essersene rimasto fermo come una cariatide per tutta la giornata. Dove può essere stato, dunque? La cosa non le sembra ovvia?
- Effettivamente sì.
- Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si dà mai pena di notare.
Ciao a tutti!
Era da tempo che volevo provare a leggere un libro che ha per protagonista Sherlock Holmes, il personaggio nato dalla penna di Arthur Conan Doyle: si parla di un soggetto molto attuale (vedere i film e le serie televisive uscite recentemente) nonostante abbia oltre un secolo di vita, e che suscita enorme fascino per la sua immagine non convenzionale. E poi, si sa, Sherlock Holmes è un personaggio chiave della storia del genere letterario giallo. Il mio primo contatto con le avventure di Holmes e del suo fido assistente Watson è con una delle vicende più famose, quella narrata ne Il mastino dei Baskerville.
Non voglio recensire un'opera acclamata come quella di Conan Doyle, ma solo omaggiare alcune caratteristiche che l'hanno reso questa lettura gradevole e coinvolgente, mai indigesta. La figura di Holmes, tanto per cominciare: un personaggio difficile, a tratti antipatico ma al quale bisogna riconoscere una certa genialità. Perfetta è la ricostruzione di dettagli che appaiono decisamente verosimili per l'epoca (a cavallo tra il XIX e il XX secolo). Le peculiarità chiave di un bel romanzo giallo, poi, ci sono tutte quante: il sovrannaturale che incombe sulla vita dei protagonisti, personaggi difficili da inquadrare psicologicamente, un ambiente che più tetro non ci potrebbe essere: la palude, la brughiera, un cupo maniero. E poi, il gran finale: le ultime pagine, di grande pathos, sono la dimostrazione del perché l'opera di Conan Doyle si erge a capostipite della letteratura gialla.
- Effettivamente sì.
- Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si dà mai pena di notare.
Arthur Conan Doyle, Il mastino dei Baskerville
Ciao a tutti!
Era da tempo che volevo provare a leggere un libro che ha per protagonista Sherlock Holmes, il personaggio nato dalla penna di Arthur Conan Doyle: si parla di un soggetto molto attuale (vedere i film e le serie televisive uscite recentemente) nonostante abbia oltre un secolo di vita, e che suscita enorme fascino per la sua immagine non convenzionale. E poi, si sa, Sherlock Holmes è un personaggio chiave della storia del genere letterario giallo. Il mio primo contatto con le avventure di Holmes e del suo fido assistente Watson è con una delle vicende più famose, quella narrata ne Il mastino dei Baskerville.
Non voglio recensire un'opera acclamata come quella di Conan Doyle, ma solo omaggiare alcune caratteristiche che l'hanno reso questa lettura gradevole e coinvolgente, mai indigesta. La figura di Holmes, tanto per cominciare: un personaggio difficile, a tratti antipatico ma al quale bisogna riconoscere una certa genialità. Perfetta è la ricostruzione di dettagli che appaiono decisamente verosimili per l'epoca (a cavallo tra il XIX e il XX secolo). Le peculiarità chiave di un bel romanzo giallo, poi, ci sono tutte quante: il sovrannaturale che incombe sulla vita dei protagonisti, personaggi difficili da inquadrare psicologicamente, un ambiente che più tetro non ci potrebbe essere: la palude, la brughiera, un cupo maniero. E poi, il gran finale: le ultime pagine, di grande pathos, sono la dimostrazione del perché l'opera di Conan Doyle si erge a capostipite della letteratura gialla.
Bis bald!
Stefano
Giudizio: 9/10 ■■■■■■■■■■
Giudizio: 9/10 ■■■■■■■■■■
lunedì 19 settembre 2016
Trionfo dell'uomo curioso
Ciao a tutti!
Ieri si è conclusa a Rio de Janeiro l'edizione n.15 dei Giochi Paralimpici. Una bella edizione per i colori azzurri: gli atleti italiani hanno saputo regalare numerose soddisfazioni, dalla conferma di Assunta Legnante nell'atletica leggera alla rivelazione di Beatrice Vio nella scherma. Ma per ovvi motivi legati alla sua vicenda sportiva ed umana, a lasciare un segno indelebile è stato ancora una volta Alex Zanardi. Sempre di più leggenda: alla soglia dei cinquant'anni, un uomo ancora in grado di tornare da una Olimpiade per atleti con disabilità fisiche con tre medaglie nel ciclismo, due d'oro (cronometro categoria H5 e staffetta mista) e una d'argento (prova in linea categoria H5). Aggiungere qualcosa a questa impresa è difficile, gli elogi arrivano da tutto il mondo e grande è lo stupore quando si celebra questo genere di vittorie, sportive e morali.
La mia ammirazione è grande. Storie come la sua sono l'invito a non mollare mai, a non lasciare nulla di intentato. Zanardi è da molti anni una grande fonte di ispirazione per me, ogni sua parola è vangelo per le mie orecchie. Come una sua riflessione espressa durante un'intervista al David Letterman Show, che spiega cosa sta alla base dei suoi successi. E soprattutto, cosa dovrebbe stare alla base di ogni vita felice.
"Credo che la curiosità sia tutto ciò che ti serve nella vita. E se sei curioso abbastanza, trovi la tua passione. Una volta che l'hai trovata, voglio dire... tutto avverrà in modo molto naturale. Persino i risultati che ottieni, che siano piccoli o grandi, sono solo la conseguenza logica della passione che metti nella quotidianità, per crescere, prendendo ogni giorno come nuova opportunità per aggiungere qualcosa alla tua vita, giorno dopo giorno. E alla fine potresti ritrovarti a Londra a vincere una medaglia d'oro. Se qualcuno me lo avesse detto qualche anno fa gli avrei chiesto: «Cosa ti sei fumato?» «Io? I Giochi Olimpici? Sono un pilota di auto da corsa!»
Si, la vita è divertente. Voglio dire, non sapevo cosa avrei potuto fare l'11 ottobre del 2014 (l'ironman di Kona, ndr) già dal primo di gennaio del 2014 quindi, devi provarci ogni volta che è possibile senza lasciare che queste cose ti dominino. Però se hai l'opportunità, perché non provare? E con questo tipo di mentalità, credo di essere tornato a un fantastico tipo di vita dove tutte le cose che sto facendo in questi giorni sono più o meno in relazione alla mia nuova condizione."
Ieri si è conclusa a Rio de Janeiro l'edizione n.15 dei Giochi Paralimpici. Una bella edizione per i colori azzurri: gli atleti italiani hanno saputo regalare numerose soddisfazioni, dalla conferma di Assunta Legnante nell'atletica leggera alla rivelazione di Beatrice Vio nella scherma. Ma per ovvi motivi legati alla sua vicenda sportiva ed umana, a lasciare un segno indelebile è stato ancora una volta Alex Zanardi. Sempre di più leggenda: alla soglia dei cinquant'anni, un uomo ancora in grado di tornare da una Olimpiade per atleti con disabilità fisiche con tre medaglie nel ciclismo, due d'oro (cronometro categoria H5 e staffetta mista) e una d'argento (prova in linea categoria H5). Aggiungere qualcosa a questa impresa è difficile, gli elogi arrivano da tutto il mondo e grande è lo stupore quando si celebra questo genere di vittorie, sportive e morali.
La mia ammirazione è grande. Storie come la sua sono l'invito a non mollare mai, a non lasciare nulla di intentato. Zanardi è da molti anni una grande fonte di ispirazione per me, ogni sua parola è vangelo per le mie orecchie. Come una sua riflessione espressa durante un'intervista al David Letterman Show, che spiega cosa sta alla base dei suoi successi. E soprattutto, cosa dovrebbe stare alla base di ogni vita felice.
Ancora medaglia d'oro, immenso! |
"Credo che la curiosità sia tutto ciò che ti serve nella vita. E se sei curioso abbastanza, trovi la tua passione. Una volta che l'hai trovata, voglio dire... tutto avverrà in modo molto naturale. Persino i risultati che ottieni, che siano piccoli o grandi, sono solo la conseguenza logica della passione che metti nella quotidianità, per crescere, prendendo ogni giorno come nuova opportunità per aggiungere qualcosa alla tua vita, giorno dopo giorno. E alla fine potresti ritrovarti a Londra a vincere una medaglia d'oro. Se qualcuno me lo avesse detto qualche anno fa gli avrei chiesto: «Cosa ti sei fumato?» «Io? I Giochi Olimpici? Sono un pilota di auto da corsa!»
Si, la vita è divertente. Voglio dire, non sapevo cosa avrei potuto fare l'11 ottobre del 2014 (l'ironman di Kona, ndr) già dal primo di gennaio del 2014 quindi, devi provarci ogni volta che è possibile senza lasciare che queste cose ti dominino. Però se hai l'opportunità, perché non provare? E con questo tipo di mentalità, credo di essere tornato a un fantastico tipo di vita dove tutte le cose che sto facendo in questi giorni sono più o meno in relazione alla mia nuova condizione."
Alex Zanardi, durante un'intervista al David Letterman Show
domenica 18 settembre 2016
Berlino Express: non mi resta che aspettare il bus
Ciao a tutti!
Meno sette a Berlino, e oggi ho chiuso con gli allenamenti in vista di domenica. Volevo terminare con una mezza maratona, come fatto già in passato prima delle maratone di Venezia 2013, Venezia 2014 e Amburgo 2015. Ahimè, entro negli ultimi sette giorni molto stanco, così stanco da preferire non continuare a stancarsi eccessivamente. Quello che voleva essere l'ultimo lungo è stato invece un "medio", quindici chilometri corsi non male. In fondo 4'28"/km è un bel correre, ma speravo di poter marciare più velocemente e più a lungo. Attenuanti non ce ne sono, nemmeno il cattivo tempo e lo sterrato pieno di pozzanghere. Solo stanchezza, fin da subito ero consapevole che le gambe erano troppo pesanti per poter macinare chilometri al ritmo sperato.
Risultato di una settimana in cui ho sentito nei muscoli le tossine lasciate dal lungo "più lungo" di una settimana fa, quasi 35 chilometri il cui conseguente acido lattico è ancora nelle gambe ora. E poi le ripetute 120-60-30 provate ancora tre giorni fa, senza strafare per non appesantirsi troppo, anche quelle non hanno di certo aiutato.
Sono andato un po' contro la mia filosofia: non mollare mai, andare sempre avanti, fino alla fine. La maratona però non è solo corsa di cuore, polmoni e gambe ma anche e soprattutto di testa. La ragione stavolta ha prevalso: questi ultimi chilometri, più che allenanti, sono di aiuto per capire la condizione fisica e provare a comprendere cosa si potrebbe fare in gara. E allora meglio evitare di affaticarsi eccessivamente, soprattutto quando all'appuntamento mancano solo sette giorni. E anche meno...
Ho capito qual è la mia condizione fisico-atletica? Eh si, mi pare proprio di si. Sono molto stanco, questo è certo, e spero che la settimana che comincia domani possa restituirmi le energie che mi pare di aver smarrito nell'ultimo mese. Certo, la preparazione è stata dura, sfibrante anche a causa del caldo. Ma posso garantire che le ultime settimane ho avuto proprio la sensazione di aver perso smalto durante gli allenamenti. Spero ovviamente di essere smentito a Berlino...
Previsioni per domenica? Guardando a come ho corso stamattina, e confrontando i tempi degli anni scorsi, dovrei poter concludere tra 3h15'55" e 3'17'07", tempi che, onestamente, non mi lascerebbero molto soddisfatto. Se guardo invece l'evoluzione dei lunghi, devo ammettere che si può sperare di fare meglio e 3h13' all'arrivo della maratona di Berlino è alla portata. L'obiettivo minimo è quello di migliorare il personale, il vero obiettivo è di restare tra 3h12' e 3h13'. Il sogno, beh, ma che lo dico a fare: 3h09'59" o meglio. Per quello serve una super-prestazione, correre a 4'30"/km per tutta la gara, mantenere una velocità di 13,4 chilometri orari fino all'arrivo nel bel mezzo del Tiergarten berlinese. Un risultato che per ora mi pare impossibile da concretizzare.
Ma dimentico un fattore importante. siamo a Berlino, il percorso più veloce al mondo, dove sono stati riscritti consecutivamente i record del mondo sulla distanza della maratona. Questo, indubbiamente, è un bel fattore a mio vantaggio. E poi ci va anche un po' di fortuna col tempo. Le ultime tre edizioni sono state baciate dal sole e da un clima fresco, perfetto per correre come si deve. Proprio per questo ora sto già guardando le previsioni meteo. Non male, ma è ancora presto...
Bis bald!
Stefano
Meno sette a Berlino, e oggi ho chiuso con gli allenamenti in vista di domenica. Volevo terminare con una mezza maratona, come fatto già in passato prima delle maratone di Venezia 2013, Venezia 2014 e Amburgo 2015. Ahimè, entro negli ultimi sette giorni molto stanco, così stanco da preferire non continuare a stancarsi eccessivamente. Quello che voleva essere l'ultimo lungo è stato invece un "medio", quindici chilometri corsi non male. In fondo 4'28"/km è un bel correre, ma speravo di poter marciare più velocemente e più a lungo. Attenuanti non ce ne sono, nemmeno il cattivo tempo e lo sterrato pieno di pozzanghere. Solo stanchezza, fin da subito ero consapevole che le gambe erano troppo pesanti per poter macinare chilometri al ritmo sperato.
Sul Baggersee, volevano essere ventuno. E sono stati quindici... |
Risultato di una settimana in cui ho sentito nei muscoli le tossine lasciate dal lungo "più lungo" di una settimana fa, quasi 35 chilometri il cui conseguente acido lattico è ancora nelle gambe ora. E poi le ripetute 120-60-30 provate ancora tre giorni fa, senza strafare per non appesantirsi troppo, anche quelle non hanno di certo aiutato.
Sono andato un po' contro la mia filosofia: non mollare mai, andare sempre avanti, fino alla fine. La maratona però non è solo corsa di cuore, polmoni e gambe ma anche e soprattutto di testa. La ragione stavolta ha prevalso: questi ultimi chilometri, più che allenanti, sono di aiuto per capire la condizione fisica e provare a comprendere cosa si potrebbe fare in gara. E allora meglio evitare di affaticarsi eccessivamente, soprattutto quando all'appuntamento mancano solo sette giorni. E anche meno...
Tabelle finali, prima parte: lunghi |
Tabelle finali, parte seconda: ripetute |
Ho capito qual è la mia condizione fisico-atletica? Eh si, mi pare proprio di si. Sono molto stanco, questo è certo, e spero che la settimana che comincia domani possa restituirmi le energie che mi pare di aver smarrito nell'ultimo mese. Certo, la preparazione è stata dura, sfibrante anche a causa del caldo. Ma posso garantire che le ultime settimane ho avuto proprio la sensazione di aver perso smalto durante gli allenamenti. Spero ovviamente di essere smentito a Berlino...
Previsioni per domenica? Guardando a come ho corso stamattina, e confrontando i tempi degli anni scorsi, dovrei poter concludere tra 3h15'55" e 3'17'07", tempi che, onestamente, non mi lascerebbero molto soddisfatto. Se guardo invece l'evoluzione dei lunghi, devo ammettere che si può sperare di fare meglio e 3h13' all'arrivo della maratona di Berlino è alla portata. L'obiettivo minimo è quello di migliorare il personale, il vero obiettivo è di restare tra 3h12' e 3h13'. Il sogno, beh, ma che lo dico a fare: 3h09'59" o meglio. Per quello serve una super-prestazione, correre a 4'30"/km per tutta la gara, mantenere una velocità di 13,4 chilometri orari fino all'arrivo nel bel mezzo del Tiergarten berlinese. Un risultato che per ora mi pare impossibile da concretizzare.
E si controllano già le previsioni |
Ma dimentico un fattore importante. siamo a Berlino, il percorso più veloce al mondo, dove sono stati riscritti consecutivamente i record del mondo sulla distanza della maratona. Questo, indubbiamente, è un bel fattore a mio vantaggio. E poi ci va anche un po' di fortuna col tempo. Le ultime tre edizioni sono state baciate dal sole e da un clima fresco, perfetto per correre come si deve. Proprio per questo ora sto già guardando le previsioni meteo. Non male, ma è ancora presto...
Bis bald!
Stefano
sabato 17 settembre 2016
Elafonisi, dove la sabbia si veste di rosa
Ciao a tutti!
Per raggiungere Elafonisi bisogna valicare montagne, attraversare tunnel claustrofobici, dibattersi tra curve e controcurve impazzite, superare villaggi isolati dalle strade anguste. Ma una volta lì, su questo lembo di terra che tenta di guardare la Libia, ogni sforzo è gratificato da una spiaggia tra le più belle che si possano incontrare sulla Terra. Elafonisi, un angolo di paradiso sulla crosta terrestre, è uno spettacolo imperdibile per chi si reca nell'estremità più occidentale di Creta.
Elafonisi non è un paese, ma è una spiaggia. Non ci sono case, o paesi, attorno ad essa. C'è solo la natura, una natura speciale che è stata messa sotto protezione istituendo una riserva naturale. Perché Elafonisi è una spiaggia - anzi, una serie di spiagge - fuori dal comune. Il colore dell'acqua, purissima, spazia dal trasparente al celeste, dal turchese al blu cobalto. La sabbia può essere bianca, ma anche nera, può essere ocra ma anche rosa: si, anche rosa, questa è la grande peculiarità del litorale di Elafonisi, una caratteristica così unica che è vietato per legge portare via anche un solo granello di sabbia. Il fondale è in alcuni punti bassissimo, così basso che bisogna camminare centinaia di metri per ritrovarsi l'acqua ad altezza vita.
Ma è tutta la conformazione geografica ad essere speciale. Le spiagge di Elafonisi sono sostanzialmente due, come i lati di un sottile istmo di sabbia e roccia che collega la piccola isoletta (che è riserva naturale) a Creta. Il lato meridionale, più tranquillo e selvaggio, ha tutte le caratteristiche della costa cretese, sabbia che si alterna a roccia, colori pazzeschi, un'acqua decisamente agitata. Il lato settentrionale è una sorta di laguna, in cui prevale una sabbia pallida e il fondale fatica ad abbassarsi, un cortile di acqua e sabbia perfetto per chi ama lunghe passeggiate con i piedi ammollo.
Onestamente, devo ammettere che abbiamo fatto parte di quella massa di turisti che deturpano non tanto il paesaggio - bellissimo, come pochi ne ho trovati in un contesto marittimo - ma la poesia di un luogo così incantevole. Ma è chiaro, posti di questo genere - soprattutto in estate - sono presi d'assalto dagli amanti del bel mare. Quello che anni fa era probabilmente un luogo privo di natanti e conosciuto solo dagli indigeni di Creta, ora è diventato punto di riferimento per orde di turisti. Ma ad Elafonisi si può anche trovare l'oasi di pace, per estraniarsi dal caos dei vacanzieri. Basta camminare un poco, lungo la costa meridionale dell'istmo di Elafonisi.
Bisogna fissare un obiettivo: la punta dell'isola di Elafonissi. La si nota perché all'orizzonte, guardando verso occidente, si intravede un edificio. La mia solita curiosità mi ha spinto a dire "ma cosa ci sarà mai laggiù?", che in fondo è sinonimo di "andiamoci". Rimanendo sulla fresca costa o intraprendendo una via al centro dell'isola - assai meno ospitale quando fa caldo - si può raggiungere la sommità dell'isola.
Qui sorge una piccola chiesetta ortodossa, chiamata Agia Irini, un edificio evidentemente abbandonato al suo destino viste le condizioni in cui versa. A qualche decina di metri di distanza, la solita edicola votiva e un ricordo ad una delle battaglie della Guerra d'indipendenza greca, che ebbe luogo proprio qui ad Elafonisi, tra greci ed ottomani. Da qui è molto chiaro cosa sia Elafonisi. Un'isola, un grande scoglio, collegato alla terraferma da un tratto di sabbia.
Questo piccolo istmo, uno scrigno di ricchezze naturali proprio del clima mediterraneo, è il vero tesoro di Elafonisi: arbusti che profumano ad ogni alito di vento, fiori tra i più disparati (cosa potrebbe mai essere a maggio questo posto?), rocce bianchissime o nerissime, il deserto. Anche il deserto: per raggiungere Agia Irini vi è da valicare una discreta salita lungo una duna di sabbia ardente, in cui per fare due passi ne servono tre. In questo fazzoletto che separa la selvaggia Creta dalla pace del mar Libico si può veramente archiviare il caos dei vacanzieri impazziti per abbandonarsi dolcemente alla pace di uno dei più irresistibili angoli del Mar Mediterraneo.
Bis bald!
Stefano
Per raggiungere Elafonisi bisogna valicare montagne, attraversare tunnel claustrofobici, dibattersi tra curve e controcurve impazzite, superare villaggi isolati dalle strade anguste. Ma una volta lì, su questo lembo di terra che tenta di guardare la Libia, ogni sforzo è gratificato da una spiaggia tra le più belle che si possano incontrare sulla Terra. Elafonisi, un angolo di paradiso sulla crosta terrestre, è uno spettacolo imperdibile per chi si reca nell'estremità più occidentale di Creta.
L'istmo di Elafonisi |
Elafonisi non è un paese, ma è una spiaggia. Non ci sono case, o paesi, attorno ad essa. C'è solo la natura, una natura speciale che è stata messa sotto protezione istituendo una riserva naturale. Perché Elafonisi è una spiaggia - anzi, una serie di spiagge - fuori dal comune. Il colore dell'acqua, purissima, spazia dal trasparente al celeste, dal turchese al blu cobalto. La sabbia può essere bianca, ma anche nera, può essere ocra ma anche rosa: si, anche rosa, questa è la grande peculiarità del litorale di Elafonisi, una caratteristica così unica che è vietato per legge portare via anche un solo granello di sabbia. Il fondale è in alcuni punti bassissimo, così basso che bisogna camminare centinaia di metri per ritrovarsi l'acqua ad altezza vita.
Sabbia rosa |
Ma è tutta la conformazione geografica ad essere speciale. Le spiagge di Elafonisi sono sostanzialmente due, come i lati di un sottile istmo di sabbia e roccia che collega la piccola isoletta (che è riserva naturale) a Creta. Il lato meridionale, più tranquillo e selvaggio, ha tutte le caratteristiche della costa cretese, sabbia che si alterna a roccia, colori pazzeschi, un'acqua decisamente agitata. Il lato settentrionale è una sorta di laguna, in cui prevale una sabbia pallida e il fondale fatica ad abbassarsi, un cortile di acqua e sabbia perfetto per chi ama lunghe passeggiate con i piedi ammollo.
Il lato più "lagunare" di Elafonisi |
Onestamente, devo ammettere che abbiamo fatto parte di quella massa di turisti che deturpano non tanto il paesaggio - bellissimo, come pochi ne ho trovati in un contesto marittimo - ma la poesia di un luogo così incantevole. Ma è chiaro, posti di questo genere - soprattutto in estate - sono presi d'assalto dagli amanti del bel mare. Quello che anni fa era probabilmente un luogo privo di natanti e conosciuto solo dagli indigeni di Creta, ora è diventato punto di riferimento per orde di turisti. Ma ad Elafonisi si può anche trovare l'oasi di pace, per estraniarsi dal caos dei vacanzieri. Basta camminare un poco, lungo la costa meridionale dell'istmo di Elafonisi.
Agia Irini |
Bisogna fissare un obiettivo: la punta dell'isola di Elafonissi. La si nota perché all'orizzonte, guardando verso occidente, si intravede un edificio. La mia solita curiosità mi ha spinto a dire "ma cosa ci sarà mai laggiù?", che in fondo è sinonimo di "andiamoci". Rimanendo sulla fresca costa o intraprendendo una via al centro dell'isola - assai meno ospitale quando fa caldo - si può raggiungere la sommità dell'isola.
Qui sorge una piccola chiesetta ortodossa, chiamata Agia Irini, un edificio evidentemente abbandonato al suo destino viste le condizioni in cui versa. A qualche decina di metri di distanza, la solita edicola votiva e un ricordo ad una delle battaglie della Guerra d'indipendenza greca, che ebbe luogo proprio qui ad Elafonisi, tra greci ed ottomani. Da qui è molto chiaro cosa sia Elafonisi. Un'isola, un grande scoglio, collegato alla terraferma da un tratto di sabbia.
Colori da Elafonisi |
Questo piccolo istmo, uno scrigno di ricchezze naturali proprio del clima mediterraneo, è il vero tesoro di Elafonisi: arbusti che profumano ad ogni alito di vento, fiori tra i più disparati (cosa potrebbe mai essere a maggio questo posto?), rocce bianchissime o nerissime, il deserto. Anche il deserto: per raggiungere Agia Irini vi è da valicare una discreta salita lungo una duna di sabbia ardente, in cui per fare due passi ne servono tre. In questo fazzoletto che separa la selvaggia Creta dalla pace del mar Libico si può veramente archiviare il caos dei vacanzieri impazziti per abbandonarsi dolcemente alla pace di uno dei più irresistibili angoli del Mar Mediterraneo.
Bis bald!
Stefano
venerdì 16 settembre 2016
Insegnamenti olimpici: correre per un sogno
«Ho vissuto tutto come un sogno. Essere qui è un sogno che si avvera e lo dedico a tutti quelli che sudano e corrono per inseguire un sogno, ogni giorno con passione. Quella passione che ho io e che mi permette di correre nonostante il mio lavoro di medico.»
Ciao a tutti!
C'è un'altra immagine che mi è rimasta fortemente impressa dall'ultima edizione dei Giochi Olimpici. E non è un caso che a fornirmela sia la maratona, la gara simbolo dei Giochi, il massacro fisico per eccellenza. Quei secondi sul traguardo della maratona olimpica femminile mi sono rimasti impressi a lungo. Una donna che, al culmine della sofferenza che si può provare durante una corsa come la maratona, si mette a ballare sulla linea di arrivo. Senza voler irridere alcuno, solo esprimendo la propria gioia nella maniera che le è sembrata più spontanea.
Non di sole medaglie è fatta la gioia olimpica. A volte anche la "semplice" partecipazione può essere un traguardo enorme. Lo deve essere stato soprattutto per Catherine Bertone, che all'età di 44 anni si ritrova, non per caso ma con pieno merito, a far parte della rappresentativa italiana alla maratona femminile. Per lei che non è una professionista ma una persona normale con la passione per la corsa di resistenza, per lei che non fa parte di un gruppo sportivo, per lei che deve dividersi quotidianamente tra famiglia, lavoro e allenamenti, correre a Rio de Janeiro, correre alle Olimpiadi, significa vivere una favola.
Non ha vinto una medaglia, ha coronato un sogno inaspettato e quasi irrealizzabile per una runner dilettante. E questo è già sufficiente per spiegare tutta quella gioia. Rivedendo quell'immagine di felicità incontenibile ho rivissuto i miei arrivi al fondo dei 42,195 chilometri. Negli ultimi metri, quelli che separano occhi e gambe dall'arrivo, si rivedono tante cose, tutto il sudore e il sacrificio fatto per arrivare lì. Arrivare alla fine di una tale competizione, con tutto ciò che significa, è di una meraviglia inspiegabile, se poi è alle Olimpiadi...
Bis bald!
Stefano
Catherine Bertone, rappresentante della squadra olimpica italiana e 25°classificata alla maratona femminile di Rio 2016
Un traguardo a ritmo di samba (fonte: running.gazzetta.it) |
Ciao a tutti!
C'è un'altra immagine che mi è rimasta fortemente impressa dall'ultima edizione dei Giochi Olimpici. E non è un caso che a fornirmela sia la maratona, la gara simbolo dei Giochi, il massacro fisico per eccellenza. Quei secondi sul traguardo della maratona olimpica femminile mi sono rimasti impressi a lungo. Una donna che, al culmine della sofferenza che si può provare durante una corsa come la maratona, si mette a ballare sulla linea di arrivo. Senza voler irridere alcuno, solo esprimendo la propria gioia nella maniera che le è sembrata più spontanea.
Non di sole medaglie è fatta la gioia olimpica. A volte anche la "semplice" partecipazione può essere un traguardo enorme. Lo deve essere stato soprattutto per Catherine Bertone, che all'età di 44 anni si ritrova, non per caso ma con pieno merito, a far parte della rappresentativa italiana alla maratona femminile. Per lei che non è una professionista ma una persona normale con la passione per la corsa di resistenza, per lei che non fa parte di un gruppo sportivo, per lei che deve dividersi quotidianamente tra famiglia, lavoro e allenamenti, correre a Rio de Janeiro, correre alle Olimpiadi, significa vivere una favola.
Non ha vinto una medaglia, ha coronato un sogno inaspettato e quasi irrealizzabile per una runner dilettante. E questo è già sufficiente per spiegare tutta quella gioia. Rivedendo quell'immagine di felicità incontenibile ho rivissuto i miei arrivi al fondo dei 42,195 chilometri. Negli ultimi metri, quelli che separano occhi e gambe dall'arrivo, si rivedono tante cose, tutto il sudore e il sacrificio fatto per arrivare lì. Arrivare alla fine di una tale competizione, con tutto ciò che significa, è di una meraviglia inspiegabile, se poi è alle Olimpiadi...
Bis bald!
Stefano
giovedì 15 settembre 2016
Berlino Express: le luci promesse
Ciao a tutti!
Mancano dieci giorni all'appuntamento podistico che aspetto da tempo, l'unico appuntamento della mia stagione 2016 con la maratona, la maratona di Berlino. Quando ci si avvicina alla meta, gli allenamenti diventano sempre più estesi, la corsa si fa sempre più lenta. Si è sempre più vicini al ritmo che si dovrebbe scandire durante la gara sui 42,195 chilometri. Per migliorare la velocità pura, ci sono le ripetute: se qualcuno mi guarda dall'alto, sa bene quanto ho investito in fatica sulle ripetute. Per migliorare la resistenza alla lunga distanza, ci sono i lunghi. E anche questi non sono stati una passeggiata di piacere.
Correre quando ci sono temperature superiori ai trenta gradi è difficoltoso, dai più è considerata follia. Nella preparazione per la maratona di Berlino ho dovuto purtroppo scontrarmi con il caldo torrido che ha attanagliato tutta la Germania ad agosto e che ora oggi, a metà settembre, non accenna ad attenuarsi. Al punto tale da dover saltare un lungo sul quale prevedevo di superare quota trenta chilometri (vedi post): anche rifugiarsi nei più freschi boschi della Franconia non è stato sufficiente per poter svolgere dignitosamente un lungo. Non intendo dire "non faticare", perché un allenamento non è tale senza fatica, ma quantomeno non dover trascinarsi senza senso in condizioni climatiche estreme. L'unica soluzione è stata svegliarsi di notte, per poter fare una colazione adeguata e correre durante la mattina, oppure aspettare il tramonto per chiudere l'allenamento di notte. Sacrifici che chiedo a me stesso, a chi mi sta attorno, che spero vengano ripagati fra due domeniche.
Fortunatamente, è finito il tempo dei lunghi. Con l'allenamento da (quasi) 35 chilometri, ho sostanzialmente concluso la mia preparazione. Non è del tutto vero, perché farò ancora qualche test, ma non forzerò per non spendere ora le energie che potrebbero essere utili a Berlino. Più correttamente, è finito l'allenamento più duro. E l'ho concluso dando veramente fondo a tutte le mie capacità di resistenza e tenacia fisica e mentale.
L'ultimo lungo arriva dopo una settimana di sostanziale riposo, quella trascorsa sulle spiagge di Creta: una settimana che mi è parsa necessaria, quasi doverosa, per recuperare le tante energie bruciate durante le ripetute corse ad agosto. Mi sento bene, e fin dall'inizio corro veramente forte. Troppo forte, i primi 2-3 chilometri, un po' per la voglia di fare bene, un po' per non voler rincasare ad un'ora in cui solo la luna può illuminare la tua strada, li corro intorno a 4'30"/km. Poi decido di calmierare il mio ritmo, conscio di non poter arrivare a casa con le mie gambe. Lo sforzo iniziale però lo sento eccome, so di non avere una corsa brillante, perché intorno al quindicesimo chilometro sono già "troppo" stanco. E superata la metà corsa, so bene che tenere quel passo fino alla fine è veramente complicato.
Un rettilineo di 2-3 chilometri... infinito! |
Eppure, non ho mollato, quasi fino alla fine. Pur sapendo di non essere nella migliore giornata, o di non avere due gambe brillanti, non ho mai smesso di correre con intensità, correndo anche qualche chilometro sotto 4'30"/km che, dopo aver corso già 25 chilometri, vuol dire andare forte. Anche quando le mie gambe inviavano un segnale al cervello di rallentare, ho sempre provato a mettere quel qualcosa in più per poter chiudere il più velocemente possibile. Così infatti è stato: 4'38"/km, mai così veloce sull'ultimo lungo pre-maratona. Dovrei essere contento, e invece...
E invece non lo sono, perché i giorni successivi a questo allenamento sono stati giorni di sofferenza muscolare, che avrei volentieri evitato. A fronte di questo sforzo, non sono particolarmente soddisfatto nel confronto con la prestazione del 2015. Il miglioramento, rispetto ad un anno fa, sugli stessi chilometri è di soli 1,5 secondi. In maratona vuol dire un minuto in meno, che non è comunque poco, ma immaginavo di avere un ritmo migliore. Ci sono le attenuanti eh, il caldo, una partenza un po' veloce, scarsa tranquillità. E poi l'ultimo lungo l'ho sempre patito più del dovuto, forse perché lo sento troppo, forse gli dò troppa importanza. E va aggiunto che a Berlino, se non si scoppia di caldo, ci sono tutte le condizioni per andar forte: il suo percorso è storicamente noto per essere una tavola da biliardo. Ancora dieci giorni, per capire se le mie supposizioni sono veritiere.
Bis bald!
Stefano
P.s.: le foto di questo post raffigurano i luoghi in cui mi alleno!
Bis bald!
Stefano
P.s.: le foto di questo post raffigurano i luoghi in cui mi alleno!
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