Io sono convinto che un ciclista professionista tenga sempre in considerazione l'eventualità di un incidente sulle strade. Le cadute sono già all'ordine del giorno, in gara, dove ci sono solamente (o quasi) biciclette. Quando ci si allena, poi, ci sono tutti i pericoli delle strade. Il traffico, l'imprudenza alla guida, l'imprevisto, la fatalità.
Però, a questa notizia, non eravamo pronti, no.
Alzarsi un sabato mattina e venire a sapere che Michele Scarponi è morto... è un duro colpo. Per il ciclismo, per chi lo segue e lo ama. Un destino infausto se l'è portato via, troppo giovane. Come uomo ma anche come atleta, nonostante i suoi trentasette anni, perché non c'è anagrafe che possa resistere se in sella sei mosso dalla passione e dalla gioia di pedalare.
Questo destino infausto si è portato via il migliore del gruppo. Forse non in gara, nonostante il successo al Giro nel 2011, sicuramente sul piano umano. A partire dai suoi capitani, che lo ricordano come un gregario affettuoso, per arrivare ai suoi direttori sportivi, che lo commemorano come uno dei capitani più speciali. Sulle salite di Giro e Tour, quando non era coinvolto nella bagarre e lo riconoscevi, non era mai scontroso (come tanti altri), bensì sempre disponibile con i tifosi. Anche solo con un sorriso. Un sorriso di quelli che ne valgono cento, un sorriso che brillava, così accentuato da un volto magrissimo, scavato dai sacrifici e dalla fatica di oltre vent'anni di carriera. Un personaggio affabile al quale non si poteva non voler bene.
Il ciclismo ti ricorderà così, Michele: con il sorriso! |
Il ciclismo è più povero, oggi, perché l'Aquila (così come era soprannominato) è andata a volare lungo altre salite, in altri cieli. Ciao, Michele.
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