martedì 11 dicembre 2012

La parte essenziale di ciò che ci rende umani


"Durante un'intervista, a Sean Connery è stato chiesto che cosa lo facesse piangere. Dopo qualche istante di riflessione, il celebre attore ha risposto: ''L'atletica''. Spesso anch'io reagisco così. Guardare i corridori lanciati verso il traguardo, soli con se stessi e con la loro forza di volontà, a lottare contro i propri limiti con lo sguardo fisso in avanti come se fossero in trance, e con anni di dedizione e sacrifici stampati in faccia, può essere molto commovente.
La corsa è uno sport brutale ed emozionante, ma anche semplice ed essenziale. Come esseri umani, al livello più basico abbiamo fame, sete, sonno e voglia di amare, ma anche di correre. Basta guardare i bambini, che quando giocano non fanno altro che correre. La corsa è parte essenziale di ciò che ci rende umani.
Forse è proprio per soddisfare questo bisogno primario che atleti e persone comuni si alzano la mattina per uscire a correre nelle città di tutto il mondo. Per sentire dentro, in fondo alla pancia, il fremito di qualcosa di primordiale. Per sentirsi anche loro ''un po' selvatici''.

...i pensieri tentano di afferrarti, di rallentarti...

Correre non è divertimento. E' dolore e fatica. Chiedete a chi corre perché lo fa, e con ogni probabilità vi dirà che non lo sa, sebbene qualcosa continui a spingerlo.
Spesso chi corre è ossessionato da record personali, tempi e distanze, ma questo non basta ad indurlo a uscire di casa con le scarpette. La mania di analizzare e misurare tutto può essere soddisfatta in modi più semplici, per esempio contando le auto. Tempi e grafici sono solo esche per la nostra mente razionale, per il nostro cervello analitico, a cui dobbiamo dare una ragione plausibile.
A spronarci davvero è qualcos'altro. E' il nostro bisogno di sentirci umani, di andare oltre la stratificazione di ruoli e responsabilità che la società ci impone, al di là del badge aziendale, dall'etichetta di padre, marito o figlio, per arrivare al cuore della nostra vera natura umana. Una volta lì, la mente è di troppo: si smette di pensare e si comincia a sentire.

...è una sensazione travolgente, così potente da volerne sempre di più...

Ma la mente non molla così facilmente. Tanti corridori dicono di rendersi conto dei propri pensieri proprio quando corrono. I pensieri ci vorticano in testa tutto il giorno, sbatacchiandoci di qua e di là, e quasi non ne siamo consapevoli. Ma appena ci allontaniamo da questo mondo fatto di sola ragione e ci addentriamo nel cuore selvaggio dell'esistenza, ecco che la mente piomba nel panico. I pensieri tentano di afferrarti, di rallentarti. Ma come i monaci maratoneti del monte Hiei in Giappone, che corrono mille ultramaratone in mille giorni in cerca dell'illuminazione, se teniamo duro iniziamo a provare la formicolante sensazione di chi siamo davvero. Ed è una sensazione travolgente, così potente da volerne sempre di più.
Anche l'amore ci ricongiunge con le nostre sensazioni più profonde e primarie, lontano dal regno della ragione. Ecco perchè il mantra di Paula (Radcliffe) ha funzionato. L'amore per la figlia e la pura emozione della corsa scaturiscono dalla stessa fonte. Evocare l'amore l'ha spinta a tenere duro, anche se razionalmente questo non poteva fare alcuna differenza. La figlia non poteva sentirla, e anche se avesse potuto non poteva sapere che cosa fosse una maratona. Richiamando un'emozione così forte Paula è riuscita ad andare oltre tutte queste elucubrazioni, costringendo la parte razionale del suo cervello, che sicuramente le diceva di rallentare, a non mollare la presa."
Adharandand Finn, "Nati per correre"

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