"In questo luogo si riallaccia l'intera storia del mondo, e io conto d'esser nato una seconda volta, d'essere davvero risorto, il giorno in cui ho messo piede in Roma."
venerdì 31 marzo 2017
giovedì 30 marzo 2017
Numerato, con furore
Ciao a tutti!
Atterrato a Roma in mattinata, dopo una levataccia senza precedenti (alle 3:20), neanche ai tempi d'oro delle alte vie e dei trekking in alta quota. Trasferito via bus alla stazione Termini, decido di spendere immediatamente la mia prima mattinata nella capitale procurandomi il numero di gara per la maratona. Meglio levarsi subito la preoccupazione, e dirigersi nel quartiere EUR per sbrigare le pratiche "amministrative" per la corsa di domenica. In fondo, prima risolvo la questione pettorale e prima posso iniziare a fare il turista e concentrarmi sulla bellezza di Roma - e se proprio devo pensare alla maratona, posso farlo andando a vedere i punti più salienti del percorso.
Atterrato a Roma in mattinata, dopo una levataccia senza precedenti (alle 3:20), neanche ai tempi d'oro delle alte vie e dei trekking in alta quota. Trasferito via bus alla stazione Termini, decido di spendere immediatamente la mia prima mattinata nella capitale procurandomi il numero di gara per la maratona. Meglio levarsi subito la preoccupazione, e dirigersi nel quartiere EUR per sbrigare le pratiche "amministrative" per la corsa di domenica. In fondo, prima risolvo la questione pettorale e prima posso iniziare a fare il turista e concentrarmi sulla bellezza di Roma - e se proprio devo pensare alla maratona, posso farlo andando a vedere i punti più salienti del percorso.
Presente a Roma con il numero 8005 |
Recarsi nel quartiere EUR vuol dire anche farsi un tour nell'architettura dell'epoca fascista e nella cifra stilistica più moderna di Roma. Unire l'utile al dilettevole è sempre cosa piacevole. Il ritiro del numero di corsa e del pacco gara è fissato presso il Marathon Village allestito nel Palazzo dei congressi. L'atrio di ingresso è pressoché deserto: entro proprio quando l'area è stata aperta da un'ora circa, ed è noto che è il sabato il giorno prediletto dagli atleti per il ritiro del pettorale. Meno di un minuto e già posso disporre del mio numero di gara, di colore blu, ad indicare la mia qualificazione nella prima gabbia di partenza, ovviamente dopo quella riservata ai professionisti. Il numero è facile da ricordare, 8005. Non molto più tempo è necessario per ritirare anche il pacco gara.
Prime dediche |
A quel punto posso dedicarmi a gironzolare con calma presso il Marathon Village. In realtà è una delusione. Gli stand sono pochi in proporzione alla dimensione dell'evento e peraltro poco forniti. Cercavo un paio di pantaloncini nuovi per i miei allenamenti e invece mi ritrovo a mani vuote, è vero che sui pantaloncini ho i gusti difficili, ma a scelta era poca. Poi, un sacco di "buttadentro" pronti a vendere prodotti più o meno credibili. Eh, questo è il prezzo da pagare per essere uno dei coraggiosi del giovedì mattina. In compenso, la plancia da imbrattare con incoraggiamenti e dediche è quasi intonsa. Non posso lasciarla vuota di certo, dunque mi invento una formula mezza italiana e mezza tedesca, con sprazzi di romanesco: "aus Bayern mit furore, dajetutta Stefano". Frutto di intuizione e suggerimento esterno, direi che è una frase di autoincoraggiamento di cui avrò bisogno parecchio domenica, specie nei chilometri finali.
Uno sguardo sul Marathon Village |
Mi fermo allo stand della Venice Marathon, che spero sia la prossima maratona dopo Roma, per un confronto sulle corse organizzate dal gruppo veneto e sul percorso stupendo che termina nella Serenissima. Tra l'altro, lo stand di Venice Marathon si trova a fianco di quello di Turin Marathon. Peccato che a rappresentare non ci fosse nessuno. Altra occasione persa, altra figura di m****, per la maratona della mia città e del suo comitato organizzatore.
Quando ero ormai pronto a salutare l'EUR, ecco la sorpresa. Incontro niente popòdimeno che Franca Fiacconi e Giorgio Calcaterra, due dei più importanti esponenti dell'atletica leggera romana, del passato e del presente, intenti ad inaugurare il Marathon Village con autorità e organizzatori. Per chi non li conoscesse, Franca Fiacconi è stata una delle più grandi maratoneti italiane di sempre, trionfatrice a Roma, New York e Praga; Giorgio Calcaterra è una leggenda vivente dell'ultramaratona, vincitore di undici edizioni consecutive della 100 km del Passatore, uomo dotato di un'integrità fisica fuori dal comune. Incontrarli è stata una bella sorpresa, i loro volti sorridenti sono un bello spot per la maratona di Roma e per l'atletica leggera tutta.
Quando ero ormai pronto a salutare l'EUR, ecco la sorpresa. Incontro niente popòdimeno che Franca Fiacconi e Giorgio Calcaterra, due dei più importanti esponenti dell'atletica leggera romana, del passato e del presente, intenti ad inaugurare il Marathon Village con autorità e organizzatori. Per chi non li conoscesse, Franca Fiacconi è stata una delle più grandi maratoneti italiane di sempre, trionfatrice a Roma, New York e Praga; Giorgio Calcaterra è una leggenda vivente dell'ultramaratona, vincitore di undici edizioni consecutive della 100 km del Passatore, uomo dotato di un'integrità fisica fuori dal comune. Incontrarli è stata una bella sorpresa, i loro volti sorridenti sono un bello spot per la maratona di Roma e per l'atletica leggera tutta.
Con Franca Fiacconi e Giorgio Calcaterra, seconda e terzo da sinistra |
Il pettorale è ora con me, assieme alle spille con cui verrà fissato alla mia canotta rossa. Ancora due giornate da turista nella capitale, e poi si penserà esclusivamente a correre quarantadue chilometri nella storia di Roma. Il conto alla rovescia sta per finire, endlich!
A presto!
Stefano
A presto!
Stefano
mercoledì 29 marzo 2017
Maratona di Roma 2017, il percorso
Meno quattro giorni dalla maratona di Roma. Un giorno alla partenza per la capitale, città nella quale non torno (come turista) da quasi dodici anni. Beh, mica pochi. Anche per questo, probabilmente, l'attesa per la maratona di domenica è veramente ai valori massimi. Il percorso di oltre quarantadue chilometri che si snoderà tra le vie e i corsi della capitale sembra essere una meravigliosa cartolina della Città Eterna. Come già scrissi in un precedente post, sono oltre cinquecento i siti artistico-storici che verranno raggiunti dal popolo della maratona: a conti fatti, uno ogni ottantacinque metri! Quale altra città può garantire tanta grazia nel percorso di una maratona? Una tale densità di meraviglia storico-artistica non si può trovare neanche a Venezia o Firenze, due città in cui tuttavia il percorso della maratona è assolutamente spettacolare.
Lo scenario di partenza è già di quelli da brividi, per dimensioni, capacità e spettacolarità di gran lunga il migliore dove convergere la grande massa di atleti, oltre sedicimila, che si riverserà nelle strade di Roma: Via dei Fori Imperiali. Alle spalle dei partenti, il Colosseo, il simbolo della Roma che fu; davanti, la mole dell'Altare della Patria; ai lati la storia che ha reso grande questa città nei secoli. Si può trovare un posto migliore per la partenza di una simile fatica? Difficile a credersi. Bello è pensare come la grande fatica dei 42,195 chilometri abbia inizio e fine ad un tiro di schioppo dal luogo dove i gladiatori, nell'antica Roma, conoscevano il ritorno alla vita o la loro morte. Partire per una maratona con il Colosseo alle proprie spalle e terminare guardandolo suscita in me un fascino irresistibile.
Il tempo di partire e già ci si troverà in Piazza Venezia, all'ombra dell'Altare della Patria, che spero possa infondere carica non incutere timore. Poi una grande curva a sinistra per immettersi a fianco del Circo Massimo - in corrispondenza del quale si ha la prima asperità del percorso - e puntando dunque con decisione in direzione sud. Il tracciato segue questo senso di marcia dirigendosi sulla Ostiense, la cui linea viene seguita per diversi chilometri, con alcune deviazioni nei pressi della Garbatella. È il chilometro 6 quando si raggiunge la Basilica di San Paolo fuori le Mura, e questo è quasi il punto più a sud del percorso. Da questo momento inizia la lunga risalita verso la zona più settentrionale di Roma, una risalita lunga una ventina di chilometri e qualche attraversamento sul Tevere.
Il chilometro 8 cade sul Ponte Marconi, che è il primo dei quattro ponti che verranno toccati dalla corsa. Solo due chilometri o poco più sulla riva destra del Tevere, per poi ritornare sulla riva sinistra dopo aver superato il Ponte Testaccio. Da qui, dal Lungotevere Testaccio, inizia un lungo e quasi ininterrotto tratto di corsa a fianco del Tevere, un tratto scandito da undici ponti: Sublicio, Palatino, Fabricio, Garibaldi, Sisto, Mazzini, Amedeo di Savoia, Vittorio Emanuele II, Sant'Angelo, Umberto I e finalmente, Cavour. L'undicesimo ponte riporterà la corsa sulla sponda destra del Tevere. Nel frattempo, nei sei chilometri che separano il Ponte Testaccio dal Ponte Cavour, quasi esclusivamente sul Lungotevere, i maratoneti incontreranno l'Isola Tiberina e l'imponente stazza di Castel Sant'Angelo. Il passaggio sul Lungotevere degli Altoviti e sul Lungotevere Tor di Nona, dal quale sarà evidente la sagoma dell'antica fortezza papale, sarà uno dei momenti più spettacolari dell'intero percorso.
Castel Sant'Angelo. Non lo si vedrà solamente dal LungoTevere ma gli correremo dietro, tra i chilometri 16 e 17. Tutto questo è solamente l'antipasto ad uno dei momenti più "pubblicizzati" della maratona di Roma, il passaggio in Via della Conciliazione, di fronte alla Città del Vaticano. Giù, sotto il Passetto di Borgo, una curva a destra ed ecco che compare la Basilica di San Pietro. Un piacere per gli occhi e, come tutti i piaceri, dura poco. Si raggiunge il colonnato del Bernini, ma si svolta velocemente a destra per riprendere il cammino verso nord.
La mezza maratona cade a breve distanza da San Pietro, per la precisione in Viale Mazzini, ad una manciata di passi dalla sede della RAI. Il percorso qui appare tortuoso ma, come appare dall'altimetria, privo di sostanziali asperità. Per quelle c'è ancora tempo... C'è ancora da riprendere il corso del Tevere, all'altezza del Lungotevere Oberdan e percorrere la grande ansa del fiume che porta all'area degli impianti sportivi, dove si trovano la sede del CONI, il Foro Italico e lo Stadio Olimpico. Chissà se riuscirò ad intercettare con lo sguardo il profilo di questo stadio... ricco di soddisfazioni per i colori bianconeri!
Superati gli impianti sportivi, si è già al chilometro 25. Qui, superando il Ponte Duca d'Aosta si ritorna definitivamente sulla sponda sinistra del Tevere. E si incontra la prima delle due salite impegnative dislocate sul percorso: Via della Moschea, settecento metri in cui si recuperano una decina di metri di quota. Quindi, un po' di decompressione per poi ritornare in basso affrontando la discesa di Via Gaudini. Quando si entra nell'area dell'ex villaggio olimpico, sarà il trentesimo chilometro e qui potrebbero iniziare a farsi sentire i primi segnali di cedimento alle gambe. Ma ci sono ancora più di dieci chilometri da correre, e ancora molto da incontrare.
Dopo aver affiancato lo Stadio Flaminio e il MAXXI, si ritorna sul Lungotevere, per altri tre chilometri che inesorabilmente portano verso il cuore nevralgico di Roma, e laddove inizia il tratto più atteso ma anche più duro di tutta la competizione. Al Sottopasso di Ripetta si saluta il Tevere (anche se un occhio vi rimarrà ancora per molti metri) per salire al Mausoleo di Augusto, che si lascia velocemente in direzione Piazza Navona.
Da Piazza Navona iniziano gli ultimi cinque chilometri, in quel tripudio che è il centro storico di Roma. Ultimi cinque chilometri che, io lo so già, passeranno troppo velocemente. Dopo un veloce saluto alla Fontana dei Fiumi, ci si immette in uno degli assi portanti di Roma, Corso Vittorio Emanuele II. Da qui si continua fino in Piazza San Marco, dove ci apparirà per la seconda volta il Vittoriano. Ma non si tira dritto o non si svolta a destra, per accorciare la fatica e puntare ai Fori Imperiali, no. Si svolta a sinistra e si imbocca Via del Corso, una delle più famose vie di Roma, lunga 1600 metri, il naturale collegamento tra Piazza Venezia e Piazza del Popolo. La si percorre tutta e si, sarà infinita. Poi Piazza del Popolo, un giro attorno all'obelisco per invertire la direzione e per raggiungere il passaggio decisivo del percorso. Ai piedi del Pincio, inizia Via del Babuino. Qui la maratona va a toccare il chilometro 40 proprio in corrispondenza di Piazza di Spagna. Chissà se ci saranno ancora le forze per voltarsi verso sinistra e fugacemente ammirare la scalinata di Trinità dei Monti. Noi si tira dritto, verso il Traforo Umberto I, il tunnel che salta a più pari il Quirinale e che è anche la grande asperità del percorso. Se ho ben capito, ci sono dodici metri di differenza altimetrica, tutti o quasi in questo sottopassaggio. Niente male. All'uscita del tunnel mancherà ancora un chilometro.
Un chilometro che però si comincia dall'alto, per un finale a tutta birra. Via Nazionale, Via IV Novembre e Via Cesare Battisti per poter rientrare in Piazza Venezia. Per l'ultima volta, perché a quel punto sarà fatta. L'arrivo ai Fori sarà questione di metri. La forza del pubblico romano, che immagino molto accogliente, e lo stimolo del traguardo ai piedi del Colosseo, renderanno quegli ultimi metri un giochetto da ragazzi. E poi, braccia alzate!
Questo percorso è bellissimo, fare di meglio a livello di tracciato è obiettivamente difficile. Sarà così duro come la tradizione vuole? Ci sono due salite veramente impegnative, che sicuramente non aiuteranno, con altrettante discese, l'ultima a fine maratona. Difficile dire ora se possono veramente influire. I sampietrini potranno rendere una maratona ancora più dura? Quando corro sul pavè, per poche centinaia di metri, non sento differenze sostanziali, ma quando ci sono oltre sette chilometri di pietre forse qualcosina potrebbe cambiare. E poi c'è l'incognita caldo. Questo è un percorso che ho provato a scoprire, ma ci sono ancora bellezze e incognite che non conosco. Per svelarle, mi serve attendere ancora poco più di tre giorni. Un'attesa più che snervante...
Bis bald!
Stefano
Via dei Fori Imperiali (fonte: fanpage.com) |
Lo scenario di partenza è già di quelli da brividi, per dimensioni, capacità e spettacolarità di gran lunga il migliore dove convergere la grande massa di atleti, oltre sedicimila, che si riverserà nelle strade di Roma: Via dei Fori Imperiali. Alle spalle dei partenti, il Colosseo, il simbolo della Roma che fu; davanti, la mole dell'Altare della Patria; ai lati la storia che ha reso grande questa città nei secoli. Si può trovare un posto migliore per la partenza di una simile fatica? Difficile a credersi. Bello è pensare come la grande fatica dei 42,195 chilometri abbia inizio e fine ad un tiro di schioppo dal luogo dove i gladiatori, nell'antica Roma, conoscevano il ritorno alla vita o la loro morte. Partire per una maratona con il Colosseo alle proprie spalle e terminare guardandolo suscita in me un fascino irresistibile.
Il percorso della Maratona di Roma |
Il tempo di partire e già ci si troverà in Piazza Venezia, all'ombra dell'Altare della Patria, che spero possa infondere carica non incutere timore. Poi una grande curva a sinistra per immettersi a fianco del Circo Massimo - in corrispondenza del quale si ha la prima asperità del percorso - e puntando dunque con decisione in direzione sud. Il tracciato segue questo senso di marcia dirigendosi sulla Ostiense, la cui linea viene seguita per diversi chilometri, con alcune deviazioni nei pressi della Garbatella. È il chilometro 6 quando si raggiunge la Basilica di San Paolo fuori le Mura, e questo è quasi il punto più a sud del percorso. Da questo momento inizia la lunga risalita verso la zona più settentrionale di Roma, una risalita lunga una ventina di chilometri e qualche attraversamento sul Tevere.
Tutta la meraviglia di Castel Sant'Angelo (fonte: artslife.com) |
Il chilometro 8 cade sul Ponte Marconi, che è il primo dei quattro ponti che verranno toccati dalla corsa. Solo due chilometri o poco più sulla riva destra del Tevere, per poi ritornare sulla riva sinistra dopo aver superato il Ponte Testaccio. Da qui, dal Lungotevere Testaccio, inizia un lungo e quasi ininterrotto tratto di corsa a fianco del Tevere, un tratto scandito da undici ponti: Sublicio, Palatino, Fabricio, Garibaldi, Sisto, Mazzini, Amedeo di Savoia, Vittorio Emanuele II, Sant'Angelo, Umberto I e finalmente, Cavour. L'undicesimo ponte riporterà la corsa sulla sponda destra del Tevere. Nel frattempo, nei sei chilometri che separano il Ponte Testaccio dal Ponte Cavour, quasi esclusivamente sul Lungotevere, i maratoneti incontreranno l'Isola Tiberina e l'imponente stazza di Castel Sant'Angelo. Il passaggio sul Lungotevere degli Altoviti e sul Lungotevere Tor di Nona, dal quale sarà evidente la sagoma dell'antica fortezza papale, sarà uno dei momenti più spettacolari dell'intero percorso.
Piazza Navona, dove iniziano gli ultimi cinque chilometri (fonte: edizionipontesisto.wordpress.com) |
Castel Sant'Angelo. Non lo si vedrà solamente dal LungoTevere ma gli correremo dietro, tra i chilometri 16 e 17. Tutto questo è solamente l'antipasto ad uno dei momenti più "pubblicizzati" della maratona di Roma, il passaggio in Via della Conciliazione, di fronte alla Città del Vaticano. Giù, sotto il Passetto di Borgo, una curva a destra ed ecco che compare la Basilica di San Pietro. Un piacere per gli occhi e, come tutti i piaceri, dura poco. Si raggiunge il colonnato del Bernini, ma si svolta velocemente a destra per riprendere il cammino verso nord.
La mezza maratona cade a breve distanza da San Pietro, per la precisione in Viale Mazzini, ad una manciata di passi dalla sede della RAI. Il percorso qui appare tortuoso ma, come appare dall'altimetria, privo di sostanziali asperità. Per quelle c'è ancora tempo... C'è ancora da riprendere il corso del Tevere, all'altezza del Lungotevere Oberdan e percorrere la grande ansa del fiume che porta all'area degli impianti sportivi, dove si trovano la sede del CONI, il Foro Italico e lo Stadio Olimpico. Chissà se riuscirò ad intercettare con lo sguardo il profilo di questo stadio... ricco di soddisfazioni per i colori bianconeri!
1,6 km: Via del Corso (fonte: zingarate.com) |
Superati gli impianti sportivi, si è già al chilometro 25. Qui, superando il Ponte Duca d'Aosta si ritorna definitivamente sulla sponda sinistra del Tevere. E si incontra la prima delle due salite impegnative dislocate sul percorso: Via della Moschea, settecento metri in cui si recuperano una decina di metri di quota. Quindi, un po' di decompressione per poi ritornare in basso affrontando la discesa di Via Gaudini. Quando si entra nell'area dell'ex villaggio olimpico, sarà il trentesimo chilometro e qui potrebbero iniziare a farsi sentire i primi segnali di cedimento alle gambe. Ma ci sono ancora più di dieci chilometri da correre, e ancora molto da incontrare.
Dopo aver affiancato lo Stadio Flaminio e il MAXXI, si ritorna sul Lungotevere, per altri tre chilometri che inesorabilmente portano verso il cuore nevralgico di Roma, e laddove inizia il tratto più atteso ma anche più duro di tutta la competizione. Al Sottopasso di Ripetta si saluta il Tevere (anche se un occhio vi rimarrà ancora per molti metri) per salire al Mausoleo di Augusto, che si lascia velocemente in direzione Piazza Navona.
Il traforo Umberto I, la mia incognita oltre il quarantesimo (fonte: panoramio.com) |
Da Piazza Navona iniziano gli ultimi cinque chilometri, in quel tripudio che è il centro storico di Roma. Ultimi cinque chilometri che, io lo so già, passeranno troppo velocemente. Dopo un veloce saluto alla Fontana dei Fiumi, ci si immette in uno degli assi portanti di Roma, Corso Vittorio Emanuele II. Da qui si continua fino in Piazza San Marco, dove ci apparirà per la seconda volta il Vittoriano. Ma non si tira dritto o non si svolta a destra, per accorciare la fatica e puntare ai Fori Imperiali, no. Si svolta a sinistra e si imbocca Via del Corso, una delle più famose vie di Roma, lunga 1600 metri, il naturale collegamento tra Piazza Venezia e Piazza del Popolo. La si percorre tutta e si, sarà infinita. Poi Piazza del Popolo, un giro attorno all'obelisco per invertire la direzione e per raggiungere il passaggio decisivo del percorso. Ai piedi del Pincio, inizia Via del Babuino. Qui la maratona va a toccare il chilometro 40 proprio in corrispondenza di Piazza di Spagna. Chissà se ci saranno ancora le forze per voltarsi verso sinistra e fugacemente ammirare la scalinata di Trinità dei Monti. Noi si tira dritto, verso il Traforo Umberto I, il tunnel che salta a più pari il Quirinale e che è anche la grande asperità del percorso. Se ho ben capito, ci sono dodici metri di differenza altimetrica, tutti o quasi in questo sottopassaggio. Niente male. All'uscita del tunnel mancherà ancora un chilometro.
Un chilometro che però si comincia dall'alto, per un finale a tutta birra. Via Nazionale, Via IV Novembre e Via Cesare Battisti per poter rientrare in Piazza Venezia. Per l'ultima volta, perché a quel punto sarà fatta. L'arrivo ai Fori sarà questione di metri. La forza del pubblico romano, che immagino molto accogliente, e lo stimolo del traguardo ai piedi del Colosseo, renderanno quegli ultimi metri un giochetto da ragazzi. E poi, braccia alzate!
Un'ultima fatica per raggiungere Piazza Venezia (font: wikimedia.com) |
Questo percorso è bellissimo, fare di meglio a livello di tracciato è obiettivamente difficile. Sarà così duro come la tradizione vuole? Ci sono due salite veramente impegnative, che sicuramente non aiuteranno, con altrettante discese, l'ultima a fine maratona. Difficile dire ora se possono veramente influire. I sampietrini potranno rendere una maratona ancora più dura? Quando corro sul pavè, per poche centinaia di metri, non sento differenze sostanziali, ma quando ci sono oltre sette chilometri di pietre forse qualcosina potrebbe cambiare. E poi c'è l'incognita caldo. Questo è un percorso che ho provato a scoprire, ma ci sono ancora bellezze e incognite che non conosco. Per svelarle, mi serve attendere ancora poco più di tre giorni. Un'attesa più che snervante...
Bis bald!
Stefano
martedì 28 marzo 2017
Bücher: L'estate fredda
"Riflettè anche lui. Sul silenzio irreale di quella caserma, per cominciare. Poi, sull'uomo che aveva davanti e alla sua vita spezzata, comunque andassero le cose. Pensò a quello che gli aveva detto Tonino Pellecchia, sul perché aveva voluto fare il carabiniere. Chissà se il brigadiere Ruotolo Antonio da ragazzino sognava anche lui di fare il carabiniere perché voleva stare dalla parte giusta della barricata? Il problema, inutile dirlo, è che la barricata è piena di varchi; alcuno così ben nascosti che non ti accorgi quando li attraversi e ti ritrovi altrove, a fare altro."
Gianrico Carofiglio, L'estate fredda
L'estate fredda, l'ultimo romanzo di Gianrico Carofiglio, è un giallo ambientato a Bari nell'estate del 1992, quella tristemente famosa in Italia per le stragi mafiose di Palermo che fecero vittime i magistrati Giuseppe Falcone e Paolo Borsellino. Il romanzo vede il protagonista inventato da Carofiglio e già incontrato in precedenti opere, il maresciallo Pietro Fenoglio, indagare sul sequestro di un figlio di un potente boss della malavita pugliese, poi terminato in tragedia. Le stragi di mafia del 1992 rappresentano ne L'estate fredda uno sfondo leggero, appena accennato, del quale non viene evidenziata la reale portata. Lo scopo di Carofiglio è invece descrivere il fenomeno mafia nella sua interezza e delineare le zone grigie dell'animo umano, sia dalla parte dei buoni che da quella dei cattivi, figure le cui posizioni appaiono in questo romanzo (volutamente) quantomai disordinate.
Per descrivere il fenomeno mafioso, Carofiglio ricostruisce, soprattutto nella parte centrale del romanzo, un verbale di un interrogatorio. Tale atto risulta a volte prolungato, ma è essenziale per descrivere i l'organizzazione e i meccanismi propri della malavita. È evidente l'esperienza di Carofiglio come magistrato (ha lavorato proprio in Puglia come pubblico ministero e sostituto procuratore, prima di abbandonare la magistratura), lo si deduce dai tecnicismi e dalla descrizione accurata delle procedure investigative.
L'aspetto ancora più interessante di questo ultimo lavoro di Carofiglio è la descrizione del confine tra il bene e il male. Che è molto sottile per l'autore, sono due aree che si confondono reciprocamente senza sosta, dando vita ad una zona grigia in cui la legalità e l'illegalità, il vizio e la virtù, assumono contorni assai indefiniti ma estremamente reali. È in quella complessa zona grigia che scava Carofiglio, è in quella zona grigia che si troveranno le soluzioni di un caso che all'apparenza sembra irrisolvibile. Da questa zona grigia si può uscire solo mantenendo inalterata la fiducia nella magistratura e nelle forze dell'ordine, soprattutto in coloro che, come fa Fenoglio ne L'estate fredda, spendono la loro vita contro la malavita e ne escono vincitori.
Il romanzo scorre molto velocemente, perché una vicenda come un sequestro di persona e la sua soluzione è sempre intrigante, ma anche perché l'inesplorata frontiera di questa zona grigia sembra fornire, pagina dopo pagina, risvolti impensabili. E la qualità di scrittura è indubbiamente elevata. La trama di questa torbida vicenda è certamente interessante, ma va detto che la chiave di volta del romanzo, quell'intuizione che può sembrare dapprima un colpo di genio, è in realtà superficiale e avrebbe meritato ulteriore approfondimento.
Bis bald!
Stefano
Giudizio: 8/10 ■■■■■■■■■■
Giudizio: 8/10 ■■■■■■■■■■
lunedì 27 marzo 2017
Tutte le strade portano a Roma: un ultimo sforzo
Ciao a tutti!
Nelle ultime due settimane di preparazione prima della maratona è necessario ridurre il carico di allenamento per poter arrivare freschi alla domenica attesa da settimane. E infatti, ho diminuito decisamente il lavoro: due uscite infrasettimanali a velocità sostenuta ma costante (a quello che vorrebbe essere il ritmo maratona), più un ultimo "lungo" nel fine settimana. Una mezza maratona, all'incirca, sulla quale poter fare raffronti e trarre indicazioni sullo stato di forma e sul possibile risultato realizzabile a Roma. E di conseguenza, sulla tattica da seguire in gara. In altre parole, a che ritmo dovrò correre, specie all'inizio?
L'ultimo - ultimissimo! - allenamento mi dà lasciato indicazioni più che confortanti. Dopo un inizio un po' stentato, in cui mi sentivo incredibilmente senza fiato e con le gambe molli, con chilometri che oscillavano tra 4'30"/km e 4'40"/km, ho finalmente iniziato a lasciare sull'asfalto ben più apprezzabili velocità. Devo aspettare l'ottavo chilometro per scendere sotto 4'20"/km, velocità di tutto rispetto. A quel punto i muscoli sono caldi, mi sento in gran condizione e dunque perché non continuare a spingere, per capire cosa posso veramente fare o non fare? Se pensavo di aver toccato l'apice a metà allenamento, tra i chilometri 12 e 13, dove corro in 4'12"/km, mi sbaglio di grosso. Si può correre ancora più veloce: 4'08" al chilometro 18. Velocità che non ricordo di aver toccato durante un (seppur breve) lungo. Nel finale rallento, volutamente, e termino la seduta in 4'22"/km. Due anni e mezzo fa, prima della maratona di Venezia 2014, per fare un chilometro mi servivano mediamente quattro secondi in più.
Questo è il dato di partenza per provare a capire a cosa posso ambire tra sei giorni. Facendo un raffronto tra l'ultimo allenamento (svolto una settimana prima della maratona) di circa 21-22 chilometri e il tempo conseguito in gara sui 42,195 chilometri, i numeri mi dicono che posso ambire a chiudere la maratona di Roma in 3h14'05". Se invece mi applico in un calcolo simile, ma utilizzando l'ultimo lungo-lunghissimo, il mio tempo teorico sarebbe ben più lento, 3h19'18" - va detto che quest'anno non ho spinto al massimo delle mie capacità sui lunghi. Questi sono paragoni tra i tempi delle passate maratone e i dati di allenamento. Ma la formula principe per calcolare il tempo teorico raggiungibile è un'altra: moltiplicare il tempo dell'ultima mezza maratona per il fattore aerobico di maratona, che negli amatori è circa 2,15. Risultato: 3h11'31". Sarebbe un tempo pazzesco. Sicuramente si può fare una bella corsa, perché, al di là di strani giochetti matematici su numeri e tempi del passato, questa è la sensazione che ho nelle gambe. Ma non ci voglio ancora pensare.
Perché ci sono altri parametri che vanno considerati. Fra sei giorni sarà aprile. Le temperature previste per domenica, al momento si posizionano tra gli undici e i quindici gradi, non proprio l'ideale (quattro/cinque in meno sarebbe perfetto). Fra sei giorni si corre a Roma, e se Roma è la città dei sette colli non riesco ad immaginarmi una corsa pianeggiante. Roma è la città dei sampietrini e nel percorso della maratona ce ne sono ben 7.6 chilometri. Tutto terreno che le gambe pagheranno alla fine, come mi immagino con facilità dopo le fatiche sul duro lastricato di Firenze.
Insomma, sognare è lecito, rimanere con i piedi per terra (e soprattutto integri!) è altrettanto, se non di più... doveroso!
Bis bald!
Stefano
Nelle ultime due settimane di preparazione prima della maratona è necessario ridurre il carico di allenamento per poter arrivare freschi alla domenica attesa da settimane. E infatti, ho diminuito decisamente il lavoro: due uscite infrasettimanali a velocità sostenuta ma costante (a quello che vorrebbe essere il ritmo maratona), più un ultimo "lungo" nel fine settimana. Una mezza maratona, all'incirca, sulla quale poter fare raffronti e trarre indicazioni sullo stato di forma e sul possibile risultato realizzabile a Roma. E di conseguenza, sulla tattica da seguire in gara. In altre parole, a che ritmo dovrò correre, specie all'inizio?
L'ultimo - ultimissimo! - allenamento mi dà lasciato indicazioni più che confortanti. Dopo un inizio un po' stentato, in cui mi sentivo incredibilmente senza fiato e con le gambe molli, con chilometri che oscillavano tra 4'30"/km e 4'40"/km, ho finalmente iniziato a lasciare sull'asfalto ben più apprezzabili velocità. Devo aspettare l'ottavo chilometro per scendere sotto 4'20"/km, velocità di tutto rispetto. A quel punto i muscoli sono caldi, mi sento in gran condizione e dunque perché non continuare a spingere, per capire cosa posso veramente fare o non fare? Se pensavo di aver toccato l'apice a metà allenamento, tra i chilometri 12 e 13, dove corro in 4'12"/km, mi sbaglio di grosso. Si può correre ancora più veloce: 4'08" al chilometro 18. Velocità che non ricordo di aver toccato durante un (seppur breve) lungo. Nel finale rallento, volutamente, e termino la seduta in 4'22"/km. Due anni e mezzo fa, prima della maratona di Venezia 2014, per fare un chilometro mi servivano mediamente quattro secondi in più.
Con la testa già a Roma (fonte: gazzetta.it) |
Questo è il dato di partenza per provare a capire a cosa posso ambire tra sei giorni. Facendo un raffronto tra l'ultimo allenamento (svolto una settimana prima della maratona) di circa 21-22 chilometri e il tempo conseguito in gara sui 42,195 chilometri, i numeri mi dicono che posso ambire a chiudere la maratona di Roma in 3h14'05". Se invece mi applico in un calcolo simile, ma utilizzando l'ultimo lungo-lunghissimo, il mio tempo teorico sarebbe ben più lento, 3h19'18" - va detto che quest'anno non ho spinto al massimo delle mie capacità sui lunghi. Questi sono paragoni tra i tempi delle passate maratone e i dati di allenamento. Ma la formula principe per calcolare il tempo teorico raggiungibile è un'altra: moltiplicare il tempo dell'ultima mezza maratona per il fattore aerobico di maratona, che negli amatori è circa 2,15. Risultato: 3h11'31". Sarebbe un tempo pazzesco. Sicuramente si può fare una bella corsa, perché, al di là di strani giochetti matematici su numeri e tempi del passato, questa è la sensazione che ho nelle gambe. Ma non ci voglio ancora pensare.
Asfalto o sampietrino? Bella sfida a chi è più duro, ma vince la pietra (fonte: affaritaliani.it) |
Perché ci sono altri parametri che vanno considerati. Fra sei giorni sarà aprile. Le temperature previste per domenica, al momento si posizionano tra gli undici e i quindici gradi, non proprio l'ideale (quattro/cinque in meno sarebbe perfetto). Fra sei giorni si corre a Roma, e se Roma è la città dei sette colli non riesco ad immaginarmi una corsa pianeggiante. Roma è la città dei sampietrini e nel percorso della maratona ce ne sono ben 7.6 chilometri. Tutto terreno che le gambe pagheranno alla fine, come mi immagino con facilità dopo le fatiche sul duro lastricato di Firenze.
Insomma, sognare è lecito, rimanere con i piedi per terra (e soprattutto integri!) è altrettanto, se non di più... doveroso!
Bis bald!
Stefano
domenica 26 marzo 2017
Tutte le strade portano a Roma: sognando i Fori
16107 atleti.
7600 metri di sampietrini.
7289 podisti stranieri.
3471 donne in corsa.
500 (e oltre) siti storici toccati dal percorso.
131 nazioni rappresentate.
77 curve da affrontare.
74 televisioni collegate da tutto il mondo.
42,195 chilometri.
23esima edizione.
2 aprile.
UNA maratona.
Tutto questo è la maratona di Roma. La più grande maratona d'Italia.
7600 metri di sampietrini.
7289 podisti stranieri.
3471 donne in corsa.
500 (e oltre) siti storici toccati dal percorso.
131 nazioni rappresentate.
77 curve da affrontare.
74 televisioni collegate da tutto il mondo.
42,195 chilometri.
23esima edizione.
2 aprile.
UNA maratona.
Un scenario più bello per la partenza di una maratona è inimmaginabile (fonte: facebook.com/romacapitaleofficialpage) |
Tutto questo è la maratona di Roma. La più grande maratona d'Italia.
sabato 25 marzo 2017
Tutte le strade portano a Roma: parole al vento
Ciao a tutti!
Spingersi oltre i propri limiti, anche durante un allenamento. Questo sta alla base di un lungo non preventivato ad inizio preparazione, oltre i miei soliti 34-35 chilometri. A due settimane dalla maratona di Roma, ho voluto esplorare aree inesplorate (o quasi) in allenamento, oltre la normale soglia chilometrica. Uscire di casa e dire a tua moglie, "vado a correre 37-38 chilometri", beh, posso garantire che non lo si fa proprio a cuor leggero. La distanza è lunga, e non è come in una gara, in cui sai che ci sarà qualcuno dell'organizzazione a darti una mano. Qui sei tu e le tue gambe. E magari bisogna mettere nel conto che la giornata scelta per questo allenamento sia una delle peggiori sotto il profilo climatico.
E infatti, sabato 18 marzo non è stato il giorno baciato dalle divinità del cielo e del tempo. Cielo plumbeo, temperature abbassate a causa dell'acquazzone del giorno prima, una sottile pioggerellina, più fine della seta. Eppure mi tocca correre. Di fare tutti quei chilometri in palestra non ci penso neanche, morire disidratato è l'ultimo dei miei desideri. Soliti preparativi, solito abbigliamento, con un cappellino in più: ciò che meno digerisco del correre con la pioggia non è l'essere bagnati ma il sudore che le gocce di pioggia trascinano negli occhi. Il cappellino è l'antidoto a questo insopportabile problema.
I chilometri da correre, dicevo non sono pochi. Proprio per questo mi ritrovo costretto a dover forzarmi a rallentare. Non voglio correre gli ultimi dieci chilometri come se fossi alla ricerca disperata di un aiuto soprannaturale. Il target è rimanere, almeno nella prima metà di corsa, tra 4'55" e 5'/km. I primi chilometri sono veloci, come al solito, ma poi riesco a schiacciare sul freno. La prima metà di allenamento, tra una pioggia di poco conto e due interruzioni svuota-vescica se ne va in un'ora e mezza di corsa a 4'53"/km. Poi, appena mi giro di 180° per ritornare sulla via di casa, sento tutta la forza d'urto di un vento contrario che soffia intenso, a folate, contro di me. A tratti alterni, sarà così per tutta la seconda metà, e sarà tanto più intenso quanto più mi troverò a correre in campo aperto: la Mainradweg associa tratti "protetti" da alberi e tratti che attraversano prati e campi. Proprio lì, sentirò maggiormente il disturbo del vento del Meno.
E come se non bastasse, ho dovuto anche fermarmi per... ehm, quei mal di pancia ai quali non si può resistere (il prato a fianco mi ringrazierà). Ebbene, nonostante tutto questo corollario di disavventure non ho mollato - e qual è il maratoneta che molla? - e ho corso una seconda parte di lungo a ritmi sostenuti. Più veloce della prima parte, in quanto ho registrato un negative split di circa quaranta secondi. I chilometri della seconda parte sono interessanti: mai sotto i 5'/km, sintomo di crollo fisico, ma spesso sotto 4'50"/km. Su una tale distanza è sempre un buon ritmo.
La serie dei lunghi si è conclusa con i trentasette chilometri - in attesa di una ventina di chilometri "di rifinitura" a sette giorni di distanza dalla maratona di Roma. Che dire, è stata una serie di allenamenti più che positiva, senza incidenti, senza infortuni, senza problematiche di sorta. Senza muscoli doloranti e senza caldo asfissiante, senza preoccupazioni, neanche per il piede fratturato a Berlino, che non è mai più tornato a farsi sentire. Quello che dovevo fare, l'ho fatto. Ora, riposo, riposo, riposo.
Bis bald!
Stefano
Spingersi oltre i propri limiti, anche durante un allenamento. Questo sta alla base di un lungo non preventivato ad inizio preparazione, oltre i miei soliti 34-35 chilometri. A due settimane dalla maratona di Roma, ho voluto esplorare aree inesplorate (o quasi) in allenamento, oltre la normale soglia chilometrica. Uscire di casa e dire a tua moglie, "vado a correre 37-38 chilometri", beh, posso garantire che non lo si fa proprio a cuor leggero. La distanza è lunga, e non è come in una gara, in cui sai che ci sarà qualcuno dell'organizzazione a darti una mano. Qui sei tu e le tue gambe. E magari bisogna mettere nel conto che la giornata scelta per questo allenamento sia una delle peggiori sotto il profilo climatico.
E infatti, sabato 18 marzo non è stato il giorno baciato dalle divinità del cielo e del tempo. Cielo plumbeo, temperature abbassate a causa dell'acquazzone del giorno prima, una sottile pioggerellina, più fine della seta. Eppure mi tocca correre. Di fare tutti quei chilometri in palestra non ci penso neanche, morire disidratato è l'ultimo dei miei desideri. Soliti preparativi, solito abbigliamento, con un cappellino in più: ciò che meno digerisco del correre con la pioggia non è l'essere bagnati ma il sudore che le gocce di pioggia trascinano negli occhi. Il cappellino è l'antidoto a questo insopportabile problema.
Jean-François Millet, La rafale de vent (1871) |
I chilometri da correre, dicevo non sono pochi. Proprio per questo mi ritrovo costretto a dover forzarmi a rallentare. Non voglio correre gli ultimi dieci chilometri come se fossi alla ricerca disperata di un aiuto soprannaturale. Il target è rimanere, almeno nella prima metà di corsa, tra 4'55" e 5'/km. I primi chilometri sono veloci, come al solito, ma poi riesco a schiacciare sul freno. La prima metà di allenamento, tra una pioggia di poco conto e due interruzioni svuota-vescica se ne va in un'ora e mezza di corsa a 4'53"/km. Poi, appena mi giro di 180° per ritornare sulla via di casa, sento tutta la forza d'urto di un vento contrario che soffia intenso, a folate, contro di me. A tratti alterni, sarà così per tutta la seconda metà, e sarà tanto più intenso quanto più mi troverò a correre in campo aperto: la Mainradweg associa tratti "protetti" da alberi e tratti che attraversano prati e campi. Proprio lì, sentirò maggiormente il disturbo del vento del Meno.
E come se non bastasse, ho dovuto anche fermarmi per... ehm, quei mal di pancia ai quali non si può resistere (il prato a fianco mi ringrazierà). Ebbene, nonostante tutto questo corollario di disavventure non ho mollato - e qual è il maratoneta che molla? - e ho corso una seconda parte di lungo a ritmi sostenuti. Più veloce della prima parte, in quanto ho registrato un negative split di circa quaranta secondi. I chilometri della seconda parte sono interessanti: mai sotto i 5'/km, sintomo di crollo fisico, ma spesso sotto 4'50"/km. Su una tale distanza è sempre un buon ritmo.
Tutti gli allenamenti "lunghi" per la maratona di Roma 2017, da gennaio a marzo |
La serie dei lunghi si è conclusa con i trentasette chilometri - in attesa di una ventina di chilometri "di rifinitura" a sette giorni di distanza dalla maratona di Roma. Che dire, è stata una serie di allenamenti più che positiva, senza incidenti, senza infortuni, senza problematiche di sorta. Senza muscoli doloranti e senza caldo asfissiante, senza preoccupazioni, neanche per il piede fratturato a Berlino, che non è mai più tornato a farsi sentire. Quello che dovevo fare, l'ho fatto. Ora, riposo, riposo, riposo.
Bis bald!
Stefano
venerdì 24 marzo 2017
Meine schöne Stadt vol.5
Adoro i dettagli. Soprattutto quelli che scopri dopo tanto tempo che vivi in un luogo. Soprattutto quelli che lasciano una traccia di stupore.
Forse è per queste piccole cose che, in fondo, anche in una città come Schweinfurt non mi annoierò mai. Forse è per queste piccole cose che mi dispiacerà lasciarla un giorno, e ritrovarla prima o poi.
Forse è per queste piccole cose che, in fondo, anche in una città come Schweinfurt non mi annoierò mai. Forse è per queste piccole cose che mi dispiacerà lasciarla un giorno, e ritrovarla prima o poi.
Particolare del Rathaus di Schweinfurt |
giovedì 23 marzo 2017
Vier Jahre
Hard times, baby well they come to us all
Sure as the tickin' of the clock on the wall
Sure as the turnin' of the night into day
Your smile girl, brings the mornin' light to my eyes
Lifts away the bleus when I rise
I hope that you're coming to stay
Sure as the tickin' of the clock on the wall
Sure as the turnin' of the night into day
Your smile girl, brings the mornin' light to my eyes
Lifts away the bleus when I rise
I hope that you're coming to stay
Bruce Springsteen, Waitin' on a sunny day
mercoledì 22 marzo 2017
Bücher: La sposa vermiglia
"C'è sempre un modo per rimediare, un modo per far convergere desiderio e realtà in un altrove in cui le cose vanno esattamente come noi desideriamo che vadano."
La sposa vermiglia è una storia ambientata nella metà negli anni Venti, in pieno periodo fascista, in un piccolo paese siciliano, e narra la vicenda di Vincenzina Sparviero, che a vent'anni si ritrova promessa sposa, per decisione di suo padre, a Ottavio Licata: un uomo vecchio, detestato da tutto il paese e soprattutto che lei non ama. Vincenzina è una bella ragazza, sia fuori che dentro, e accetta suo malgrado la situazione, fino al momento in cui compare sulla scena Filippo Gonzales, colui che le fa capire di essere in grado di innamorarsi davvero.
Questo romanzo di Tea Ranno è un novello Romeo e Giulietta del '900. La sposa vermiglia è una storia che mette insieme i tratti del noir, grazie al ritmo incessante e che fa palpitare il cuore, le caratteristiche del romanzo rosa, e il diario della protagonista ne è testimone, fino a toccare i contorni della cronaca giornalistica. Cronaca che però è romanzata in maniera sublime, dilatata fino all'inverosimile, perché i fatti in realtà sono pochi, ma ciò che si nasconde in un amore sospeso tra il possibile e l'impossibile può riempire centinaia di pagine.
Se non è chiaro fin da subito che la trama de La sposa vermiglia si ispira ad un fatto realmente accaduto, è invece altrettanto chiaro come andrà a finire. Eppure, il trasporto cresce progressivamente nel corso della lettura, questo ritmo struggente, apparentemente senza sosta, non può che coinvolgere emotivamente il lettore. Il quale invoca a gran voce un evento che scompigli le carte in gioco, reclama l'ingresso in scena di un personaggio che possa cambiare il destino, è trepidante nell'attesa di leggere quel "no" che significherebbe la svolta nella vita della protagonista. Soprattutto nel finale, il pathos di questo libro è a livelli massimi.
L'angoscia che pervade queste pagine è tremenda. Non sono sufficienti le immagini più dolci dell'ambientazione siciliana, quelle del profumo di gelsomini, dei mandorli in fiore o della buona cucina, ad edulcorare la realtà amarissima di una regione che nel periodo fascista si ritrova a dover fare i conti con una mentalità chiusa e una serie di convenzioni arcaiche. Questo affresco della Sicilia negli anni Venti dà ulteriore forza e spessore ad un romanzo di valore assoluto.
Bis bald!
Stefano
Giudizio: 10/10 ■■■■■■■■■■
Tea Ranno, La sposa vermiglia
La sposa vermiglia è una storia ambientata nella metà negli anni Venti, in pieno periodo fascista, in un piccolo paese siciliano, e narra la vicenda di Vincenzina Sparviero, che a vent'anni si ritrova promessa sposa, per decisione di suo padre, a Ottavio Licata: un uomo vecchio, detestato da tutto il paese e soprattutto che lei non ama. Vincenzina è una bella ragazza, sia fuori che dentro, e accetta suo malgrado la situazione, fino al momento in cui compare sulla scena Filippo Gonzales, colui che le fa capire di essere in grado di innamorarsi davvero.
Questo romanzo di Tea Ranno è un novello Romeo e Giulietta del '900. La sposa vermiglia è una storia che mette insieme i tratti del noir, grazie al ritmo incessante e che fa palpitare il cuore, le caratteristiche del romanzo rosa, e il diario della protagonista ne è testimone, fino a toccare i contorni della cronaca giornalistica. Cronaca che però è romanzata in maniera sublime, dilatata fino all'inverosimile, perché i fatti in realtà sono pochi, ma ciò che si nasconde in un amore sospeso tra il possibile e l'impossibile può riempire centinaia di pagine.
Se non è chiaro fin da subito che la trama de La sposa vermiglia si ispira ad un fatto realmente accaduto, è invece altrettanto chiaro come andrà a finire. Eppure, il trasporto cresce progressivamente nel corso della lettura, questo ritmo struggente, apparentemente senza sosta, non può che coinvolgere emotivamente il lettore. Il quale invoca a gran voce un evento che scompigli le carte in gioco, reclama l'ingresso in scena di un personaggio che possa cambiare il destino, è trepidante nell'attesa di leggere quel "no" che significherebbe la svolta nella vita della protagonista. Soprattutto nel finale, il pathos di questo libro è a livelli massimi.
L'angoscia che pervade queste pagine è tremenda. Non sono sufficienti le immagini più dolci dell'ambientazione siciliana, quelle del profumo di gelsomini, dei mandorli in fiore o della buona cucina, ad edulcorare la realtà amarissima di una regione che nel periodo fascista si ritrova a dover fare i conti con una mentalità chiusa e una serie di convenzioni arcaiche. Questo affresco della Sicilia negli anni Venti dà ulteriore forza e spessore ad un romanzo di valore assoluto.
Bis bald!
Stefano
Giudizio: 10/10 ■■■■■■■■■■
domenica 19 marzo 2017
Tutte le strade portano a Roma: un vecchio amore che torna
Ciao a tutti!
Per l'ultima parte di allenamenti prima del tanto atteso, meritato e sospirato riposo pre-maratona, sono tornato ad un "vecchio amore" che tante soddisfazioni mi aveva regalato negli anni passati. Dopo un programma che vedeva cambiamenti di ritmo estremi - perché passare da correre da 5'30"/km a 3'50"/km non è mica così agevole - ma che si mantenevano costanti per alcuni minuti, ho concluso la serie di estenuanti (ma sempre soddisfacenti) allenamenti infrasettimanali con la metodologia di allenamento che prevede la più repentina altalena nella velocità di corsa. 30-20-10. 30 secondi a ritmo maratona, 20 secondi veloci, 10 secondi a perdifiato. Per otto volte. Per quattro/cinque serie. Con un po' di recupero, s'intende, ma è roba che mette a dura prova la tenuta fisica.
Nelle ultime settimane si è passati dai fiumi ghiacciati alle piogge senza soluzione di continuità, fare questo allenamento all'aria aperta poteva compromettere la mia salute. Ho optato dunque per qualcosa di apparentemente estremo: replicare queste variazioni di velocità in palestra, sul tappeto. Perché cambiare velocità sul tappeto, mettendo mano sul pulsante ogni trenta, poi venti, poi dieci secondi, e poi ancora per altre N volte, è... sfibrante. Più sfiancante della corsa stessa. Però, come ho già detto in passato, impostare una velocità sul tappeto ti costringe a correrla. Zero cali psicologici, solo corsa. Ora posso dire che non è stato un gioco da ragazzi, ma in fondo non è stato male. E i risultati si sono visti, sul tappeto (ottimi i dati) e sull'asfalto (ancora più positivo il risultato della mezza maratona corsa a Francoforte).
Quello che è emerso da questi allenamenti va comunque preso con beneficio di inventario. Correre su un tappeto non è come correre all'aria aperta, sull'asfalto. Innanzitutto non c'è l'effetto del vento - che può essere a favore ma anche a sfavore; solitamente i miei allenamenti go and back annullano l'effetto vento, ma l'attrito dell'aria, all'aperto, è ben diverso da quello in un ambiente chiuso. Di contro, c'è il fatto che il ripristino della temperatura corporea, per mezzo della sudorazione, trova meno ostacoli all'aria aperta; in palestra non si corre mai in condizioni ambientali ottimali, e questo posso garantirlo, solitamente è sempre troppo caldo e/o troppo umido.
Detto ciò, quello che è emerso è che la performance appare sovrapponibili a quella precedente alla maratona di Firenze, se non superiore, soprattutto per la velocità mantenuta nel periodo di massimo sforzo (vedi post per confronto). Più di due chilometri corsi in otto minuti, per più volte, sì, è un gran bel correre.
La gamba c'è. Non può che esserci, se riesco a toccare i 17 km/h.
Parola d'ordine: mantenerla! (ancora un paio di settimane)
Bis bald!
Stefano
Per l'ultima parte di allenamenti prima del tanto atteso, meritato e sospirato riposo pre-maratona, sono tornato ad un "vecchio amore" che tante soddisfazioni mi aveva regalato negli anni passati. Dopo un programma che vedeva cambiamenti di ritmo estremi - perché passare da correre da 5'30"/km a 3'50"/km non è mica così agevole - ma che si mantenevano costanti per alcuni minuti, ho concluso la serie di estenuanti (ma sempre soddisfacenti) allenamenti infrasettimanali con la metodologia di allenamento che prevede la più repentina altalena nella velocità di corsa. 30-20-10. 30 secondi a ritmo maratona, 20 secondi veloci, 10 secondi a perdifiato. Per otto volte. Per quattro/cinque serie. Con un po' di recupero, s'intende, ma è roba che mette a dura prova la tenuta fisica.
Ripetute 30-20-10: servono gambe giovani e cuori forti (fonte: federicousuelli.com) |
Nelle ultime settimane si è passati dai fiumi ghiacciati alle piogge senza soluzione di continuità, fare questo allenamento all'aria aperta poteva compromettere la mia salute. Ho optato dunque per qualcosa di apparentemente estremo: replicare queste variazioni di velocità in palestra, sul tappeto. Perché cambiare velocità sul tappeto, mettendo mano sul pulsante ogni trenta, poi venti, poi dieci secondi, e poi ancora per altre N volte, è... sfibrante. Più sfiancante della corsa stessa. Però, come ho già detto in passato, impostare una velocità sul tappeto ti costringe a correrla. Zero cali psicologici, solo corsa. Ora posso dire che non è stato un gioco da ragazzi, ma in fondo non è stato male. E i risultati si sono visti, sul tappeto (ottimi i dati) e sull'asfalto (ancora più positivo il risultato della mezza maratona corsa a Francoforte).
Qualche numero sulle ultime ripetute |
Quello che è emerso da questi allenamenti va comunque preso con beneficio di inventario. Correre su un tappeto non è come correre all'aria aperta, sull'asfalto. Innanzitutto non c'è l'effetto del vento - che può essere a favore ma anche a sfavore; solitamente i miei allenamenti go and back annullano l'effetto vento, ma l'attrito dell'aria, all'aperto, è ben diverso da quello in un ambiente chiuso. Di contro, c'è il fatto che il ripristino della temperatura corporea, per mezzo della sudorazione, trova meno ostacoli all'aria aperta; in palestra non si corre mai in condizioni ambientali ottimali, e questo posso garantirlo, solitamente è sempre troppo caldo e/o troppo umido.
Detto ciò, quello che è emerso è che la performance appare sovrapponibili a quella precedente alla maratona di Firenze, se non superiore, soprattutto per la velocità mantenuta nel periodo di massimo sforzo (vedi post per confronto). Più di due chilometri corsi in otto minuti, per più volte, sì, è un gran bel correre.
La gamba c'è. Non può che esserci, se riesco a toccare i 17 km/h.
Parola d'ordine: mantenerla! (ancora un paio di settimane)
Bis bald!
Stefano
sabato 18 marzo 2017
Tutte le strade portano a Roma: quel giro di stadio
Ciao a tutti!
Voleva essere una mezza maratona di preparazione in vista del bersaglio grosso, fra due settimane circa, la Maratona di Roma. E invece la Frankfuter Mainova Halbmarathon, che per un italiano non è altro che la mezza maratona di Francoforte, si è rivelata per me più di un ottimo test a distanza di tre settimane dall'atteso evento, più di un allenamento veloce. È stata una corsa condotta in conserva all'inizio, per poi lasciar sprigionare tutta l'energia positiva derivante da settimane di intenso allenamento. E per poco, non ho chiuso con un nuovo personale sulla distanza di 21,097 chilometri. All'interno della Commerzbank Arena, sede di arrivo della competizione, il cronometro si è fermato su 1h29'05". A soli quattordici secondi dal mio record, che continua a rimanere inviolato da oltre quattro anni.
Voleva essere una mezza maratona di preparazione in vista del bersaglio grosso, fra due settimane circa, la Maratona di Roma. E invece la Frankfuter Mainova Halbmarathon, che per un italiano non è altro che la mezza maratona di Francoforte, si è rivelata per me più di un ottimo test a distanza di tre settimane dall'atteso evento, più di un allenamento veloce. È stata una corsa condotta in conserva all'inizio, per poi lasciar sprigionare tutta l'energia positiva derivante da settimane di intenso allenamento. E per poco, non ho chiuso con un nuovo personale sulla distanza di 21,097 chilometri. All'interno della Commerzbank Arena, sede di arrivo della competizione, il cronometro si è fermato su 1h29'05". A soli quattordici secondi dal mio record, che continua a rimanere inviolato da oltre quattro anni.
L'urlo di gioia al traguardo |
Le condizioni per disputare una bella corsa c'erano tutte, in effetti. Mi alzo e con piacere vedo che il cielo è sereno. Esco dall'albergo e trovo il parabrezza gelato. Metà marzo, parabrezza ricoperto dal ghiaccio: non è normale, nemmeno in questo non troppo sperduto angolo di Germania. La temperatura è molto bassa, spero che si alzi, ma anche che non si alzi troppo, giusto quel poco che serve a non battere i denti alla partenza. In fondo, nel mio borsone c'è solo una canotta e nient'altro. Mi chiedo, infatti, se non avrò sbagliato nell'abbigliamento scelto per questa corsa.
L'organizzazione dell'evento è estremamente tedesca. La distribuzione dei numeri di gara avviene il giorno stesso della competizione: in circa due ore tutti i partecipanti (migliaia di atleti, non numeri piccoli) ricevono il loro pettorale, e non è un gioco da ragazzi. Nonostante ciò, tutto fila liscio, dall'arrivo ai parcheggi della Commerzbank Arena al ritiro del numero di corsa, dal deposito degli effetti personali al servizio spogliatoio. Ineccepibile.
Arrivo con lauto anticipo alla Commerzbank Arena, pronosticando possibili code o intoppi. Gli spogliatoi per gli atleti sono nella zona mista dello stadio, dove i giornalisti intervistano allenatori e giocatori. È un bel salone, ampio e soprattutto caldo. Se ne sente il bisogno, perché fuori le temperature sono veramente rigide. C'è tutto il tempo per cambiarsi, con calma, come piace a me, e per cercare la concentrazione. Lo stretching e il riscaldamento all'aperto possono aspettare gli ultimi venti minuti prima dello sparo, all'ombra dello stadio ci saranno non più di quattro/cinque gradi...
L'organizzazione dell'evento è estremamente tedesca. La distribuzione dei numeri di gara avviene il giorno stesso della competizione: in circa due ore tutti i partecipanti (migliaia di atleti, non numeri piccoli) ricevono il loro pettorale, e non è un gioco da ragazzi. Nonostante ciò, tutto fila liscio, dall'arrivo ai parcheggi della Commerzbank Arena al ritiro del numero di corsa, dal deposito degli effetti personali al servizio spogliatoio. Ineccepibile.
Arrivo con lauto anticipo alla Commerzbank Arena, pronosticando possibili code o intoppi. Gli spogliatoi per gli atleti sono nella zona mista dello stadio, dove i giornalisti intervistano allenatori e giocatori. È un bel salone, ampio e soprattutto caldo. Se ne sente il bisogno, perché fuori le temperature sono veramente rigide. C'è tutto il tempo per cambiarsi, con calma, come piace a me, e per cercare la concentrazione. Lo stretching e il riscaldamento all'aperto possono aspettare gli ultimi venti minuti prima dello sparo, all'ombra dello stadio ci saranno non più di quattro/cinque gradi...
Sul lungofiume di Francoforte |
Quando esco fa effettivamente molto freddo. Nel campetto in erba sintetica, all'esterno della Commerzbank Arena, tuttavia, splende un bel sole. Non a caso, sono tutti quanti lì a riscaldarsi. La differenza tra la temperatura percepita al sole e all'ombra dello stadio è evidente. Mi sale un po' di nervosismo, comprensibile, quando lo speaker annuncia che la partenza è posticipata di cinque minuti. Cinque minuti di freddo in cui mi posso solo riscaldare precariamente muovendomi sul posto. Poi arriva lo sparo, endlich!
Eppure le sensazioni dei primi metri non sono state quelle dei giorni migliori. Forse perché non mi sono fatto prendere dalla foga della partenza (che coinvolge sempre troppi atleti), partendo calmo, conscio che questa voleva essere più una seduta di allenamento veloce che una competizione. Serve un chilometro per sciogliere le gambe e trovare la brillantezza che pareva mancare nelle prime centinaia di metri. Poi, in un lungo rettilineo (di una ciclabile?) nelle ultime propaggini della Frankfurter Stadtwald, inizio a macinare un ritmo piuttosto sostenuto. La mia media è di 4'18"/km, già più veloce dei 4'22"/km che avevo indicato come passo da mantenere.
Rientro sull'asfalto del Schaumainkai (© Frankfurter Mainova Halbmarathon) |
Sono passati circa quattro chilometri quando si abbandona il bosco e ci si immette nel Bürostadt, il quartiere degli uffici di Francoforte. C'è una soglia (solitamente una manciata di chilometri) superata la quale le gambe stanno benissimo e vorrebbero rilasciare sull'asfalto tutta la loro energia. Beh, quella soglia stavolta la incontro al quarto chilometro e mi ritrovo a dover controllare il mio naturale impulso ad aumentare la velocità per mantenere un ritmo stabile. Ora però ho la certezza di essere in condizione ottimale, di vivere una giornata di grazia psicofisica. Vedo un atleta di fronte a me e diventa la mia lepre. Fino a raggiungerlo e sorpassarlo. E un nuovo atleta diventa una nuova lepre da seguire. Così, a ciclo continuo.
Il tratto a fianco del Meno è tanto meraviglioso quanto nervoso. Perché se da una parte finalmente si corre con uno sfondo fatto di grattacieli, dall'altro lato vi è una sede stradale che si restringe quando si va sul lungofiume e poi impenna improvvisamente per rimettersi tra le vie dei quartieri più meridionali di Francoforte. Questo è un tratto interlocutorio di corsa, perché sono tormentato dal dubbio: mantengo il ritmo di 4'17"/km tenuto fino a metà gara, oppure provo a rincorrere la prestazione massima? La risposta la trovo tra le vie del quartiere di Sachsenhausen, dove inizia la seconda metà di corsa. Qui, dopo, uno scambio di sorpassi e controsorpassi con un altro podista, rompo gli indugi e inizio a correre a ritmo ancora più sostenuto. Al chilometro 12 si viaggia a 4'07"/km, ed è un gran bel correre.
Nei primi chilometri, il volto era ancora rilassato |
Chissenefrega se ci sono delle salite. Il chilometro 13 è in costante ed inesorabile ascesa. Ci si avvicina allo stadio e dunque si deve riguadagnare la quota persa velocemente nei primi chilometri. E nonostante ciò lo concludo in 4'10". Niente male, veramente. Il punto di svolta è, come immaginavo già prima della partenza, cercando di capire qualcosa in più sul percorso, intorno ai due terzi di corsa. C'è una lunga salita - niente di trascendentale - ma che mi costringe inevitabilmente a rallentare. Ma non crollo, anzi. Correre a 4'15"/km in salita vuol dire avere gamba. E ancor più significativo, non perdo brillantezza al termine dell'asperità, appena la strada ritorna piatta, saluto l'asfalto con chilometri veloci, tra 4'/km e 4'07"/km. Poi è la volta del rettilineo nel cuore della foresta di Francoforte, da percorrere nei due sensi, e questo è un elemento che fornisce ulteriore carica, perché vedi gli altri che corrono verso il traguardo, mentre tu sei dietro, mentre tu devi recuperare qualche manciata di metri, centinaia in alcuni casi. Questo non può che essere uno sprono. Una piccola interruzione, di quelle che ti fanno inveire, avviene al "giro di boa": nel momento di invertire il senso di marcia nella Isenburger Schneise, una podista di fronte a me si ferma improvvisamente. La urto - non potevo sparire nel nulla, ma non ci sono state conseguenze - e riprendo a correre. Sono passati 16 chilometri e mezzo, ne mancano ancora più di quattro e mezzo. Sono quattro chilometri di escalation. Non lo so, perché non sto più a guardare più di tanto l'orologio (non ha più senso, ora), ma guardando i tempi dopo la gara, vedo parziali monstre (per me, in una mezza maratona). Chilometro 17: 4'07"/km; chilometro 18: 4'02"/km; chilometro 19: 3'59"/km; chilometro 20: 3'57"/km; chilometro 21: 3'55"/km. Neanche l'ultimo cavalcavia - duro - riesce a rallentarmi. Nel giro attorno allo stadio, il tifo dei presenti mi dà ulteriore forza per provare a ricucire il gap con chi sta davanti a me, per provare a trovare il miglior tempo possibile. Poco prima di entrare nello stadio, rallento un pochino, in fondo non ha più senso spingere come un dannato come stavo facendo. Col senno di poi dovrei pentirmene, ma mi piace pensare che mi sono tenuto qualche energia per lo sprint finale e soprattutto per Roma.
L'arrivo sul traguardo della mezza maratona di Francoforte |
L'ingresso nella Commerzbank Arena è una liberazione, nessun giro di campo, solo il rettilineo di fronte alla tribuna, all'ombra delle gradinate moderatamente occupate e festanti. Un ultimo scatto per andare a chiudere in 1h29'05" (media 4'13"/km), un tempo al quale non riuscivo a credere. E ancora adesso stento a realizzare. Poco meno di sei mesi prima, mi ero rotto un piede. Ora, invece - ebbene si! - ho fatto il mio secondo miglior tempo di sempre sulla mezza maratona a tre settimane di distanza dalla maratona di Roma. È ovviamente un ottimo viatico verso l'appuntamento del 2 aprile. Constatare che al termine della gara quasi non sono stanco, è un segnale più che positivo. Anzi, sono in grandi forze, soprattutto per andarmi a prendere le birre (analcoliche) offerte dall'organizzazione - che peraltro si berrà mia moglie.
Francoforte mi ha portato fortuna, sotto sotto non avevo dubbi. Così come non ho dubbi che ritornerò a correre qui, ventuno o quarantadue chilometri non lo so, ma tornerò. Bello il percorso, calda l'atmosfera, piacevoli i ricordi che porto ora in serbo.
Bis bald!
Stefano
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da:
Wonfurt, Germany
venerdì 17 marzo 2017
Tutte le strade portano a Roma: ritocchi di velocità
Ciao a tutti!
Nel corso di un allenamento per la maratona, si cerca di capire da vari fattori se la propria prestazione è in crescendo o se le gambe lavorano al meglio. Sensazioni personali, prima di tutto, ma anche i numeri. I tempi degli allenamenti su lunghe distanze sono quelli più indicativi, perché confrontabili negli anni e significativi per il tipo di esercizio svolto: è ovvio che un allenamento di trentacinque chilometri sia più comparabile ad una maratona che non dodici chilometri di ripetute o interval training. Qualche buona indicazione arriva talvolta anche dalle ripetute.
Nel corso di un allenamento per la maratona, si cerca di capire da vari fattori se la propria prestazione è in crescendo o se le gambe lavorano al meglio. Sensazioni personali, prima di tutto, ma anche i numeri. I tempi degli allenamenti su lunghe distanze sono quelli più indicativi, perché confrontabili negli anni e significativi per il tipo di esercizio svolto: è ovvio che un allenamento di trentacinque chilometri sia più comparabile ad una maratona che non dodici chilometri di ripetute o interval training. Qualche buona indicazione arriva talvolta anche dalle ripetute.
Sbiaditi dal tapis roulant |
I progressi si sono visti, eccome, anche nel programma di allenamento svolto con intensità durante tutto il mese di febbraio. L'allenamento consiste in una sorta di interval training preceduto da due periodi a ritmo maratona (vedi post). Il progresso è, molto semplicemente, che dalle velocità di partenza si può incrementare sempre un po' di più, fino a raggiungere un miglioramento complessivo evidente. La velocità di punta inizialmente era di 15 km/h. E poi ha raggiunto punte di 16.5 km/h. Con la gamba che migliora, è normale provare a spingersi oltre il limite precedente. Serve solamente mettere mano al pulsante sul display del tappeto...
Seduta dopo seduta, la velocità poteva essere incrementata. Sia nella fase di massima intensità che in quella di scarico. E a beneficiarne è stato infine il chilometraggio finale percorso complessivamente sull'identico lasso di tempo, di un'ora esatta. La prima seduta, ad inizio febbraio, si concluse con 12,80 chilometri alla fine dell'allenamento. La seconda seduta, ad inizio marzo, con oltre quattrocento metri in più: 13,23 chilometri. Dopo ogni allenamento, la gamba girava sempre meglio. E quello che era un miglioramento verificabile volta dopo volta, basato sui numeri ma anche sulle sensazioni, è diventato anche tangibile in gara, come durante la mezza maratona di Francoforte ha chiarito.
Ora, c'è solo da augurarsi che i benefici perdurino ancora...per un paio di settimane!?
Bis bald!
Stefano
giovedì 16 marzo 2017
Frankfurter Ausblick - Dall'alto della rossa torre
Dopo tante volte a Francoforte (per la quinta volta in questo ultimo fine settimana) ho deciso che era giunta l'ora di salire in alto. A Francoforte ci sarebbe l'imbarazzo della scelta, perché il numero di punti panoramici, con tutti quei grattacieli, non manca di certo. Quello più spettacolare, secondo la mia esperienza ed il mio punto di vista, non sta all'ultimo piano di un moderno grattacielo, bensì sulla terrazza della torre di un duomo che ha quasi cinquecento anni di vita.
La torre del duomo di Francoforte, dedicato a San Bartolomeo, è stato per lungo tempo l'edificio più alto della città, prima dell'avvento della City tedesca. Ma l'altezza rimane ragguardevole ancora oggi, ben 95 metri. Non è tuttavia questa la quota che si può raggiungere per godere del panorama di Francoforte, ma "solo" 66 metri. Qui c'è l'angusto terrazzino dal quale si domina Francoforte (e oltre). Bisogna faticare un pochino per raggiungerlo, questo è chiaro. In una torre eretta cinque secoli fa (il cui restauro è stato completato "solo" nel 2010) non si può installare un moderno ascensore, ma si può disporre solo delle proprie gambe. Gradini: trecentoventotto. Stretti, due persone per passare insieme sono costrette a mettersi spalle al muro. Vertiginosi, tutti ruotano in senso orario con una cadenza che fa girare la testa. Ma tutto ciò che rimane di vertiginoso, quando si conclude la salita, è la vista su Francoforte.
Ma salire in un belvedere posto a sessanta metri di altezza in una città come Francoforte può costituire inimmaginabile bellezza? Si, perché se è vero che ci si immagina la veduta su grattacieli che fanno a gara per toccare il cielo prima degli altri (o per stupire di più), è altrettanto vero che questi rappresentano una muraglia di cemento che lascia a bocca aperta. E non solo quelli, perché appena sotto la torre sono ben visibili la Römerplatz e la Paulskirche. Ahimè, le torri di chiese e di edifici più anziani sembrano essere schiacciati dal potere visivo e dalle dimensioni incomparabili delle costruzioni moderne. L'avveniristico MyZeil si evolve in una forma ancora diversa dalle già molteplici immagini che sa regalare dal suo esterno e dal suo interno.
Il Meno è un serpente d'acqua che divide due mari: quello di mattoni e cemento a destra, e un altro di alberi, a sinistra: perché sulla sponda sinistra del fiume si estende in ampiezze indefinite la Frankfurter Stadtwald, un'immensa superficie in cui non c'è spazio che poco altro oltre al bosco - tra cui lo stadio dell'Eintracht Francoforte. Insomma, c'è una città intera che si spande ai piedi di una torre, ultimo baluardo di una città dalla grande tradizione, all'inarrestabile dilagare della modernità.
Bis bald!
Stefano
Vista dai 66 metri della Domturm |
La torre del duomo di Francoforte, dedicato a San Bartolomeo, è stato per lungo tempo l'edificio più alto della città, prima dell'avvento della City tedesca. Ma l'altezza rimane ragguardevole ancora oggi, ben 95 metri. Non è tuttavia questa la quota che si può raggiungere per godere del panorama di Francoforte, ma "solo" 66 metri. Qui c'è l'angusto terrazzino dal quale si domina Francoforte (e oltre). Bisogna faticare un pochino per raggiungerlo, questo è chiaro. In una torre eretta cinque secoli fa (il cui restauro è stato completato "solo" nel 2010) non si può installare un moderno ascensore, ma si può disporre solo delle proprie gambe. Gradini: trecentoventotto. Stretti, due persone per passare insieme sono costrette a mettersi spalle al muro. Vertiginosi, tutti ruotano in senso orario con una cadenza che fa girare la testa. Ma tutto ciò che rimane di vertiginoso, quando si conclude la salita, è la vista su Francoforte.
Quasi cento metri di altezza... |
Ma salire in un belvedere posto a sessanta metri di altezza in una città come Francoforte può costituire inimmaginabile bellezza? Si, perché se è vero che ci si immagina la veduta su grattacieli che fanno a gara per toccare il cielo prima degli altri (o per stupire di più), è altrettanto vero che questi rappresentano una muraglia di cemento che lascia a bocca aperta. E non solo quelli, perché appena sotto la torre sono ben visibili la Römerplatz e la Paulskirche. Ahimè, le torri di chiese e di edifici più anziani sembrano essere schiacciati dal potere visivo e dalle dimensioni incomparabili delle costruzioni moderne. L'avveniristico MyZeil si evolve in una forma ancora diversa dalle già molteplici immagini che sa regalare dal suo esterno e dal suo interno.
Il Meno è un serpente d'acqua che divide due mari: quello di mattoni e cemento a destra, e un altro di alberi, a sinistra: perché sulla sponda sinistra del fiume si estende in ampiezze indefinite la Frankfurter Stadtwald, un'immensa superficie in cui non c'è spazio che poco altro oltre al bosco - tra cui lo stadio dell'Eintracht Francoforte. Insomma, c'è una città intera che si spande ai piedi di una torre, ultimo baluardo di una città dalla grande tradizione, all'inarrestabile dilagare della modernità.
Bis bald!
Stefano
lunedì 13 marzo 2017
Frankfurter Ausblick - Quando calano le luci
Quando calano le luci del giorno su Francoforte... altre si accendono, come per magia. Sono quelle che illuminano il quartiere dei grattacieli grazie al quali la più grande città dell'Assia nonché regina della finanza tedesca ha preso il soprannome di Mainhattan. Sono il risultato di anni di cantieri e gru che lacerano (tuttora) il cielo sopra Francoforte, un risultato che ogni volta si mostra ai miei occhi sempre apprezzabile. Per varie ragioni, tuttavia, ho sempre dovuto rimandare il momento in cui avrei potuto finalmente guardare lo skyline dei grattacieli di Francoforte quando solamente più l'illuminazione artificiale può fornire un senso a questa spettacolare massa di cemento.
Aspetto che si faccia buio, sono le 19 circa. Battezzo l'Alte Brücke, uno dei tanti ponti che collegano la parte settentrionale e meridionale di Francoforte, come uno dei punti di vista migliori. Perché da qui in un sol colpo d'occhio si hanno a disposizione la Commerzbank Tower, il grattacielo più alto, e la torre del Duomo, l'edificio più alto del centro storico. Ed è uno spettacolo immenso. Il presente e il futuro che si confrontano con il passato, come a volersi sfidare in un match in cui uno è il più forte e l'altro è l'indomito. Il nuovo che avanza e il vecchio che resiste. Non lo sanno, però, che Francoforte ha bisogno di entrambe le cose.
Bis bald!
Stefano
Aspetto che si faccia buio, sono le 19 circa. Battezzo l'Alte Brücke, uno dei tanti ponti che collegano la parte settentrionale e meridionale di Francoforte, come uno dei punti di vista migliori. Perché da qui in un sol colpo d'occhio si hanno a disposizione la Commerzbank Tower, il grattacielo più alto, e la torre del Duomo, l'edificio più alto del centro storico. Ed è uno spettacolo immenso. Il presente e il futuro che si confrontano con il passato, come a volersi sfidare in un match in cui uno è il più forte e l'altro è l'indomito. Il nuovo che avanza e il vecchio che resiste. Non lo sanno, però, che Francoforte ha bisogno di entrambe le cose.
Panorama notturno di Francoforte sul Meno dall'Alte Brücke |
Bis bald!
Stefano
domenica 12 marzo 2017
Ispirato dai Boeing: 1.29.05 a Francoforte!
Oltre ogni più rosea aspettativa, e tutto a sole tre settimane dalla maratona di Roma.
A Francoforte sul Meno, nella mezza maratona che parte e arriva nella stupefacente Commerzbank-Arena, ho corso come non mi capitava... da oltre quattro anni. Perché con il tempo di questa ultima mezza maratona ho sfiorato il personale che resiste dal gennaio del 2013 (a Novara, Mezza maratona di San Gaudenzio). Una vera e propria eternità: ai tempi non conoscevo neanche mia moglie!
E pensare che l'intenzione era quella di fare un bell'allenamento, pensavo «se la chiudo in 1h32' posso ritenermi soddisfatto». Invece, scendo sotto l'ora e mezza, una soglia "psicologica" e quasi faccio il nuovo personale. Le gambe giravano bene, ho corso molto forte gli ultimi chilometri senza quasi accorgermene, senza tuttavia spendere anche la più residua goccia di carburante a disposizione. E ora... non mi sento neanche tanto stanco.
Si, se questo doveva essere un importante viatico verso Roma, direi che la strada giusta è perfettamente intrapresa. La meta, però, deve ancora attendere tre settimane. Tre settimane di attesa per vedere se il progresso visto a Francoforte si confermerà sui sampietrini della capitale.
Bis bald!
Stefano
A Francoforte sul Meno, nella mezza maratona che parte e arriva nella stupefacente Commerzbank-Arena, ho corso come non mi capitava... da oltre quattro anni. Perché con il tempo di questa ultima mezza maratona ho sfiorato il personale che resiste dal gennaio del 2013 (a Novara, Mezza maratona di San Gaudenzio). Una vera e propria eternità: ai tempi non conoscevo neanche mia moglie!
In mancanza di una medaglia da sfoggiare... |
E pensare che l'intenzione era quella di fare un bell'allenamento, pensavo «se la chiudo in 1h32' posso ritenermi soddisfatto». Invece, scendo sotto l'ora e mezza, una soglia "psicologica" e quasi faccio il nuovo personale. Le gambe giravano bene, ho corso molto forte gli ultimi chilometri senza quasi accorgermene, senza tuttavia spendere anche la più residua goccia di carburante a disposizione. E ora... non mi sento neanche tanto stanco.
Si, se questo doveva essere un importante viatico verso Roma, direi che la strada giusta è perfettamente intrapresa. La meta, però, deve ancora attendere tre settimane. Tre settimane di attesa per vedere se il progresso visto a Francoforte si confermerà sui sampietrini della capitale.
Bis bald!
Stefano
sabato 11 marzo 2017
Quaresima con o senza canditi?
Ciao a tutti!
Nel pomeriggio trascorso oggi a Francoforte ho visto qualcosa che mi ha fatto strabuzzare gli occhi, che da italiano all'estero non posso non raccontare. Un certo orgoglio tricolore è stato toccato nel profondo. Perché con noi italiani, i tedeschi possono dibattere su tutto, su chi ha le donne più belle, le macchine più veloci o i calciatori più forti (a parte quest'ultimo punto, vinciamo noi),ma ci sono alcuni capisaldi che non possono essere messi in discussione. Il cibo è certamente uno di questi. E dire che in Germania, di eresie enogastronomiche ne ho già viste molte: l'espresso servito nelle tazze, il cappuccino ordinato al termine della cena o la panna come condimento principe di un piatto di pasta e potrei continuare a lungo (magari ci farò su un post).
Questo episodio, però, li batte tutti quanto a bizzarria.
Mi trovo a Francoforte, in un enorme centro commerciale che ospita al piano interrato una vasta selezione di specialità alimentari provenienti da ogni parte del mondo. Gironzolando, curioso e ingolosito, vedo un'area in cui campeggiano scatole rosa impilate una sull'altra. Sono prodotti della Bauli. Colombe, penso, in fondo a Pasqua manca poco più di un mese. E invece no. Si, ci sono anche le colombe, ma sono in quantità nettamente minoritaria. La maggior parte di questi involucri contiene pandori e panettoni. Non riesco a spiegarmi tutto ciò.
Ingrandendo l'immagine potete vedere il prezzo di vendita di un pandoro: 6,49 €. Un prezzo normalissimo, nel periodo natalizio. Ma non siamo a Natale.
Dunque, ricapitolando. Siamo in piena Quaresima e questi mi vendono panettoni e pandori. Già questa sarebbe follia, ma evidentemente non li hanno piazzati tutti durante l'Avvento. Allora vendeteli scontati, come i maglioni di lana taglia extralarge che ad aprile nessuno cerca di certo. Invece no, te li sbattono in bella vista a prezzo pieno.
Pandori e panettoni. Ad un mese da Pasqua. Non scontati. Senza parole. Bah.
Bis bald!
(un basito) Stefano
Nel pomeriggio trascorso oggi a Francoforte ho visto qualcosa che mi ha fatto strabuzzare gli occhi, che da italiano all'estero non posso non raccontare. Un certo orgoglio tricolore è stato toccato nel profondo. Perché con noi italiani, i tedeschi possono dibattere su tutto, su chi ha le donne più belle, le macchine più veloci o i calciatori più forti (a parte quest'ultimo punto, vinciamo noi),ma ci sono alcuni capisaldi che non possono essere messi in discussione. Il cibo è certamente uno di questi. E dire che in Germania, di eresie enogastronomiche ne ho già viste molte: l'espresso servito nelle tazze, il cappuccino ordinato al termine della cena o la panna come condimento principe di un piatto di pasta e potrei continuare a lungo (magari ci farò su un post).
Questo episodio, però, li batte tutti quanto a bizzarria.
Piovono pandori |
Mi trovo a Francoforte, in un enorme centro commerciale che ospita al piano interrato una vasta selezione di specialità alimentari provenienti da ogni parte del mondo. Gironzolando, curioso e ingolosito, vedo un'area in cui campeggiano scatole rosa impilate una sull'altra. Sono prodotti della Bauli. Colombe, penso, in fondo a Pasqua manca poco più di un mese. E invece no. Si, ci sono anche le colombe, ma sono in quantità nettamente minoritaria. La maggior parte di questi involucri contiene pandori e panettoni. Non riesco a spiegarmi tutto ciò.
E non sono in saldo |
Ingrandendo l'immagine potete vedere il prezzo di vendita di un pandoro: 6,49 €. Un prezzo normalissimo, nel periodo natalizio. Ma non siamo a Natale.
Dunque, ricapitolando. Siamo in piena Quaresima e questi mi vendono panettoni e pandori. Già questa sarebbe follia, ma evidentemente non li hanno piazzati tutti durante l'Avvento. Allora vendeteli scontati, come i maglioni di lana taglia extralarge che ad aprile nessuno cerca di certo. Invece no, te li sbattono in bella vista a prezzo pieno.
Pandori e panettoni. Ad un mese da Pasqua. Non scontati. Senza parole. Bah.
Bis bald!
(un basito) Stefano
venerdì 10 marzo 2017
Frankfurter Mainova Halbmarathon 2017, il percorso
Ciao a tutti!
Meno di quarantotto ore e sarò di nuovo in corsa, in gara: sarà ancora la volta di una grande città tedesca, Francoforte sul Meno. E sarà mezza maratona, distanza che apprezzo molto - talvolta più della maratona, nonostante non ne possegga lo stesso "carisma". La Frankfurter Mainova Halbmarathon è una mezza maratona perfetta per raffinare la preparazione all'obiettivo podistico di questa primavera, la maratona di Roma.
Il percorso si preannuncia molto interessante, nonostante esso si dipani esclusivamente sulla riva sinistra del Meno, quella turisticamente meno frequentata. Si, non ci sono ponti sul Meno da attraversare. Non è una delusione, perché questa mezza maratona ha tre punti di forza notevoli per quanto concerne il percorso. La partenza e l'arrivo sono situati alla Commerzbank Arena, lo stadio dell'Eintracht Francoforte. E l'imponenza di uno stadio è sicuramente stimolo d'eccezione per uno sprint finale. Inoltre, lo stadio di Francoforte è nel bel mezzo della città più grande dell'Assia: ciò vuol dire che i primi e gli ultimi chilometri saranno completamente nel verde. Una corsa circondata dal verde è sempre una corsa piacevole. Dunque, ci sono i cinque chilometri (circa) in riva al Meno, dal Niederräder Ufer al Schaumainkai, in cui poter ammirare Francoforte dalle angolazioni migliori, con la vista che si posa (e sarà inevitabilmente così) su quella sterminata rete di grattacieli che pare dominare il centro storico.
La prima parte è in leggera discesa o sostanzialmente piatta. Tende a salire nella seconda metà, in cui si dovrebbero trovare anche un paio di cavalcavia (o sottopassaggi), sempre fastidiosi quando si è alla ricerca di un buon ritmo gara. Non appare a prima vista un percorso facile, ci sono quasi trenta metri tra il punto più basso e quello più alto del percorso. Nonostante non sia in apparenza un tracciato nervoso, ricco di curve e di potenziali cambi di ritmo (come quello di Norimberga, per esempio), l'altimetria racconta un profilo ondulato, quindi ci sarà da far ricorso a tutto il meglio delle proprie doti aerobiche a disposizione. Vedremo domenica mattina, se le mie impressioni saranno confermate. Nel frattempo, mi riposo e penso solo a correre divertendomi. Che poi, tirando le somme, è ciò che più conta.
Bis bald!
Stefano
Meno di quarantotto ore e sarò di nuovo in corsa, in gara: sarà ancora la volta di una grande città tedesca, Francoforte sul Meno. E sarà mezza maratona, distanza che apprezzo molto - talvolta più della maratona, nonostante non ne possegga lo stesso "carisma". La Frankfurter Mainova Halbmarathon è una mezza maratona perfetta per raffinare la preparazione all'obiettivo podistico di questa primavera, la maratona di Roma.
Il percorso si preannuncia molto interessante, nonostante esso si dipani esclusivamente sulla riva sinistra del Meno, quella turisticamente meno frequentata. Si, non ci sono ponti sul Meno da attraversare. Non è una delusione, perché questa mezza maratona ha tre punti di forza notevoli per quanto concerne il percorso. La partenza e l'arrivo sono situati alla Commerzbank Arena, lo stadio dell'Eintracht Francoforte. E l'imponenza di uno stadio è sicuramente stimolo d'eccezione per uno sprint finale. Inoltre, lo stadio di Francoforte è nel bel mezzo della città più grande dell'Assia: ciò vuol dire che i primi e gli ultimi chilometri saranno completamente nel verde. Una corsa circondata dal verde è sempre una corsa piacevole. Dunque, ci sono i cinque chilometri (circa) in riva al Meno, dal Niederräder Ufer al Schaumainkai, in cui poter ammirare Francoforte dalle angolazioni migliori, con la vista che si posa (e sarà inevitabilmente così) su quella sterminata rete di grattacieli che pare dominare il centro storico.
Il percorso della 15. Frankfurter Mainova Halbmarathon |
La prima parte è in leggera discesa o sostanzialmente piatta. Tende a salire nella seconda metà, in cui si dovrebbero trovare anche un paio di cavalcavia (o sottopassaggi), sempre fastidiosi quando si è alla ricerca di un buon ritmo gara. Non appare a prima vista un percorso facile, ci sono quasi trenta metri tra il punto più basso e quello più alto del percorso. Nonostante non sia in apparenza un tracciato nervoso, ricco di curve e di potenziali cambi di ritmo (come quello di Norimberga, per esempio), l'altimetria racconta un profilo ondulato, quindi ci sarà da far ricorso a tutto il meglio delle proprie doti aerobiche a disposizione. Vedremo domenica mattina, se le mie impressioni saranno confermate. Nel frattempo, mi riposo e penso solo a correre divertendomi. Che poi, tirando le somme, è ciò che più conta.
Bis bald!
Stefano
giovedì 9 marzo 2017
Tutte le strade portano a Roma: 21 km sulla sponda sinistra del Meno
Ciao a tutti!
Nel ciclo di preparazione verso la maratona di Roma non poteva mancare anche una mezza maratona, cosa che tanto mi è mancata nell'estate prima della BMW-Berlin Marathon. Ma allora era diverso, partecipare a competizioni podistiche sulle lunghe distanze in estate vuol dire correre in montagna o su sterrato, non proprio quello che fa per me, che non amo assolutamente la corsa in montagna e che purtroppo ho le ginocchia delicate. In primavera, invece, c'è molta più possibilità (e scelta) di mezze maratone ideali per preparare o rifinire una maratona.
La scelta fatta è quella di rimanere in Germania per preparare al meglio la maratona di Roma. C'è una maratona che già da un paio di anni mi stuzzicava, ed è la Frankfurter Mainova Halbmarathon, che questa domenica 12 marzo giunge alla sua edizione numero 15. Perché proprio questa mezza maratona esercita in me un certo fascino? Innanzitutto per la sua collocazione nel calendario: a metà marzo, è perfetta per essere inclusa nel programma di preparazione alla doppia distanza, sui 42.195 chilometri. Poi, si corre a Francoforte sul Meno, non una città qualunque ma una città speciale: una grande città, dallo skyline unico in Europa. Mi aspetto grandi cose da questa città, anche durante una competizione podistica. E poi c'è il fascino di iniziare e concludere una mezza maratona nello stadio di Francoforte. Si, la partenza avviene ai piedi della Commerzbank Arena (nel quale l'Eintracht Francoforte disputa le partite casalinghe di campionato) mentre l'arrivo è addirittura all'interno dello stadio.
Cosa potrà riservarmi questa mezza maratona? Quel che è certo, è che potrò capire come stanno le mie gambe, in un appuntamento agonistico che cade a sole tre settimane dal più importante evento nella capitale. La distanza ravvicinata con la maratona mi impone di non dare tutto, di non spendere le energie migliori, anche se sarà difficile: è una gara, non un allenamento, la mia personale etica mi dice di spingere al massimo. Quello che però conta di più è essere al top a Roma.
Da Berlino a Francoforte sono passati quasi sei mesi, sei mesi in cui ho subito la lunga convalescenza post-frattura, il recupero sulla bici e il ritorno alla corsa vera: altri sei mesi non li voglio di certo ripetere, quindi, altra parola d'ordine: attenzione e cautela in corsa - oh, a Berlino mica ero distratto!
Come sempre in queste occasioni, però, penserò innanzitutto a divertirmi, perché è una gara che si corre in una grande città. Una città che apprezzo da tempi non sospetti (vedi post) e nella quale speravo di poter correre. Magari anche su distanze più lunghe di una mezza maratona...
Bis bald!
Stefano
Nel ciclo di preparazione verso la maratona di Roma non poteva mancare anche una mezza maratona, cosa che tanto mi è mancata nell'estate prima della BMW-Berlin Marathon. Ma allora era diverso, partecipare a competizioni podistiche sulle lunghe distanze in estate vuol dire correre in montagna o su sterrato, non proprio quello che fa per me, che non amo assolutamente la corsa in montagna e che purtroppo ho le ginocchia delicate. In primavera, invece, c'è molta più possibilità (e scelta) di mezze maratone ideali per preparare o rifinire una maratona.
Si torna nella capitale tedesca del grattacielo. Foto di archivio, 3 dicembre 2016 |
La scelta fatta è quella di rimanere in Germania per preparare al meglio la maratona di Roma. C'è una maratona che già da un paio di anni mi stuzzicava, ed è la Frankfurter Mainova Halbmarathon, che questa domenica 12 marzo giunge alla sua edizione numero 15. Perché proprio questa mezza maratona esercita in me un certo fascino? Innanzitutto per la sua collocazione nel calendario: a metà marzo, è perfetta per essere inclusa nel programma di preparazione alla doppia distanza, sui 42.195 chilometri. Poi, si corre a Francoforte sul Meno, non una città qualunque ma una città speciale: una grande città, dallo skyline unico in Europa. Mi aspetto grandi cose da questa città, anche durante una competizione podistica. E poi c'è il fascino di iniziare e concludere una mezza maratona nello stadio di Francoforte. Si, la partenza avviene ai piedi della Commerzbank Arena (nel quale l'Eintracht Francoforte disputa le partite casalinghe di campionato) mentre l'arrivo è addirittura all'interno dello stadio.
La partenza ai piedi della Commerzbank Arena |
Cosa potrà riservarmi questa mezza maratona? Quel che è certo, è che potrò capire come stanno le mie gambe, in un appuntamento agonistico che cade a sole tre settimane dal più importante evento nella capitale. La distanza ravvicinata con la maratona mi impone di non dare tutto, di non spendere le energie migliori, anche se sarà difficile: è una gara, non un allenamento, la mia personale etica mi dice di spingere al massimo. Quello che però conta di più è essere al top a Roma.
Da Berlino a Francoforte sono passati quasi sei mesi, sei mesi in cui ho subito la lunga convalescenza post-frattura, il recupero sulla bici e il ritorno alla corsa vera: altri sei mesi non li voglio di certo ripetere, quindi, altra parola d'ordine: attenzione e cautela in corsa - oh, a Berlino mica ero distratto!
Come sempre in queste occasioni, però, penserò innanzitutto a divertirmi, perché è una gara che si corre in una grande città. Una città che apprezzo da tempi non sospetti (vedi post) e nella quale speravo di poter correre. Magari anche su distanze più lunghe di una mezza maratona...
Bis bald!
Stefano
mercoledì 8 marzo 2017
C'è bisogno di donne straordinarie: Emmeline Pankhurst
Ed è di nuovo 8 marzo, è di nuovo Festa delle Donne, con tutto il carico di discussioni e diatribe che normalmente questa giornata si trascina. Oltre al consueto stato dell'arte sulla situazione dei diritti della donna in un mondo ancora troppo maschilista - che divide innanzitutto il gentil sesso - quest'anno si è aggiunta la polemica sullo sciopero delle lavoratrici italiane. Quindi, vi è la solita carrellata di auguri, Whatsapp, Facebook, Twitter, chi più ne ha, più ne metta, vi è il collega gonzo che porta i fiori in ufficio per tutte e dico tutte le colleghe (tra l'altro, saranno mimose rubate oppure no?), insomma sempre le solite cose.
Come dicevo oggi a mia moglie, l'uomo vive di fatti e non di facezie, e quindi oggi su queste pagine porto qualcosa di concreto. Porto una storia, una storia di vita intensa. Porto la vicenda di una donna che combattendo, credendo in un ideale, ha dato lustro alle donne e alle loro potenzialità. Come fatto tre anni fa con Marie Curie e l'anno scorso con Grace Hopper, anche in questo 8 marzo voglio spendere qualche parola su una donna veramente fuori dal comune, Emmeline Pankhurst.
Il nome forse non dirà molto, anche considerando che parlo di una figura femminile all'apice esattamente un secolo fa. Eppure è anche per merito di questo personaggio che le donne hanno conquistato parte dei loro (sacrosanti) diritti: Emmeline Pankhurst fu la figura guida del movimento delle suffragette, che nella prima metà del XX secolo si batté per la conquista del diritto di voto alle donne.
La storia di Emmeline Pankhurst è una storia di coraggio, la storia di una donna senza paura, determinata a raggiungere l'obiettivo che si era prefissata da quando aveva sette anni, da quella notte in cui, come scrisse nella sua autobiografia, il padre le sussurrò "che peccato che non è nata maschio". Quello fu un momento chiave per la giovane Emmeline, dal quale si rese presto conto che la donna poteva emergere da un contesto sociale sfavorevole e troppo incentrato sul potere dell'uomo. E doveva farlo contando esclusivamente sulle proprie forze.
La spinta impressa da Emmeline Pankhurst al movimento suffragista in Gran Bretagna fu enorme e decisiva. Ma non fu solo nel campo del diritto al voto che si batté la Pankhurst. Anche il diritto di divorziare e di ereditare le proprietà dal marito furono argomenti per i quali la Pankhurst condusse una dura lotta, fondando la Women's Social and Political Union. Grazie a questo movimento di protesta attiva, il suffragio universale divenne una tematica sempre più importante dell'attività politica britannica. Raduni, sabotaggi, proposte di legge, occupazioni, ribellioni, aggressioni... nella curriculum di Emmeline Pankhurst vi fu anche l'incendio ad una chiesa e il carcere. Per ben sette volte fu incarcerata, prima di vedere il suo sogno e obiettivo di una vita realizzarsi nel 1918 (anche se il completo diritto di voto a tutte le donne venne promulgato il 2 luglio del 1928, pochi giorni dopo la sua morte).
"Non ci potrà mai essere una pace reale sulla terra finché alla donna, la metà materna della famiglia umana, non sarà data libertà nei consessi del mondo", diceva Emmeline Pankhurst. Queste parole, a distanza di oltre un secolo, e nonostante i tanti progressi, sono ancora troppo attuali. Si, c'è tanto bisogno di donne come Emmeline Pankhurst (e di uomini che le ascoltino).
Come dicevo oggi a mia moglie, l'uomo vive di fatti e non di facezie, e quindi oggi su queste pagine porto qualcosa di concreto. Porto una storia, una storia di vita intensa. Porto la vicenda di una donna che combattendo, credendo in un ideale, ha dato lustro alle donne e alle loro potenzialità. Come fatto tre anni fa con Marie Curie e l'anno scorso con Grace Hopper, anche in questo 8 marzo voglio spendere qualche parola su una donna veramente fuori dal comune, Emmeline Pankhurst.
Lo straordinario coraggio di andare contro (fonte: metro.co.uk) |
Il nome forse non dirà molto, anche considerando che parlo di una figura femminile all'apice esattamente un secolo fa. Eppure è anche per merito di questo personaggio che le donne hanno conquistato parte dei loro (sacrosanti) diritti: Emmeline Pankhurst fu la figura guida del movimento delle suffragette, che nella prima metà del XX secolo si batté per la conquista del diritto di voto alle donne.
La storia di Emmeline Pankhurst è una storia di coraggio, la storia di una donna senza paura, determinata a raggiungere l'obiettivo che si era prefissata da quando aveva sette anni, da quella notte in cui, come scrisse nella sua autobiografia, il padre le sussurrò "che peccato che non è nata maschio". Quello fu un momento chiave per la giovane Emmeline, dal quale si rese presto conto che la donna poteva emergere da un contesto sociale sfavorevole e troppo incentrato sul potere dell'uomo. E doveva farlo contando esclusivamente sulle proprie forze.
La spinta impressa da Emmeline Pankhurst al movimento suffragista in Gran Bretagna fu enorme e decisiva. Ma non fu solo nel campo del diritto al voto che si batté la Pankhurst. Anche il diritto di divorziare e di ereditare le proprietà dal marito furono argomenti per i quali la Pankhurst condusse una dura lotta, fondando la Women's Social and Political Union. Grazie a questo movimento di protesta attiva, il suffragio universale divenne una tematica sempre più importante dell'attività politica britannica. Raduni, sabotaggi, proposte di legge, occupazioni, ribellioni, aggressioni... nella curriculum di Emmeline Pankhurst vi fu anche l'incendio ad una chiesa e il carcere. Per ben sette volte fu incarcerata, prima di vedere il suo sogno e obiettivo di una vita realizzarsi nel 1918 (anche se il completo diritto di voto a tutte le donne venne promulgato il 2 luglio del 1928, pochi giorni dopo la sua morte).
"Non ci potrà mai essere una pace reale sulla terra finché alla donna, la metà materna della famiglia umana, non sarà data libertà nei consessi del mondo", diceva Emmeline Pankhurst. Queste parole, a distanza di oltre un secolo, e nonostante i tanti progressi, sono ancora troppo attuali. Si, c'è tanto bisogno di donne come Emmeline Pankhurst (e di uomini che le ascoltino).
lunedì 6 marzo 2017
Tutte le strade portano a Roma: nessuna corda
Quando la data della maratona si avvicina, quando la distanza tra lo sparo del via si accorcia sempre più, ecco che si allunga la durata e il chilometraggio dei lunghi. Nelle ultime settimane ho superato la quota 30 - laddove l'esperienza di corsa si sposta in un'altra dimensione, dove il fiato conta relativamente e assume un'importanza maggiore la dote di resistenza allo sforzo. Superare la soglia dei trenta chilometri significa stare sulle gambe per oltre due ore, quasi tre, ad una velocità tra i dodici e i tredici chilometri orari.
Negli allenamenti di lunghezza compresa tra i 18 e i 30 chilometri (vedi post) avevo evidenziato come ci fosse ancora qualcosa da recuperare in termini di velocità media, rispetto a quanto registrato durante la preparazione delle ultime due maratone (Firenze 2015 e Berlino 2016): un paio di secondi, questa la mia stima. Il gap, superando i trenta chilometri si è ancora incrementato. Su un'uscita da trenta chilometri, sono passato da un passo di 4'31"-4'32"/km, durante gli ultimi due cicli di allenamento, ad un attuale 4'37"/km. Su un'uscita da quasi trentacinque chilometri il gap è ancora superiore: prima di Berlino correvo in 4'39"/km, ora in 4'47"/km. Dati alla mano, corro più piano. Ma le sensazioni dell'anno scorso con quelle degli ultimi lunghi sono ben diverse. Non ho corso cercando la prestazione pura sul lungo, ma cercando un ritmo tranquillo e costante nella prima metà di corsa, salvo tentare una piccola accelerazione nella seconda metà. Ma senza mai "impiccarsi", senza arrivare negli ultimi chilometri alla ricerca disperata di energie inesistenti da iniettare velocemente nelle gambe, senza alzare la testa verso l'alto come a chiedere al cielo quando sarebbe finita la sofferenza. Percezioni normali al termine di un allenamento per una maratona, che stavolta ho badato ad evitare.
Cosa è cambiato da allora? La gestione del lungo. Le ultime due maratone, per ragioni e in modalità diverse tra loro, mi hanno visto arrivare alla partenza non al top della condizione.
Durante l'ultimo lungo prima di Firenze, mi ero addirittura fatto un po' male - creando tutte le condizioni di stress e ansia nelle ultime due settimane prima della gara. In Piazza Santa Croce feci poi segnare il mio attuale record, ma senza quel black-out improvviso (mai patito prima in tale misura) negli ultimi sei chilometri, probabilmente ora potrei vantare un record assai migliore.
A Berlino invece ci arrivai già stanco: il picco della condizione arrivò un mese prima, proprio durante i lunghi da 27/30 chilometri. Il caldo assurdo che caratterizzò i mesi di agosto e di settembre ci mise del suo, annientando le mie capacità di recupero. Ma in sostanza, la classica preparazione da tre mesi era risultata troppo lunga e troppo dispendiosa. Subito dopo la partenza, necessitai di un paio di chilometri per capire che il personale, nonostante mi trovassi sul tracciato più veloce del mondo, me lo sarei sognato. Le gambe non erano brillanti, probabilmente appesantite da tanti chilometri corsi al massimo. Poi ci fu la caduta dopo pochi chilometri a dare il colpo di grazia alle mie ambizioni, il destino di quella corsa - comunque un indelebile ricordo positivo - era già segnato.
Per la sempre più vicina maratona di Roma, invece, ho badato ad accorciare la preparazione di qualche settimana, quindi ho cercato di dare il massimo negli allenamenti ad alta velocità. Durante i lunghi, invece, l'obiettivo è di arrivare ancora relativamente fresco alla fine, come se potessi ancora permettermi di correre tranquillamente per altri tre/quattro chilometri. E non dover imprecare il giorno dopo perché le gambe sono due cilindri di cemento. Così è stato: la passeggiata pomeridiana con mia moglie nel fine settimana non è più incubo per le mie gambe.
Bis bald!
Stefano
Punto di riferimento di ogni lungo, il ponte tra Schonungen e Gädheim: a 1/2 del percorso quando corro 20 km, a 1/3 del percorso quando ne corro 30... Foto di archivio, 13 settembre 2016 |
Negli allenamenti di lunghezza compresa tra i 18 e i 30 chilometri (vedi post) avevo evidenziato come ci fosse ancora qualcosa da recuperare in termini di velocità media, rispetto a quanto registrato durante la preparazione delle ultime due maratone (Firenze 2015 e Berlino 2016): un paio di secondi, questa la mia stima. Il gap, superando i trenta chilometri si è ancora incrementato. Su un'uscita da trenta chilometri, sono passato da un passo di 4'31"-4'32"/km, durante gli ultimi due cicli di allenamento, ad un attuale 4'37"/km. Su un'uscita da quasi trentacinque chilometri il gap è ancora superiore: prima di Berlino correvo in 4'39"/km, ora in 4'47"/km. Dati alla mano, corro più piano. Ma le sensazioni dell'anno scorso con quelle degli ultimi lunghi sono ben diverse. Non ho corso cercando la prestazione pura sul lungo, ma cercando un ritmo tranquillo e costante nella prima metà di corsa, salvo tentare una piccola accelerazione nella seconda metà. Ma senza mai "impiccarsi", senza arrivare negli ultimi chilometri alla ricerca disperata di energie inesistenti da iniettare velocemente nelle gambe, senza alzare la testa verso l'alto come a chiedere al cielo quando sarebbe finita la sofferenza. Percezioni normali al termine di un allenamento per una maratona, che stavolta ho badato ad evitare.
Qualche dato sui lunghi sotto i 35 chilometri |
Cosa è cambiato da allora? La gestione del lungo. Le ultime due maratone, per ragioni e in modalità diverse tra loro, mi hanno visto arrivare alla partenza non al top della condizione.
Durante l'ultimo lungo prima di Firenze, mi ero addirittura fatto un po' male - creando tutte le condizioni di stress e ansia nelle ultime due settimane prima della gara. In Piazza Santa Croce feci poi segnare il mio attuale record, ma senza quel black-out improvviso (mai patito prima in tale misura) negli ultimi sei chilometri, probabilmente ora potrei vantare un record assai migliore.
A Berlino invece ci arrivai già stanco: il picco della condizione arrivò un mese prima, proprio durante i lunghi da 27/30 chilometri. Il caldo assurdo che caratterizzò i mesi di agosto e di settembre ci mise del suo, annientando le mie capacità di recupero. Ma in sostanza, la classica preparazione da tre mesi era risultata troppo lunga e troppo dispendiosa. Subito dopo la partenza, necessitai di un paio di chilometri per capire che il personale, nonostante mi trovassi sul tracciato più veloce del mondo, me lo sarei sognato. Le gambe non erano brillanti, probabilmente appesantite da tanti chilometri corsi al massimo. Poi ci fu la caduta dopo pochi chilometri a dare il colpo di grazia alle mie ambizioni, il destino di quella corsa - comunque un indelebile ricordo positivo - era già segnato.
Per la sempre più vicina maratona di Roma, invece, ho badato ad accorciare la preparazione di qualche settimana, quindi ho cercato di dare il massimo negli allenamenti ad alta velocità. Durante i lunghi, invece, l'obiettivo è di arrivare ancora relativamente fresco alla fine, come se potessi ancora permettermi di correre tranquillamente per altri tre/quattro chilometri. E non dover imprecare il giorno dopo perché le gambe sono due cilindri di cemento. Così è stato: la passeggiata pomeridiana con mia moglie nel fine settimana non è più incubo per le mie gambe.
Bis bald!
Stefano
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