Enrico Arcelli, Voglio correre
giovedì 30 giugno 2016
Ispirazioni vol.2
"Che esperienza fantastica iniziare a correre! Al principio, ci sono di sicuro molti momenti in cui si avverte soltanto la fatica. Ma, a un certo punto, quasi all'improvviso, il piacere prende il sopravvento. Le gambe sembrano più forti e il corpo più leggero; è come se certe salite diventassero meno ripide e i percorsi che facciamo abitualmente si accorciassero."
mercoledì 29 giugno 2016
La città di Andries
Ciao a tutti!
Il primo, vero, contatto in Sudafrica non è stato a Johannesburg, dove abbiamo messo piede per la prima volta nel territorio sudafricano, bensì a Pretoria, una delle tre capitali del Sudafrica. Pretoria ne è la capitale amministrativa, dunque dove risiede il governo, mentre Città del Capo è quella legislativa e Bloemfontein quella giudiziaria. Proprio da questa città abbiamo iniziato a conoscere, lentamente, la fantastica, ma talvolta contrastata, realtà del Sudafrica.
Pretoria, come anche Johannesburg e Città del Capo, racconta bene come l'occidente sia stato traslato in una realtà che però nasce africana. I viali di Pretoria, molto caratteristici per essere affiancati dalle piante di jacaranda, sono enormi, lunghissimi e sempre rettilinei, un po' come negli Stati Uniti. Ma sui loro bordi si trovano tipici negozi africani, dalle insegne pitturate, e che sembrano più covi di stregoni o di malviventi che vere e proprie botteghe. E sui marciapiedi camminano donne dalle capigliature più estroverse, con le treccine o con le parrucche, spesso intente a trasportare qualcosa sul loro capo. Dove ci sono gli afrikaner, invece, c'è anche il lusso. E il filo spinato, perché la paura nelle metropoli è dura a morire. Non ci sono mezzi pubblici, ma i "taxi collettivi", che permettono rapidi spostamenti nel centro città. Ci sono distributori di benzina che vendono carburante a 12 ZAR al litro (più o meno 70-75 centesimi di euro al litro).
Dal punto di vista storico, Pretoria è una città di importanza essenziale per comprendere il Sudafrica. Più di un personaggio ha legato la sua storia a questa città. Si potrebbe partire da Andries Pretorius, da cui il nome della città di Pretoria: lui fu il grande condottiero della migrazione boera, Die Groot Trek, la marcia che i boeri intrapresero dalle zone intorno a Città del Capo per sfuggire al controllo dei coloni inglesi. Una statua imponente lo ricorda nella Pretorius Square, dove sorge anche il municipio cittadino.
Forse anche perché il suo nome deriva da quello di un famoso afrikaner (oltre ad essere la sede del governo), Pretoria è stata per anni simbolo dell'apartheid da parte della popolazione di colore. Pretoria è chiaramente una città molto meno africana che occidentale. O meglio, è proprio una città afrikaner, perché fondata da boeri e abitata, per decenni, in maggioranza da boeri. Con la fine dell'apartheid, con l'avvento di Mandela al governo, Pretoria ha perso una buona parte del suo spirito afrikaner e sta diventando, come tante altre metropoli sudafricane, una città occidentale dove anche i neri possono vivere felicemente.
Si potrebbe arrivare (ma cosa lo dico a fare) a Nelson Mandela. A Pretoria Nelson Mandela ha visto la morte: il Rivonia Trial, il processo che lo porterà ad una lunga prigionia. Ma vedrà anche la risurrezione: è davanti agli Union Buildings, la sede del governo, che Mandela prenderà l'incarico di guidare il Sudafrica in una nuova era, fatta di pace, collaborazione tra i popoli, nuova prosperità, senza l'apartheid. Anche qui, davanti agli Union Buildings una statua maestosa ricorda il suo amore per il Sudafrica, in un abbraccio universale in grado di portare a sé bianchi e neri, afrikaner e nativi. Nota: trovarsi agli Union Buildings merita di per sé una visita a Pretoria. Per la storia del Sudafrica, per la vicenda di Nelson Mandela, per il panorama su Pretoria (i grattacieli che svettano spiegano molto bene che metropoli avanzata sia), per il capolavoro architettonico di Herbert Baker: gli Union Buildings, nella tipica arenaria rossa che si può vedere in Sudafrica, sono probabilmente il miglior esempio dello stile inglese di fine Ottocento, simbolo della forza dell'impero britannico in Africa.
Ora, al posto di Mandela agli Union Buildings c'è Jacob Zuma, che con le sue vicende processuali, tra corruzione, tangenti e stupri, è un po' considerato il "Berlusconi sudafricano". Anche in Sudafrica non sono sempre perfetti... E a proposito di processi, carceri e grandi personaggi storici, beh, come dimenticare che qui a Pretoria un altro grande statista del Novecento si è fatto un po' di galera. Niente popò di meno che Winston Churchill, ai tempi nei quali fu corrispondente di guerra in Africa. Tutti i migliori, dunque, sono dovuti passare da Pretoria...
Bis bald!
Stefano
Il primo, vero, contatto in Sudafrica non è stato a Johannesburg, dove abbiamo messo piede per la prima volta nel territorio sudafricano, bensì a Pretoria, una delle tre capitali del Sudafrica. Pretoria ne è la capitale amministrativa, dunque dove risiede il governo, mentre Città del Capo è quella legislativa e Bloemfontein quella giudiziaria. Proprio da questa città abbiamo iniziato a conoscere, lentamente, la fantastica, ma talvolta contrastata, realtà del Sudafrica.
Sotto la statua di Mandela |
Pretoria, come anche Johannesburg e Città del Capo, racconta bene come l'occidente sia stato traslato in una realtà che però nasce africana. I viali di Pretoria, molto caratteristici per essere affiancati dalle piante di jacaranda, sono enormi, lunghissimi e sempre rettilinei, un po' come negli Stati Uniti. Ma sui loro bordi si trovano tipici negozi africani, dalle insegne pitturate, e che sembrano più covi di stregoni o di malviventi che vere e proprie botteghe. E sui marciapiedi camminano donne dalle capigliature più estroverse, con le treccine o con le parrucche, spesso intente a trasportare qualcosa sul loro capo. Dove ci sono gli afrikaner, invece, c'è anche il lusso. E il filo spinato, perché la paura nelle metropoli è dura a morire. Non ci sono mezzi pubblici, ma i "taxi collettivi", che permettono rapidi spostamenti nel centro città. Ci sono distributori di benzina che vendono carburante a 12 ZAR al litro (più o meno 70-75 centesimi di euro al litro).
Il monumento a Pretorius |
Dal punto di vista storico, Pretoria è una città di importanza essenziale per comprendere il Sudafrica. Più di un personaggio ha legato la sua storia a questa città. Si potrebbe partire da Andries Pretorius, da cui il nome della città di Pretoria: lui fu il grande condottiero della migrazione boera, Die Groot Trek, la marcia che i boeri intrapresero dalle zone intorno a Città del Capo per sfuggire al controllo dei coloni inglesi. Una statua imponente lo ricorda nella Pretorius Square, dove sorge anche il municipio cittadino.
Forse anche perché il suo nome deriva da quello di un famoso afrikaner (oltre ad essere la sede del governo), Pretoria è stata per anni simbolo dell'apartheid da parte della popolazione di colore. Pretoria è chiaramente una città molto meno africana che occidentale. O meglio, è proprio una città afrikaner, perché fondata da boeri e abitata, per decenni, in maggioranza da boeri. Con la fine dell'apartheid, con l'avvento di Mandela al governo, Pretoria ha perso una buona parte del suo spirito afrikaner e sta diventando, come tante altre metropoli sudafricane, una città occidentale dove anche i neri possono vivere felicemente.
Pretoria vista dagli Union Buildings |
Si potrebbe arrivare (ma cosa lo dico a fare) a Nelson Mandela. A Pretoria Nelson Mandela ha visto la morte: il Rivonia Trial, il processo che lo porterà ad una lunga prigionia. Ma vedrà anche la risurrezione: è davanti agli Union Buildings, la sede del governo, che Mandela prenderà l'incarico di guidare il Sudafrica in una nuova era, fatta di pace, collaborazione tra i popoli, nuova prosperità, senza l'apartheid. Anche qui, davanti agli Union Buildings una statua maestosa ricorda il suo amore per il Sudafrica, in un abbraccio universale in grado di portare a sé bianchi e neri, afrikaner e nativi. Nota: trovarsi agli Union Buildings merita di per sé una visita a Pretoria. Per la storia del Sudafrica, per la vicenda di Nelson Mandela, per il panorama su Pretoria (i grattacieli che svettano spiegano molto bene che metropoli avanzata sia), per il capolavoro architettonico di Herbert Baker: gli Union Buildings, nella tipica arenaria rossa che si può vedere in Sudafrica, sono probabilmente il miglior esempio dello stile inglese di fine Ottocento, simbolo della forza dell'impero britannico in Africa.
L'abbraccio di Mandela al Sudafrica |
Ora, al posto di Mandela agli Union Buildings c'è Jacob Zuma, che con le sue vicende processuali, tra corruzione, tangenti e stupri, è un po' considerato il "Berlusconi sudafricano". Anche in Sudafrica non sono sempre perfetti... E a proposito di processi, carceri e grandi personaggi storici, beh, come dimenticare che qui a Pretoria un altro grande statista del Novecento si è fatto un po' di galera. Niente popò di meno che Winston Churchill, ai tempi nei quali fu corrispondente di guerra in Africa. Tutti i migliori, dunque, sono dovuti passare da Pretoria...
Bis bald!
Stefano
martedì 28 giugno 2016
Lezione di vita
Ciao a tutti!
Nei giorni che ho trascorso in Italia a maggio, prima di sposarmi, conservo tanti bei ricordi. Il giorno del Giro d'Italia, in una Pinerolo tutta vestita di rosa, per esempio, è stato qualcosa di assolutamente incredibile. I bei tempi al seguito del Giro d'Italia, del Tour de France e delle grandi classiche, in compagnia della combriccola di amici più fidati, sono ormai passati e chissà quando ritorneranno con regolarità. Mi accontento però di questo, e delle emozioni che da esso scaturiscono.
DI questo giorno, ricordo con piacere l'incontro con Felice Gimondi. Non gli ho parlato, eh - magari, ma con tutta la gente che c'era... - ma l'ho sentito. Le sue parole di grande vecchio del ciclismo sono musica per le mie orecchie. A Pinerolo presenta il suo libro, Da me in poi, in cui racconta la sua carriera in sella ad una bicicletta, la sua rivalità con Eddy Merckx e riscrive, secondo la sua visione, la storia del ciclismo moderno. Le sue parole aiutano a comprendere un mondo, fuori e dentro la ristretta cerchia del ciclismo - completamente diverso da quello di oggi. Un esempio è l'aneddoto legato ai suoi primi anni di corsa: prima di passare professionista faceva il postino, professione che gli consentiva di restare in allenamento. Quando fu chiamato ad affrontare il suo primo Tour, quello che poi vinse, nel 1965, «mio padre mi diede il permesso e così iniziò l’avventura; mi dissi: provaci e, se va bene, al ritorno dai le dimissioni da postino e fai solo il corridore».
Ma la grande lezione di Felice Gimondi, quella l'ho vista mentre firmava gli autografi. Ad un certo punto si avvicina un ragazzetto (dieci-dodici anni), che gli chiede un autografo sul suo libro. Indossa una maglietta di una squadra dilettantistica; Gimondi la nota e gli chiede: «Fai le corse?». Il ragazzino annuisce. Gimondi continua, con tono severo ma amorevole: «Guarda che per fare il corridore servono due cose: parlare poco e menare duro». Una lezione di vita in diretta, griffata Felice Gimondi, campione del mondo.
Bis bald!
Stefano
Nei giorni che ho trascorso in Italia a maggio, prima di sposarmi, conservo tanti bei ricordi. Il giorno del Giro d'Italia, in una Pinerolo tutta vestita di rosa, per esempio, è stato qualcosa di assolutamente incredibile. I bei tempi al seguito del Giro d'Italia, del Tour de France e delle grandi classiche, in compagnia della combriccola di amici più fidati, sono ormai passati e chissà quando ritorneranno con regolarità. Mi accontento però di questo, e delle emozioni che da esso scaturiscono.
Un Gimondi intento ad autografare libri... |
DI questo giorno, ricordo con piacere l'incontro con Felice Gimondi. Non gli ho parlato, eh - magari, ma con tutta la gente che c'era... - ma l'ho sentito. Le sue parole di grande vecchio del ciclismo sono musica per le mie orecchie. A Pinerolo presenta il suo libro, Da me in poi, in cui racconta la sua carriera in sella ad una bicicletta, la sua rivalità con Eddy Merckx e riscrive, secondo la sua visione, la storia del ciclismo moderno. Le sue parole aiutano a comprendere un mondo, fuori e dentro la ristretta cerchia del ciclismo - completamente diverso da quello di oggi. Un esempio è l'aneddoto legato ai suoi primi anni di corsa: prima di passare professionista faceva il postino, professione che gli consentiva di restare in allenamento. Quando fu chiamato ad affrontare il suo primo Tour, quello che poi vinse, nel 1965, «mio padre mi diede il permesso e così iniziò l’avventura; mi dissi: provaci e, se va bene, al ritorno dai le dimissioni da postino e fai solo il corridore».
...e a raccontare il ciclismo |
Ma la grande lezione di Felice Gimondi, quella l'ho vista mentre firmava gli autografi. Ad un certo punto si avvicina un ragazzetto (dieci-dodici anni), che gli chiede un autografo sul suo libro. Indossa una maglietta di una squadra dilettantistica; Gimondi la nota e gli chiede: «Fai le corse?». Il ragazzino annuisce. Gimondi continua, con tono severo ma amorevole: «Guarda che per fare il corridore servono due cose: parlare poco e menare duro». Una lezione di vita in diretta, griffata Felice Gimondi, campione del mondo.
Bis bald!
Stefano
lunedì 27 giugno 2016
Boulders Beach - I pinguini tra i macigni
Ciao a tutti!
Dici Africa, pensi alla natura. A quella più selvaggia, quella più pericolosa. Leoni, elefanti, giraffe, leopardi, gazzelle, questi sono gli animali che più di altri rappresentano lo stereotipo della fauna africana. Infatti, quando abbiamo scoperto che in Sudafrica potevamo anche vedere dei pinguini – e non in uno zoo – sono rimasto allegramente stupito. Non pensavo ci fossero pinguini in Africa, non credevo possibile che questo animale potesse vivere o sopravvivere in un continente tipicamente caldo. Siamo in Sudafrica, non per caso questa è la "nazione arcobaleno"...
I pinguini di Boulders Beach |
E invece, sorpresa, il pinguino in Africa c'è eccome. Il pinguino, animale che vive solamente nell'emisfero australe, in Africa si è spinto fino sulle coste della Namibia, dove si trova la colonia più settentrionale di tutto il continente. In altri continenti (Sudamerica) è arrivato ancora più a nord, fino alle Isole Galapagos. Ma noi ci troviamo nella zona di Città del Capo, dove si trovano alcune delle colonie più nutrite di pinguino Jackass – detto anche pinguino africano o pinguino del Capo. La migliore location per poter vedere questa specie è la spiaggia di Boulders.
Dietro, il granito |
La storia di questa colonia è particolare. Nel 1999 il versamento di mare di greggio proveniente da una petroliera sconvolge la colonia di pinguini che stazionava a Robben Island (famosa per il carcere in cui fu imprigionato Nelson Mandela). Gli animali vengono salvati, alcuni di essi vengono riportati sull'isola; altri vengono portati a Port Elizabeth, dove si pensa possano proliferare, oltre ad aiutare il turismo locale. Evidentemente Port Elizabeth non è attraente, né per i turisti, né per i pinguini, tant'è che in due settimane emigrano verso ovest e colonizzano nuovamente la penisola del Capo, “invadendo” la spiaggia di Boulders. È curioso che i pinguini abbiano scelto questa spiaggia, normalmente affollata da bagnanti e turisti, dei quali non si curano assolutamente.
La colonia di Boulders |
E infatti per vederli non servono binocoli, per fotografarli teleobiettivi o chissà quali strumentazioni sofisticate. Basta arrivare a Boulders, frazione di Simon's Town che si affaccia sulla False Bay, così chiamata per i caratteristici macigni di granito in riva al mare (boulder significa masso), e raggiungere dunque l'omonima spiaggia dove stazionano i simpatici pinguini. Una passeggiata sulla spiaggia – bellissima, sembra di essere alle Seychelles – tra rocce, sabbia chiarissima e qualche blindatissima villa extralusso, conduce alla piccola baia dove si apre un vero e proprio spettacolo della natura. Sono quasi tremila i pinguini di Boulders, e li si può ammirare in tutte i loro gesti quotidiani: correre (ma come sono goffi!), cercare il cibo, riposare, fare il bagno, covare le uova, fare attenzione alle foche (dei quali pinguini sono ghiotte)... Sono meravigliosi, nella loro simpatica bizzarria, verrebbe voglia di abbracciarli!
Covando, covando... |
Se si viene in Sudafrica, se si va a Citta del Capo e ancor più se si vuole raggiungere il Capo di Buona Speranza, non ci possono essere deroghe. Una gita a Boulders Beach è obbligatoria: non ci si può permettere di attraversare l'Equatore ogni giorno per ammirare tutta questa meraviglia della natura!
Ehi, tu!?! |
Bis bald!
Stefano
domenica 26 giugno 2016
Venti per cento
Il Giro d'Italia a Pinerolo: non di certo una novità. Con questa città, le due ruote hanno un rapporto più che speciale, che va dalla più grande affermazione in solitaria che il ciclismo ricordi, ossia l'impresa di Fausto Coppi nel 1949 fino all'arrivo di tappa del Tour de France nel 2011. A Pinerolo il Giro non lascia mai tracce banali, perché da buona porta verso le montagne, si presta a finali di tappa altamente spettacolari.
La prima ed unica volta in cui mi sono trovato a Pinerolo per una corsa ciclistica era in occasione dell'arrivo di tappa del Giro d'Italia, nel 2009. In quella frazione, l'arrivo era preceduto dall'ascesa a Pramartino (versante val Chisone) e a San Maurizio (arrivando dalla Val Lemina), e vinse Danilo Di Luca. 2016: le salite sono le stesse, ma Pramartino si attacca dalla Val Lemina e a San Maurizio ci si arriva dal centro, iniziando l'ascesa da Via Principi d'Acaja. Quella rampa la conosco benissimo, e immagino che da affrontarla in bici, soprattutto dopo oltre due settimane di corsa e oltre duecento chilometri nelle gambe, sia micidiale. Più che una salita, è un muro, come quelli delle Fiandre. Le pendenze, quando la strada si restringe, vanno a toccare il 20%. Nell'unico giorno a mia disposizione per venire a vedere il Giro d'Italia, so bene che Via Principi d'Acaja è la miglior posizione per ammirare lo spettacolo della corsa rosa.
È il 26 maggio 2016 e il Giro d'Italia affronta la giornata più lunga, quella dei 240 chilometri della tappa Muggiò-Pinerolo. Io... nel giro di due giorni mi sposo, ma chissenefrega, il Giro passa ad una manciata di chilometri da casa e per ovvi motivi sono in Italia. Non voglio rinunciare. Mi fiondo a Pinerolo con lauto anticipo, per godermi una città tutta rosa - si, tutta rosa! (vedi post) - per tornare a gioire dell'ebbrezza di una corsa ciclistica e di tutto ciò ad essa collegata: maglie rosa ovunque, tifosi scatenati, facce festanti, una bella mostra sul legame tra Pinerolo e il ciclismo...
E il grande attendere dei ciclisti, delle smorfie di fatica sui volti dei corridori, della gente assiepata ovunque, degli incitamenti a squarciagola del pubblico, i bambini che seguono attoniti pedalate legnose, la grande massa di schiene che si inarcano con sofferenza su una salita, una salita in cui ogni 100 metri si sale di venti in altitudine. Questo è lo spettacolo del ciclismo, questa è la magia del Giro d'Italia!
Bis bald!
Stefano
La (allora) maglia rosa Steven Kruijswijk a guidare il suo gruppo all'inizio del muro verso San Maurizio |
La prima ed unica volta in cui mi sono trovato a Pinerolo per una corsa ciclistica era in occasione dell'arrivo di tappa del Giro d'Italia, nel 2009. In quella frazione, l'arrivo era preceduto dall'ascesa a Pramartino (versante val Chisone) e a San Maurizio (arrivando dalla Val Lemina), e vinse Danilo Di Luca. 2016: le salite sono le stesse, ma Pramartino si attacca dalla Val Lemina e a San Maurizio ci si arriva dal centro, iniziando l'ascesa da Via Principi d'Acaja. Quella rampa la conosco benissimo, e immagino che da affrontarla in bici, soprattutto dopo oltre due settimane di corsa e oltre duecento chilometri nelle gambe, sia micidiale. Più che una salita, è un muro, come quelli delle Fiandre. Le pendenze, quando la strada si restringe, vanno a toccare il 20%. Nell'unico giorno a mia disposizione per venire a vedere il Giro d'Italia, so bene che Via Principi d'Acaja è la miglior posizione per ammirare lo spettacolo della corsa rosa.
L'arrivo del Giro 2016 a Pinerolo |
È il 26 maggio 2016 e il Giro d'Italia affronta la giornata più lunga, quella dei 240 chilometri della tappa Muggiò-Pinerolo. Io... nel giro di due giorni mi sposo, ma chissenefrega, il Giro passa ad una manciata di chilometri da casa e per ovvi motivi sono in Italia. Non voglio rinunciare. Mi fiondo a Pinerolo con lauto anticipo, per godermi una città tutta rosa - si, tutta rosa! (vedi post) - per tornare a gioire dell'ebbrezza di una corsa ciclistica e di tutto ciò ad essa collegata: maglie rosa ovunque, tifosi scatenati, facce festanti, una bella mostra sul legame tra Pinerolo e il ciclismo...
Tutti pazzi per il giapponese |
E il grande attendere dei ciclisti, delle smorfie di fatica sui volti dei corridori, della gente assiepata ovunque, degli incitamenti a squarciagola del pubblico, i bambini che seguono attoniti pedalate legnose, la grande massa di schiene che si inarcano con sofferenza su una salita, una salita in cui ogni 100 metri si sale di venti in altitudine. Questo è lo spettacolo del ciclismo, questa è la magia del Giro d'Italia!
Un tifoso improbabile |
Il gruppo all'attacco della salita... |
...e un po' più dietro, Vincenzo Nibali |
Quella schiena che si inarca |
La fuga beffata |
Le facce della fatica |
Una marea di caschetti |
Bis bald!
Stefano
sabato 25 giugno 2016
Tappa in Svizzera: Lugano, la passeggiata dei due monti
Ciao a tutti!
Avendo la fortuna di trovare una giornata di sole brillante e di cielo limpido durante uno dei miei viaggi "spola Italia-Germania", un'ottima meta per una sosta è Lugano. Non mettevo piede da diversi anni (probabilmente non ero neanche maggiorenne) nella più frequentata città del Canton Ticino, e l'occasione era troppo invitante. Perché a differenza di tante altre città - che si possono visitare con piacere anche quando piove, ma come tutte le città che si affacciano su un lago. Lugano va vista ed ammirata in una giornata di sole.
Avendo la fortuna di trovare una giornata di sole brillante e di cielo limpido durante uno dei miei viaggi "spola Italia-Germania", un'ottima meta per una sosta è Lugano. Non mettevo piede da diversi anni (probabilmente non ero neanche maggiorenne) nella più frequentata città del Canton Ticino, e l'occasione era troppo invitante. Perché a differenza di tante altre città - che si possono visitare con piacere anche quando piove, ma come tutte le città che si affacciano su un lago. Lugano va vista ed ammirata in una giornata di sole.
Ammirata, si. Perché il lungolago di Lugano è sicuramente speciale. Lungo l'intera "baia" su cui giace Lugano, da nord a sud, dal parco Ciani fino alla riva Paradiso, passando per Riva Albertolli, Riva Vela e per Riva Caccia, la visuale sul lago è unica. Due monti proteggono lo specchio d'acqua, il Monte San Salvatore a sud il Monte Bré a nord. Questi due monti sono come due mastii per la città di Lugano, due punti di riferimento imprescindibili, due caratteristiche peculiari nel panorama che si incontra percorrendo l'elegante passeggiata.
Monte San Salvatore, a picco sul Ceresio |
Ma percorrere il lungolago di Lugano non è solo affacciarsi sul Monte Bré o sul Monte San Salvatore, bensì abbracciare con lo sguardo anche Campione d'Italia, camminando verso sud; oppure Lugano stessa, buona parte della valle del fiume Vedeggio e una bella fetta del lago, laddove si insinua oltre il confine italo-svizzero. Il lungolago di Lugano, dunque, è un'esperienza visiva a 360°.
Sul lungolago di Lugano è facile imbattersi anche in scorci di singolare e preziosa eleganza, come il Parco Ciani. Più che un parco, o un giardino, è un monumento storico: i fratelli Giacomo e Filippo Ciani ebbero modo di ospitare qui i più importanti esponenti del Risorgimento. Questo leggiadro angolo di charme, tra romantici balconi sul lago, costruzioni gentili e tanto verde, è l'immagine di un'eleganza sempre più rara da trovare in giro per il mondo - se non forse in città lacustri come Lugano. Passeggiare nel parco, inoltre, rende l'idea di ciò che è Lugano oggi, una città tanto meravigliosa quanto importante nel sistema bancario svizzero: dopo Zurigo, i destini finanziari della Svizzera passano di qui. E lo si capisce in fretta, basta osservare i business-men qua e là, o il poliglottismo che spazia da una lingua all'altra.
Capisco i gitanti lombardi che nel fine settimana scappano dal grigiore della pianura e scelgono Lugano come meta. Significa rifugiarsi in un'oasi, talvolta caotica, ma di grande fascino. Quasi un paradiso, come suggerisce l'iconico cartello dell'omonima fermata del traghetto, in Riva Paradiso. Passeggiando su Riva Albertolli, ho talvolta l'impressione di essere tornato indietro nel tempo, quando l'eleganza era una costante e non un optional.
Nel prestigio di Lugano, c'è anche un po' di tecnologia. Un esempio lampante sono le passerelle sul lago, perfettamente visibili dalla riva, le cosiddette peschiere fluttuanti. Che non servono solo ad ormeggiare le barche ma hanno una funzione importante per il ripopolamento ittico del lago. Alcune specie ittiche vengono allevate qui, al fine di ripopolare la fauna del lago: i giovani esemplari vengono "rinforzati" tramite l'assunzione di zooplancton lacustre (non mangime!), il quale viene attirato verso le gabbie da specifiche lampade. L'effetto è quello di crescere pesci più forti e più robusti, in grado di avere più chances di sopravvivere nel lago, e in maniera del tutto naturale: geniale!
Ma al di là di tutto, Lugano rimane una piacevole meta dove venire a rifugiarsi per trascorrere qualche ora serena. A contatto con la natura rimanendo nella città. A Lugano tornerò presto, me lo sento. Qui ho lasciato, momentaneamente, una città da visitare, e due monti sui quali salire.
Bis bald!
Stefano
Lugano e il Monte San Salvatore |
Nel prestigio di Lugano, c'è anche un po' di tecnologia. Un esempio lampante sono le passerelle sul lago, perfettamente visibili dalla riva, le cosiddette peschiere fluttuanti. Che non servono solo ad ormeggiare le barche ma hanno una funzione importante per il ripopolamento ittico del lago. Alcune specie ittiche vengono allevate qui, al fine di ripopolare la fauna del lago: i giovani esemplari vengono "rinforzati" tramite l'assunzione di zooplancton lacustre (non mangime!), il quale viene attirato verso le gabbie da specifiche lampade. L'effetto è quello di crescere pesci più forti e più robusti, in grado di avere più chances di sopravvivere nel lago, e in maniera del tutto naturale: geniale!
Il relax della sera |
Ma al di là di tutto, Lugano rimane una piacevole meta dove venire a rifugiarsi per trascorrere qualche ora serena. A contatto con la natura rimanendo nella città. A Lugano tornerò presto, me lo sento. Qui ho lasciato, momentaneamente, una città da visitare, e due monti sui quali salire.
Bis bald!
Stefano
venerdì 24 giugno 2016
Case e vino
Ciao a tutti!
Parlando di vini, e provenendo io stesso da una terra (il Piemonte) che eccelle nella produzione vinicola, ho sempre sorriso un poco quando si parlava di vini di ottima qualità provenienti dall'emisfero australe: Sudafrica, Australia, Cile. Questo perché sono orgoglioso del buon vino piemontese, così come lo sono di quello italiano in generale - senza dimenticare che in diverse parti dell'Europa si produce veramente del gran vino. Ma dopo essere stato in Sudafrica, e per la precisione a Stellenbosch, beh, devo ammettere che i miei ghigni ironici nei confronti di vini prodotti in terre ben lontane dal Vecchio Continente erano ingiusti. Perché è vero, in Sudafrica si produce dell'ottimo vino. È una delle grandi sorprese di questo viaggio, la realtà vitivinicola sudafricana: ci ha letteralmente conquistato, al punto tale da voler acquistare qualche bottiglia in loco e addirittura farci spedire una cassa di un buon vino bianco.
Le condizioni climatiche del Sudafrica, con inverni piovosi e estati calde, sono ideali per produrre ottimi vini. Così come lo è il suolo del Western Cape, la regione sudoccidentale del Sudafrica dove località come Constantia, Stellenbosch, Franschhoek e Paarl, brillano per l'eccellenza dei vini ivi prodotti. La tradizione, invece, è tutta europea. La storia del vino sudafricano comincia nel 1659 con i primi coloni olandesi, ma prosegue con vigore a partire dal 1688 grazie agli ugonotti francesi, che importano i loro vitigni sul terreno sudafricano. La quasi totalità dei vitigni con i quali si produce il vino in Sudafrica è infatti di origine francese (Chardonnay, Sauvignon Blanc, Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot Noir), al quale fa eccezione il Pinotage, un incrocio tra due varietà di vite scura che è sostanzialmente autoctono.
Il settore conosce un periodo di forte crisi verso la fine del XIX a causa di una malattia delle viti e successivamente e delle cruente guerre anglo-boere, salvo poi ripartire e conoscere una crescita finora inarrestabile, costante anche durante i momenti più bui dell'apartheid.
Parlando di vini, e provenendo io stesso da una terra (il Piemonte) che eccelle nella produzione vinicola, ho sempre sorriso un poco quando si parlava di vini di ottima qualità provenienti dall'emisfero australe: Sudafrica, Australia, Cile. Questo perché sono orgoglioso del buon vino piemontese, così come lo sono di quello italiano in generale - senza dimenticare che in diverse parti dell'Europa si produce veramente del gran vino. Ma dopo essere stato in Sudafrica, e per la precisione a Stellenbosch, beh, devo ammettere che i miei ghigni ironici nei confronti di vini prodotti in terre ben lontane dal Vecchio Continente erano ingiusti. Perché è vero, in Sudafrica si produce dell'ottimo vino. È una delle grandi sorprese di questo viaggio, la realtà vitivinicola sudafricana: ci ha letteralmente conquistato, al punto tale da voler acquistare qualche bottiglia in loco e addirittura farci spedire una cassa di un buon vino bianco.
Degustando |
Le condizioni climatiche del Sudafrica, con inverni piovosi e estati calde, sono ideali per produrre ottimi vini. Così come lo è il suolo del Western Cape, la regione sudoccidentale del Sudafrica dove località come Constantia, Stellenbosch, Franschhoek e Paarl, brillano per l'eccellenza dei vini ivi prodotti. La tradizione, invece, è tutta europea. La storia del vino sudafricano comincia nel 1659 con i primi coloni olandesi, ma prosegue con vigore a partire dal 1688 grazie agli ugonotti francesi, che importano i loro vitigni sul terreno sudafricano. La quasi totalità dei vitigni con i quali si produce il vino in Sudafrica è infatti di origine francese (Chardonnay, Sauvignon Blanc, Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot Noir), al quale fa eccezione il Pinotage, un incrocio tra due varietà di vite scura che è sostanzialmente autoctono.
Il settore conosce un periodo di forte crisi verso la fine del XIX a causa di una malattia delle viti e successivamente e delle cruente guerre anglo-boere, salvo poi ripartire e conoscere una crescita finora inarrestabile, costante anche durante i momenti più bui dell'apartheid.
I vigneti di Stellenbosch (fonte: puritanboard.com) |
A testimonianza di quest'ultima affermazione, basti pensare che una grande svolta nella produzione di vino si ebbe nel 1980, nel bel mezzo del periodo dell'apartheid. E il merito è di un italiano proveniente dal Friuli, Giorgio Dalla Cia, il quale rivoluziona il mercato abbandonando la produzione monovitigno e elaborando un taglio bordolese al proprio vino. Dalla Cia più che un nome è un brand in Sudafrica, non solamente legato al vino, ma anche alle grappe, ai distillati e recentemente anche alla ristorazione. Grazie a questa storia imprenditoriale di successo, la vicenda di Dalla Cia è probabilmente in Sudafrica il miglior esempio di cervello italiano in fuga...
Ovviamente non ci siamo fatti mancare una degustazione di vini presso una delle più rinomate estates (le tenute vinicole) di Stellenbosch, la Neethlingshof, situata nel bel mezzo delle Winelands e con le montagne del Drakenstein sullo sfondo. La storia di questa tenuta, costruita nel tipico stile olandese del Capo e di un'eleganza invidiabile anche per molti poderi europei, risale addirittura al 1705.
Non solo la tenuta, meravigliosa, ci ha conquistati fin da subito. Anche la degustazione, che ha incluso vini bianchi e rossi prodotti a partire da diversi vitigni, ci ha rapiti. Risultato: un paio di bottiglie di rosso in valigia e una cassa di bianco spedita in Germania.
Uno scorcio dalla Neethlingshof Estate |
Ovviamente non ci siamo fatti mancare una degustazione di vini presso una delle più rinomate estates (le tenute vinicole) di Stellenbosch, la Neethlingshof, situata nel bel mezzo delle Winelands e con le montagne del Drakenstein sullo sfondo. La storia di questa tenuta, costruita nel tipico stile olandese del Capo e di un'eleganza invidiabile anche per molti poderi europei, risale addirittura al 1705.
Non solo la tenuta, meravigliosa, ci ha conquistati fin da subito. Anche la degustazione, che ha incluso vini bianchi e rossi prodotti a partire da diversi vitigni, ci ha rapiti. Risultato: un paio di bottiglie di rosso in valigia e una cassa di bianco spedita in Germania.
Il bottino da Stellenbosch |
Una piccola delusione è invece la città di Stellenbosch. È il centro principale della produzione vincola sudafricana, nonchè la seconda città più antica del Sudafrica, dopo Città del Capo. È nota anche per la sua università (nella quale sono stati elaborati i vitigni sudafricani), la più longeva del Sudafrica. L'Università di Stellenbosch detiene una curiosità: i corsi vengono tenuti in lingua afrikaans e per accedervi l'afrikaans deve essere stato materia di esame all'equivalente della maturità italiana. Motivi per i quali questo ateneo è a maggioranza bianca. L'afrikaans, una sorta di olandese antico, oltre ad essere complicato per un africano, era considerata la lingua degli oppressori bianchi durante l'apartheid e quindi non è vista di buon occhio dai neri.
L'università di Stellenbosch, essendo centro universitario, è rinomata per essere una cittadina vitale, attraente non solo per gli studenti ma anche per i capetoniani. Ad essere sincero, nel tempo trascorso a Stellenbosch ho ritrovato poca di questa vitalità. Qualche edificio carino, in stile vittoriano, e lunghi viali di querce. Nulla più. Molto meglio, decisamente meglio, tutto ciò che è legato al vino, la miglior motivazione per recarsi a Stellenbosch.
Bis bald!
Stefano
L'università di Stellenbosch, essendo centro universitario, è rinomata per essere una cittadina vitale, attraente non solo per gli studenti ma anche per i capetoniani. Ad essere sincero, nel tempo trascorso a Stellenbosch ho ritrovato poca di questa vitalità. Qualche edificio carino, in stile vittoriano, e lunghi viali di querce. Nulla più. Molto meglio, decisamente meglio, tutto ciò che è legato al vino, la miglior motivazione per recarsi a Stellenbosch.
Bis bald!
Stefano
giovedì 23 giugno 2016
23 giugno 1962 - Il muro di ghiaccio
"Col passare degli anni, più aumenta la mia conoscenza di montagne ghiacciate, più mi convinco che la Nord del grande Pilier rappresenta la concentrazione delle maggiori difficoltà che si possono incontrare in alta montagna. È senz'altro la parete di misto. roccia-ghiaccio più tetra, selvaggia e pericolosa che abbia mai osservato sulle Alpi. Fasce di rocce lisce e spesso strapiombanti, completamente incrostate di gelo o di neve instabile si alternano a pendii di ghiaccio ertissimi, sui quali si frantumano enormi seracchi e cornici sempre incombenti. Un migliaio di metri di questo inferno in un imbuto gigantesco, cupo e freddo di luci filtrate, creato dalla natura severa, che dà una continua angoscia. Su questa parete le condizioni atmosferiche giocano forse il ruolo più importante. Se si è colti dalla bufera o dal disgelo dopo il primo terzo di scalata. non si può più tornare indietro: o si prosegue rapidamente verso l'alto, soluzione estremamente problematica, o rimanendo in balia degli elementi - siamo intorno ai quattromila metri - si è quasi certi di finite vittime del gelo o delle valanghe. È indubbiamente l'ultima e più aspra difesa che la vetta del Monte Bianco oppone ai suoi
esploratori. Questo io lo so benissimo. Eppure, per quell'impulso misterioso che ha sempre spinto l'uomo verso l'ignoto, provo un irresistibile desiderio di cimentarmi lassù."
Tutte le grandi imprese sono composte da tante, piccole o grandi, ma tutte certamente dure, tappe. Anche la nord del Grand Pilier d'Angle non è da meno. Anzi, si rivelerà un percorso ad ostacoli, uno più impervio dell'altro. A cominciare dal superamento della crepaccia alla base della parete, ostacolo vinto calandosi direttamente dentro la crepaccia, in una lotta di due ore contro il ghiaccio. Bonatti e Zappelli possono iniziare dunque l'attacco alla parete. Con il cuore in gola: il primo ostacolo è il canalone dove scendono le slavine dalla Poire. Bonatti sa perfettamente cosa è una slavina sul Bianco e quale sia la sua violenza. Bisogna muoversi in fretta, ma gradinare il ghiaccio è operazione lenta, laboriosa, che sembra durare secoli.
Quando inizia ad albeggiare i due si trovano nel bel mezzo della parete del Gran Pilier d'Angle, su quelle che lo stesso Bonatti ha definito le Rocce sinuose, dalle quali la via sembra addirittura scomparire nello strapiombo che abbraccia la parete. Intanto, a breve distanza, scende una frana. Il momento è terrificante, una scarica dal salto di circa un chilometro si schianta alla base della parete, laddove era iniziata l'ascesa. La tensione nei due alpinisti è chiara, ma ora è molto più sicuro continuare la salita che azzardare una discesa.
Cinque ore per salire di 120 metri, lungo una fascia obliqua di rocce, piena di vetrato dove è impossibile conficcare un chiodo, dove i ramponi sono l'unica sicurezza. Il percorso ad ostacoli continua con una tremenda cascata di ghiaccio di quaranta metri di altezza, di puro ghiaccio, senza fessure, valicata quasi trattenendo il respiro. Proprio Bonatti, a proposito di questo tratto, si esprimette così: "tra i più angoscianti che io ricordi".
Il tempo di una breve pausa, per rifocillarsi e per festeggiare il compleanno di Walter (il 22 giugno), ed è ora di riprendere la scalata. Altro impervio ostacolo, un colatoio, lungo ottanta metri (due tiri di corda) che sembra voler adunare a sé tutte le lastre ghiacciate che precipitano dal massiccio. Una di queste colpisce anche Zappelli, senza provocare problemi, fortunatamente. Non c'è il tempo di riprendersi dallo spavento che tutta la montagna inizia a tremare improvvisamente. Sembra un terremoto ma altro non è se non un enorme seracco di ghiaccio che sotterra di neve tutta la parete. Le Rocce sinuose, superate poche ore prima da Bonatti e Zappelli, sono completamente bianche. Sarà l'ultimo brivido di una salita memorabile. Questa è una scalata per cuori forti, e lo è fino alla fine.
Alle 18.05 la parete nord del Gran Pilier d'Angle è vinta. L'ennesima impresa di Bonatti, con il fido Zappelli, è compiuta. Ma i due si vogliono togliere l'ultima soddisfazione. Aspettano la notte per percorrere la cresta di Peuterey e uscire dunque in vetta - peraltro la via di discesa più sicura. Perché la neve è dura, più facile da risalire. Perché trovarsi sul Monte Bianco, sul tetto d'Europa, quando in Italia il primo sole rischiara le Alpi, mentre in Francia la notte è ancora fonda, è... uno spettacolo senza eguali. Come l'ennesima prova di classe cristallina dimostrata da Bonatti sul Grand Pilier d'Angle.
esploratori. Questo io lo so benissimo. Eppure, per quell'impulso misterioso che ha sempre spinto l'uomo verso l'ignoto, provo un irresistibile desiderio di cimentarmi lassù."
Walter Bonatti, I giorni grandi
Il Grand Pilier d'Angle sulla sinistra, e tutta la linea della cresta di Peuterey (fonte: piergiorgiolotito.blogspot.com) |
Il Grand Pilier d'Angle è un immensa spalla del Monte Bianco nel suo versante italiano. La sommità di questo pilone supera i 4200 metri di altezza e proprio sulla sua cima la cresta cambia orientamento (dalla direzione nord/sud alla direzione ovest/est), formando proprio quell'Angle che gliene dà il nome. Il Pilier d'Angle si raggiunge ogni qualvolta si tenti l'ascensione del Bianco seguendo la cresta di Peuterey. Ma le sue pareti sono tra le più micidiali di tutto il massiccio. Centinaia di metri di parete mista roccia e ghiaccio, strapiombanti, con colatoi che sono scivoli per le slavine del Monte Bianco. E con un terribile ghiacciaio sommitale, la "Poire", che scarica continuamente lastre di ghiaccio. Un ambiente terribile, soprattutto quello della parete nord: oltre un chilometro di verticalità che negli anni Sessanta, prima dell'avvento della piolet-traction, rappresentava un concentrato di difficoltà come pochi nelle Alpi. Ardua da affrontare in qualsiasi condizione, indipendentemente dalla quantità di neve che vi sia depositata.
È più che legittimo pensare che Bonatti fosse decisamente interessato a violare quella parete, attratto dalla sua "verginità" e dalle ardimentose difficoltà a cui gli scalatori sarebbero stati sottoposti. Già nel settembre del 1961 Bonatti, assieme al nuovo fedele compagno di cordata Cosimo Zappelli, si affaccia sul ghiacciaio della Brenva con l'intento di tentare l'ascensione alla nord del Pilier d'Angle. Ma qui succede qualcosa che apparentemente non ha a che fare con la tempra di Bonatti. Al cospetto di quella parete di ghiaccio, il suo istinto gli suggerisce di rinunciare. «Io l'anima su quella parete non ce la voglio lasciare», questo il pensiero di Bonatti in quella notte di settembre. Che si senta condizionato dalla recente tragedia sul Pilone centrale del Frêney? Il tentativo è soltanto rinviato, bisognerà aspettare l'anno successivo.
Il 19 giugno Bonatti e Zappelli si ripresentano, pronti per tentare l'assalto, ma c'è aria di bufera e rinviano la partenza di altri due giorni: la notte del 21 giugno è quella giusta per partire.
Il 19 giugno Bonatti e Zappelli si ripresentano, pronti per tentare l'assalto, ma c'è aria di bufera e rinviano la partenza di altri due giorni: la notte del 21 giugno è quella giusta per partire.
Il Monte Bianco; la freccia a destra mostra il punto di partenza della via Bonatti-Zappelli al Grand Pilier d'Angle. Foto di archivio, 30 dicembre 2015. |
Tutte le grandi imprese sono composte da tante, piccole o grandi, ma tutte certamente dure, tappe. Anche la nord del Grand Pilier d'Angle non è da meno. Anzi, si rivelerà un percorso ad ostacoli, uno più impervio dell'altro. A cominciare dal superamento della crepaccia alla base della parete, ostacolo vinto calandosi direttamente dentro la crepaccia, in una lotta di due ore contro il ghiaccio. Bonatti e Zappelli possono iniziare dunque l'attacco alla parete. Con il cuore in gola: il primo ostacolo è il canalone dove scendono le slavine dalla Poire. Bonatti sa perfettamente cosa è una slavina sul Bianco e quale sia la sua violenza. Bisogna muoversi in fretta, ma gradinare il ghiaccio è operazione lenta, laboriosa, che sembra durare secoli.
Le principali vie al Grand Pilier d'Angle; quella rossa è la via Bonatti-Zappelli alla parete nord (fonte: guidebormio.com) |
Quando inizia ad albeggiare i due si trovano nel bel mezzo della parete del Gran Pilier d'Angle, su quelle che lo stesso Bonatti ha definito le Rocce sinuose, dalle quali la via sembra addirittura scomparire nello strapiombo che abbraccia la parete. Intanto, a breve distanza, scende una frana. Il momento è terrificante, una scarica dal salto di circa un chilometro si schianta alla base della parete, laddove era iniziata l'ascesa. La tensione nei due alpinisti è chiara, ma ora è molto più sicuro continuare la salita che azzardare una discesa.
Cinque ore per salire di 120 metri, lungo una fascia obliqua di rocce, piena di vetrato dove è impossibile conficcare un chiodo, dove i ramponi sono l'unica sicurezza. Il percorso ad ostacoli continua con una tremenda cascata di ghiaccio di quaranta metri di altezza, di puro ghiaccio, senza fessure, valicata quasi trattenendo il respiro. Proprio Bonatti, a proposito di questo tratto, si esprimette così: "tra i più angoscianti che io ricordi".
Dalla Stampa Sera del 26 giugno 1962 |
Il tempo di una breve pausa, per rifocillarsi e per festeggiare il compleanno di Walter (il 22 giugno), ed è ora di riprendere la scalata. Altro impervio ostacolo, un colatoio, lungo ottanta metri (due tiri di corda) che sembra voler adunare a sé tutte le lastre ghiacciate che precipitano dal massiccio. Una di queste colpisce anche Zappelli, senza provocare problemi, fortunatamente. Non c'è il tempo di riprendersi dallo spavento che tutta la montagna inizia a tremare improvvisamente. Sembra un terremoto ma altro non è se non un enorme seracco di ghiaccio che sotterra di neve tutta la parete. Le Rocce sinuose, superate poche ore prima da Bonatti e Zappelli, sono completamente bianche. Sarà l'ultimo brivido di una salita memorabile. Questa è una scalata per cuori forti, e lo è fino alla fine.
Il misto di roccia e ghiaccio del Grand Pilier d'Angle (© Antonio Giani) |
Alle 18.05 la parete nord del Gran Pilier d'Angle è vinta. L'ennesima impresa di Bonatti, con il fido Zappelli, è compiuta. Ma i due si vogliono togliere l'ultima soddisfazione. Aspettano la notte per percorrere la cresta di Peuterey e uscire dunque in vetta - peraltro la via di discesa più sicura. Perché la neve è dura, più facile da risalire. Perché trovarsi sul Monte Bianco, sul tetto d'Europa, quando in Italia il primo sole rischiara le Alpi, mentre in Francia la notte è ancora fonda, è... uno spettacolo senza eguali. Come l'ennesima prova di classe cristallina dimostrata da Bonatti sul Grand Pilier d'Angle.
mercoledì 22 giugno 2016
Paninen
Ciao a tutti!
Non sono mai stato un amante dei discount quando vivevo in Italia, lo sono ancora meno ora che vivo in Germania. Tuttavia, devo ammettere che se non fosse stato per uno di questi, il Lidl - assai noto anche in Italia, nonostante sia in realtà un'azienda tedesca - non avrei mai scoperto qualcosa che non avrei potuto neanche lontanamente immaginare.
Chi da piccolo, in maniera più o meno diretta, non ha mai avuto a che fare con le figurine dei calciatori? Non so ora, in questa epoca di social network e di videogiochi, ma quando ero bambino (assieme a tanti altri coetanei) andavo pazzo per la collezione Panini delle figurine dei calciatori. Da qualche parte dovrei ancora avere la collezione della stagione 1995/96 - e che annata, quella!
Una sera Giulia ritorna a casa con una borsa di spesa fatta al Lidl e... una bustina di figurine Panini!!! "Me l'hanno data assieme alla spesa", mi dice Giulia. Come una raccolta punti, vieni incentivato a fare la spesa con la scusa... delle figurine!
Non sono mai stato un amante dei discount quando vivevo in Italia, lo sono ancora meno ora che vivo in Germania. Tuttavia, devo ammettere che se non fosse stato per uno di questi, il Lidl - assai noto anche in Italia, nonostante sia in realtà un'azienda tedesca - non avrei mai scoperto qualcosa che non avrei potuto neanche lontanamente immaginare.
Chi da piccolo, in maniera più o meno diretta, non ha mai avuto a che fare con le figurine dei calciatori? Non so ora, in questa epoca di social network e di videogiochi, ma quando ero bambino (assieme a tanti altri coetanei) andavo pazzo per la collezione Panini delle figurine dei calciatori. Da qualche parte dovrei ancora avere la collezione della stagione 1995/96 - e che annata, quella!
Una sera Giulia ritorna a casa con una borsa di spesa fatta al Lidl e... una bustina di figurine Panini!!! "Me l'hanno data assieme alla spesa", mi dice Giulia. Come una raccolta punti, vieni incentivato a fare la spesa con la scusa... delle figurine!
La bustina incriminata |
Era maggio e ovviamente la raccolta in questione era quella delle figurine dei calciatori chiamati a confrontarsi durante i Campionati Europei di calcio che si stanno attualmente svolgendo in Francia. Io ero veramente sorpreso: non immaginavo che la Panini vendesse i suoi prodotti anche in Germania, o comunque fuori dai confini. Ho sempre pensato che l'azienda fosse molto legata all'Italia, e i suoi prodotti, una peculiarità di noi italiani, popolo di allenatori mancati. Invece scopro, con piacere ed orgoglio italico, che la Panini commercializza le sue figurine su suolo tedesco dal 1974, anno dei Mondiali disputatisi nell'allora Germania Ovest. E non solo, l'attività è continuata, per il trentennio (!!!) dal 1979 al 2009 anche a livello nazionale, con la produzione degli album e delle figurine della Bundesliga. Ora la produzione è più legata al mondo comics ma la Germania è un importante mercato per questa storica azienda modenese.
E così, per un paio di minuti, sono tornato il bambino di vent'anni fa, che maneggiava con ingordigia le bustine, con curiosità le apriva alla ricerca del calciatore mancante, o del doppione del proprio idolo da attaccare in camera. Sapete chi ho trovato? Niente popò di meno che Gigi Buffon e Robbie Keane, i capitani dell'Italia e dell'Irlanda, che proprio stasera si sfideranno. La figurina di Buffon? Non più da attaccare in camera, bensì in ufficio. Giusto per ricordare che il più forte non è Manuel Neuer...
Bis bald!
Stefano
Bis bald!
Stefano
martedì 21 giugno 2016
Bücher: I miserabili
"La vera divisione umana è la seguente: quelli che sono illuminati e quelli che sono al buio. Diminuire il numero dei secondi ed aumentare il numero dei primi: ecco lo scopo. Per questo noi gridiamo: «Insegnamento! Scienza!»"
E come recensire un simile capolavoro? Semplice, è impossibile.
I miserabili è stato veramente un lungo viaggio. Io lo sapevo, che sarebbe stata una lettura complessa, sia dal punto di vista narrativo che "filosofico". Ma è stato un bel viaggio. Il quale, come tutti i viaggi, prevede anche qualche pausa. Pause di riflessione e pause di decompressione. Molti passaggi de I miserabili sono impegnativi, difficili da comprendere senza conoscere a fondo la storia della Francia. Ma se l'intreccio è coinvolgente, se le vicende di Jean Valjean, Fantine, Cosette e Marius sono avvincenti sia nella loro singolarità che nell'economia della trama, la morale è carica di straordinaria, sebbene sofferta, umanità. I miserabili è un'opera di incredibile umanità. Non posso che dire, e ripetere infinite volte, a chi sta leggendo ora: concedetevi uno spazio di tempo per questo romanzo, non ne rimarrete delusi.
Di Hugo e de I miserabili si è già scritto tanto e forse tutto. Non posso certamente essere io ad aggiungere qualcosa sulla storia di questo grandioso romanzo.
I miserabili rappresenta per me, tuttavia, un romanzo indimenticabile, per tanti motivi. Perché descrive la società nell'immagine più buona e in quella più malvagia. Perché dipinge l'essere umano nella sua componente più spirituale. Perché celebra l'amore, e ho avuto la fortuna di leggerlo nei mesi precedenti il mio matrimonio. Dunque, proprio per questi motivi, voglio omaggiare l'opera riportando i passaggi (tanti) per me più significativi.
Bis bald!
Stefano
Le più belle frase estratte da I miserabili (a mio parere)
Di tutte le cose fatte da Dio, il cuore umano è quella che manda più luce, ahimè! E più buio.
Se fosse concesso ai nostri occhi di carne vedere nella coscienza altrui, si giudicherebbe un uomo con molta maggior sicurezza dai suoi sogni che dai suoi pensieri. Esiste una volontà nel pensiero, non ce n'è nel sogno. Il sogno, che è assolutamente spontaneo, assume e conserva, anche nel gigantesco e nell'ideale, la forma del nostro spirito; nulla scaturisce più direttamente e più sinceramente dal fondo stesso della nostra anima che le nostre aspirazioni involontarie e smisurate verso gli splendori del destino. In queste aspirazioni, assai più che nelle idee composte, ragionate e coordinate, è possibile ritrovare il vero carattere di ogni uomo. Le nostre chimere sono quello che più ci somiglia. Ciascuno sogna l'ignoto e l'impossibile secondo la propria natura.
Finché aveva denari, visitava i poveri; quando non ne aveva più visitava i ricchi.
Che cosa triste non avere l'indirizzo della propria anima!
Non dobbiamo mai temere i ladri e gli assassini; sono pericoli esterni, piccoli. Ma dobbiamo temere noi stessi. I pregiudizi, ecco i ladri; i vizi, ecco gli omicidi. I grandi pericoli sono in noi.
È facilissimo esser buoni, ma il difficile è esser giusti.
Per spiare le azioni della gente non c'è nessuno come coloro che non dovrebbero entrarci.
V'è uno spettacolo più grande del mare, ed è il cielo; v'è uno spettacolo più grande del cielo, ed è l'interno dell'anima.
Viaggiare, è nascere e morire ad ogni istante.
Come accadde che le loro labbra si incontrarono? Come accade che l'uccello canti, che la neve si sciolga, che la rosa si apra, che maggio sbocci, che l'alba biancheggi dietro gli alberi neri sulla cima fremente delle colline?
Era un individuo sulla sessantina, con una faccia da uomo d'affari e un'aria da briccone: due cose che spesso vanno insieme.
È una strana pretesa degli uomini voler che l'amore conduca da qualche parte.
Valjean aveva questo di particolare: che, cioè, si sarebbe potuto dire portasse due bisacce, nell'una delle quali teneva i pensieri d'un santo, nell'altra celava i temibili istinti d'un forzato. Secondo l'occasione, egli frugava nell'una o nell'altra.
Il destino può essere malvagio come un essere intelligente e diventare mostruoso come il cuore umano!
Vi sono momenti in cui le supposizioni orrende ci assediano come una ressa di furie e sforzano con violenza le pareti del nostro cervello. Quando si tratta di coloro che amiamo, la nostra prudenza inventa ogni follia.
Superstizioni, bigotterie, bacchettonismi e pregiudizi, sebbene siano larve, s'attaccano alla vita e hanno denti ed unghie uscenti dal loro fumo; bisogna incalzarli e far loro guerra, senza tregua; poiché è una fatalità dell'uomo essere condannato all'eterna battaglia dei fantasmi. L'ombra è difficile a prendere per la gola e ad atterrare.
Se fosse dato ai nostri occhi terreni di vedere nella coscienza altrui, si giudicherebbe molto più sicuramente un uomo da quel che sogna, che da quel che pensa.
Gli animali non sono altro che la raffigurazione delle nostre virtù e dei nostri vizi, vaganti davanti ai nostri occhi, fantasmi visibili delle nostre anime. Dio ce li mostra per farci riflettere.
Il pensiero è la fatica dell'intelligenza, la fantasticheria ne è la voluttà.
Quando si è innamorati come una tigre, il minimo è battersi come un leone.
Per quanto si faccia, non si riuscirà mai ad annientare quell'eterno avanzo del cuore umano che è l'amore.
Che cos'è questa storia di Fantine? È la società che compra una schiava. Da chi? Dalla miseria. Dalla fame, dal freddo, dall'isolamento, dall'abbandono, dalle privazioni. Contratto doloroso. Un'anima per un tozzo di pane. La miseria offre, la società accetta.
Per buona distribuzione, si deve intendere non già distribuzione uguale, ma equa. La prima uguaglianza è l'equità.
Le donne giocano con la loro bellezza come i fanciulli col coltello: vi si feriscono.
Il giorno è canaglia e merita soltanto un'imposta chiusa. Le persone per bene accendono il loro spirito quando lo zenit accende le stelle.
Era soddisfatta alla maniera di quella donna araba che, avendo ricevuto uno schiaffo dal marito, andò a lamentarsi dal padre, gridando vendetta e dicendo: «Padre, devi rendere a mio marito ingiuria per ingiuria.» Il padre chiese: «Su quale guancia hai ricevuto lo schiaffo?» «Sulla destra.» Il padre lasciò andare uno schiaffo sulla guancia sinistra e disse: «Eccoti accontentata. Dirai a tuo marito che, se egli ha schiaffeggiato mia figlia, io ho schiaffeggiato sua moglie.»
«Cos'è il gatto?» esclamava. «è un correttivo. Il buon Dio, avendo fatto il sorcio, disse: "Toh! Ho fatto una bestialità!" E creò il gatto, che è l'errata-corrige del sorcio. Il sorcio, più il gatto, è la bozza riveduta e corretta della creazione.»
Lo sguardo delle donne somiglia a certi ingranaggi apparentemente innocenti, ma formidabili. Vi si passa accanto tutti i giorni, tranquillamente e impunemente, senza sospettare di nulla. Viene un momento in cui ci si dimentica perfino che quella cosa è lì. Si va, si viene, si sogna, si parla, si ride. D'un tratto ci si sente afferrare. È finita. L'ingranaggio vi tiene, lo sguardo vi ha preso. Vi ha preso, non importa per dove né come, per una parte qualunque del vostro pensiero che vagava, per una distrazione che avete avuto. Siete perduto. Ci finirete tutto intero. Una concatenazione di forze misteriose si impadronisce di voi. Vi dibattete invano. Non è più possibile alcun soccorso umano. State per cadere d'ingranaggio in ingranaggio, d'angoscia in angoscia, di tortura in tortura, voi, la vostra mente, i vostri beni, il vostro futuro, la vostra anima; e, a seconda che siate in potere di una creatura malvagia o di un nobile cuore, uscirete da quella spaventosa macchina sfigurato dalla vergogna o trasfigurato dalla passione.
Si è in pochi e si ha contro un intero esercito; ma si difende il diritto, la legge naturale, la sovranità di ciascuno su se stesso, che non ammette possibili abdicazioni, la giustizia, la verità, e se occorre, si morirà come i trecento spartani. Non si pensa a Don Chisciotte, ma a Leonida. E si va sempre avanti e, una volta impegnati, non si indietreggia più e ci si precipita a testa china, con la speranza di una vittoria impossibile, la rivoluzione completata, il progresso rimesso in libertà, l'accrescimento del genere umano, la liberazione universale; e, alla peggio, le Termopili.
Angelo è l'unica parola della lingua che non si possa logorare. Nessun'altra parola resisterebbe all'uso impietoso che ne fanno gli innamorati.
L'ideale non è che il punto culminante della logica, allo stesso modo che il bello non è che la cima del vero. Quindi, i popoli artisti sono anche conseguenti: amare il bello, significa voler la luce. Per questo la fiaccola dell'Europa, ossia della civiltà, è stata portata dapprima dalla Grecia, che l'ha passata all'Italia, la quale l'ha passata alla Francia. Oh, divini popoli esploratori!
Era possibile che Napoleone vincesse quella battaglia? Rispondiamo di no. Perché? A causa di Wellington? A causa di Blücher? No. A causa di Dio.
Ogni minuto è un becchino inesorabile.
Se la natura si chiama provvidenza, la società deve chiamarsi previdenza.
Sono troppo vecchio: ho cento anni, ho centomila anni, e da tanto tempo ho il diritto d'esser morto.
Terrazziere e ladro, aveva un solo sogno e credeva ai tesori nascosti nella foresta di Montfermeil, sperando di trovare un giorno o l'altro del denaro ai piedi d'un albero; nel frattempo, l'andava cercando volentieri nelle tasche dei viandanti.
Non v'è collera, in Francia, neppur pubblica, che sei mesi non bastino a spegnere; le sommosse, nello stato in cui si trova la società, sono talmente la colpa di tutti, che sono seguite da una necessità di chiudere un occhio.
I volti più puri possono serbare per sempre il riverbero di un'orribile vicinanza.
Rra contento, gaio, estasiato, affabile, giovane. I suoi capelli bianchi aggiungevano una dolce maestà alla gaia luce che gli si spandeva sul volto. La grazia congiunta alle rughe, è adorabile; vi è non so quale aurora in una vecchiezza fiorente.
L'amore è un fanciullo di seimila anni, ed ha diritto ad una lunga barba bianca: Matusalemme è un bimbo, di fronte a Cupido. Da sessanta secoli a questa parte l'uomo e la donna se la son cavata coll'amarsi; se il diavolo, maligno, s'è messo ad odiare l'uomo, questi, ancor più maligno, s'è messo ad amare la donna, e in questo modo s'è procurato un bene maggiore del male che gli ha procurato il diavolo.
Morire non è nulla; non vivere è spaventoso.
E quelle cose sono state fatte, e quei re hanno ripreso i loro troni, e il padrone dell'Europa è stato messo in gabbia, e l'antico regime è diventato quello nuovo, e tutta l'ombra e tutta la luce della terra hanno mutato posto, perché, nel pomeriggio di una giornata estiva, un pastore disse a un prussiano nel bosco: passate di qui e non di là!
Quando sopra di noi pesa tanto orrore, non abbiamo il diritto di condividerlo con gli altri a loro insaputa, non abbiamo il diritto di comunicare a essi la nostra peste, non abbiamo il diritto di farli scivolare nel nostro precipizio senza che se ne accorgano, non abbiamo il diritto di ingombrare subdolamente la felicità altrui con la nostra miseria.
L'amore, è l'unica estasi. Tutto il resto piange. Amare o avere amato, questo basta. Dopo, non chiedete nulla. Non c'è altra perla da trovare nelle pieghe tenebrose della vita. Amare è un compimento.
Victor Hugo, I miserabili
E come recensire un simile capolavoro? Semplice, è impossibile.
I miserabili è stato veramente un lungo viaggio. Io lo sapevo, che sarebbe stata una lettura complessa, sia dal punto di vista narrativo che "filosofico". Ma è stato un bel viaggio. Il quale, come tutti i viaggi, prevede anche qualche pausa. Pause di riflessione e pause di decompressione. Molti passaggi de I miserabili sono impegnativi, difficili da comprendere senza conoscere a fondo la storia della Francia. Ma se l'intreccio è coinvolgente, se le vicende di Jean Valjean, Fantine, Cosette e Marius sono avvincenti sia nella loro singolarità che nell'economia della trama, la morale è carica di straordinaria, sebbene sofferta, umanità. I miserabili è un'opera di incredibile umanità. Non posso che dire, e ripetere infinite volte, a chi sta leggendo ora: concedetevi uno spazio di tempo per questo romanzo, non ne rimarrete delusi.
Di Hugo e de I miserabili si è già scritto tanto e forse tutto. Non posso certamente essere io ad aggiungere qualcosa sulla storia di questo grandioso romanzo.
I miserabili rappresenta per me, tuttavia, un romanzo indimenticabile, per tanti motivi. Perché descrive la società nell'immagine più buona e in quella più malvagia. Perché dipinge l'essere umano nella sua componente più spirituale. Perché celebra l'amore, e ho avuto la fortuna di leggerlo nei mesi precedenti il mio matrimonio. Dunque, proprio per questi motivi, voglio omaggiare l'opera riportando i passaggi (tanti) per me più significativi.
Bis bald!
Stefano
Le più belle frase estratte da I miserabili (a mio parere)
Di tutte le cose fatte da Dio, il cuore umano è quella che manda più luce, ahimè! E più buio.
Se fosse concesso ai nostri occhi di carne vedere nella coscienza altrui, si giudicherebbe un uomo con molta maggior sicurezza dai suoi sogni che dai suoi pensieri. Esiste una volontà nel pensiero, non ce n'è nel sogno. Il sogno, che è assolutamente spontaneo, assume e conserva, anche nel gigantesco e nell'ideale, la forma del nostro spirito; nulla scaturisce più direttamente e più sinceramente dal fondo stesso della nostra anima che le nostre aspirazioni involontarie e smisurate verso gli splendori del destino. In queste aspirazioni, assai più che nelle idee composte, ragionate e coordinate, è possibile ritrovare il vero carattere di ogni uomo. Le nostre chimere sono quello che più ci somiglia. Ciascuno sogna l'ignoto e l'impossibile secondo la propria natura.
Finché aveva denari, visitava i poveri; quando non ne aveva più visitava i ricchi.
Che cosa triste non avere l'indirizzo della propria anima!
Non dobbiamo mai temere i ladri e gli assassini; sono pericoli esterni, piccoli. Ma dobbiamo temere noi stessi. I pregiudizi, ecco i ladri; i vizi, ecco gli omicidi. I grandi pericoli sono in noi.
È facilissimo esser buoni, ma il difficile è esser giusti.
Per spiare le azioni della gente non c'è nessuno come coloro che non dovrebbero entrarci.
V'è uno spettacolo più grande del mare, ed è il cielo; v'è uno spettacolo più grande del cielo, ed è l'interno dell'anima.
Viaggiare, è nascere e morire ad ogni istante.
Come accadde che le loro labbra si incontrarono? Come accade che l'uccello canti, che la neve si sciolga, che la rosa si apra, che maggio sbocci, che l'alba biancheggi dietro gli alberi neri sulla cima fremente delle colline?
Era un individuo sulla sessantina, con una faccia da uomo d'affari e un'aria da briccone: due cose che spesso vanno insieme.
È una strana pretesa degli uomini voler che l'amore conduca da qualche parte.
Valjean aveva questo di particolare: che, cioè, si sarebbe potuto dire portasse due bisacce, nell'una delle quali teneva i pensieri d'un santo, nell'altra celava i temibili istinti d'un forzato. Secondo l'occasione, egli frugava nell'una o nell'altra.
Il destino può essere malvagio come un essere intelligente e diventare mostruoso come il cuore umano!
Vi sono momenti in cui le supposizioni orrende ci assediano come una ressa di furie e sforzano con violenza le pareti del nostro cervello. Quando si tratta di coloro che amiamo, la nostra prudenza inventa ogni follia.
Superstizioni, bigotterie, bacchettonismi e pregiudizi, sebbene siano larve, s'attaccano alla vita e hanno denti ed unghie uscenti dal loro fumo; bisogna incalzarli e far loro guerra, senza tregua; poiché è una fatalità dell'uomo essere condannato all'eterna battaglia dei fantasmi. L'ombra è difficile a prendere per la gola e ad atterrare.
Se fosse dato ai nostri occhi terreni di vedere nella coscienza altrui, si giudicherebbe molto più sicuramente un uomo da quel che sogna, che da quel che pensa.
Gli animali non sono altro che la raffigurazione delle nostre virtù e dei nostri vizi, vaganti davanti ai nostri occhi, fantasmi visibili delle nostre anime. Dio ce li mostra per farci riflettere.
Il pensiero è la fatica dell'intelligenza, la fantasticheria ne è la voluttà.
Quando si è innamorati come una tigre, il minimo è battersi come un leone.
Per quanto si faccia, non si riuscirà mai ad annientare quell'eterno avanzo del cuore umano che è l'amore.
Che cos'è questa storia di Fantine? È la società che compra una schiava. Da chi? Dalla miseria. Dalla fame, dal freddo, dall'isolamento, dall'abbandono, dalle privazioni. Contratto doloroso. Un'anima per un tozzo di pane. La miseria offre, la società accetta.
Per buona distribuzione, si deve intendere non già distribuzione uguale, ma equa. La prima uguaglianza è l'equità.
Le donne giocano con la loro bellezza come i fanciulli col coltello: vi si feriscono.
Il giorno è canaglia e merita soltanto un'imposta chiusa. Le persone per bene accendono il loro spirito quando lo zenit accende le stelle.
Era soddisfatta alla maniera di quella donna araba che, avendo ricevuto uno schiaffo dal marito, andò a lamentarsi dal padre, gridando vendetta e dicendo: «Padre, devi rendere a mio marito ingiuria per ingiuria.» Il padre chiese: «Su quale guancia hai ricevuto lo schiaffo?» «Sulla destra.» Il padre lasciò andare uno schiaffo sulla guancia sinistra e disse: «Eccoti accontentata. Dirai a tuo marito che, se egli ha schiaffeggiato mia figlia, io ho schiaffeggiato sua moglie.»
«Cos'è il gatto?» esclamava. «è un correttivo. Il buon Dio, avendo fatto il sorcio, disse: "Toh! Ho fatto una bestialità!" E creò il gatto, che è l'errata-corrige del sorcio. Il sorcio, più il gatto, è la bozza riveduta e corretta della creazione.»
Lo sguardo delle donne somiglia a certi ingranaggi apparentemente innocenti, ma formidabili. Vi si passa accanto tutti i giorni, tranquillamente e impunemente, senza sospettare di nulla. Viene un momento in cui ci si dimentica perfino che quella cosa è lì. Si va, si viene, si sogna, si parla, si ride. D'un tratto ci si sente afferrare. È finita. L'ingranaggio vi tiene, lo sguardo vi ha preso. Vi ha preso, non importa per dove né come, per una parte qualunque del vostro pensiero che vagava, per una distrazione che avete avuto. Siete perduto. Ci finirete tutto intero. Una concatenazione di forze misteriose si impadronisce di voi. Vi dibattete invano. Non è più possibile alcun soccorso umano. State per cadere d'ingranaggio in ingranaggio, d'angoscia in angoscia, di tortura in tortura, voi, la vostra mente, i vostri beni, il vostro futuro, la vostra anima; e, a seconda che siate in potere di una creatura malvagia o di un nobile cuore, uscirete da quella spaventosa macchina sfigurato dalla vergogna o trasfigurato dalla passione.
Si è in pochi e si ha contro un intero esercito; ma si difende il diritto, la legge naturale, la sovranità di ciascuno su se stesso, che non ammette possibili abdicazioni, la giustizia, la verità, e se occorre, si morirà come i trecento spartani. Non si pensa a Don Chisciotte, ma a Leonida. E si va sempre avanti e, una volta impegnati, non si indietreggia più e ci si precipita a testa china, con la speranza di una vittoria impossibile, la rivoluzione completata, il progresso rimesso in libertà, l'accrescimento del genere umano, la liberazione universale; e, alla peggio, le Termopili.
Angelo è l'unica parola della lingua che non si possa logorare. Nessun'altra parola resisterebbe all'uso impietoso che ne fanno gli innamorati.
L'ideale non è che il punto culminante della logica, allo stesso modo che il bello non è che la cima del vero. Quindi, i popoli artisti sono anche conseguenti: amare il bello, significa voler la luce. Per questo la fiaccola dell'Europa, ossia della civiltà, è stata portata dapprima dalla Grecia, che l'ha passata all'Italia, la quale l'ha passata alla Francia. Oh, divini popoli esploratori!
Era possibile che Napoleone vincesse quella battaglia? Rispondiamo di no. Perché? A causa di Wellington? A causa di Blücher? No. A causa di Dio.
Ogni minuto è un becchino inesorabile.
Se la natura si chiama provvidenza, la società deve chiamarsi previdenza.
Sono troppo vecchio: ho cento anni, ho centomila anni, e da tanto tempo ho il diritto d'esser morto.
Terrazziere e ladro, aveva un solo sogno e credeva ai tesori nascosti nella foresta di Montfermeil, sperando di trovare un giorno o l'altro del denaro ai piedi d'un albero; nel frattempo, l'andava cercando volentieri nelle tasche dei viandanti.
Non v'è collera, in Francia, neppur pubblica, che sei mesi non bastino a spegnere; le sommosse, nello stato in cui si trova la società, sono talmente la colpa di tutti, che sono seguite da una necessità di chiudere un occhio.
I volti più puri possono serbare per sempre il riverbero di un'orribile vicinanza.
Rra contento, gaio, estasiato, affabile, giovane. I suoi capelli bianchi aggiungevano una dolce maestà alla gaia luce che gli si spandeva sul volto. La grazia congiunta alle rughe, è adorabile; vi è non so quale aurora in una vecchiezza fiorente.
L'amore è un fanciullo di seimila anni, ed ha diritto ad una lunga barba bianca: Matusalemme è un bimbo, di fronte a Cupido. Da sessanta secoli a questa parte l'uomo e la donna se la son cavata coll'amarsi; se il diavolo, maligno, s'è messo ad odiare l'uomo, questi, ancor più maligno, s'è messo ad amare la donna, e in questo modo s'è procurato un bene maggiore del male che gli ha procurato il diavolo.
Morire non è nulla; non vivere è spaventoso.
E quelle cose sono state fatte, e quei re hanno ripreso i loro troni, e il padrone dell'Europa è stato messo in gabbia, e l'antico regime è diventato quello nuovo, e tutta l'ombra e tutta la luce della terra hanno mutato posto, perché, nel pomeriggio di una giornata estiva, un pastore disse a un prussiano nel bosco: passate di qui e non di là!
Quando sopra di noi pesa tanto orrore, non abbiamo il diritto di condividerlo con gli altri a loro insaputa, non abbiamo il diritto di comunicare a essi la nostra peste, non abbiamo il diritto di farli scivolare nel nostro precipizio senza che se ne accorgano, non abbiamo il diritto di ingombrare subdolamente la felicità altrui con la nostra miseria.
L'amore, è l'unica estasi. Tutto il resto piange. Amare o avere amato, questo basta. Dopo, non chiedete nulla. Non c'è altra perla da trovare nelle pieghe tenebrose della vita. Amare è un compimento.
lunedì 20 giugno 2016
Bo-Kaap
Ciao a tutti!
Su una grande metropoli quale è Città del Capo si potrebbero raccontare tantissime cose. Perché un'esperienza a Citta del Capo porta con sé diverse sfaccettature: un grande connubio tra la bellezza naturale e la varietà architettonica, il contrasto tra i quartieri più moderni e la povertà delle bidonville, la pacifica convivenza (anche se mi piace più pensare ad una parola come “unione”) tra gli eredi dei conquistatori bianchi e dei nativi di colore, i monti che incontrano l'oceano. Città del Capo è un'esperienza meravigliosa e voglio iniziare a raccontarla in questo post, partendo dal quartiere più folcloristico, dal quartiere che forse meglio aiuta a comprendere il suo volto più multietnico. Non posso che riferirmi a Bo-Kaap, quello che erroneamente conosciuto come il Quartiere Malese.
Bo-Kaap infatti era il quartiere popolato dai discendenti degli schiavi arrivati in Africa nel XVI e nel XVII secolo dal Sud-Est asiatico, dalle colonie inglesi ed olandesi. Ma di malesi veri e propri qui ce ne furono ben pochi, la maggior parte arrivò dall'Indonesia, dal Senegal, dal Madagascar e da altre zone dell'Africa. Il nocciolo della popolazione di Bo-Kaap è costituito dai “malesiani del Capo”, il frutto della miscela interculturale tra i nativi e i figli degli schiavi. Questo è il quartiere più musulmano della città; la moschea più antica di Bo-Kaap detiene anche un importante primato, ovvero è la prima moschea costruita sul suolo sudafricano, nonché una delle più grandi di tutta l'Africa.
Avvertenza per i lettori: parlando di musulmani in questo post non si fa riferimento a integralisti, terroristi, Stato Islamico, Boko Haram e robe del genere. Qui i musulmani (un 10% circa della popolazione di Città del Capo) sono religiosi devoti, lontani dai fanatismi mediorientali, e conducono una vita tranquilla, in armoniosa coabitazione con altri fedeli di diversa confessione religiosa - principalmente cristiani. In passato, però, hanno dovuto lottare, e strenuamente, affinché venisse loro riconosciuta la possibilità di praticare il loro credo.
Cosa spinge i turisti (e gli amanti di fotografia, soprattutto) a recarsi a Bo-Kaap? Le case colorate di Walestreet e delle vie che discendono da Signal Hill, su questo non vi è ombra di dubbio. Come non amare queste casette a schiera che si accalcano su strade di ciottoli, dai tetti bassi e piatti e soprattutto, elemento inconfondibile, dai colori più vivaci che si possono immaginare? Può stridere il contrasto tra l'allegra colorazione delle case di Bo-Kaap con la sofferenza secolare dei malesiani del Capo – sebbene fossero minoranza durante l'apartheid, ne subirono anch'essi tutti gli effetti. Mi piace pensare che l'arcobaleno delle abitazioni di Bo-Kaap sia la risposta, la migliore, ai tanti anni di oppressione che i neri e i coloured dovettero subire.
Su una grande metropoli quale è Città del Capo si potrebbero raccontare tantissime cose. Perché un'esperienza a Citta del Capo porta con sé diverse sfaccettature: un grande connubio tra la bellezza naturale e la varietà architettonica, il contrasto tra i quartieri più moderni e la povertà delle bidonville, la pacifica convivenza (anche se mi piace più pensare ad una parola come “unione”) tra gli eredi dei conquistatori bianchi e dei nativi di colore, i monti che incontrano l'oceano. Città del Capo è un'esperienza meravigliosa e voglio iniziare a raccontarla in questo post, partendo dal quartiere più folcloristico, dal quartiere che forse meglio aiuta a comprendere il suo volto più multietnico. Non posso che riferirmi a Bo-Kaap, quello che erroneamente conosciuto come il Quartiere Malese.
Insieme a Bo-Kaap |
Bo-Kaap infatti era il quartiere popolato dai discendenti degli schiavi arrivati in Africa nel XVI e nel XVII secolo dal Sud-Est asiatico, dalle colonie inglesi ed olandesi. Ma di malesi veri e propri qui ce ne furono ben pochi, la maggior parte arrivò dall'Indonesia, dal Senegal, dal Madagascar e da altre zone dell'Africa. Il nocciolo della popolazione di Bo-Kaap è costituito dai “malesiani del Capo”, il frutto della miscela interculturale tra i nativi e i figli degli schiavi. Questo è il quartiere più musulmano della città; la moschea più antica di Bo-Kaap detiene anche un importante primato, ovvero è la prima moschea costruita sul suolo sudafricano, nonché una delle più grandi di tutta l'Africa.
Sotto la Lion's Head |
Avvertenza per i lettori: parlando di musulmani in questo post non si fa riferimento a integralisti, terroristi, Stato Islamico, Boko Haram e robe del genere. Qui i musulmani (un 10% circa della popolazione di Città del Capo) sono religiosi devoti, lontani dai fanatismi mediorientali, e conducono una vita tranquilla, in armoniosa coabitazione con altri fedeli di diversa confessione religiosa - principalmente cristiani. In passato, però, hanno dovuto lottare, e strenuamente, affinché venisse loro riconosciuta la possibilità di praticare il loro credo.
Dove anche i muri si perdono nel cielo |
Cosa spinge i turisti (e gli amanti di fotografia, soprattutto) a recarsi a Bo-Kaap? Le case colorate di Walestreet e delle vie che discendono da Signal Hill, su questo non vi è ombra di dubbio. Come non amare queste casette a schiera che si accalcano su strade di ciottoli, dai tetti bassi e piatti e soprattutto, elemento inconfondibile, dai colori più vivaci che si possono immaginare? Può stridere il contrasto tra l'allegra colorazione delle case di Bo-Kaap con la sofferenza secolare dei malesiani del Capo – sebbene fossero minoranza durante l'apartheid, ne subirono anch'essi tutti gli effetti. Mi piace pensare che l'arcobaleno delle abitazioni di Bo-Kaap sia la risposta, la migliore, ai tanti anni di oppressione che i neri e i coloured dovettero subire.
Bo-Kaap sta diventando un quartiere di tendenza: qualcuno dice che qui ormai ci siano più turisti e fotografi che abitanti. Può essere, ma è evidente come il richiamo di questo rione sia considerevole. Lo è anche per i capetoniani più abbienti, i quali non disdegnano (oggi) di acquistare un'abitazione nel bel mezzo del quartiere musulmano di Città del Capo. È un dato di fatto, questo, che preoccupa concretamente lo zoccolo duro della comunità locale – attenta a mantenere in vita le sue tradizioni e a perseguire una convivenza pacifica al suo interno. Così pacifica che vi è accordo anche sul colore con il quale le case vanno dipinte. Questa attività viene infatti svolta in occasione della celebrazione della fine del Ramadan, previo un consenso dei vicini di casa, con lo scopo comune di non creare contrasti cromatici che violino le leggi dell'estetica.
Bo-Kaap è il quartiere della combinazione etnica del Sudafrica, ma in fondo è una miscela di molti altri fattori. In fondo, dove lo si può trovare un posto colorato come questo, dalla grande varietà di profumi, fatto di persone che vivono in armonia l'una con l'altra, con l'oceano a poche centinaia di metri e una montagna come la Table Mountain sullo sfondo? Vi sfido a trovarlo…
Bis bald!
Stefano
Total green... |
Bo-Kaap è il quartiere della combinazione etnica del Sudafrica, ma in fondo è una miscela di molti altri fattori. In fondo, dove lo si può trovare un posto colorato come questo, dalla grande varietà di profumi, fatto di persone che vivono in armonia l'una con l'altra, con l'oceano a poche centinaia di metri e una montagna come la Table Mountain sullo sfondo? Vi sfido a trovarlo…
...e total pink! |
Bis bald!
Stefano
domenica 19 giugno 2016
Ti porto a Magonza
Ciao a tutti!
Una settimana e poco più dal nostro ritorno dall'Africa e già è ora di estate! I giorni di ferie purtroppo scarseggiano, dunque bisogna reinventarsi le vacanze estive. Detto fatto: nel cassetto avevo un'idea che pare essere perfetta per l'imminente estate. Non è un'idea di serie B, dato che ci penso su da due anni. E non è un progetto dallo scarso coinvolgimento, tantomeno dal basso impegno fisico...
Una settimana e poco più dal nostro ritorno dall'Africa e già è ora di estate! I giorni di ferie purtroppo scarseggiano, dunque bisogna reinventarsi le vacanze estive. Detto fatto: nel cassetto avevo un'idea che pare essere perfetta per l'imminente estate. Non è un'idea di serie B, dato che ci penso su da due anni. E non è un progetto dallo scarso coinvolgimento, tantomeno dal basso impegno fisico...
Sulla Mainradweg, tra Dettelbach e Kitzingen |
Perché si tratta di riprendere la bici e completare l'opera. Due anni fa unii le due perle della Franconia, Bamberga e Würzburg tramite il Meno e la Mainradweg, rispettivamente il fiume che unisce le due città, e la sua ciclovia. Ora vogliamo accompagnare il fiume che ogni giorno ci scorre accanto. Dall'uscio di casa nostra, a Schweinfurt, fino alla sua foce nel Reno, a Magonza. 361 chilometri di pedalate in coppia, in cui due bici si faranno compagnia con altrettante paia di gambe scalpitanti. 361 chilometri di strada da coprire a tappe, nei weekend di questa estate. 361 chilometri di strada lungo i quali riscoprire in bicicletta aree già conosciute come la terra dei vini francone o città ben note come Würzburg e Aschaffenburg. 361 chilometri in cui scoprire zone a noi ignote, come la misteriosa Spessart e la valle del Meno in Assia, o città come Wiesbaden e la stessa meta del nostro viaggio, Magonza.
Pronti per salire in sella ancora una volta!
Bis bald!
Stefano
Pronti per salire in sella ancora una volta!
Bis bald!
Stefano
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sabato 18 giugno 2016
Scendo e vado a sposarmi
C'è modo e modo di trascorrere un giorno di vigilia. C'è anche vigilia e vigilia. Una maratona? Un esame all'università? Un viaggio verso terre lontane? No, la vigilia delle vigilie: il giorno prima del proprio matrimonio. Due giorni prima, per la precisione, quando molti sarebbero stati indaffarati tra nervosismi e ultimi preparativi in vista della cerimonia, io me ne sono andato in montagna. Perché in fondo è proprio tra i monti che ho preso alcune tra le decisioni più importanti della mia vita - tra cui quella di trasferirmi in montagna. L'idea di potermi chiudere in me stesso, anche solo per poche ore, prima di un giorno così importante, mi faceva sentire bene. E così ho fatto.
Nonostante il caldo di quell'ultima settimana di maggio, non avevo voglia di avventurarmi in alta quota. Troppo recenti le ultime nevicate e ancora troppo bassa la neve sui crinali. Opto per una passeggiata tranquilla e quasi "dietro casa": da Pra del Torno (dove sorge un tempio valdese), poco sopra Angrogna, in direzione Alpe Sella, itinerario che da tempo volevo percorrere. La scelta di rimanere a bassa quota paga: gli ultimi nevai coprono ancora i canaloni e anche le cime poco oltre i duemila sono ancora bianche. Però fa caldo, un caldo afoso, un caldo che offusca anche i rilievi più vicini. La mia passeggiata nelle valli valdesi si rivela non tanto un trekking di montagna ma un veloce cammino su una carrozzabile ampia e comoda, in costante ascesa ma mai troppo ripida, proprio ciò che ci vuole, per non stancarsi e non correre rischi superflui. Potrei passare per il rifugio Sap, ma allungherei e lo troverei comunque chiuso, non avrei neanche la scusa di fermarmi per pranzo, ecco. Via per la strada più diritta verso l'Alpe Sella. In fondo, voglio salire per trovare tranquillità nel silenzio che niente come la montagna, la migliore valvola di sfogo dalla tensione che ci affligge ogni giorno, è in grado di donarmi.
Arrivo all'Alpe Sella: non essendoci mai stato non sapevo bene cosa aspettarmi da questo posto. Trovo casette in pietra disposte disordinatamente su un pianoro erboso. Alcune paiono in buone condizioni, altre meno. Chissà se qualcuno porta ancora qui il suo bestiame. Ci sono io, ed io soltanto, in questo posto che sembra sia stato dimenticato dal mondo. Le nuvole che fanno capolino ad intermittenza rendono questo luogo ancora più spettrale. Non chiedevo di meglio, sinceramente. Mi siedo su un roccione e guardo la valle di fronte a me; mi perdo, assorto nei miei pensieri, torno indietro nel tempo, riportando la mente a sentieri solitari e a strade di città che già profumavano di amore, a lunghe autostrade che mi portavano lontano e all'acqua sulla quale avevo deciso di iniziare un nuovo viaggio, lungo. Lunghissimo, si spera, il più possibile. Niente come la montagna può riportarmi così indietro e farmi ripensare a quei momenti, strappandomi un sorriso. Che mi accompagna lungo tutta la discesa verso Pra del Torno, sempre più conscio del grande passo.
Alpe Sella |
Nonostante il caldo di quell'ultima settimana di maggio, non avevo voglia di avventurarmi in alta quota. Troppo recenti le ultime nevicate e ancora troppo bassa la neve sui crinali. Opto per una passeggiata tranquilla e quasi "dietro casa": da Pra del Torno (dove sorge un tempio valdese), poco sopra Angrogna, in direzione Alpe Sella, itinerario che da tempo volevo percorrere. La scelta di rimanere a bassa quota paga: gli ultimi nevai coprono ancora i canaloni e anche le cime poco oltre i duemila sono ancora bianche. Però fa caldo, un caldo afoso, un caldo che offusca anche i rilievi più vicini. La mia passeggiata nelle valli valdesi si rivela non tanto un trekking di montagna ma un veloce cammino su una carrozzabile ampia e comoda, in costante ascesa ma mai troppo ripida, proprio ciò che ci vuole, per non stancarsi e non correre rischi superflui. Potrei passare per il rifugio Sap, ma allungherei e lo troverei comunque chiuso, non avrei neanche la scusa di fermarmi per pranzo, ecco. Via per la strada più diritta verso l'Alpe Sella. In fondo, voglio salire per trovare tranquillità nel silenzio che niente come la montagna, la migliore valvola di sfogo dalla tensione che ci affligge ogni giorno, è in grado di donarmi.
Il tempio valdese di Pra del Torno |
Arrivo all'Alpe Sella: non essendoci mai stato non sapevo bene cosa aspettarmi da questo posto. Trovo casette in pietra disposte disordinatamente su un pianoro erboso. Alcune paiono in buone condizioni, altre meno. Chissà se qualcuno porta ancora qui il suo bestiame. Ci sono io, ed io soltanto, in questo posto che sembra sia stato dimenticato dal mondo. Le nuvole che fanno capolino ad intermittenza rendono questo luogo ancora più spettrale. Non chiedevo di meglio, sinceramente. Mi siedo su un roccione e guardo la valle di fronte a me; mi perdo, assorto nei miei pensieri, torno indietro nel tempo, riportando la mente a sentieri solitari e a strade di città che già profumavano di amore, a lunghe autostrade che mi portavano lontano e all'acqua sulla quale avevo deciso di iniziare un nuovo viaggio, lungo. Lunghissimo, si spera, il più possibile. Niente come la montagna può riportarmi così indietro e farmi ripensare a quei momenti, strappandomi un sorriso. Che mi accompagna lungo tutta la discesa verso Pra del Torno, sempre più conscio del grande passo.
Ah, per la cronaca. Avrei dovuto impiegare due ore per salire all'Alpe Sella. È bastata poco più di un'ora. Le gambe rimangono buone, in strada come in montagna!
Bis bald!
Stefano
venerdì 17 giugno 2016
La grande fossa
Ciao a tutti!
Uno dei primi luoghi visitati in Sudafrica ci ha aperto gli occhi su una delle più importanti realtà industriali del paese: i diamanti. Sebbene il Sudafrica sia stato superato da paesi come Angola e Botswana quanto a produzione, i diamanti rappresentano una delle più importanti risorse minerarie del paese. E hanno anche segnato la storia stessa del paese, in quanto fu motivo di contesa tra gli olandesi e gli inglesi durante le cosiddette guerre boere di fine XIX secolo.
Nel 1905 fu rinvenuto un diamante grezzo enorme, di oltre tremila carati, in una miniera a circa quaranta chilometri di distanza da Pretoria. Tuttora questo diamante, chiamato "diamante Cullinan" in onore dell'allora proprietario della miniera, rappresenta il più grande esemplare di diamante grezzo mai ritrovato in natura: da quel momento ebbe inizio la storia secolare della miniera Cullinan, una delle più grandi del Sudafrica assieme a quella di Kimberly (da cui prende il nome la kimberlite, il minerale madre del diamante).
Del diamante Cullinan si sa che, oltre ad essere stato il più grande del mondo, fa parte dei gioielli della Corona Britannica. I due tagli più grandi, la "Grande Stella d'Africa" e la "Seconda Stella d'Africa" adornano rispettivamente lo scettro e la corona imperiale. Quelli che si possono vedere nella miniera Cullinan non sono che - ovviamente - fedeli riproduzioni di nessun valore. Ma il bello della nostra visita alla miniera Cullinan risiede altrove.
In primo luogo, la continua attività di ricerca di diamanti da parte dell'uomo ha fatto sì che si venisse a formare un enorme buca dal diametro di un chilometro (!!!) e dalla profondità di 250 metri, attorno alla quale si diramano i vari pozzi nei quali viene continuata l'attività di ricerca. La grande voragine creata dall'uomo merita da sola la visita alla miniera Cullinan.
In secondo luogo, è sempre interessante osservare come le risorse locali modificano l'urbanistica: il villaggio di Cullinan rimane una piccola comunità di minatori (e di qualche ristoratore per i turisti), che vivono in casette in arenaria, costruite nel tipico stile Herbert Baker, dal nome dell'architetto inglese che più di ogni altro ha influenzato lo sviluppo architettonico in Sudafrica, tra il XIX e il XX secolo. Paesino tranquillo e veramente grazioso!
Poi, la miniera di Cullinan rappresenta una realtà industriale di grande interesse in quanto assolutamente lontana da quella europea. Le torri che movimentano il minerale grezzo sono impressionanti per dimensioni e capacità (uno skipper, la vasca che trasporta il minerale, può trasportare fino a dodici tonnellate). Camminare tra carrellini rossi che recitano la scritta "contiene esplosivo", poi, è alquanto insolito. E poi, si può assistere ad alcune scene di vita da minatore, tra cui il lavaggio degli stivali, eseguito per verificare che il minatore non rubasse niente dalla miniera.
E per concludere, nel negozio associato alla miniera, si possono vedere alcuni tagli di diamante e alcuni gioielli. Tutto indiscutibilmente meraviglioso. Peccato per le cifre, fuori portata per un comune mortale. Mi dispiace non poter regalare un simile gioiello a Giulia. Mi consolo però rispolverando gli studi dell'università, che affermano che il diamante non è per sempre; in qualche milione di anni, si trasformerà in grafite. Tiè!
Bis bald!
Stefano
Uno dei primi luoghi visitati in Sudafrica ci ha aperto gli occhi su una delle più importanti realtà industriali del paese: i diamanti. Sebbene il Sudafrica sia stato superato da paesi come Angola e Botswana quanto a produzione, i diamanti rappresentano una delle più importanti risorse minerarie del paese. E hanno anche segnato la storia stessa del paese, in quanto fu motivo di contesa tra gli olandesi e gli inglesi durante le cosiddette guerre boere di fine XIX secolo.
La grande voragine della miniera Cullinan |
Nel 1905 fu rinvenuto un diamante grezzo enorme, di oltre tremila carati, in una miniera a circa quaranta chilometri di distanza da Pretoria. Tuttora questo diamante, chiamato "diamante Cullinan" in onore dell'allora proprietario della miniera, rappresenta il più grande esemplare di diamante grezzo mai ritrovato in natura: da quel momento ebbe inizio la storia secolare della miniera Cullinan, una delle più grandi del Sudafrica assieme a quella di Kimberly (da cui prende il nome la kimberlite, il minerale madre del diamante).
Del diamante Cullinan si sa che, oltre ad essere stato il più grande del mondo, fa parte dei gioielli della Corona Britannica. I due tagli più grandi, la "Grande Stella d'Africa" e la "Seconda Stella d'Africa" adornano rispettivamente lo scettro e la corona imperiale. Quelli che si possono vedere nella miniera Cullinan non sono che - ovviamente - fedeli riproduzioni di nessun valore. Ma il bello della nostra visita alla miniera Cullinan risiede altrove.
Danger |
In primo luogo, la continua attività di ricerca di diamanti da parte dell'uomo ha fatto sì che si venisse a formare un enorme buca dal diametro di un chilometro (!!!) e dalla profondità di 250 metri, attorno alla quale si diramano i vari pozzi nei quali viene continuata l'attività di ricerca. La grande voragine creata dall'uomo merita da sola la visita alla miniera Cullinan.
In secondo luogo, è sempre interessante osservare come le risorse locali modificano l'urbanistica: il villaggio di Cullinan rimane una piccola comunità di minatori (e di qualche ristoratore per i turisti), che vivono in casette in arenaria, costruite nel tipico stile Herbert Baker, dal nome dell'architetto inglese che più di ogni altro ha influenzato lo sviluppo architettonico in Sudafrica, tra il XIX e il XX secolo. Paesino tranquillo e veramente grazioso!
Le classiche case in arenaria in stile Herbert Baker |
Poi, la miniera di Cullinan rappresenta una realtà industriale di grande interesse in quanto assolutamente lontana da quella europea. Le torri che movimentano il minerale grezzo sono impressionanti per dimensioni e capacità (uno skipper, la vasca che trasporta il minerale, può trasportare fino a dodici tonnellate). Camminare tra carrellini rossi che recitano la scritta "contiene esplosivo", poi, è alquanto insolito. E poi, si può assistere ad alcune scene di vita da minatore, tra cui il lavaggio degli stivali, eseguito per verificare che il minatore non rubasse niente dalla miniera.
E per concludere, nel negozio associato alla miniera, si possono vedere alcuni tagli di diamante e alcuni gioielli. Tutto indiscutibilmente meraviglioso. Peccato per le cifre, fuori portata per un comune mortale. Mi dispiace non poter regalare un simile gioiello a Giulia. Mi consolo però rispolverando gli studi dell'università, che affermano che il diamante non è per sempre; in qualche milione di anni, si trasformerà in grafite. Tiè!
La Grande Stella d'Africa |
Bis bald!
Stefano
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