mercoledì 18 novembre 2015

Mannschaft, il valore della diversità

Ciao a tutti!
Questo post mi ronzava in testa da molto tempo. Da quando mi sono trasferito in Germania, sostanzialmente. Poi, la vittoria del mondiale di calcio 2014 da parte della Germania e la recente crisi dei profughi siriani, hanno incrementato il desiderio di parlarne. I fatti di Parigi mi "costringono", in un certo senso, a raccontare quanto la diversità culturale, etnica e religiosa possa essere una risorsa, una fonte di unione e non motivo di divisione e pretesto per entrare in guerra. E per me, l'esempio più lampante è la nazionale tedesca di calcio, la Mannschaft.
"La Germania ha recepito i cambi avvenuti nella società e li ha introdotti nella legislazione per garantire i diritti di tutti", dice Carlo Balestri, responsabile del dipartimento politiche internazionali dell'UISP (Unione Italiana Sport Per tutti). Il riferimento è alla riforma "della nazionalità" attuata nel 2000 in Germania. Esso prevede un sistema basato sullo uno ius soli modificato, ma che permette ad una buona fetta di figli di immigrati di ottenere la cittadinanza tedesca. Ovviamente, anche lo sport ne ha giovato e l'esempio più lampante è la nazionale di calcio che ha trionfato nei Mondiali del 2014 in Brasile.

Sami Khedira, Jérôme Boateng e Mesut Özil, tre colonne della nazionale campione del mondo (fonte: bilder4.n-tv.de)
Tra le file della Mannschaft in quell'edizione del Mondiale, ci sono infatti alcuni giocatori le cui origini sono tutt'altro che tedesche: Sami Khedira (di origine tunisina), Mesut Özil (di origine turca), Lukas Podolski e Miroslav Klose (di origine polacca), Jérôme Boateng (di origine ghanese), Shkodran Mustafi (di origine albanese). Tre di loro fecero anche parte della formazione titolare nella finalissima scontro l'Argentina. I benefici in termini di immagine (e quindi, anche in termini economici) derivanti da una vittoria in un Mondiale di calcio sono difficili da calcolare ma sono decisamente grandi.
Quello che la Germania e la sua nazionale di calcio può rappresentare è un esempio di integrazione in tutta Europa. Ciò che si è visto con la squadra di calcio è ritrovabile in generale anche nella società tedesca - nonostante non vadano dimenticati i moti neonazisti di Pegida, movimento molto attivo nelle regioni più "povere" dell'ex-DDR. Lo dimostra il buon livello di integrazione di tanti stranieri arrivati in Germania, soprattutto nelle ondate degli anni Cinquanta-Sessanta e degli anni del crollo del blocco comunista, ma anche di quelli più recenti. I numeri sono importanti: su più di ottanta milioni di persone, ben sedici circa di essi hanno un'origine extra-tedesca. Il merito della buona integrazione è certamente delle politiche attuate nell'ultimo ventennio per favorire la partecipazione degli immigrati alla vita sociale. La formazione scolastica e l'inquadramento nel mondo del lavoro sono al centro delle politiche sociali del governo tedesco. Non a caso, in Germania esiste un "piano nazionale di integrazione", nel quale vengono definiti i programmi di inserimento: corsi di integrazione linguistica, accesso facilitato alla cittadinanza, progetti finalizzati alla partecipazione sociale, corsi di formazione.

Doppio passaporto (fonte: dtj-online.de)

L'affermazione di una Germania multietnica agli ultimi Mondiali di calcio (che fa riflettere su quanto si potrebbe fare in Italia) è solo la punta dell'iceberg di un sistema di integrazione che in Europa è certamente un modello positivo da esportare. Perché in generale, positivo lo è: il sottoscritto, anche se non extracomunitario, non vengo guardato male in quanto straniero, e questo è anche più che positivo.
Molto c'è ancora da fare, soprattutto in questi tempi in cui le barriere proliferano, la diversità fa paura e la violenza è sempre più di attualità. Io credo, mi auguro, che almeno in Germania sia stata presa la strada giusta per un mondo più giusto.
Bis bald!
Stefano

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