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giovedì 7 agosto 2014

La lacuna colmata: Rocciamelone

Ciao a tutti!
In questa mia ultima estate al 100% in Italia ho pensato che sarebbe stato qualcosa di bello poter salire quei monti che avrei voluto raggiungere in tutti questi anni trascorsi tra le montagne e che, per un motivo o per l'altro, non ho mai toccato. Ce n'è una lunga lista, tra Piemonte e Valle d'Aosta. Lista che molto probabilmente non completerò mai prima della fine di settembre ma che, con pazienza (per le inclementi condizioni atmosferiche di quest'estate) e buona volontà (gambe e polmoni), voglio provare a sfoltire. In cima all'elenco vi è senza dubbio il Rocciamelone, uno dei monti più simbolici del Piemonte. Mi vergogno quasi un po' a dirlo, ma qui non ero mai salito in vita mia.

Il Rocciamelone e la sua via normale

Partiamo di buon'ora da casa, quando non vi è ancora traccia di alba in vista. Non sono da solo questa volta, ma con il fido Alberto. Si deve partire presto, perché è una regola dell'escursionismo di montagna e perché gli ultimi giorni sono stati caratterizzati da una notevole instabilità atmosferica sui versanti montuosi, nelle ore più calde del giorno. Ci vanno due ore per raggiungere la base della via normale alla vetta, il Rifugio La Riposa, che è preceduto da venti chilometri di strada stretta e tortuosa (con alcuni chilometri di sterrato finale) che da Susa risalgono il versante sinistro dalla Bassa Valle di Susa per arrivare a quota 2200 metri. All'arrivo al Rifugio La Riposa è già giorno e la via per il Rocciamelone, prima tra i prati e poi tra le rocce, è già ben definita. Non sembra neanche tanto lontana, la punta. Eppure c'è quasi un chilometro e mezzo di pura verticalità da salire.

Verso la Val di Susa

Cominciamo la salita tranquillamente, anche perché Alberto è alla prima escursione dell'anno e non posso farlo dannare già dall'inizio. Ogni tanto ci fermiamo, perché fa già caldo, e così ne approfittiamo per un'estasiata contemplazione del panorama che già da qui è decisamente spettacolare.  Susa e la sua valle sono ai nostri piedi, ma la vista può già spaziare su cime lontane. Dal Rifugio Ca' d'Asti, in sostanza a metà del percorso spunta già il Monviso.

A 3537 metri...

Al Rifugio Ca' d'Asti si può ammirare un piccolo pezzo di storia italiana. Proprio a fianco del rifugio si trova l'arrivo della teleferica che permetteva il rifornimento in quota degli alpini stanziati sul Rocciamelone a presidiare i confini durante il primo conflitto mondiale. Armi e derrate alimentari venivano trasportate quindi fino a quota 2850 metri, secondo un geniale sistema di contrappesi. La discesa a valle di materiale pietroso tramite l'uso della sola forza di gravità, infatti, permetteva alla puleggia di portare a monte viveri ed armamenti.

Il ghiacciaio del Rocciamelone

Superato il Rifugio Ca' d'Asti l'ambiente cambia di colpo e da erboso diventa pietroso. Si supera un lunghissimo traverso prima di arrivare ad una croce, posta in una sorta di colletta dalla quale è ben visibile l'ultimo tratto di salita, duecento metri di dislivello che ci separano dal Rocciamelone, e dalla statua dedicata alla Madonna posta in cima. Qui la quota inizia a farsi sentire decisamente, e Alberto decide di gettare la spugna, anche a causa di un fastidio alla caviglia. Meglio non rischiare, anche pensando alla discesa, ripida quanto la salita, e in mezzo alle pietre, quindi mai perfettamente agevole.

Uno sguardo a sud/sudovest

Nell'ultimo tratto di salita mi faccio cogliere, per l'ennesima volta, dallo stupore che deriva dal vedere come la Natura consenta alla vegetazione di crescere oltre i tremila metri e soprattutto, in mezzo alla roccia. Io non sono un esperto di flora. Però qualcuno mi dovrà spiegare un giorno come è possibile che, a 3400 metri, il sentiero sia circondato da numerose ma soprattutto rigogliose fioriture. C'è un po' di tutto, dal bianco del ranuncolo pirenaico e della peverina dei ghiaioni, al rosa del "pan di marmotta", fino al giallo dei ranuncoli di montagna.
Il sentiero, grazie alla presenza di molte persone, è ottimamente segnalato dai classici segnavia bianchi e rossi e da una serie di corde fisse che facilitano l'ascesa in vetta. Da quel colletto, in cui la montagna sembra ancora così lontana, manca poco: prima c'è una lunga cengia e poi, con una serie di ripide svolte, si arriva finalmente ai 3537 metri del Rocciamelone. Tutto in "sole" due ore e venti minuti di cammino.

Una fioritura di peverina dei ghiaioni a 3200 metri di quota

Che dire del panorama del Rocciamelone? Tutto e niente. Tutto, come l'immensa quantità di monti che lo sguardo può raggiungere, soprattutto in direzione ovest ed est. Come il già citato Monviso o le montagne dei massicci francesi della Vanoise e degli Ecrins, piuttosto che i giganti della Valle d'Aosta…il Monte Bianco e il Grand Combin sono completamente a disposizione della vista di chi arriva in cima al Rocciamelone, mentre a Monte Rosa, Gran Paradiso e Cervino piace di più giocare a nascondino con le punte che precedono. Lo spettacolo continua in basso: abbassando la testa si possono ammirare il ghiacciaio del Rocciamelone (piccolo, e da quanto ho capito dai discorsi in cima, sempre più piccolo) e il Lago di Malciaussia, teatro di dolci ricordi primaverili dell'anno scorso… (vedi post).

La Val di Viù e sullo sfondo, il Lago di Malciaussia

Non fosse per il ventaccio che abbassa la temperatura percepita in vetta, e per le nuvole che, seppur spettacolari tra i monti delle valli di Lanzo, non minacciano alcunché di buono, mi tocca abbandonare la pietra sopra la quale potevo godere di questa veduta celestiale. C'è una discesa da affrontare,quasi più dura della salita, e c'è una pancia da sfamare. Il Rifugio La Riposa ci aspetta proprio per questo. Scendo con le immagini di monti che a breve saluterò (e rimpiangerò), con la gioia di aver rimosso dal mio “curriculum montano” quest'onta, quella salita al Rocciamelone mai effettuata prima…
A presto!
Stefano

domenica 10 marzo 2013

Lago di Malciaussia

Ciao a tutti,
ad una settimana dall'evento podistico a cui parteciperò, la Zurich Maratò de Barcelona, mi sono concesso ancora una piccola escursione in montagna con le ciaspole. Sperando che non sia l'ultima: di neve (e anche discreta) ce n'è ancora, ma la primavera è ormai alle porte e probabilmente dovrò aspettare Pasqua per calzare di nuovo le mie rosse racchette da neve.

Le mie care ciaspole...

La meta di oggi rappresenta una novità assoluta per me. Non tanto per la meta raggiunta, dato che il mio animo esploratore mi fa compiere normalmente sempre nuovi percorsi, quanto per la zona prescelta. Oggi mi sono addentrato in Val di Viù, la valle più meridionale delle Valli di Lanzo. Dove non ho praticamente messo piede, nonostante molti appassionati, Stefano e Luca su tutti, mi hanno sempre consigliato, descrivendole come luoghi paesaggisticamente incantati. La ragione della mia scarsa conoscenza è presto detta, per starmene in Piemonte, è più facile salire in Val Chisone o in Val Po. Dove di posti spettacolari ce ne sono eccome. E senza, soprattutto, doversi sobbarcare almeno un'ora e mezza di auto con passaggio sulla tangenziale di Torino. E per di più, senza le strade sconnesse che hanno caratterizzato l'ultimo tratto di strada che da Viù porta a Margone, dove ha inizio la salita verso la destinazione di giornata, il Lago di Malciaussia.

Con il Rocciamelone sullo sfondo...


Si sale lungo la strada che porta all'invaso artificiale. Non è durissima, si sale agevolmente tra piccoli boschi e alcune baite diroccate fino a quota 1700 metri, dove il paesaggio cambia e si inizia ad intravedere la diga. La strada ora costeggia il fianco sinistro orografico della valle, fino ad arrivare al gruppetto di costruzioni in punta al lago artificiale. Tutto ciò quando di fronte si staglia maestoso il Rocciamelone. Che, visto da questo lato, ha ben altro aspetto. Fa più impressione!

La Val di Viù vista lungo la discesa a Margone

Micidiale il colpo d'occhio sul lago e i pendii che lo circondano: è tutto bianco! Si riesce a vedere solo qualche chiazza di grigio-azzurro, chiaro segno che lo strato di neve sta per sciogliersi. In fondo è marzo e la temperatura è decisamente alta. Non a caso, i segni dello scioglimento delle nevi sono ben visibili. Infatti, raggiunto il lago scendo verso il rifugio Vulpot e seguo una lieve traccia lungolago fino alle casupole di Pietramorta. Dove le grondaie schizzano acqua a destra e manca. Nel mentre che consumo un frugale pasto, provo a mettere la borraccia, ormai vuota, a raccogliere l'acqua (che non berrò) proveniente dalla grondaia della baita sul quale uscio sono comodamente appoggiato. Pochi minuti, e la borraccia è mezza piena.

Lago di Malciaussia: un'enorme distesa bianca...

Una lettura alla vicenda di Hermann Buhl e Kurt Diemberger sul Chogolisa, qualche minuto di riposo...con il passamontagna. Perchè la crema solare non fa parte del kit invernale da montagna. Sapere di doversi mettere addosso del biossido di titanio non mi piace tanto. E se ne posso fare a meno, evito. Doversi poi alzare dal tiepido "giaciglio" con un panorama così non è che faccia tanto piacere.

Scioglimento compilation

Perchè lo spettacolo, come è anche possibile vedere dalle foto, è immenso. Mi è capitato di dire a me stesso, lungo l'itinerario di ritorno, nel tratto in riva al lago, cose del genere "No, questo non può esistere". E invece esistono, e allora mi fermo, le osservo e le fotografo. E continuerei a fotografare, all'infinito.

No comment, che spettacolo! Le nuvole non possono coprire questa magia...

Come prima gita nelle Valli di Lanzo non c'è veramente male. Alla fine è un'ora e mezza la distanza in automobile che mi separa da queste zone, tutto sommato non è difficile da colmare. Quest'estate, se ci saranno sufficienti week-end disponibili, una capatina la devo fare di sicuro. Per ora, rimango con un bel ricordo di questa giornata sulla neve.

La parete nord-est del Rocciamelone

E non solo un ricordo. Anche una faccia bella rossa.
In fondo, a Barcellona ci devo arrivare pronto in tutti i sensi. Anche con una bella abbronzatura!
Ciao a tutti e buona serata!
Stefano

domenica 2 settembre 2012

Punta Roncia

Ciao a tutti,
dopo un po' di assenza dal blog torno a scrivere qualche pensiero montanaro. Una intensa settimana lavorativa e tempo trascorso in sedute di allenamento, in vista di un'ideuzza che mi è saltata in mente per il mese di novembre (non voglio anticipare nulla pubblicamente nulla, per ora, anche se molte tra le persone più care già sanno), mi hanno distolto dal mio blog.
Torno leggermente indietro nel tempo, ad una settimana fa. Già, esattamente una settimana fa, domenica 26 ho avuto il piacere di superare quota 3600 m (3612 m per la precisione) raggiungendo in compagnia di Stefano e Laura la sommità di Punta Roncia (o, se vogliamo usare la lingua locale, Pointe de Ronce).

Dalla salita verso Punta Roncia: il lago del Moncenisio, la Valle di Susa e in lontananza, il Monviso

Ero già stato in posti a quote superiori: l'Aiguille du Midi, nel massiccio del Monte Bianco, è alta 3842 metri ma lì ci sono arrivato con una comodissima funivia. A Punta Roncia ci sono arrivato con gambe e polmoni. Si ci arriva partendo dal Colle del Moncenisio, in territorio francese; già questa di per sè una location straordinaria se non fosse per la diga che un po' condiziona la bellezza del paesaggio circostante. Va anche detto che da 3600 m la diga non è che si veda poi tanto. E gli occhi sono impegnati in ben altri panorami.
Immensa la visuale: a parte montagne tipo Monviso a sud e Rocciamelone ad est, che sono facilmente individuabili, e la vista sul lago del Moncenisio che ha aggiunto ulteriormente azzurro agli occhi già colmi di un cielo totalmente limpido (...), lo sguardo poteva dirigersi su tutte le cime della Vanoise, sul massiccio del Bianco e del Gran Paradiso.

Punta Roncia è conquistata!

Vista la giornata che abbiamo avuto la fortuna di incontrare, ciò che si è stagliato dinanzi ai nostri occhi è stato veramente poderoso. E poi, per quanto mi riguarda, che soddisfazione arrivare così in alto. Ciò che mi rende personalmente felice, al di là della gioia di avere raggiunto una quota del genere (tanti alpinisti mi riderebbero dietro, ma per me è un bel traguardo!), è la "scarsa" fatica che ho provato a causa della quota: fino a 3000 m non mi sono quasi neanche accorto di salire, e dopo non mi sembra di aver faticato particolarmente. Si, qualche passaggio dove mettere qua e là le mani c'è stato, però, nulla di trascendentale. Voglio dire, ho faticato molto di più in Valle d'Aosta, su itinerari di simile lunghezza (a Punta Roncia si sono sfiorate le dieci ore di cammino) e ad altitudini decisamente inferiori. Sarà l'allenamento di fine stagione? Probabilmente si.
Ad ogni modo, la quota non ha rappresentato problemi. Piuttosto il ventaccio ha disturbato parecchio e mi ha costretto a tenere il passamontagna per buona parte della giornata. Ma alla fine arrivi su, vedi queste montagne, questo lago, queste valli, questo cielo, un paio di stambecchi, la neve, due nazioni e tutto passa in secondo piano. Tu sei lì in mezzo al vento e ti chiedi perché sei lì, perché siamo su questa terra, ringrazi di esserci e godi di questa meraviglia.

Lungo la discesa: il "magro" Glacier de Ronce, Lanslebourg-Mont-Cenis e le cime della Vanoise

E quando scendi in terra civilizzata (mi chiedo: è veramente civilizzata?) ritrovi le solite cose: un caldo infernale, traffico, gente con una curiosa malattia infettiva detta fretta, che sfreccia in autostrada a 200 km/h, gente incazzata a lavoro, già stufa il primo giorno. Non sarebbe meglio pensare che forse sono inezie in confronto a tutto il bello che ci circonda? Lascio a voi l'ardua sentenza.
Ciao a tutti e buon weekend (per chi mi legge ora) o buona settimana (per chi mi leggerà domani).
Stefano

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