giovedì 31 marzo 2016

Bücher: Il miniaturista

"Madame dice che l'amore è meglio quando è un fantasma che quando è reale, è meglio rincorrerlo che trovarlo."
Jessie Burton, Il miniaturista
 

Romanzo avvincente, questo Il miniaturista di Jessie Burton. Ma voglio precisarlo fin da subito: se il livello di pathos è altissimo lungo quasi tutto il suo svolgimento, beh, non si può dire altrettanto del suo finale, certamente carico di speranza, ma tutt'altro fuorché trascinante, Ma non per questo lo sconsiglio. Perché, prima di tutto, tocca tematiche forti, fortissime, se si considera il periodo storico (XVII secolo) e il contesto sociale in cui è ambientato il romanzo (la ricca borghesia di Amsterdam): l'omosessualità, la condizione della donna, il potere smisurato della Chiesa, la corruzione e l'avidità.
La protagonista, Nella Oortman, si ritrova catapultata dalla campagna olandese nel bel mezzo di Amsterdam, sposa di Johannes Brandt, un uomo ricco e influente che non la ama. La sua vita trascorre lenta e noiosa, resa un inferno dalla dura cognata Marin e dal marito stesso, che non le fa mancare niente se non la cosa più importante in un matrimonio, cioè l'amore. L'unico svago è uno stipetto, un mobile che riproduce l'intera casa Brandt, il quale viene arredato e adornato secondo il gusto di Nella e della miniaturista, un enigmatico personaggio (da cui il titolo) che non si rivela alla luce del sole e che in ogni suo pezzo lascia indizi inquietanti sulla vita di casa Brandt. Poi una serie di colpi di scena oscuri e sanguigni che dà il via al rebus...
Romanzo semplice e godibile, Il miniaturista è un romanzo che sa come attrarre il lettore, con immagini forti e tematiche altrettanto importanti. L'intreccio creato dalla Burton è notevole e ben costruito, ma come ho detto già all'inizio, nel finale sembra sciogliersi in una conclusione triste e scontata, che dà speranza ("Le cose possono cambiare") ma lascia poca soddisfazione al lettore. Ciononostante, la descrizione fisica e psicologica dei protagonisti, l'ambientazione del romanzo, la rappresentazione di immagini come l'odore delle aringhe o il sapore dello zucchero, la sfida tra due personalità femminili di grande intensità, oltre alle tematiche importanti affrontate, sono comunque ottimi motivi per affrontare una lettura sobria ma vigorosa come quella de Il miniaturista.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 8/10 

mercoledì 23 marzo 2016

Drei Jahre

No, non sarà
un'avventura, un'avventura
non è un fuoco che col vento può morire
ma vivrà
quanto il mondo
fino a quando gli occhi miei
avran luce per guardare gli occhi tuoi.
Lucio Battisti, Un'avventura


venerdì 18 marzo 2016

Risveglio e accelerazione

Se è difficile tornare a fare delle ripetute, è ancora più dura correrle nel gelo di un inverno che non vuole finire e che persiste anche a metà marzo. Perché correre al freddo non è proprio il massimo (per me), tantomeno facendo ripetute, mai stata la modalità di allenamento più amata. Ma se voglio preparare l'imminente stagione primaverile di corse, senza maratona ma non per questo demotivante, ho bisogno di mettere chilometri nelle gambe. E di farlo bene: il lavoro sulle ripetute garantisce risultati eccezionali.

Sognando di correre in climi un po' più caldi... (fonte: runningmania.it)

Dopo qualche seduta in palestra sul tapis roulant, tra lavoro di fondo e di interval training, ho dovuto confrontarmi con l'uscita all'aria aperta. Impatto forte, quello con le temperature attorno agli zero gradi. Ma non correre in esterni con le recenti belle giornate di sole sarebbe stato un delitto. E allora, rieccomi in pista. Per la precisione, sulla cara Mainradweg, fidata sede di ogni allenamento importante: quattordici chilometri, sui quali distribuire otto chilometri "forti" intervallati da cinquecento metri di (relativo) riposo. Come è andata? Onestamente pensavo peggio... Se la prima ripetuta l'ho fatta a 4'09"/km, dopo è stato un lento ma inesorabile decrescere verso tempi ai quali ero decisamente poco abituato (peggiore ripetuta in 4'22"/km). Ciononostante, ho chiuso il mio classico allenamento di 14 chilometri ad un passo più che positivo: 4'29"/km. Che sia stato solo il preludio?
Io speravo di si. La conferma l'ho avuta pochi giorni dopo su una sessione di allenamento condotta nel medesimo modo, 8x1000 metri intervallati da 500 metri di scarico. Beh, le ripetute le ho corse tra 4'07" e 4'12"/km (che bel miglioramento!). Ma il dato più interessante è che le due ripetute più veloci le ho fatte alla fine, a muscoli esausti. Il mio allenamento lo chiudo in 4'22"/km di passo medio. Oltre un minuto di meno. E nella terza uscita sulla medesima distanza, finalmente a temperature più ragionevoli, mi sono tolto un'altra soddisfazione, due ripetute su otto a 4'04"/km e altri secondi limati sul passo.
Ok, la prima uscita ho scherzato, mi sono scaldato. La seconda ho premuto forte il pedale dell'acceleratore. Dove potranno portarmi le mie gambe questa primavera, però, ancora non lo so...
Bis bald!
Stefano

giovedì 17 marzo 2016

Orgoglio - The day after

Riavvolgo un attimo il nastro: ore 22.34, ottavi di finale di Champions League, partita di ritorno, Bayern Monaco-Juventus 1-2, recupero del tempo regolamentare. Una palla da spazzare in tribuna va sul piede dell'ex di turno, che la butta senza pensarci troppo in mezzo all'area. Arriva un certo Thomas Müller (già, proprio lui, cosa dicevo?) e la sbatte dentro. Supplementari consegnati ai bavaresi e il resto si sa come va a finire: 4-2 per i campioni di Germania e ciao ciao Champions League. Quando l'arbitro fischia la fine dell'incontro scorre tutto davanti ai tuoi occhi: le cose meravigliose viste fin lì (che gol, quello dello 0-2), seguite in un mix di estasi ed incredulità, ma soprattutto le cose brutte: le occasioni sprecate da Morata sullo 0-2, l'errore di Lichtsteiner che sul 2-2 appoggia la palla a Neuer invece di sfondare quella rete, a Sturaro che ciabatta a porta sguarnita nell'area piccola, Evra che parte palla al piede e sanguinosamente la perde.

Ripartire con grinta (fonte: footballmole.com)

Molti tifosi non avranno dormito e un po' li capisco. Io queste cose le vivo con più serenità. Le uniche lacrime versate per una partita sono datate 1994 per il famoso rigore calciato altissimo da Baggio. Ma avevo otto anni. Il calcio è un gioco bellissimo, il più bello di tutti. Ma rimane un gioco. E ieri sera, nonostante tutto, io mi sono divertito a vedere la mia squadra tenere testa ad uno dei club più forti e più titolati del mondo.
La serenità che posso mostrare oggi non si può neanche immaginare in Italia. Fatte ovviamente le dovute eccezioni, con interisti frustrati e i napoletani blateranti non si può aprire una discussione seria di calcio, sarebbe un po' come convincere Berlusconi a diventare gay. La serenità di oggi, che deriva da una prestazione super, della quale non posso che essere orgoglioso, è anche merito di un ambiente che ama il calcio, ma che da esso non ne rimane sopraffatto.

2-2, la partità e psicologicamente chiusa (© imago/Moritz Müller)

Oggi, in ufficio, ho distribuito Glückwunschen a tutti i colleghi che sapevo essere tifosi del Bayern. Era giusto ed onesto così, perché alla fine chi segna vince, e loro hanno segnato di più. Stop. Sfiorare l'impossibile non basta, bisogna realizzarlo. Questo è il calcio, se non si accetta questo dogma si vada pure a seguire il badminton.
Con i miei colleghi ho dunque aperto una serena discussione, un po' in inglese, un po' di tedesco, sulla partita di ieri. Qualcosa che non avrei mai potuto credere: ero pronto agli sfottò, ho ricevuto i complimenti. I tedeschi ne capiscono di calcio, indubbiamente, ed è stato bello confrontarsi con loro. Intensamente ed onestamente. Sanno bene che hanno sì superato il turno, ma non senza faticare perché a contendersi la qualificazione c'era una squadra tostissima. Dopo questa partita, credo proprio che, per l'onestà di pensiero di questa società (anche un certo Rummenigge si è complimentato) e di questa tifoseria, sosterrò il Bayern nel suo cammino in Champions League.

Ricordo di una delle partite di Champions League più pazze della mia vita

Qualcuno è arrivato addirittura a chiedermi se ero triste oggi, nel mio generale stupore. Ma non potevo essere triste, dopo una simile prestazione. Potevo solo essere contento, nonostante il risultato negativo. Il mio capo del personale mi ha fatto dono di una sciarpa del Bayern, in amicizia, senza alcun intento provocatorio. Magari la metterò da qualche parte in casa, a ricordo di una delle più belle emozioni calcistiche vissute in trent'anni di vita e di uno dei "day-after" più incredibili a cui ho assistito.
Bis bald!
Stefano

mercoledì 16 marzo 2016

Er müllert wieder?

Se c'è un giocatore simbolo del Bayern Monaco, che stasera affronterà all'Allianz Arena la Juventus negli ottavi di finale di Champions League, questo non può che essere Thomas Müller. Più del suo capitano, Philipp Lahm. Più del suo uomo copertina, il portiere Manuel Neuer. Più del centravanti più desiderato d'Europa, il polacco Robert Lewandowski. Un giocatore così amato dai bavaresi - e dai tedeschi, quando gioca per la Mannschaft - che gli è stato "dedicato" pure un verbo. Quando segna TM25, non si dice "Thomas Müller ein Tor schließt!" ma "er müllert!"

Tutta la grinta di TM25 (fonte: focus.de)

Perché è amato dai tifosi del Bayern? Forse perché assieme ad altri tedeschi del Bayern è un bavarese doc: come altre due pedine chiave del passato e del presente del Bayern, Philipp Lahm (da Monaco) e Bastian Schweinsteiger (da Kolbermoor), Thomas Müller è un prodotto del vivaio monacense e proviene dal cuore della Baviera, da Weilheim in Oberbayern, località a due passi dallo Starnberger See. Müller è osannato dalla tifoseria bavarese, ma credo che il vero motivo sia molto semplice: perché il modo di intendere il calcio del numero 25 del Bayern è l'essenza stessa della mentalità bavarese nella vita comune. Thomas Müller non è un giocatore di fosforo, non è un giocatore di attesa, Thomas Müller fa. Thomas Müller pratica un calcio elementare e preciso. Thomas Müller sa sempre dove si trova, dove si trovano i suoi compagni e dove si trovano i suoi avversari. Thomas Müller sa sempre come uscire dalla marcatura. Thomas Müller è il moto perpetuo, è l'incarnazione del sacrificio. Thomas Müller sa ricoprire più ruoli: la prima punta, la seconda punta, l'ala, la mezzala, il trequartista. Oppure tutti e cinque assieme, perché è sempre nel posto giusto al momento giusto. Thomas Müller segna una vagonata di reti, tutto senza l'estro cristallino di Lionel Messi, senza la forza fisica di Luis Suarez, senza l'esplosività di Cristiano Ronaldo. Thomas Müller segna di testa, di piede, di coscia, di petto. Thomas Müller la mette sempre dentro.

Dall'andata degli ottavi: scene che non vorrei rivedere (fonte: fcb.de)

Thomas Müller è ufficialmente un centrocampista ma ha numeri spaventosi sotto porta: è il primo marcatore della storia del Bayern Monaco in Champions League (34 reti a pari merito con l'altra leggenda di nome Müller, Gerd), e con 147 reti è il terzo marcatore della storia del Bayern (dopo l'irraggiungibile Gerd Müller e Karl-Heinz Rummenigge). E anche con la nazionale tedesca... dieci reti solo nella fase finale dei Mondiali (a soli ventisei anni)! A mio avviso, è il giocatore più temibile della corazzata tedesca - e il giocatore che da avversario, ammiro di più: Thomas Müller è sicuramente il più universale tra i calciatori della sua generazione.
Fra poco i giocatori della Juventus se lo troveranno di fronte, e sarà un piacere, perché è sempre bello poter sfidare squadre e avversari di grande valore. Ma spero sinceramente di non sentire, dai microfoni della ZDF, la fase di rito... Er müllert wieder!
Bis bald! Und viel Glück (= buona fortuna)
Stefano

lunedì 14 marzo 2016

Schmeckt gut!

Ciao a tutti!
L'Italia e la Germania sono due nazioni che, culinariamente parlando, mi hanno portato a dover fare delle scelte obbligate estreme. Quali sono i prodotti enogastronomici simbolici di Italia e Germania? Se chiedete in giro, probabilmente l'80% risponderà rispettivamente la pizza e la birra. Io, che sono celiaco, debbo rinunciare per forza ad entrambe. Alcuni amici, senza cattiveria ovviamente, hanno riso e continuano a ridere di questo fatto: da italiano, non posso mangiare la pizza; da espatriato in Germania, non posso bere la birra. La celiachia, per chi vive in Italia o in Germania, può essere vissuta come un problema.
Con l'intento di fugare ogni dubbio, voglio innanzitutto spiegare con parole semplici cosa è la celiachia: una malattia cronica dell'intestino tenue che causa una ipersensibilità ad una proteina chiamata glutine, fondamentale in cucina per conferire ai prodotti da forno coesione ed elasticità. L'intolleranza al glutine persiste per tutta la vita ed è in parte ereditaria (anche se le origini non sono ancora state chiarite). L'unica misura per contrastare il problema è una dieta priva di glutine. Ma il glutine è presente nel grano, nell'orzo e in molti altri cereali, quindi in molti alimenti. Ed è un problema che non ha una sintomatologia specifica, può colpire in diverse forme e a diverse età. Il miglioramento continuo delle tecniche di screening sta rivelando un continuo aumento di persone intolleranti al glutine: in Germania siamo in ottocentomila (!!!), che in percentuale significa l'1% dell'intera popolazione.

Ecco la mia prima pizza rucola

Essere celiaci non vuol dire necessariamente essere malati. Con la giusta dieta si possono realizzare grandi cose. Io ho corso (finora) sette maratone e completato percorsi durissimi nelle Alpi; non voglio peccare di presunzione, ma ciò che ho fatto è qualcosa che tante altre persone non celiache non possono neanche sognare di realizzare. E alcuni atleti dimostrano come essere celiaci non sia una barriera al conseguimento di grandi vittorie sportive: il tennista serbo Novak Djokovic, il rugbista italiano Martin Castrogiovanni e il calciatore tedesco Jérôme Boateng sono tutti e tre affetti da celiachia.
La differenza è più psicologica: non è facile andare in pizzeria o in birreria e non poter condividere il piacere di una pizza o di una birra con gli amici. Ci sono alternative, certo, ma a volte non può esser la stessa cosa. Sulla birra è più facile: soprattutto in Italia, alcuni marchi commercializzano da tempo birra priva di glutine. Nient'affatto male. Con la pizza è ben più difficile: farla a casa non può essere la stessa cosa. Mia mamma ci ha provato tante volte, ma il risultato è sempre stato ben lontano da quello che mi ero immaginato. Qualche pizzeria si cimenta nel fornire anche una versione glutenfree, ma in Italia erano sempre posti estremamente scomodi. Il bello di andare a mangiare una pizza sta anche nel non doversi muovere di tanti chilometri.

Senza glutine ma con gusto

Ma le pizzerie abbondano anche in Germania. Perchè la pizza è buona, è simbolo della nostra cucina all'estero, e perché di italiani in Germania ce ne sono veramente tanti. La pizza celiaca l'abbiamo trovata a pochi chilometri da casa nostra, a Grafenrheinfeld, paese famoso per la sua centrale nucleare, ora inattiva. Ci siamo andati qualche sera fa, con la scusa di festeggiare un evento per noi importante, e ne siamo rimasti entusiasti. Perché alla pizzeria "Ai Due Galli" di Grafenrheinfeld: 1) alla veneranda età di trent'anni, ho mangiato la mia prima vera pizza, e 2) secondo l'autorevole parere di Giulia, la versione gluten-free non è molto diversa da quella celiaca.
Cambia l'impasto e i suoi ingredienti, ovviamente, ma il condimento è sempre lo stesso - con due euro in più sul prezzo della versione "normale". Qualcuno può storcere il naso, ma chi è celiaco ben sa quanto siano più costosi gli ingredienti privi di glutine. Per soli due euro in più, non ci si pone di certo il problema di rinunciare ad una vera pizza...
Bis bald!
Stefano

domenica 13 marzo 2016

Bücher: I giorni grandi

"...un nuovo movimento eroico dell'animo. Svincolato ormai dalle strutture della moralità classica, che sorreggeva i martiri e i guerrieri antichi, esso assume un altro profilo, più adatto al nostro tempo. A provocarlo sono le frustrazioni di una civiltà tecnicistica e la ribellione a una società collettivistica, una società felice quasi di poter confondersi con tutti gli altri», e soddisfatta di poter sembrare piuttosto che di essere. È inoltre il rifiuto dei disinganni e delle bassezze a generare questo eroismo, ed è anche il rigetto di quella sicurezza promessa dal progresso, che una volta acquisita non fa più progredire l'animo. Si scopre così che il moderno eroe si manifesta «contro» invece di aderire «per», disprezza questo piatto e logoro mondo, ridotto a una «maledizione sottile», si fortifica l'animo voltandogli le spalle, rischia la morte per fuggirlo nella solitudine pura di una montagna selvaggia, di un oceano tempestoso, di un deserto."
Walter Bonatti, I giorni grandi


Un capolavoro introvabile e forse per questo motivo intramontabile: questo è I giorni grandi, il secondo libro di Walter Bonatti, pubblicato nel 1972. Non scherzo quando dico che è introvabile. Si può acquistare solamente usato, e a peso d'oro, su eBay. Oppure procurarselo per vie traverse - come ho fatto io. Per non perdersi questo capolavoro della letteratura di montagna.
Su Bonatti si è detto e scritto molto. La mia ammirazione per l'alpinista-Bonatti ma soprattutto per l'uomo-Bonatti è sconfinata. Ma con I giorni grandi, si vanno a toccare non solo vette come il Cervino o Grandes Jorasses, ma si raggiunge l'apice della filosofia dell'alpinismo. Come sempre, nell'opera di Bonatti, la trama non è un elenco delle sue più grandi avventure. Dal racconto dalla tragedia del Frêney, tanto drammatico quanto lucido, all'impresa sulla nord del Cervino, concentrato di sensazioni indescrivibili, la mera cronaca alpinistica si miscela con le considerazioni etiche e morali sull'alpinismo di ieri, sull'alpinismo dell'epoca di Bonatti e addirittura attuale. Con I giorni grandi Bonatti si erge come sulla cima di una montagna e osserva, scruta, capisce quale futuro toccherà all'alpinismo. E da attento ed acuto osservatore della realtà che lo circonda, non lo risparmia da critiche.
Essenziale e scarno, come la sua filosofia di vita, I giorni grandi entra di diritto nella storia della letteratura di montagna, anche grazie alla dedica che Bonatti rivolge a Messner, definendolo «giovane e ultima speranza di un alpinismo tradizionale» e alla prefazione firmata dall'illustre firma di Dino Buzzati, che descriverà questo libro come «privo assolutamente di retorica… di scarna efficacia e di serrato ritmo nelle pagine più drammatiche». Un must.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 10/10 

venerdì 11 marzo 2016

Uno zaino alternativo

Ciao a tutti!
Qualche giorno fa, sulla pagina Facebook di uno dei più forti alpinisti italiani del momento, Hervé Barmasse, è comparso un post che mi ha fatto sorridere, per vari motivi. Poche righe senza considerazioni filosofiche, solo un dettaglio "tecnico" sulla preparazione atletica per chi va in montagna...

«Un allenamento valido per prepararsi ad una salita in stile alpino in Himalaya è "20 kg per 1000 metri". Caricate lo zaino con 20 kg di peso e su una salita molto ripida iniziate a camminare veloce. L'andatura deve comunque permettervi di parlare, ma allo stesso tempo le gambe devono bruciare!!!»

Scene da zaino in spalla, sull'Alta Via n.2 della Valle d'Aosta

Ho riflettuto su queste parole, apparentemente prive di un significato nascosto. Sono comunque parole di un grande alpinista, che ho avuto la fortuna di incontrare e il piacere di leggere.
Ho sorriso tra me e me, perché questo vorrebbe dire che, secondo le parole di Barmasse, sarei più che pronto ad affrontare un'esperienza in Himalaya. Come? Semplicemente camminando su un'Alta Via. Considerando tutti i passi da superare sull'Alta Via n.1 e sull'Alta Via n.2 della Valle d'Aosta, ben dodici di questi superano i mille metri di dislivello. E li ho affrontati con uno zaino il cui peso andava ben oltre i venti chili... Mi piace crederlo, mi piace sognarmi da qualche parte tra le vette più alte della Terra. Ma sono anche ben conscio che in alta quota - senza andare per forza in cima ad un ottomila, eh - intervengono altri fattori ai quali non so come potrei reagire.
Mi è (metaforicamente parlando) scesa una lacrimuccia, perché ho ripensato a tutto ciò che di bello ho vissuto in montagna e ho visto tutto ciò molto lontano. Non irripetibile, ma lontano. Così come lontane sono da qui le montagne che amo. So che quest'anno di montagna ne vedrò poca, quindi è normale, per uno come me, trascorrere qualche minuto di malinconia ripensando al passato.
Mi si è aperto il cuore, pensando che fra qualche anno ci possa essere un'opportunità nuova. Un'opportunità che non mi negherà di andare per montagne. Anzi, magari mi permetterà di conoscerne di nuove. E tramite le quali potrò allenarmi, per continuare a sognare un viaggio in Himalaya. Sempre in mezzo ai monti, sempre con il mio zaino, ma con un carico ben diverso. Magari anche superiore a venti chili. Un carico, diciamo... in carne ed ossa.
Bis bald!
Stefano

giovedì 10 marzo 2016

La città di merda

Ciao a tutti!
Quando si viaggia in Germania, soprattutto se in automobile, è inevitabile per un italiano incontrare lungo l'itinerario qualche città il cui nome risulti quantomeno buffo. La lingua tedesca, indoeuropea ma del ramo germanico, ha origini (e dunque lessico) completamente diverse dall'italiano, e talvolta anche dalla più somigliante lingua inglese. Anche i nomi delle città, esattamente come alcune parole della lingua tedesca, possono sembrare a noi italiani veramente strambe, grazie ad assonanze con parolacce, ad attinenze a carattere sessuale e altro ancora. Vediamo quali sono, a mio giudizio, i nomi di città più bizzarri.

Esiste davvero! Foto di archivio, 6 giugno 2015

1. Sömmerda (Turingia). Questa è la città che ha ispirato l'intero post. Durante il mio primo sconfinamento dai confini della Baviera, in direzione Erfurt, mi imbatto nel segnale che indica la direzione verso Sömmerda. È una città che fa c***re? Quando completeranno l'autostrada che l'affianca, magari ve lo dirò. Ma dubito che sia molto interessante: in Germania è conosciuta più per essere la città che ha dato i natali allo storico difensore del Bayern Monaco e della Mannschaft Thomas Linke.

2. Poppenhausen (Baviera). Quando Giulia mi disse che una sua compagna del corso di lingua abitava a Poppenhausen, beh, sono scoppiato a riderle in faccia. Il nome promette bene, ma di donne formose, in quelle due-tre occasioni in cui sono stato o sono passato da Poppenhausen, non ne ho mai viste. Anzi, tutto più che nella media. Ignoro il significato di "Poppen" in tedesco, ma qualcosa dovrà pur indicare, se in Germania esistono anche località come Poppenreuth e Poppendorf ("il villaggio dei seni")...

3. Stockach (Baden-Württemberg). Questa è una località che abbiamo scoperto durante la ciclovia del Lago di Costanza. Non l'abbiamo attraversata con le nostre bici, ma in auto. A me ha fatto venire in mente la classica risposta di burla che si dà all'amico che chiede «chi???»: «sto c***o!!!». In Germania, è possibile anche con la domanda «dove???»: «a Stockach!».

4. Sexau (Baden-Württemberg). Di città tedesche che finiscono in –au c'è ne sono un infinità, ma questa ha sicuramente il miglior prefisso possibile. Non immaginate che sia una città piena di bordelli: Sexau è una città di appena tremila abitanti nel cuore della Foresta Nera...

5. Drogen (Turingia). Per un attimo ho voluto credere che Drogen fosse una parola dal significato ben diverso da quello che gli italiani attribuiscono. Invece è proprio quello! Mi viene spontaneo chiedermi se i primi abitanti di questo paese si fossero drogen...

Incredibile, ma vero.
6. Burladingen (Baden-Württemberg). Questo è un nome che parla chiaramente da solo, un paese che è uno scherzo a partire dal suo nome. Però non scherzo ora, quando dico che una delle frazioni di questo paese di tredicimila anime, si chiama Killer. Per favore, non ammazzatevi dalle risate.

7. Pissen, Leuna (Sassonia-Anhalt). Si potrebbe dire che la località di Pissen, una frazione della città di Leuna, faccia il paio con Drogen. Erroneamente si potrebbe pensare che la parola pissen non abbia alcun legame con l'urinare. Invece ne è proprio la traduzione.

8. Külitz, Schnega (Bassa Sassonia). Se invece che a Schweinfurt fossi finito ad abitare a Külitz, frazione di Schnega, una sperduta cittadina nel bel mezzo del nulla della sconfinata landa settentrionale della Germania, sicuramente mi avrebbe detto, scherzando ma con ragione, «che Külitz!». Per inciso, Kuli in tedesco, significa biro.

9. Vacha (Turingia). La Turingia regala sempre grandi soddisfazioni quanto a nomi eccentrici. Tantissimi di questi terminano in –a, peculiarità proprio di questa regione. Uno di questi è proprio Sömmerda, ma ci sono tanti altri esempi: Jena, Magdala, Gotha, Apolda, Tanna, Gera, Lucka, Hartha, Ruhla. Vacha, però, è insuperabile.

10. Tettnang (Baden-Württemberg). Tranquilla e storica cittadina a pochi chilometri di distanza dal Lago di Costanza, Tettnang si allinea a Poppenhausen: di formoso c'è solo l'inizio del suo nome, mentre è molto più conosciuta per ospitare la sede principale della VAUDE, noto marchio di materiale alpinistico.

Una mappa delle città dal nome più strambo

11. Barby (Sassonia-Anhalt). Ok, le origini di questa città sono addirittura anteriori all'anno 1000 - viene citata per la prima volta in un documento di Ottone I. Ma con l'avvento della (quasi) omonima bambola, bisognerebbe concedere a Barby la possibilità di cambiare il proprio nome.

12. Kissing (Baviera). I tedeschi stessi inseriscono la cittadina di Kissing nell'elenco delle città dai nomi più strani. La Germania può tuttavia ritenersi ancora fortunata. Perché se la Germania annovera Kissing, i vicini austriaci possono vantare negli elenchi delle loro città la cittadina di Petting, a pochissimi chilometri di distanza dal confine austro-tedesco.

13. Benzin, Kritzow (Meclemburgo-Pomerania Anteriore). Benzin è una parola più austriaca per indicare quella che in Germania è conosciuta come Super E10 (benzina senza piombo miscelata con un 10% di etanolo). Ma il senso è ben noto a tutti. Che questa piccola località nascondi qualcosa di... fiammeggiante?

14. Essen (Renania Settentrionale-Vestfalia). Forse a molti italiani non sembrerà un nome particolarmente strano. Tuttavia, sapendo che la traduzione del nome di una delle grandi metropoli della Ruhr è mangiare, ho deciso di inserirla comunque nella classifica. Sorge la domanda: Essen è famosa per alcune tradizioni culinarie? Tutt'altro: Essen è conosciuta principalmente per essere la sede di grandi industrie e aziende, come ThyssenKrupp, Evonik, ALDI e Deichmann.

15. Katzow (Meclemburgo-Pomerania Anteriore). The last but not the least, come si suol dire. Katzow, per ovvie assonanze, non può che entrare di diritto nella cerchia dei nomi più assurdi che noi italiani troviamo in Germania. E non finisce qui. Con il prefisso Katz- ci sono anche Katzenelnbogen (in Renania-Palatinato), Katzenfurt (in Assia), Katzenbach e Katzwang (in Baviera) e Katzhütte (in Turingia). Non risparmio neanche una collina non lontana da Schweinfurt, il Katzenberg, la cui la traduzione letterale è ben più dolce: la "montagna dei gatti".

mercoledì 9 marzo 2016

Non si brinda al glifosato

Ciao a tutti!
Notizia di una settimana fa circa: in alcune birre di produzione tedesca è stata riscontrata una massiccia presenza di glifosato, uno dei più comuni diserbanti utilizzati in agricoltura. La notizia fa scalpore, in quanto sono coinvolti marchi di birra famosissimi in tutto il mondo, quattordici per la precisione. Dieci di questi sono anche i marchi più importanti per il volume di birra prodotta annualmente (nell'ordine): Oettinger, Krombacher, Bitburger, Beck's, Warsteiner, Hasseröder, Veltins, Paulaner, Radeberger ed Erdinger. Per interderci, questi marchi producono da soli oltre tre miliardi di litri di birra ogni anno. Una cifra importante, tanto quanto il giro di affari che ne è legato. Ed è un ulteriore colpo per l'immagine della Germania nel mondo, già colpita nel 2015 dalla tragedia Germanwings e dallo scandalo Volkswagen.
Ho letto veramente di tutto su questa vicenda - ancora in totale fase di sviluppo - ma il meglio come sempre l'hanno sfoderato le frange più populiste dell'informazione italiana, sempre in prima linea quando vi è di mezzo l'immagine della Germania: "birra al pesticida", "birra illegale", "birra cancerogena" e via dicendo. Forse non sanno che il glifosato è uno dei diserbanti più comuni e quindi mi stupirei se questo non venisse trovato, per esempio, anche nel vino (del quale siamo i primi al mondo).

Solo birra? (© Reuters)

Andrebbe anche detto che questo diserbante è assolutamente legale (entro certi limiti). Dall'altro lato, va ricordato che la concentrazione di glifosato non è regolamentata per quanto concerne la birra. Ecco la parola chiave della vicenda: chiarezza. Pari a zero. Perché il caos che si è creato a riguardo è totale. Da una parte c'è la ricerca dell'Istituto per l'ambiente di Monaco che dichiara i numeri dello studio; dall'altra ci sono i birrai e i coltivatori delle materie prime, che considerano le cifre non plausibili (pare che il glifosato sia utilizzato solo all'inizio della coltivazione), e che attaccano il marto d'orzo di importazione. Poi c'è l'OMS, che tramite un suo organo apposito fa sapere che il glifosato è un probabile cancerogeno; l'Autorità europea per la sicurezza alimentare invece smentisce tutto, ma basandosi su un rapporto dei produttori stessi della sostanza. Insomma, il solito scaricabarile a livello europeo, un gran casino, ovviamente influenzato da interessi di parte. Mai nessuno che faccia i veri interessi dei consumatori.
Comunque, da residente in Germania, non sono particolarmente preoccupato di questa vicenda. Forse perchè, essendo celiaco, non bevo birra? No, perché di birra prodotta in Germania, anche la mia famiglia ne fa uso e consumo. Nel baule della mia auto, quando viaggio verso l'Italia, ci sono sempre in media una-due cassette di birra per familiari, amici e colleghi. Il motivo è presto detto: noi consumiamo (e quindi "importiamo") birra locale, prodotta a pochi chilometri di distanza. La realtà birraia in Germania è anche avere la possibilità di acquistare birra prodotta in loco, con estrema facilità. La risposta alle minacce che vengono rivolte ai grandi marchi di birra sta quindi nel puntare sul prodotto di qualità prodotto sul posto. E l'abbondanza di birrifici in zona mi fa dormire sonni tranquilli. Tschüß, glifosato!
Bis bald!
Stefano

martedì 8 marzo 2016

C'è bisogno di donne straordinarie: Grace Hopper

Ciao a tutti!
8 marzo, Festa della Donna. Mi tocca vedere le solite cose: fiumi di mimose, auguri falsi, banalissimi stati condivisi su Facebook, frasi di circostanza, comportamenti prevedibili e talvolta ipocriti. Non cambia mai niente, come la situazione della donna oggi. Nel mondo occidentale, ancora sottopagate rispetto agli uomini, ancora vittime di violenza, in non pochi casi soggiogati alla volontà maschile. Nel resto del mondo, nel Medio Evo, beh, è ancora peggio, la donna è sinonimo di schiavitù.
Ma oggi, giornata internazionale della donna, non voglio, per l'appunto, scrivere frasi fatte o esprimere auguri banali. Preferisco raccontare una storia, per quanto possa essere in grado di farlo, di una donna straordinaria, di una donna che nonostante tutte le avversità "ambientali" ha saputo vincere in un mondo maschilista. Una di quelle storie che ci fa rendere conto di come le donne possano essere storie di successo, di come le donne possano scrivere pagine fondamentali della storia umana.

Grace Murray Hopper al lavoro sull'UNIVAC I

Si, perché il mondo senza Grace Murray Hopper sarebbe probabilmente un pochino diverso da come lo conosciam. Senza di lei, forse, tutta la tecnologia che stiamo usando - che sto usando! - non sarebbe esistita, o più probabilmente sarebbe comparsa qualche decennio dopo. Grace Hopper era una programmatrice, una figura tra le più illustri nella storia dell'informatica. Il lavoro di questa donna minuta, ma dalle grandi idee, contribuì alla nascita di uno dei primi calcolatori commerciali, l'UNIVAC I. Successivamente, fu la prima a teorizzare la possibilità di creare linguaggi di programmazione indipendenti dalla macchina. Se avete sentito parlare di Fortran, o del termine bug, è tutto merito suo. Grace Hopper fu una delle poche donne che riuscì ad emergere in un ambiente ostile come quello della matematica e dell'informatica.
Ma il nome di Grace Hopper è legato anche ad un altro fenomeno, che coinvolge l'universo femminile nel suo insieme molto più di quanto non l'abbia fatto lei nel secondo dopoguerra.
Grace Hopper fu infatti una delle migliaia di donne americane che si arruolarono nell'esercito americano durante la Seconda Guerra Mondiale, come programmatrici: una guerra si vince anche per mezzo di sofisticati calcoli scientifici o tramite complicati metodi di decriptazione. Il loro ruolo, non celebrato come quello dei soldati al fronte, fu però altrettanto decisivo per la vittoria finale. A dimostrazione che nulla può o deve essere precluso alle donne.
Bis bald!
Stefano

lunedì 7 marzo 2016

Quota 150000 visite: Grandes Jorasses

Ciao a tutti!
Un altro traguardo per il contatore delle visite è stato raggiunto: ora sono oltre 150.000 gli accessi su A spasso tra i Giganti! È giusto celebrare (per me) questo impensabile traguardo, è giusto regalare (per voi) una foto speciale. Per l'occasione pesco nell'archivio dei ricordi andando in Francia, dove maestosamente si innalzano le colonne di roccia delle Grandes Jorasses, dove scorre il fiume di ghiaccio della Mer de Glace...

Le Grandes Jorasses e non solo. Foto di archivio, 9 agosto 2010.

venerdì 4 marzo 2016

E io che credevo che...

4 marzo. Un giorno speciale per me. Tre anni fa annunciavo che avrei dato una bella sterzata alla mia vita, decidendo di trasferirmi in Germania. Per poco o per tanto, non lo sapevo allora e non lo so nemmeno ora. Una decisione sofferta, che ha sconvolto nel male e nel bene (soprattutto nel bene) il mio futuro. Ripenso a quei giorni, ripenso a tutte le riflessioni, ripenso a tutte le seghe mentali di mesi, tutte le speranze e le incertezze, al mio primo viaggio verso Schweinfurt, in totale solitudine. Quante cose sono passate e cambiate da allora: mi piace, ora, riderci su.
Uno dei motivi per cui rimango più divertito, è vedere come è cambiata nella mia mente, in questi tre anni, la mia immagine personale della Germania e dei tedeschi. Sono partito dall'Italia con alcuni luoghi comuni ben fissi nella mia mente, ai quali mi sono dovuto presto ricredere.
E io che credevo che...

Bionde all'Oktoberfest (© Ansa)

...le tedesche fossero tutte bionde e bellissime. Chi non ha in mente lo stereotipo della tedesca alta, bionda, con gli occhi azzurri, bellissima? Appena arrivato in Germania mi sono reso conto di quanto falso fosse questo luogo comune: Ci sono frotte di tedesche nane, ce ne sono una marea con i capelli e con gli occhi scuri, e soprattutto di brutte... non ce ne sono poche. Agli amici che mi chiedono come siano esteticamente le tedesche rispondo che fino ai ventun'anni sono apprezzabilissime, dopo... dopo tante (non tutte, fortunatamente per loro e per i loro compagni) si trasformano in bidoni ambulanti. Sarà che quest'area della Germania in cui vivo, la Franconia, è così aspra e rude che forse è in grado di forgiare solamente donne dai lineamenti grezzi ("da boscaiola", come adoro descrivere)? L'alimentazione fa la sua parte, soprattutto la birra, il "pane liquido" in grado di gonfiare a dismisura: a lavoro ho visto ragazzine meravigliose trasformarsi in ragazze dalle forme tutt'altro che armoniose - per fare una descrizione educata, ecco. Poi ci sono anche le eccezioni, quindi capita talvolta di incontrare una supergnocca. Guardando alla media, il mio consiglio è: teniamoci le italiane, e ben strette.

Manuel Neuer, il più amato dalle tedesche (fonte: dfb.de)

...i tedeschi fossero tutti alti e belli. Qui si fa il paio con le ragazze tedesche. Mica sono tutti come Manuel Neuer o Mario Götze. Nel gran calderone della casistica maschile, la maggioranza è fatta di uomini rozzi, ruvidi, dai fisici sfondati dall'alcol. Poi ci sono quelli come il mio vicino di casa, un figone, simpatico e dal fisico perfetto. Ma li conto sulle dita di una sola mano. Anche qui, care lettrici, mi tocca dire: tenetevi gli uomini italiani.

Tutt'altro che pianeggiante (fonte: wikipedia.org)

...la Germania fosse pianeggiante. Non so perché, ma ho sempre creduto che, fatta eccezione per la linea di confine con l'Austria, la Germania fosse un unico e immenso tavolo da biliardo. Come una Pianura Padana, ma più estesa e allungata verso nord. Mi sbagliavo, e di grosso. Solo il nord del paese è pianeggiante, mentre oltre il 60% del territorio è vallonato. Numerosi sono i massicci (la Foresta Nera è il più noto, ma anche la vicina Rhön ne è un esempio), altrettanto numerose sono le valli fluviali (Meno, Mosella, Neckar, Reno) che attraversano la porzione più meridionale di Germania. E poi c'è l'altopiano bavarese, in prossimità delle omonime Alpi, ben lontano dal concetto di pianura a cui un italiano è abituato.

Sauerkraut, Bratwurst und Kartoffeln, ecco servito il più tipico pasto tedesco (fonte: thelittlegrsp.wordpress.com)

...il cibo tedesco fosse cattivo. Era una delle mie più grandi paure: riuscirò ad adattarmi alla cucina tedesca? Beh, la soluzione è più semplice del previsto. Basta portare quella italiana in Germania, a casa: quasi tutti gli ingredienti che servono a riprodurre il meglio della tradizione enogastronomica italiana si possono trovare nei supermercati tedeschi. E di ristoranti italiani ce ne sono una marea, nelle grandi città come nei paeselli. Ma va sfatato un mito: la cucina tedesca non è affatto male, anzi. Manca la sterminata varietà di pietanze che solo l'Italia può proporre, ma i piatti tipici tedeschi, per quanto ipercalorici, si difendono benissimo. E non sono solo birra, würstel e crauti, come il luogo comune lascia pensare: di piatti tipici a base di carne, pesce e verdure ne è piena la Germania.

Spesa in Germania, un esperienza shock (fonte: fanpost.it)

...in Germania fosse tutto molto più caro. Forse la scoperta più sconvolgente. Il costo della vita in Germania non è poi così alto come lo si pensa dall'esterno. Fortunatamente, ci sono ricerche recenti che iniziano a smentire questo luogo comune che mette in proporzione il salario medio e il costo reale della vita. Qualcosa in Germania effettivamente costa di più che in Italia: qualche genere alimentare, come la pasta, il caffé, frutta e verdura di importazione; il canone della televisione e il traffico telefonico. Ma per tante altre voci di spesa, come i prodotti per la cura della persona, molti alimenti, la benzina o l'autostrada, in Germania vi è solo da risparmiare. Se non ci credete, potete venire a trovarmi: sarò ben felice di guidarvi attraverso un tour di negozi tedeschi...

Merkel, la visione più europeista della Germania (fonte: voxeurope.eu)

...la Germania fosse un paese più europeista. Questa è un'altra falsa impressione: le opinioni sull'Unione Europea che ascolto ogni giorno dai miei colleghi non sono positive. E se a un tedesco gli si dice "ehi, ma qui siamo nell'Unione Europea" può capitare di sentirsi rispondere "no, qui siamo in Germania". Può sembrare assurdo, ma ho conosciuto tanti tedeschi decisamente restii al cambiamento. Penso ad una misura introdotta per facilitare i movimenti di denaro nell'area Euro, l'introduzione del codice IBAN. Se in Italia è cosa ormai entrata nella quotidianità, in Germania si preferisce ancora parlare di Bankleitzahl (l'equivalente della vecchia sequenza CIN-ABI-CAB) e Kontonummer (numero di conto corrente).

Brutto spettacolo (fonte: crisalidepress.it)

...la Germania fosse piena di uomini con i calzini bianchi sotto i sandali. Si, qualche esemplare di Homo tedescus c'è ancora (vedi post sul peggio di una settimana in Austria). Ma sono soprattutto anziani. I giovani, per quanto poco curati, non si conciano più con queste orrorifiche mise. Sospiro di sollievo.
Bis bald!
Stefano

giovedì 3 marzo 2016

Auf wiedersehen Lago di Garda

Ciao a tutti!
La crisi dei migranti siriani in viaggio verso l'Europa si sta arricchendo di un nuovo capitolo. Recentemente, l'Austria ha dichiarato di voler ripristinare un sistema di controlli alla frontiera con l'Italia. Il dito è puntato ovviamente sul Brennero, un valico che vede transitare un numero impressionanti di automobili e camion. Naturale che i politici italiani non siano molto contenti: potenzialmente ci sono più migranti da gestire, più code alla frontiera, un flusso di merci rallentato con evidente danno all'economia. Oltre alla fine (si spera, più che temporanea) di un simbolo come il valico del Brennero, il più importante collegamento geopolitico tra il nord e il sud dell'Europa, oltre alla fine di quella speranza di poter riunire culture divise dai confini, dalle bandiere, dalle guerre.
Neanche la Germania è contenta. Il Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung sbatte in prima pagina un titolo dal forte impatto: "Lago di Garda, addio!". Eh si, una delle principali conseguenze per i tedeschi sarebbe proprio nella scelta delle vacanze.

Addio Lago di Garda, così titola il Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung (fonte: tageszeitung.it)

Da quando sono venuto in Germania, ho perso il conto di coloro che mi hanno detto "ah, si che bella l'Italia, il Lago di Garda, che bello..." o che hanno dichiarato che l'unico posto (o quasi) visitato in Italia è stato proprio il Lago di Garda - con mia somma delusione. A volte, ho l'impressione per i tedeschi il Lago di Garda sia il sinonimo di Italia. Come se noi italiani dicessimo che l'Oktoberfest sia la Germania stessa (che non è affatto vero).
Il Lago di Garda è la meta più gettonata dai turisti tedeschi in visita in Italia. Da Monaco, poi, è veramente vicina: in due si arriva al Brennero, in poco più di altre due, si arriva a Limone sul Garda. Facciamo cinque ore in totale e si è sul Lago di Garda. Da Monaco non bastano cinque ore per raggiungere il Mare del Nord o il Mar Baltico. Senza dimenticare che il Lago di Garda è una location accogliente ed ospitale per buona parte dell'anno e non solo in estate. Il Lago di Garda, soprattutto d'estate, ha molto da offrire: ricettività, buoni collegamenti, arte, sport, divertimento per grandi e piccoli, può conciliare i gusti di quelli a cui piacciono attività "marine" con i gusti di coloro che preferiscono attività "montane".
E poi si sa, calcio e politica esclusi, i tedeschi sono innamorati del Bel Paese.
Io non riesco ad immaginare code di macchine tedesche al valico del Brennero, passeggeri costretti a raddoppiare i tempi di viaggio e decuplicare l'attesa al confine. Non ci riesco proprio. Questo è un problema loro, ma è un problema soprattutto nostro. Per il nostro turismo, i ragazzi biondi con gli occhi azzurri e i vecchi con i calzini bianchi e i sandali sono ancora troppo importanti. Incrociamo le dita, quindi.
Bis bald!
Stefano

mercoledì 2 marzo 2016

Occhio al prezzo! - Puntata n.7

Ciao a tutti!
In questi mesi ho parlato e parlerò ancora molto di differenze tra Italia e Germania, quanto alle spese comuni di tutti i giorni. Ho trattato gli argomenti autostrade e benzina, sempre molto "cari" agli italiani, ma ce ne sarebbero tantissimi. Recentemente, infatti, ho avuto modo di fare un'altra inquietante scoperta. Purtroppo, parlo ancora di differenze che non possono far felice un cittadino italiano. L'argomento di indagine è stavolta il servizio postale.

La posta in giallo (fonte: dpdhl.de)

Fra qualche mese mi sposerò. Una delle attività che occupa l'indaffarato periodo pre-matrimoniale, è la preparazione delle partecipazioni. Sarebbe stato bello consegnarle personalmente ad ogni invitato, ma farlo in un solo weekend è umanamente impossibile. L'unica soluzione è la posta.
Inizialmente pensavamo che la cosa economicamente più conveniente (e in parte anche più celere) fosse la seguente: preparare un bel pacco con gli inviti e spedirlo in Italia, lasciando l'incarico della "francobollatura" e della spedizione alle nostre famiglie. Chiedendoci a che tipo di spedizione postale dovessimo rivolgerci, abbiamo scoperto che spedire una lettera in Italia costa 90 centesimi. Ci è sembrata una cifra decisamente economica, trattandosi di una spedizione fuori dal territorio nazionale.

Raffronti: Poste Italiane vs. Deutsche Post

Allora ci è venuta voglia di curiosare e capire quanto costassero i servizi postali in Italia e in Germania. Non siamo grossi clienti delle poste, né di quelle tedesche né tantomeno di quelle italiane e dunque facciamo una semplice ricerca sulla rete, sui siti web di Poste Italiane e Deutsche Post.
La scoperta è angosciante. Provo a riassumere. Spedire una lettera dalle dimensioni di 12x23,5 cm e dal peso massimo di 20 grammi:
- dalla Germania verso l'Italia costa 90 centesimi;
- all'interno del territorio italiano costa 95 centesimi.
Dunque, secondo questo dato - che non è una burla - il trasporto della nostra lettera costa meno se questa viene spedita in Germania. Nonostante Deutsche Post, per spedire in Italia, debba in qualsiasi caso scavalcare le Alpi. Paradossalmente, spedire da Amburgo a Palermo costa meno che spedire da Torino a Milano. Un raffronto inaccettabile che diventa ancora più inaccettabile se si prova a paragonare il servizio delle poste italiane e di quelle tedesche. Impeccabile in Germania, in Italia lo lascio immaginare.
Ah, comunque spedire una lettera all'interno del territorio nazionale tedesco costa 70 centesimi, eh. Rispetto all'Italia, soli venticinque centesimi in meno.
Bis bald (desolato)
Stefano

martedì 1 marzo 2016

Imparati, emigrati e rifiutati

Ciao a tutti!
L'Italia non è un paese per giovani, questo si sapeva tempo, e i numeri lo confermano. L'Italia non è un paese per ricercatori, e anche di questo ne eravamo ben consapevoli. Quanti sono i brillanti studenti che al termine del percorso universitario (finanziato con risorse italiane) decidono di intraprendere un percorso di ricerca all'estero, percorso che probabilmente creerà reddito proprio nel paese straniero scelto. Sono tanti i casi. Troppi. Recentemente è salita alla ribalta il caso della ricercatrice italiana in Olanda che si è schierata apertamente contro il Ministro dell'Istruzione, colpevole di «essersi presa dei meriti» per l’eccellenza italiana, laddove gli studi siano stati finanziati da università o enti stranieri.

Russell Crowe nella parte di John Nash in A beautiful mind (fonte: corriere.it)

Poi c'è il caso che, se da una parte sfiora il ridicolo, dall'altra mi abbatte moralmente. Parlo di Vincenzo Dimonte, un ricercatore in logica matematica con esperienza ad Harvard e impiego a Vienna, presso il maggior centro di ricerca europeo nel suo settore. Partecipa alla selezione di un bando di concorso intitolato a Rita Levi Montalcini, ai quali vincitori vengono concesse l'opportunità di rientrare in Italia a fare ricerca, e la possibilità di un impiego come professore associato (posizione peraltro finanziata dal Ministero e non dall'ateneo). Dimonte è tra i ventiquattro vincitori del concorso e sceglie Torino con il suo Politecnico come destinazione presso la quale sviluppare il suo progetto. I dirigenti dell'ateneo sono d'accordo, ma trova l'opposizione del dipartimento di ateneo. Questo non lo ritiene un'eccellenza e lo considera inadatto a ricoprire mansioni didattiche. In sostanza, se per Vienna, per il Ministero, per la commissione internazionale che ha fatto le selezioni, Dimonte è un'eccellenza, beh, per il dipartimento no.
Leggo queste storie e rimango a bocca aperta. Un ricercatore italiano (sempre molto apprezzati all'estero) di valore, decide di rientrare in Italia per continuare la sua attività, lontano da strutture attraenti come quelle del resto d'Europa, e con uno stipendio decisamente inferiore. E ci sono atenei italiani che lo rifiutano, quando i ricercatori sono il futuro di una nazione, la chiave per rilanciare un paese. È da notizie come queste che non riesco a vedere futuro per l'Italia. Travolti dall'esterofobia (ma poi, perché?), perdiamo buon senso e lungimiranza. Mi dispiace dirlo, ma da notizie come queste io riesco solamente a pensare, purtroppo, che l'Italia sia un malato terminale.
(Desolatissimo) Bis bald!
Stefano

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