Da quando vivo in Germania affermo una cosa: se Italia e Germania unissero veramente le forze, potrebbero dominare il mondo. Scherzo, ovviamente, però voglio ribadire come le caratteristiche dell'una e dell'altra, così apparentemente inconciliabili, potrebbero rivelarsi il mix vincente.
E me ne sono accorto anche qualche giorno fa a Dinkelsbühl, dove ho scattato questa foto...
Una Fiat 126 nel bel mezzo della Romantische Straße
- Tarapìa tapiòco! Prematurata la supercazzola, o scherziamo?
- Prego?
- No, mi permetta. No, io... scusi, noi siamo in quattro. Come se fosse antani anche per lei soltanto in due, oppure in quattro anche scribàcchi confaldina? Come antifurto, per esempio.
- Ma che antifurto, mi faccia il piacere! Questi signori qui stavano sonando loro. 'Un s'intrometta!
- No, aspetti, mi porga l'indice; ecco lo alzi così... guardi, guardi, guardi. Lo vede il dito? Lo vede che stuzzica? Che prematura anche? Ma allora io le potrei dire, anche con il rispetto per l'autorità, che anche soltanto le due cose come vicesindaco, capisce?
- Vicesindaco? Basta 'osì, mi seguano al commissariato, prego!
- No, no, no, attenzione! Noo! Pàstene soppaltate secondo l'articolo 12, abbia pazienza, sennò posterdati, per due, anche un pochino antani in prefettura...
- ...senza contare che la supercazzola prematurata ha perso i contatti col tarapìa tapiòco.
(la "supercazzola" di) Ugo Tognazzi in Amici miei
Un fotogramma della supercazzola da Amici miei (1975) di Mario Monicelli (fonte: teladoiofirenze.it)
Era il 27 ottobre del 1990 quando ci lasciava Ugo Tognazzi. La sua carriera di attore è sterminata di grandi successi, ma se bisogna identificarlo con un film o con una performance attoriale, beh, credo che nel 95% nei casi lo ricordino con la supercazzola in Amici miei di Mario Monicelli. Quella della supercazzola - parola inserita l'anno scorso nello Zingarelli con la definizione di "parola o frase senza senso, pronunciata con serietà per sbalordire e confondere l'interlocutore" - è una delle scene della commedia italiana a cui sono più legato. Perché fa ridere, innanzitutto. Perché fa ridere senza utilizzare la volgarità, anzi (qualche studioso afferma che le origini della supercazzola siano da ritrovare nel Decamerone di Boccaccio). Perché è un mito dell'umorismo italiano. Perché è senza tempo, perché è apprezzata anche dai giovani di oggi. Ma perché, da italiano all'estero, mi rendo ancora più conto che è una meravigliosa immagine dell'italianità: la supercazzola - soprattutto nella scena in cui il conte Mascetti, interpretato da Tognazzi, si burla del malcapitato vigile umano - è l'espressione dell'autorità derisa e fuorviata. È il giro di parole senza senso, il tutto fumo niente arrosto che a volte ci contraddistingue.
Se uno straniero mi chiedesse cosa siamo noi italiani (molto spesso, non sempre eh), farei vedere lui la supercazzola di Tognazzi. Ecco, noi siamo così. Con simpatia.
«Caro italiano, mi piace il tuo cielo blu - e dopo tre grappe, canto assieme a te "Azzurro" di Adriano Celentano. L'azzurro è il colore della maglia della tua nazionale.
Gli Azzurri. Da quarant'anni i tedeschi non riescono a vincere una grande partita contro di voi, Azzurri.
Perché ci lasciamo ingannare da voi, italiani. Gli italiani guardano solo il culo delle donne. I ragazzi italiani sono solo dei galletti. Gli italiani portano i jeans attillati, gli italiani cantano di notte sotto i balconi dove risiedono le turiste. I ragazzi italiani spendono i loro soldi nei vestiti. I ragazzi italiani sono cocchi di mamma, "la Mamma" è il più grande mito dei ragazzi italiani.
Il nostro grande errore è sempre stato considerare l'italiano come se fosse un buono a nulla. Questo era il loro trucchetto. In realtà gli italiani sono truffatori, fighetti, e se necessario cattivi.
I ragazzi italiani non sono romantici, gli italiani sono dei duri. E commedianti complicati da gestire. Quando uno di loro viene toccato, si rotola più di otto volte sul prato, come un soldato ferito a morte.
Ma vince le partite.
Sabato, ore 21. Per me la Germania non ha ancora vinto.»
Franz Josef Wagner, Bild, 1 luglio 2016
Alla fine parlerà sempre il campo
Alla fine devo dire che questo Wagner ha anche ragione. Un po' di luoghi comuni per raccontare noi italiani. In fondo è lo stesso modo in cui raccontiamo noi i tedeschi, per frasi scontate e stereotipi. Con onestà, tutto sommato. E finalmente uno che l'ha capito che la Germania non ha ancora vinto. Più siamo feriti, colpiti nell'orgoglio, in netta difficoltà, più ci esaltiamo. È dal 1962 che non lo capiscono.
Bis bald!
Stefano
Ciao a tutti!
Dopo più di quasi due anni di effettiva esperienza di lavoro in Germania ho una certezza che niente e nessuno potrà mai togliermi: quando si è sotto pressione, quando c'è un problema imminente da risolvere, quando le grane si fanno spinose ed urgenti, gli italiani hanno una marcia in più rispetto ai tedeschi. È qualcosa che a me piace definire, restando nel gergo tipico della dinamica aziendale, "maggiore capacità di problem solving". Ne avevo avuto l'impressione già durante i miei primi mesi, ma nel 2015 ho vissuto due episodi, agli antipodi l'uno dall'altro, dai quali ne ho tratto la conferma definitiva.
In cammino - o discussione - continua, alla ricerca di una soluzione (fonte: itkam.org)
Esempio numero 1. Agosto, in vacanza a Parigi, rompo per (diciamo così) eccesso di superficialità un'astina degli occhiali. Ad agosto è tutto chiuso, solitamente, ma non in Germania. E così, nell'unico giorno tra le vacanza a Parigi e il mio rientro di una settimana in Italia, ci rechiamo in qualche negozio di ottica per informarci sulla sostituzione dell'astina rotta. Tutti ci dicono che c'è molto da aspettare, perché le astine di ricambio vanno ordinate, i fornitori sono in vacanza, bla bla bla. Mi metto il cuore in pace, aspetterò, non è un problema irreparabile avendo con me gli occhiali di riserva. L'attesa intanto si fa lunga. Passano tre settimane e di ricambi non se ne intravede l'ombra. A settembre torno per un weekend in Italia e risolvo il problema. Perché in Italia trovo commessi che mi dicono "queste astine vanno ordinate, ma ne abbiamo altre, non proprio delle stesso colore, che possono essere montate ugualmente sui tuoi occhiali". In due-tre giorni i miei occhiali tornano a svolgere regolarmente il loro compito, a discapito di tre settimane attese invano.
Esempio numero 2. Pochi giorni fa, riunione con tutti i miei colleghi per prendere alcune decisioni sulla gestione delle attività. Arrivo a questa riunione decisamente svogliato - ho dormito male e ho un fitto mal di testa - ma tant'è, devo parteciparvi. La riunione si svolge in tedesco, quindi posso cogliere la metà di ciò che viene detto. Il problema fondamentale è trovare un nuovo sistema per numerare le attività. Un'ora di parole, discussioni, persone che si incazzano. Io li guardo e lascio fare. Poi il mio superiore, a un quarto d'ora dalla fine mi interpella e chiede la mia opinione, soprattutto in riferimento ai lavori che seguo più da vicino. Dico la mia, una soluzione tanto semplice quanto logica, applicabile anche a tutte le attività di cui non sono il responsabile. Bene, in dieci minuti ho risolto il problema. E non stavo neanche bene...
Eppure, la Germania e i tedeschi guidano l'Europa, politicamente ed economicamente. Più di una volta mi chiedo come tutto ciò sia possibile.
Bis bald!
Stefano
Momento top del giorno.
Siamo in pausa pranzo, momento qui vissuto quasi in religioso silenzio. C'è chi cazzeggia davanti al computer, c'è chi messaggia freneticamente su Whatsapp, c'è chi legge il giornale. Una collega (che chiamerò M) che non lavora a tempo pieno si appresta a salutarci. Un altro collega, il più esperto del mio gruppo (che chiamerò R), si sta cimentando in un cruciverba e chiede lei un'informazione. Lo scambio di battute tra M e R è in tedesco, colgo ma non comprendo a fondo se non “Italien, italienisch”. Alzo lo sguardo ma non intervengo nella discussione. M si rivolge a me con fare curioso, quasi provocatorio: «Sai in quale città italiana si trova Porta Nigra?». Due secondi di pausa e arriva la mia risposta, secca: «A Trier!» (in italiano Treviri). Mutismo generale per qualche secondo e sguardi che miscelano invidia e stupore. Spezzo la momentanea incapacità di parola di M e R con qualche dettaglio in più: «Sono stato l'anno scorso a Trier: era una città dell'Impero romano, per questo una sua antica porta ha un nome “italiano”».
La Porta Nigra di Treviri, un pezzo di Italia in Germania. Foto di archivio, 26 aprile 2014.
Si, questo è uno dei momenti “Italians do it better”. E anche uno dei momenti in cui ringrazio il cielo di avermi reso viaggiatore, e i miei genitori di avermi dato un innato spirito di curiosità.
Bis bald!
Stefano
Ciao a tutti!
Quando ci si trova lontani da casa, indaffarati con i preparativi per un breve ritorno a casa e anche alle prese con scadenze lavorative, può succedere di dimenticare un appuntamento che in condizioni normali non passa inosservato. Succede anche ad un appassionato di calcio come me, di dimenticare che stasera si gioca Italia-Germania.
È un incontro amichevole, ok, ma stavolta ha un sapore diverso. Perché la squadra di calcio del mio paese si confronta con la selezione del paese in cui vivo attualmente. In fondo, sebbene sia qui esattamente da due mesi, mi sento un po' emigrato, e con loro (gli emigrati) sento questa partita in maniera diversa. Perché tu sei italiano, in fondo per quanto tu possa criticare il tuo paese (e ce ne sarebbero di cose...) sei orgoglioso della tua nazione e sei desideroso di poterlo mostrare. Sarà anche stupido, come molti pensano e dicono, seguire questi babbei milionari che corrono dietro ad una palla, ma è una delle poche cose che ancora lega fortemente gli italiani all'Italia, ovunque essi si trovino. Ed è una delle vie più facili e aggiungo, istintive, per poter dire che "si, noi italiani siamo bravi, anche più di voi tedeschi".
Me l'hanno ricordato stamattina, in laboratorio, che stasera si sarebbe giocato Italia-Germania. "Germany or Italy, tonight?", trattenendo una risatina. Beh, la mia risposta è stata pronta, "Italy, for sure!", E allora, molto confusamente, tra un piatto di penne al pomodoro e uno scatolone da riempire, scrivo questo post. Per ricordare che almeno a livello calcistico, l'Italia è la bestia nera della Germania: su 31 partite disputate, 15 vittorie e 7 sconfitte, ma soprattutto: mai stati battuti in incontri ufficiali dalla rappresentativa tedesca! Che significa: quando conta, gli italiani mettono l'anima in campo. E vincono. In novanta minuti lo spread tra Italia e Germania, non c'è più.
Cari tedeschi, pigliatevi 'sta carrellata di mazzate, va!
1. La mazzata più importante. Mondiale 1982
Madrid, Stadio Santiago Bernabeu, 11 luglio 1982. L'urlo di Marco Tardelli dopo il suo 2-0 è il simbolo del terzo Mondiale vinto dalla nazionale battendo in finale la Germania Ovest per 3-1 (fonte: quattrotratti.com)
2. La mazzata più umiliante. Europeo 2012
Varsavia, Stadion Narodowy, 28 giugno 2012. La sassata di Mario Balotelli per il momentaneo 2-0. Quella semifinale finirà 2-1 per l'Italia, Germania a casa ancora una volta
3. La mazzata più famosa. Mondiale 1970
Città del Messico, Stadio Azteca 17 giugno 1970. La disperazione di Sepp Maier da una parte, l'abbraccio tra Gigi Riva e Gianni Rivera, suo il 4-3 che ha reso la semifinale di quel Mondiale la "partita del secolo" (fonte: it.eurosport.yahoo.com)
4. La mazzata più amara. Mondiale 2006
Dortmund, Westfalenstadion, 4 luglio 2006. È Fabio Grosso il simbolo dell'Italia umile che vince, suo il gol al 119' che porta l'Italia alla finale mondiale di Berlino (fonte: tempi.it)
Ah, giusto per ricordare... Che non si dica che non sono orgoglioso di essere italiano, visto che qualcuno ci ha provato, tempo fa...
Bis bald!
Stefano