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sabato 4 marzo 2017

Saal 600

"Perché il mondo intero sta ascoltando il crepitio delle foglie in una piccola sala del Palazzo di Giustizia di Norimberga? Sul banco degli imputati non ci sono solo venti banditi assetati di sangue. Sul banco degli imputati siedono il fascismo, la sua ideologia lupesca, la sua perfidia, la sua amoralità, la sua arroganza, la sua miseria."
Il'ja Grigor'evič Ėrenburg

Alcune delle panchine ove sedettero gli imputati del Processo di Norimberga

Da tempo desideravo tornare a Norimberga con questo preciso obiettivo: visitare la testimonianza storica di uno dei motivi per cui la seconda città della Baviera, per dimensioni, è (tristemente) nota. Parlo naturalmente del processo ai gerarchi nazisti, meglio conosciuto come il processo di Norimberga. Questa città non è solo i suoi mercatini natalizi, i Lebkuchen e i Bratwurst, gli edifici a graticcio, la sua piazza e il suo castello o le fabbriche di giocattoli, ma anche dove si è scritta una delle pagine più importanti della storia del Novecento. E, fino al mio trasferimento in Germania, l'unico motivo per cui conoscevo questa città.

L'ala che ospita il memoriale del Processo di Norimberga

Già, ma perché proprio Norimberga e non Berlino, capitale del Reich? Beh, a Berlino di edifici ancora in piedi... non ce n'erano! A Norimberga, invece, c'era un Palazzo di Giustizia quasi intatto, con la bellezza di 530 uffici e la disponibilità di carceri. E poi, perché non celebrare la "vendetta" dell'Alleanza in una città che fu la culla del nazismo? Quindi Norimberga fu. Oggi, i locali dell'ala in cui si tenne il famoso processo sono adibiti al Memorium Nuremberg Trials, il museo che, tramite documentazione video-fotografica, racconta gli eventi di quei giorni, negli undici mesi intercorsi tra l'apertura del processo, il 19 novembre del 1945 e la lettura delle sentenze il 16 ottobre 1946.
Purtroppo degli edifici non molto è visitabile. La nota stanza 600 era temporaneamente chiusa ai visitatori e anche le carceri, non si possono visitare. Peccato, perché queste sono un luogo importante nell'economia del processo, per capire come gli imputati trascorsero quei giorni. La documentazione racconta di celle singole, spartane, sorvegliate a vista dopo il suicidio di uno degli imputati (Ley). Gli imputati godevano di ottimi pasti e di una passeggiata giornaliera di venti minuti, in cui i contatti personali erano nulli.

La sala 600: non potendola visitare, eccola in plastico


La storia ci parla di un processo equo e giusto. Per tanti ma non per tutti. Sia da parte di alcuni prestigiosi esponenti giuridici dei paesi dell'Alleanza che da parte della difesa non fu così. Tra le argomentazioni vi era ad esempio la competenza stessa del tribunale chiamato a giudicare - competenza costruita dalle potenze alleate già nei vari congressi di Teheran, Yalta e Potsdam. Dalla difesa fu contestato anche lo scarso tempo a disposizione per prepararsi adeguatamente. Ma tirati in ballo dalla difesa, vi erano alcuni principi fondamentali che, effettivamente, potevano essere considerati a favore degli imputati.
Gli imputati e i loro difensori puntavano molto sullo scarico di responsabilità: in fondo, nella loro posizione, dovevano ubbidire ad un certo Adolf Hitler, sulla cui figura si potevano addossare tutte le colpe. Ma non solo, anche alcuni fatti storici supportavano la difesa dei gerarchi nazisti: il Patto di non aggressione Molotov-Van Ribbentrop del 1939 fu stipulato anche dai russi, che però si trovavano a far parte della giuria con il compito di giudicare. Altri punti di forza della difesa derivavano dal diritto romano: il tu quoque e soprattutto il nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali. Il primo era una contestazione dell'accusa su un principio molto semplice: gli accusatori non erano innocenti, perché anche Russia e Stati Uniti commisero crimini di ogni genere. Per esempio: le stragi compiute a Hiroshima e Nagasaki non sono esse stesse un crimine contro l'umanità? Il secondo si basava sul fatto che non potesse sussistere crimine e quindi pena senza la presenza di leggi: il reato sul crimine contro l'umanità, durante la Seconda Guerra Mondiale, non esisteva ancora.

L'annuncio del Süddeutsche Zeitung, il più importante quotidiano della Baviera


Il museo allestito per raccontare e soprattutto tramandare alle nuove generazioni il processo di Norimberga e le sue conseguenze, spiega molto bene quanto finora detto, con l'eccezionale supporto di materiale audiovisivo. L'opera di questo museo va oltre i meri fatti che successero tra il 1945 e il 1946, narrati alla perfezione. Racconta la "vita" del processo di Norimberga, in cui venne utilizzata per la prima volta la traduzione simultanea e durante il quale il traduttore fu una figura chiave. Assieme ai testimoni e ai filmati che fecero luce su uno dei momenti più bui dell'umanità, l'Olocausto, lasciando sgomenti tutti i presenti.

Le guerre dal 1945 ad oggi. E l'elenco non è ahimè completo


Il museo spiega bene anche ciò che i più (me compreso) forse non conoscono. I dodici processi secondari di Norimberga, ai medici e agli alti funzionari della pubblica amministrazione contarono ben 177 imputati, sette condanne a morte e tantissime grazie. Il diritto internazionale subì pochissime modifiche dopo il processo di Norimberga - si dovettero aspettare le stragi in Ruanda e in Jugoslavia. E poi, quante guerre? Un pannello, a mio giudizio estremamente evocativo, mostra tutte le guerre che si sono succedute dopo il 16 ottobre del 1946, giorno dell'esecuzione dei gerarchi nazisti. Decine, centinaia. Troppe. Anche una è già crimine: questo il significato ultimo di una visita al museo del Processo di Norimberga.

giovedì 18 agosto 2016

Apartheid Museum: una pietra per l'impegno

Ciao a tutti!
Un viaggio in Sudafrica non si può molto probabilmente considerare completo senza una visita all'Apartheid Museum di Johannesburg. Perché non è sostanzialmente possibile comprendere questo paese senza confrontarsi con la sua storia, con la dura realtà di una folle politica di segregazione messa in atto dai governanti bianchi nei confronti della popolazione di colore per quasi cinquant'anni, dal 1948 al 1994. L'Apartheid Museum è un museo che lascia il segno nell'animo del visitatore, non meno di quanto lo possa fare un museo di un campo di concentramento (in quei momenti ho spesso ripensato a Mauthausen). Perché l'apartheid, alla fine dei conti, non è poi così lontano dalla follia antisemita messa in pratica da Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale.

Apartheid

Lo si capisce immediatamente, entrando nel museo. L'ingresso è un concentrato di simbolismo: i tornelli per entrare sono due, uno per i tagliandi con la dicitura "whites" e uno per i tagliandi con la dicitura "non-whites". Si, perché a partire dal 1953, ogni attività del paese (anche salire sull'autobus) era divisa per le quattro categorie "razziali": bianchi, neri, coloured (i meticci) e indiani. Qualcosa di assolutamente non-sense, oltre che profondamente ingiusto. Appena superati i tornelli si possono vedere alcune delle carte d'identità in vigore durante l'apartheid, le quali stabilivano a quale categoria razziale appartenesse il cittadino.

L'ingresso all'Apartheid Museum

Questo non vuole essere un post sull'apartheid - ne servirebbero cento e forse più - ma una piccola testimonianza di un momento importante durante il nostro viaggio in Sudafrica. Come si capisce nel corso della visita, l'apartheid aveva lo scopo di mantenere la "purezza" nella razza bianca. I documenti, fisici e multimediali, esposti nell'Apartheid Museum, spiegano bene come ogni scrupolo venne cancellato da parte dei politicanti sudafricani. Gli arresti, le condanne a morte le torture e i genocidi più selvaggi sono la parte che più lascia il segno. Ma anche scoprire che a scuola i bambini non avevano banchi, perché era più conveniente lasciarli nell'ignoranza, oppure sapere che negli ospedali ai neri venivano affidate coperte infette... rende l'idea quale crudeltà sia stata l'apartheid.

"Per soli bianchi"

Ovviamente, nell'Apartheid Museum è ovviamente ben raccontata la storia della lotta all'apartheid, storia che va a braccetto con la figura di Nelson Mandela, il più importante artefice del percorso che ha guidato il Sudafrica verso la fine di questa pazzia. Tutto è meravigliosamente documentato da immagini e filmati dell'epoca, una quantità di materiale che non lascia insensibili i visitatori. Così come è impossibile rimanere freddi di fronte alla cella in cui pendono 131 cappi, che simboleggiano i giustiziati per la libertà dei neri durante il periodo dell'apartheid. Questa cella è solo l'apice di un percorso ben strutturato - e costruito appositamente in locali tetri e sinistri - che aiuta a conoscere una vicenda, quella del dopoguerra in Sudafrica, che in Europa non è conosciuta a sufficienza.

Una pietra per il Sudafrica

La visita si chiude in una grande stanza, in cui risuona l'inno nazionale africano e in cui campeggiano la nuova bandiera sudafricana (adottata con la fine dell'apartheid) e grandi scritte che rappresentano i sette punti cardinali della costituzione del Sudafrica. Oltre a due mucchi di sassi, in una grande teca di vetro: qui, seguendo un rituale africano, i visitatori sono invitati a prendere una pietra da un mucchio, per posizionarlo sulla pila a fianco, a titolo di impegno personale nella lotta contro il razzismo e la discriminazione. Ovunque si possano incontrare. Questo è tutto il senso dell'Apartheid Museum.
Bis bald!
Stefano

lunedì 8 agosto 2016

Uno sguardo sulla Pietà Rondanini

Ogni momento è buono per altrettanto buona arte. Sempre. Anche trovarsi a Milano per il concerto di Bruce Springsteen può essere un eccellente scusa per scoprire qualcosa di assolutamente nuovo. Io dovrei già recuperare cercando di scoprire Milano – città che ho sempre trascurato, per più di un motivo – ma, nell'impossibilità di farlo nel tempo a mia disposizione, mi sono consolato con una visita ad un pezzo d'eccezione dell'arte italiana. Che guardando alla sua storia, ben poco ha a che fare con Milano e con il luogo in cui è ospitato, l'Ospedale Spagnolo del Castello Sforzesco. Si tratta dell'ultima opera, incompiuta, di Michelangelo: la Pietà Rondanini.

Primi piani sui volti della Pietà Rondanini

La Pietà Rondanini, che prende questo nome dai marchesi romani che l'acquistarono nel XVIII secolo, è ritenuta l'opera incompiuta di Michelangelo Buonarroti, alla quale vi lavorò negli ultimi giorni prima di morire, a Roma, il 18 febbraio del 1564. Per molti altri quest'opera rimase in una bottega romana, prima di essere venduta ai marchesi Rondanini, i quali la disposero nell'omonimo palazzo romano di Via del Corso. Nel 1952 fu (inspiegabilmente) venduta al Comune di Milano, che la destinò alle Raccolte del Castello Sforzesco. Dall'anno scorso, dopo lunghi lavori di restauro, è visibile al pubblico nel nuovo museo dedicato esclusivamente a quest'opera, e allestito all'interno del Castello Sforzesco.
Osservando la Pietà Rondanini salta subito all'occhio che l'opera è incompiuta. Solo le gambe di Cristo e quello che avrebbe dovuto essere un braccio nella prima versione. Si, perché quello che si può oggi vedere della Pietà Rondanini è frutto di ripensamenti dell'artista - anche causati da una fessura nel marmo, che obbligò Michelangelo a dover scolpire la Madonna e il Cristo in un unico blocco. Di incompiuto, rimane molto, quasi tutto, ma i lineamenti sofferenti di madre e figlio sono ben impressi nel marmo. Ma la bravura e la capacità scultorea di Michelangelo sono massime anche in quest'opera non portata a termine: in un blocco unico, dove madre e figlio sono incorporati in un'unica figura, si intravedono più scene, la morte di Cristo, la sua deposizione e quindi la resurrezione.

I due metri della Pietà Rondanini nel nuovo museo all'interno del Castello Sforzesco

L'opera incompiuta indubbiamente affascina. Induce a riflettere su come avrebbe potuto essere completata, è bello poter immaginare come l'avrebbe terminata Michelangelo, o come l'avremmo finita noi. Nei due metri di marmo c'è molto della filosofia e del pensiero del Buonarroti, così dicono i critici. A me piace di più pensare a ciò che Michelangelo, costretto dal marmo a dover scolpire madre e figlio nel medesimo blocco, ha voluto farci vedere: madre e filgio sono un'unica entità, in cui non ci è dato di sapere chi sorregge chi: è la Madonna a sorreggere un figlio prossimo alla resurrezione, o è Cristo a soccorrere le pene della madre? Non lo sapremo mai, e i critici d'arte possono solo continuare a inventare teorie affascinanti. Ma in fondo va bene così. Gli ignoranti come me, continueranno ad osservarla, sempre con stupore. D'altronde, il nuovo allestimento dedicato alla Pietà Rondanini, che permette di ammirarla a 360°, è fatto apposta per stupire chi si vuole affacciare alla scoperta dell'ultima meraviglia di Michelangelo.
Bis bald!
Stefano

giovedì 26 maggio 2016

La Vespa che voleva diventare Harley - Tutto il meglio del trash da Lubecca e Amburgo

Ciao a tutti! 
Anche le grandi città tedesche non fanno eccezione: il mondo del trash è notevolmente sviluppato anche qui in Germania. Berlino è e rimane la capostipite, ma anche metropoli come Amburgo o città più piccole come Lubecca non si fanno mancare vette di straordinaria bizzarria. Da un quartiere speciale al souvenir di cattivo gusto, c'è molto trash di cui raccontare.
Per questo, nel nostro weekend nel nord della Germania ho avuto modo di raccogliere qualche momento o immagine memorabile. E lo voglio riproporre qui. Perché certi momenti non vanno dimenticati.

Top of the Hamburger trash

St.Pauli. Se dobbiamo iniziare da qualche parte a parlare di momenti trash, non si può che farlo dall'incredibile quartiere di St.Pauli. Un quartiere che divide. Per molti è l'immagine del degrado sociale della Germania, per altri simbolo del recupero di un'area in cui la delinquenza era sempre stata di casa. Lo è ancora adesso, anche se in misura molto minore, come dimostrano i cartelli all'inizio della Reeperbahn, il "miglio del peccato". Al pari di Pigalle a Parigi, St.Pauli è oggi un'affollata metà turistica, per persone curiose, alla ricerca di luoghi insoliti e negozi altrettanto... bizzarri. Come la "Condomerie".

All'ingresso di St.Pauli

Simpatici gadget dal Reeperbahn

Miniatur Wunderland. Piccola delusione della nostra gita ad Amburgo, non perché non ci sia piaciuta ma perché ci è stato impossibile visitarla. Serve una prenotazione che non avevamo, e quindi niente, tutto rimandato alla prossima tappa in quel di Amburgo. Però ne abbiamo visitato i servizi igienici, dove i pissoir ci mostrano filmati delle meraviglie in miniatura e i lavandini sono circondati da finestrelle anch'esse tappezzate di miniature divertenti. Nei WC...


Pisciatoi multimediali

Miniature anche nei servizi

Ah, povero Thomas Mann. La Buddenbrookhaus è il mausoleo di Thomas Mann e della sua famiglia. Ma la statua che campeggia all'ingresso pare più dissacrarlo che onorarlo.

In compagnia del signor Mann

Spiaggia fai-da-te. Sull'Obertrave di Lubecca si possono vedere una serie di casette veramente deliziose, separate da uno dei bracci del fiume Trave da una stradina in lastricato e da un piccolo prato. Perfetto per una specie di campeggio, dove poter sdraiarsi e prendere il sole. Qui quando il sole arriva bisogna prenderlo al volo. In Italia si sarebbe già gridato allo scandalo.

Spiaggianti sul fiume

HafenCity. L'architettura estremamente moderna ed innovativa che caratterizza l'area di HafenCity, il quartiere a ridosso del porto e della Speicherstadt,  non può che entrare di diritto nel trash, in quanto le forme di alcuni palazzi sono veramente estroverso e bizzose.

Architettura coraggiosa

Nuovi divertimenti. Blumen und Planten, Amburgo: giocare a nascondino o a pallone non va più di moda. Molto più divertente sparare acqua ad un palloncino, sperando che questo scoppi e riveli chissà quale prezioso contenuto. Quantità di acqua sprecata non quantificabile. Mah.

W-o-w

Marzapanisti. Lubecca è unanimemente riconosciuta come la capitale tedesca del marzapane, grazie alla famosa azienda Niederegger. Il negozio principale sulla centralissima Breite Straße è un concentrato (positivo, oltre che pieno di leccornie) di trash. A partire dal figurino in vetrina che pare voglia imporre una visita in questo tempio dei dolciumi. 

Tassativo un ingresso da Niederegger

Acrobati? Siamo rimasti un po' lì a vederli. Poi ci siamo stufati. Alla sera non c'erano più.  Saranno caduti? Impressionante, comunque, il numero di curiosi che si fermano ad osservare questi artisti di strada. 

Street-art sulla Marktplatz

Topi ovunque. Sul ritorno verso casa, abbiamo fatto una piccola sosta ad Hameln, conosciuta nel mondo per essere la città del pifferaio magico. La chiave turistica è ovviamente quella di sfruttare la figura del pifferaio e dei topi. Al punto tale che il topo è il souvenir principale di Hameln. I topi sono in ogni dove, pure sulle formelle incastonate nella pavimentazione stradale della città. Il top, però, è il topo gigante dorato che accoglie i turisti in arrivo ad Hameln dal ponte ciclabile.

Topi per terra, ...

...un megatopo sopra la ciclabile...

... e mandrie di topi souvenir


La Vespa che sognava di diventare Harley. The last but not the least, e forse the best: "Quando sarò grande, diventerò un Harley". Se poi questa Vespa te la colorano di rosa, beh, i livelli di trash toccano picchi di grandezza assoluta.

Motorino estremamente fashion

Bis bald!
Stefano

domenica 7 febbraio 2016

Visti e rivisti alla modica cifra di...

Cosa fare con due ore libere nel centro di Monaco di Baviera? Le opzioni sono ovviamente molteplici quando si parla di una città come Monaco, una città che è un modello per tutte le altre città tedesche: non a caso, è la città in cui i tedeschi vorrebbero trasferirsi più volentieri. Ma il mese di gennaio, ahimé, è piuttosto freddo e di restare all'aperto non si ha tanta voglia. Meglio restare al chiuso: dove se non in uno dei forzieri dell'arte che si possono a trovare a Monaco, come la Alte Pinakothek? Andiamo sul sicuro, per la qualità della collezione permanente e per il livello delle mostre temporanee.

Particolare dallo splendido Bambini che mangiano un dolce di Bartolomé Esteban Murillo (fonte: pinakothek.de)

Due le mostre presenti a fine gennaio: Neue Nachbarschaften II e Auf goldenem Grund, totalmente diverse tra loro, ma accomunate dal medesimo fattore. Il museo ha scarsa liquidità perché è in corso un mastodontico progetto di restyling e non si possono affittare opere da altri musei? Ogni anno un'ala (e le opere ivi contenute) è chiusa al pubblico per lavori? C'è un esubero di opere che non si possono mostrare al pubblico? Kein Problem: loro le rimettono nell'area delle mostre, così le rendono accessibili al pubblico e fanno una mostra a costo zero. Questi tedeschi sono fenomenali.
Le due mostre, assolutamente meravigliose per la qualità delle opere, partono da soggetti già presenti nella collezione permanente che vengono riarrangiati a seconda del tema. Questo è il leit motiv di Neue Nachbarschaften II ("nuove vicinanze"), dove una cinquantina di opere del barocco europeo (Rembrandt, Rubens, Reni) vengono mostrate al pubblico secondo quattro filoni interpretativi: la natura, il ritratto, l'influenza classica e l'ispirazione caravaggesca. Un po' discutibile come sono state disposte le opere, mentre queste ultime non si possono discutere, assolutamente.

La Crocifissione di Giotto (fonte: kunstgeschichten.net)

Auf goldenem Grund parte da una buona base di opere già presenti in museo, per integrarsi con alcuni pezzi pregiati provenienti dal Lindenau Museum di Altenburg, in Turingia. Ne esce una interessante, anche se poco approfondita, panoramica sulle opere italiane realizzate con la tecnica della foglia d'oro. Tutte le dorature che si vedono nelle opere che vanno dal XII al XV secolo sono realizzate con questa tecnica. Essa conferisce un'aura di misticismo all'opera, che normalmente è già di per sé un soggetto religioso. Il pezzo forte della collezione, a mio parere, è ovviamente Giotto, con la Crocifissione, una delle tre tra le Sette tavolette con storie di Gesù presenti a Monaco ed acquistate da Ludovico I di Baviera nel 1813.
Ma la sorpresa (che per noi non era più) è che nei musei di Monaco, di domenica, il biglietto di ingresso costa solo un euro. Un euro, per la collezione permanente e le mostre temporanee. Formidabile. Hai un'ora di tempo e vuoi gustarti anche solo un pizzico della meraviglia contenuta in questo museo, come la Madonna del Garofano di Leonardo o la Sacra Famiglia Canigiani di Raffaello? A Monaco lo puoi fare, alla modica cifra di un euro...
Bis bald!
Stefano

martedì 2 febbraio 2016

Appunti di viaggio 2015: Speicherstadtmuseum, Amburgo

Esiste qualcosa di simile alla Speicherstadt nel mondo? Non posso esserne certo ma ho più di un dubbio che altrove esista un complesso di oltre trenta ettari, fatto di enormi edifici dal tipico laterizio rosso della Germania settentrionale e costruito interamente su palafitte di quercia. Questa è la "città-magazzino" di Amburgo, l'enorme ex-area portuale, attualmente in disuso ma da qualche anno affollata meta turistica. Perché (notizia recente) la Speicherstadt di Amburgo è stata dichiarata patrimonio mondiale dell'umanità.

Carichi "carichi" di tè

Certamente uno dei modi per scoprire la Speicherstadt è passeggiare tra i canali e le strade che la attraversano, sormontati dalle altissime costruzioni che un tempo erano i magazzini in cui venivano stoccate le merci di importazione (té, spezie, cacao, caffé, tabacco) in arrivo al porto di Amburgo. Passeggiare senza meta in quest'area è ciò che feci durante la mia prima visita ad Amburgo (vedi post) - correva il 2014. Ma volendo esplorare a fondo la Speicherstadt è necessario qualcosa in più: una visita allo Speicherstadtmuseum. È questo un museo molto piccolo, realizzato proprio in uno dei "blocchi" adibiti tanto tempo fa a magazzini portuali: pochi metri quadrati di esposizione per raccontare la vita e l'evoluzione storica di un pezzo fondamentale della storia di questa città.

Un'idea della Speicherstadt

Innanzitutto la storia della Speicherstadt: ha inizio nell'ultimo quarto del XIX secolo, con l'accordo doganale che faceva del porto di Amburgo un porto franco - in cui l'importazione, lo stoccaggio e la lavorazione di merci importate esenti da dazio erano attività completamente lecite. Grazie a questo accordo, risultò necessario ampliare la zona portuale. Tramite espropriazioni e un numero impressionante di sfollati, vengono "requisite" le Brookinseln, che rappresentano l'area settentrionale dell'attuale quartiere di Amburgo battezzato HafenCity. Le Brookinseln, tra il 1883 e il 1887, con tutte le abitazioni pre-esistenti, verranno demolite, rivoluzionate e trasformate in ciò che appare attualmente ai nostri occhi. L'utilizzo della Speicherstadt si protrarrà fino agli inizi degli anni 2000, quando si rivelerà inadeguato alle esigenze più moderne. Ma resta quest'opera, immensa, faraonica. E nella sua austerità, tipica della scuola architettonica di Hannover alla quale si è ispirato l'ingegnere Franz Andreas Meyer, meravigliosa.

Selezioni di caffé...

...e selezionatrice di caffè

La Speicherstadt assunse un ruolo cardine nel commercio europeo. Su tutti, il commercio del caffè, grazie ai buoni apporti tra i commercianti di Amburgo e l'America Latina. Nello Speicherstadtmuseum sono conservati oggetti di grande valore storico e tecnico, come le macchine per la selezione e la tostatura dei chicchi di caffè. L'esposizione dello Speicherstadtmuseum, oltre a ricostruire la storia e la costruzione di quest'area, si concentra su tutto ciò che ruotava attorno al commercio del caffè, una bevanda amatissima dai tedeschi (anche se in maniera molto diversa da come la intendiamo noi italiani). Non disdegnando, comunque, di ricordare che anche altre merci (tè e cacao in primis) ebbero un ruolo importante nell'economia portuale di Amburgo.

C'era una volta la macchina per la tostatura del caffè

Ho visitato lo Speicherstadtmuseum in primavera, il giorno prima della maratona di Amburgo. Ed ero da solo. Un peccato, perché probabilmente l'attrattiva numero uno dello Speicherstadt Museum è rappresentata dal suo bar-negozio. Pochi tavolini, arrangiati con la semplicità di un ambiente tipico dell'area portuale, ai quali potersi sedere e gustarsi un caffè o un tè - da una selezione di altissima qualità, sempre provenienti dalle più sperdute regioni del mondo: per me, ciò che di meglio si può provare, o meglio, assaporare, in questo luogo.
Bis bald!
Stefano

domenica 31 gennaio 2016

Il taccuino tricolore - Puntata n.2

Ciao a tutti!
La settimana che sta per chiudersi l'ho trascorsa interamente a casa, a riposo. Un'infezione batterica mi ha costretto a rimanere chiuso in casa, segregato o quasi. Un po' di tempo libero in più, che ho investito innanzitutto nel dormire come non mi capitava da tempo, poi in altre attività, come il blog, un puzzle che attendevo da tempo di completare, qualche lettura. A farmi compagnia, c'era la radio. Ma non quella tedesca, quella italiana. Adoro la radio nazionale: programmi interessanti, le partite, un po' di musica buona e tante notizie, con le quali si può costruire un'interessantissima pagina del taccuino tricolore.
Che, riletta da un italiano in Germania, non può che suscitare un mix di rabbia e di compassione per il nostro povero Bel Paese.

Carrellata di eventi dell'ultima settimana

Comincio con la notizia più inascoltata nel bailamme della settimana. I bisturi. Secondo la denuncia dell'Associazione dei Chirurghi Ospedalieri Italiani, i bisturi che lo Stato fornisce ai dottori sono così economici, di così scarsa qualità che tagliano male, con rischi sulla salute e sull'estetica dei pazienti. Beh, qui si ricerca chiaramente il doppio risparmio: si risparmia sui bisturi e si risparmia sulle pensioni...
Il rapporto corruzione 2015 di Transparency ci mette al 61esimo posto nella classifica della corruzione pubblica percepita, allo stesso livello di Montenegro, Senegal e Lesotho. All'interno della UE, solo la Bulgaria è un paese più corrotto dell'Italia. Siam sempre gli ultimi, come al solito. Qualcuno vede segnali di miglioramento, l'anno scorso eravamo al 69esimo posto. E grazie tante, con questa situazione, che fa piangere, si può e si deve SOLO migliorare!
Poi è il turno del calcio, sul quale si è aperta una nuova bufera. Un'inchiesta della procura di Napoli ha svelato un articolato meccanismo che permetteva ai giocatori di sottrarre dei soldi al fisco italiano. Ogni modo è buono per evadere, cosa nota e stranota in Italia. Ma quello che più fa rabbia è che qualche illustre presidente di club dica che "è tutta fuffa, è roba vecchia". Come? Non importa quanto tempo fa è successo. Importa che sia successo, invece, importa che i responsabili paghino il conto.
Dunque il caso delle statue coperte ai Musei Capitolini di Roma, in occasione della visita del presidente iraniano Rouhani in Italia, ufficialmente in segno di rispetto nei confronti della sensibilità e della cultura iraniana. Un gesto folle, per non mettere in imbarazzo (?!?) un presidente si sono messi in imbarazzo tre millenni di arte. Ma per il petrolio dell'Iran, ci si cala le braghe senza troppe remore...
Dulcis in fundo, il Family Day, il giorno di manifestazioni in difesa dei valori della famiglia tradizionale. Qui non c'è niente da aggiungere, la notizia fa già ridere da sé. Soprattutto chi ci guarda dal resto d'Europa.
Bis bald!
Stefano

giovedì 21 gennaio 2016

Appunti di viaggio 2015: Georg Schäfer, il museo sotto casa

Capita a tutti quanti di abitare a breve distanza di qualcosa di molto, molto interessante, e differirne la visita in un altro momento. Quante cose dovrei vedere in Piemonte, e invece non ho mai visto... Potrei dire lo stesso della mia attuale esperienza in Franconia. Dopo più di due anni dal mio (primo) arrivo a Schweinfurt, non è stata pianificata alcuna visita al principale museo cittadino, il Georg Schäfer Museum. Sebbene l'edificio che lo ospita sia di recente costruzione, il "cubo di cemento" del Georg Schäfer Museum è già esso stesso un simbolo della città. Merito di una posizione chiave, centrale e sostanzialmente in riva al fiume Meno. Merito dei cartelli sulla A7 e sulla A70 che quando descrivono Schweinfurt come una città "Industrie und Kunst", per Kunst (arte) fanno riferimento proprio al Georg Schäfer Museum. E poi, suvvia, lo vedo a distanza tutte le mattine dalla mia bici, ci passo di fianco ad ogni mio allenamento, era inevitabile che un giorno vi saremmo andati.

Una visione alternativa del Museum Georg Schäfer (fonte: bal-berlin.de)

La storia di questo museo e della sua collezione è decisamente travagliata. La raccolta di dipinti che oggi tutti possono ammirare è appartenuta, fino alla sua morte nel 1975, a Georg Schäfer, uno dei più noti industriali dell'area, in quanto proprietario della FAG (ora sotto il controllo del gruppo Schäffler, uno dei tre grandi gruppi industriali presenti a Schweinfurt assieme a ZF-Sachs e SKF) in compartecipazione con il fratello Otto. Schäfer adorava collezionare opere d'arte, e già negli anni Cinquanta egli progettava di renderle fruibili alla popolazione tramite la costruzione di un museo. Purtroppo solo nel 2000, al termine della crisi che colpì l'economia locale e in particolar modo la FAG, e dopo aver risolto alcune vicissitudini burocratiche con gli enti locali, il museo vide la luce.
Come l'ho descritto prima, il Georg Schäfer Museum è veramente una specie di cubo di cemento. Tutta l'immagine esterna del museo è improntata su forme molto squadrate in calcestruzzo a vista. L'interno riprende le forme dell'esterno, mentre il grigio del cemento viene spezzato solo dalle scale in legno, che lentamente conducono ai due piani ove trova spazio la collezione permanente.

Dentro il Georg Schäfer

Il Georg Schäfer Museum ospita una delle più importanti collezioni private dell'arte tedesca del XIX secolo. Passando dagli albori del XVIII secolo fino agli inizi del ventesimo, la collezione riesce a raccogliere i diversi movimenti artistici – dal romanticismo al secessionismo passando per l'impressionismo. Uno degli aspetti che più colpisce della collezione, è il modo in cui riesce a fondere notevoli opere individuali assieme a gruppi di quadri di artisti importanti e alle creazioni di maestri meno noti.

Il mio preferito, Der abgefangene Liebesbrief di Carl Spitzweg

Perché è un museo di una certa importanza nel panorama artistico della Germania?
Uno dei motivi chiave è che il Georg Schäfer Museum ospita la più grande collezione di opere di Carl Spitzweg (160 dipinti a olio e 110 disegni!), un artista poco conosciuto in Italia, ma creatore di opere sublimi. Non è il solo tedesco a trovare spazio nel Georg Schäfer Museum, anche altri grandi della pittura tedesca, come Adolf Menzel, Caspar David Friedrich e Max Liebermann sono qui ospitati. Ma è indubbio che l'attenzione dei visitatori debba rivolgersi soprattutto alle opere dello Spitzweg. artista tardo-romantico tra i più importanti nel panorama pittorico tedesco. A me sconosciuto fino a quel momento, Spitzweg è stata una sorta di rivelazione: immagini che raccontano la vita della borghesia tedesca, il suo lato più buffo e romantico, per mezzo di dettagli e colori vivaci.
Spitzweg e le sue opere sono ciò che porto con me con maggior affetto della visita al Georg Schäfer, nonché il miglior motivo per visitare questo museo, un piccolo forziere di arte a pochi metri da casa nostra.
Bis bald!
Stefano

La mia personale Top-10 del Museum Georg Schäfer di Schweinfurt:
1. Carl Spitzweg - Der abgefangene Liebesbrief ()
2. Carl Spitzweg - Der Kaktusfreunde ()
3. Carl Spitzweg - Disputierende Mönche ()
4. Thomas Ender - Das Matterhorn
5. Eduard von Grützner - Stilleben mit Schinken, Hummer und Austern
6. Ferdinand Georg Waldmuller - Die vierjährige E. in weinlaubumraktem Fenster ()
7. Carl Begas d. Ä. - Die Schwestern Hufeland ()
8. Johann Sperl - Frühlingszeit
9. Johann Christian Clausen Dahl - Schloss Kronborg bei Mondschein
10. Max Slevogt - Tiroler Landschaft

giovedì 14 gennaio 2016

Agli albori della scienza

In passato ho scoperto che il giorno successivo ad una maratona una fra le migliori idee può essere quella di visitare un museo. Si rilassa la mente, si cammina un po' e le gambe rimangono attive. Anche dopo la Firenze Marathon ho pensato che si potesse visitare un museo. Poi, a Firenze vi è l'imbarazzo della scelta: Uffizi, Bargello, Accademia, per citarne alcuni. Ma con solo due ore di tempo a disposizione, causa aereo, e soprattutto senza l'esperta di arte al mio fianco, ho preferito optare su una scelta totalmente inusuale ed alternativa, il Museo Galileo.

Galileo Galilei, padre della scienza moderna

Sia ben chiaro, non è un museo dedicato al grande scienziato pisano, forse il più grande precursore della scienza "moderna". Il Museo Galileo, che trova spazio nelle stanze di Palazzo Castellani, antico edificio con vista sull'Arno, va oltre il personaggio a cui è dedicato. Una visita al Museo Galileo è un viaggio nel mondo della scienza, quando essa era ai suoi albori. Il viaggio ripercorre la storia della fisica, della chimica e della matematica attraverso una impressionante raccolta - dal valore inestimabile - di oggetti provenienti dalle collezioni fiorentine dei Medici (al primo piano) e dei Lorena (al secondo piano).

Uno dei pezzi più pregiati della collezione medicea, la sfera armillare di Antonio Santucci

In sole due ore non è facile neanche per me, amante della scienza e che con la chimica e la fisica ci lavoro tutti i giorni, comprendere a fondo i meccanismi degli strumenti che trovano spazio nelle sale del Museo Galileo. C'è un sentimento di tenerezza, compassione - non so come definirlo - nell'osservare macchinari, oggi conservati come reliquie, che hanno permesso nei secoli scorsi di determinare le più importanti leggi che regolano l'universo. Sono sensazioni che scaturiscono dal mero confronto con le apparecchiature dei giorni nostri - elettroniche, precise, sofisticate.

Le cere ostetriche

Prendiamo per esempio i microscopi. Io trascorro regolarmente dalle due alle quattro ore della mia giornata lavorativa su un microscopio ottico. E poi guardo queste apparecchiature, che sembrano appartenere ad un'altra era geologica. I principi di funzionamento rimangono gli stessi, ma sono passati tre secoli. Che progressi, che grandi passi ha fatto il genere umano nella tecnica. E potrei continuare con il banco chimico. Quello esposto al Museo Galileo risale all'epoca del granduca Pietro Leopoldo (XVIII secolo): che bello poter vedere e poter immaginare chimici al lavoro, intenti a rivelare all'umanità i segreti che regolano la materia.

Apparecchiatura microscopica - proprio come oggi

Nondimeno impressionano altri oggetti presenti nelle sale del Museo Galileo. Su tutti spiccano i cannocchiali di Galileo - gli originali! - e le immense apparecchiature per le esperienze di chimica e di fisica, che mostrano quanto fosse all'avanguardia il movimento scientifico toscano. Una sorta di commozione mi pervade quando noto - in alto, non ben esposta - un primissimo esemplare di tavola periodica: molto rozza, perché tale non era ancora, ma sarebbe giunta poco dopo. E colpiscono le cere ostetriche, che mostrano numerosi casi di complicazioni durante il parto o di malformazioni ai feti, atlanti tridimensionali che sono stupefacenti.

Palazzo Castellani, sede del Museo Galileo

Si può non essere amanti della scienza o della tecnica, ma posso garantire che il Museo Galileo non può lasciare indifferenti. Perché si può essere brillanti conoscitori della fisica, o si può fare l'espressione stralunata di chi non mai capito un acca di chimica, ma non si può non provare stupore di fronte a ciò che è l'alba della scienza.
Bis bald!
Stefano

mercoledì 11 novembre 2015

Avec le trash à Paris

Ciao a tutti!
Non ho fatto mistero di quanto ami Parigi e di quanto memorabile sia stata la settimana trascorsa nella capitale francese. Il fascino, l’eleganza e la tradizione di questa città sono senza pari: forse proprio per questi motivi credo di poter affermare che a livello di curiosità, bizzarrie e stravaganze, ossia tutto ciò che a noi piace definire come «trash», Parigi abbia fornito meno spunti di altre grandi metropoli europee come - tra quelle che ho conosciuto - Barcellona e soprattutto Berlino. Ma qualcosa da segnalare, dopo una settimana vissuta nel cuore di una città in cui vivono più di due milioni di persone, c’è sempre. E lo faccio in questo post, senza alcuna distinzione, dalle eccentricità più divertenti a quelle più antipatiche.

Japan in azione

Staccalo, 'sto bastone

Selfie-stick. L'oggetto più trash dell’estate – proprio in senso letterale: spazzatura – impazza anche a Parigi, come è lecito che sia in una città di enormi dimensioni e soprattutto in cui il turismo ha una parte preponderante. Ovviamente l'oggetto più trash del momento è proprietà quasi esclusiva dei turisti asiatici, per loro un must da possedere ad ogni costo. Il numero di selfie-stick in mano a cinesi e giapponesi davanti alla Tour Eiffel, all’esterno (e anche all’interno!!!) di Notre-Dame o nei corridoi del Louvre, è incalcolabile. Ma anche a qualche europeo piace esibire il proprio bastone in luoghi pubblici. È l'esempio di due francesi che al Louvre non possono rinunciare ad un selfie con il loro «dipinto nazionale», La libertà che guida il popolo di Delacroix; è anche l'esempio di un gruppo di bimbeminchia italiane a cui piace mettere in mostra loro immaturità di fronte all’Arc de la Defènse.
Io, comunque, un'idea per un migliore utilizzo di quell’utensile, ce l’avrei.

Le Galeries Lafayette in Boulevard Haussmann

Galeries Lafayette. Il grande centro commerciale in Boulevard Haussmann sarebbe uno dei luoghi più splendidi di Parigi, l'edificio simbolo dell'art nouveau. Peccato che ciò che vi contiene, ossia i più grandi marchi della moda mondiale, siano polo d'attrattiva per i turisti più spendaccioni e spesso più maleducati. Ossia cinesi e giapponesi: il 90% della clientela è composta da questi soggetti, che hanno costretto a rivedere anche i piani di assunzione del personale: un impiegato su due, secondo una mia rozza stima, ha gli occhi a mandorla. Buon per loro, ma non per i malcapitati turisti che alle Galeries Lafayette vorrebbero solamente curiosare e magari apprezzare lo sfarzo di uno degli edifici più famosi. non solo di Parigi ma del mondo intero.

Portate via il divieto di accesso!

Il codice della strada. Un divieto di accesso che diventa un carico molto pesante da trasportare: quella che abbiamo visto (nella foto) sull'Île Saint-Louis è in realtà solo una delle opere di street art che tappezzano Parigi. Il merito è di Clet Abraham, un artista bretone specializzato nel trasformare questi cartelli, rendendoli simpatici senza rimuoverne la giusta visibilità.

"Siamo uguali..."

Modigliani. I fan del famoso pittore livornese Amedeo Modigliani sono tanti, lo dimostrano i gesti di affetto sul luogo dove è sepolto, nel cimitero di Père Lachaise. Ma questo li batte tutti, ed è un gigantesco contributo di ignoranza italica: "Siamo uguali, amiamo il vino, l'arte, la vita [e fin qui...], l'hashish". No words.

Fontana, o piscina, quantomeno bizzarra

La DéfenseLa Défense è il quartiere del trash, per le sue forme provocatorie in ogni sua parte, dagli arditi grattacieli alle fontane più assurde, dalle panchine variopinte alle mura più indecifrabili. Ma non per questo rinuncerei a visitarlo ancora una volta...

Chissà cosa penserebbe Napoleone di questa bici...

La bicicletta. Appendere il manubrio di una bicicletta su un muro, sopra il segnale della via, è sicuramente cosa carina. Mi chiedo perché lo si faccia a Parigi che, nonostante ospiti annualmente l'arrivo del Tour de France, non è una città che eccelle per la presenza di ciclisti...

Ragguardevole...

Sexy tool. Chi viene nella capitale francese in cerca di trash non può farsi mancare di certo lo strumento con cui godersi Parigi senza rinunciare ad un attimo di piacere. Parlo ovviamente del sexy tool a forma di Tour Eiffel, un oggetto assai facile da reperire nei migliori negozi in zona Moulin Rouge. Inutile aggiungere da che parte vada usato.

Opera d'arte... e uno

Opera d'arte... e due

Opera d'arte... e tre! (la mia preferita)

Centre Pompidou. Il Centre Pompidou è l'estrema sintesi di come quella che viene considerata arte può rappresentare, a suo modo, una forma di trash. È sufficiente osservare le opere della collezione permanente ma soprattutto quelle delle esposizioni temporanee, per rendersene conto. Come nelle immagini che ho scelto a titolo di esempio, in cui l'oggetto artistico è composto da luci al neon (spente) e da cubetti di pietra. Televisioni, vassoi, sedie, mattoni, mappamondi, rottami arrugginiti, dentiere, orinatoi: tutti gli oggetti possono essere arte, se rimodellati secondo la visione dell'artista e loro volta re-interpretati. Ma il top rimarrà il crocifisso ricoperto di nastro segnaletico bianco-rosso: è l'apice di un trash (con tendenza alla blasfemia) che nel Centre Pompidou tocca vette di assoluta eccellenza.

Pont des Arts

Pont des Arts. La passerella pedonale che collega la Cour Carrée del Louvre e l'Institut de France è un altro bell'esempio di trash. Perché è passato dall'essere il più famoso collettore di lucchetti, "les cadenas d'amour", ad un luogo di street-art, che è trash lo è praticamente per definizione: a giugno 2015, infatti, 56 buffissimi pannelli colorati hanno sostituito il muro di lucchetti. L'aspetto di Pont des Arts è quindi diventato molto giocoso, ma non per questo meno bizzarro. L'immagine spiega tutto o quasi.

Tutto alla modica cifra di...

Maxim's. Quello di Rue Royale è forse il più famoso ristorante del mondo, grazie ad una storia più che centenaria e a un simbolo di eccellenza gastronomica francese. Dove sta il trash? Provate a guardare il menu: non bisogna essere esperti di cucina per capire che spendere 26 euro per una crêpe sono una follia. Lo guardiamo con curiosità, sorridiamo ironicamente, ci giriamo e andiamo avanti.

David Luiz all'ingresso fa passare la voglia di comprarvi qualsiasi cosa

PSG-shop. Perché è trash? Perché, molto semplicemente, con il fior fiore di campioni che può permettersi il Paris Saint-Germain (Ibrahimovic, Thiago Silva, Cavani, Di Maria, Verratti), non è possibile che l'uomo copertina del proprio negozio ufficiale agli Champs-Élysées sia il difensore più sopravvalutato della storia recente, il brasiliano David Luiz.

Pubblicità in metropolitana

La pubblicità delle Galeries Lafayette. La Tour Eiffel in testa. Giriamo il verso della torre e premiamo con forza.

Mira il dito...

Il ditino. C'è un quadro molto "particolare" nel Museo del Louvre. Si tratta della Madonna col Bambino tra i santi Giuliano e Nicola, di Lorenzo di Credi. È particolare in quanto il bambino con la mano destra fa un gesto inconsueto per un simile dipinto. Non so per quale motivazione, un gruppo di asiatiche - probabilmente coreane - si senta in dovere di imitare il gesto del bambino dipinto, durante le spiegazioni della guida. Bizzarrie da Estremo Oriente.

Qui giace Marcel Proust

Le leggi di Proust. Dunque, io non sono mai stato un fan di Marcel Proust. Avevo provato a leggere La strada di Swann, primo volume della famosa Recherche, ma il suo stile di scrittura tanto originale quanto ermetico che sfocia quasi in un trattato di psicologia, non hanno mai fatto per me. però ne riconosco l'importanza nel panorama letterario e se è universalmente conosciuto come uno dei più grandi della letteratura di ogni tempo ci sarà pure un motivo. Ecco, come è possibile che una giovane ragazza italiana, davanti alla tomba di Proust, al Père Lachaise, si chieda chi fosse. E poi dica "ah si, quello delle famose leggi [le si studiano in chimica]". Che famose sono, ma non per il nome di chi le ha scoperte: non si chiamano infatti "leggi di Proust", ma "leggi delle proporzioni definite".

Lucchetti in faccia al Louvre

I lucchetti. Su Pont des Arts rappresentavano un pericolo, sulla Rive Gauche evidentemente pare di no. Non capisco. Personalmente continuo a ritenere che, ovunque essi si trovino, i lucchetti dell'amore rimangono qualcosa di profondamente stupido e privo di senso. Punto.

Bis bald!
Stefano

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