giovedì 29 ottobre 2015

Sulle tracce di Röntgen

Ciao a tutti!
Le foreste non mancano di certo in Germania. Di aree che finiscono in "Wald" è pieno il territorio tedesco. La più vicina a Schweinfurt è quella che viene chiamata Gramschatzer Wald, un bosco di quattromila ettari che si trova a metà strada tra le città di Werneck e di Würzburg. Quante volte l'ho attraversata in macchina: l'autostrada A7, l'asse che taglia in due la Germania, da Memmingen ad Amburgo, vi passa proprio in mezzo. Una delle tante aree boschive che incontro lungo i miei viaggi verso l'Italia è proprio la Gramschatzer Wald.
Da tempo riflettevo sulla possibilità di farvi una passeggiata. Con la scusa di sgranchire le gambe senza affaticarmi (essendo in fase di allenamento) e volendo godere delle colorazioni magiche dell'autunno, ho deciso finalmente di scoprirla. E cosa ho scoperto, dopo aver camminato per circa sette chilometri tra le querce e i faggi della Gramschatzer Wald?

Sentieri nel giallo

I colori dell'autunno non erano certamente una novità. Peccato per la giornata uggiosa, che non ha concesso di godere appieno delle fantastiche tinte che i boschi assumono in ottobre. L'intensità del giallo e dell'arancione non sono accentuate dal sole, ma la grandissima densità di piante (e di foglie ancora attaccate ai rami) fa sì che si possa apprezzare ancora un bell'effetto cromatico. Spero a novembre di potervi tornare, nella speranza che venti da nord non abbiano spazzato via il manto colorato della foresta e soprattutto nella speranza di trovare un fine settimana all'insegna del bel tempo.

Sparti-alberi

Ho scoperto – forse la rivelazione più inaspettata – che questi boschi erano i prediletti di Wilhelm Conrad Röntgen. Chi è costui? Coloro che hanno avuto modo di apprezzare e approfondire le materie scientifiche ben conoscono il suo nome, in quanto il fisico tedesco, di origini renane ma trapiantato in Baviera (in quanto professore di fisica a Würzburg e a Monaco dopo), è stato il "padre" dei raggi X: per questa scoperta fu insignito nel 1901 del primo premio Nobel per la fisica.
Qui Röntgen veniva a passeggiare e talvolta a cacciare, e nell'area della Gramschatzer Wald si era anche fatto costruire una piccola capanna di caccia. Chi l'avrebbe mai detto che, a otto anni dalla mia laurea, mi sarei ritrovato a ripercorrere gli stessi sentieri battuti da uno dei più grandi padri (non italiani) della fisica?

La casetta di caccia

Ho infine scoperto – anche se sarebbe più corretto parlare di riscoperta – l'amore dei tedeschi per la natura e per la vita all'aria aperta. Ho quasi paura di stufare a dirlo, ma la Gramschatzer Wald è l'ennesimo esempio di come i tedeschi sappiano valorizzare un territorio che offre grandi spunti di bellezza naturalistica. Un bosco è bello e rilassante per definizione, ma utilizzarlo al meglio per renderlo più attraente lo eleva a luogo di richiamo turistico. Ed infatti, nonostante il clima freddo ed umido di questo ottobre, il parcheggio del centro visite risulta essere pieno, così come affollato è il centro visita e il parco giochi, così come molto frequentati, da biker e da passeggiatori, sono gli ottimi sentieri che lo attraversano in lungo e in largo.

Una piccola prateria in un mare di alberi

Tutto ad una manciata di chilometri da casa: nominerò ancora la Gramschatzer Wald numerose volte, sicuramente. Parlerò di gite in bicicletta, di passeggiate, magari anche di corse. Visto la densità di vegetazione, credo proprio che sarà anche un bel rifugio dall'afa della prossima estate…
Bis bald!
Stefano

lunedì 26 ottobre 2015

Direzione Ponte Vecchio: quando una pausa fa bene

Ciao a tutti!
All'appuntamento con la maratona di Firenze manca poco più di un mese. Mancano cinque settimane, per l'esattezza, e questo vuol significare che mi trovo nel bel mezzo della preparazione. Le ripetute occupano le settimane e i lunghi occupano i weekend. Negli ultimi due fine settimana ho sfiorato prima e superato dopo una soglia di una certa importanza, quella dei trenta chilometri. È un limite, quello dei trenta chilometri, assai significativo, in quanto oltrepassato questo chilometraggio, si iniziano a sentire gli effetti della distanza prolungata sulle gambe. E anche il cronometro inizia a fornire dei responsi importanti.

Scenari da corsa autunnale (fonte: oltreilcancello.blogspot.com)

Domenica scorsa era il turno di sfiorare quota trenta: nei ventotto chilometri, corsi nel clima umido e freddo che sta caratterizzando queste ultime settimane, ho ancora fatto ulteriori progressi sul passo: da 4'33"/km sono sceso ancora di qualche secondo, fino a 4'31"/km, pur aumentando di poco i chilometri percorsi. E dire che la partenza non è stata una delle migliori, alla mattina non ho mai ottime sensazioni. Invece, chilometro dopo chilometro, ho limato il passo di ben quattro secondi nell'ultima metà. E all'arrivo ho potuto constatare di essere riuscito in quello che viene chiamato "negative split", ossia riuscire a correre una seconda metà di corsa più veloce della prima: succede spesso, ma non con una differenza di un minuto e mezzo... Una bella progressione senza dubbio, facilitata comunque dalla presenza di una "lepre" speciale, una chiatta per il trasporto fluviale sul Meno, un'imbarcazione che in passato sono talvolta riuscito ad affiancare e superare. Non dopo venti chilometri già sulle gambe, però.

Da 16 a 31 chilometri

Ieri invece era il giorno dei trenta (ed oltre) chilometri. Alla fine sono stati quasi trentadue, ho fatto male i calcoli sul percorso. Ma ho comunque chiuso positivamente l'allenamento. Sono partito forte, nonostante i primi chilometri siano stati "strani". Mi sono sentito pesante, senza fiato e con gambe svogliate. Ho invertito il trend solo con una piccola pausa per ragioni fisiologiche: da lì ho stampato uno dietro l'altro dei più che incoraggianti chilometri a 4'30"/km se non anche inferiori. Poi, a cinque chilometri da casa, la luce si è spenta e ho dovuto andare a pescare tutte le energie più residue per mantenere un passo ancora veloce. Chiudo in 4'32"/km, conscio che migliorare ancora il passo non sarebbe stato facile. Ma soprattutto, chiudo felice. Sei mesi fa, infatti, correvo la stessa distanza impiegando 14 secondi in più ad OGNI chilometro. Quattordici secondi possono essere un'eternità. Su una maratona, sui 42,195 chilometri, vorrebbe dire quasi dieci minuti in meno (dieci!!!); ovviamente un miglioramento di dieci minuti non può essere possibile. Ma alzare l'asticella delle proprie pretese, stavolta, è più che un dovere.
Bis bald!
Stefano

domenica 25 ottobre 2015

Berlino, io ci riprovo...

Tentare la sorte talvolta non guasta.
Con Berlino e la BMW-Berlin Marathon, con la maratona più veloce della Terra, sono al secondo tentativo. Che sia quello buono? Io, ovviamente, ci spero.
A dicembre ne saprò qualcosa in più. Intanto ci ho provato, sperando che la sorte di questa lotteria sia favorevole...


Bis bald!
Stefano

sabato 24 ottobre 2015

Bücher: Il grande Airone

"In un pomeriggio di quasi primavera, un bambino sta giocando su un prato di Villa Borghese a Roma, sorvegliato dall'occhio vigile dei genitori. Il bambino lascia i suoi giochi perché ha sentito dire che oggi, 19 marzo, si corre la Milano-Sanremo. «Babbo», chiede il bambino, «chi ha vinto la Milano-Sanremo?» Come fa un pover'uomo alla fine degli anni Quaranta, che se ne sta a Villa Borghese a godersi il primo sole di primavera, a sapere chi ha vinto la Milano-Sanremo? Cerca di spiegare la difficoltà a suo figlio, che però non vuole sentire ragioni, ma poi finisce per trovarsi di fronte a un'alternativa: una sonora sculacciata o tirare ad indovinare. Siccome il babbo è un sostenitore ante litteram dell'educazione basata sulla persuasione, sceglie la seconda soluzione. «Coppi, ha vinto Coppi, va bene?» Il bambino torna ai suoi giochi poco persuaso. Ma la sera alla radio sente la notizia: Fausto Coppi ha vinto la Milano-Sanremo. «Come lo sapevi?», chiede il bambino. «Era facile», risponde il babbo, «vince sempre lui...» Da quel giorno il bambino tiene per Coppi, anche se in famiglia sono toscani e quindi bartaliani."
Giancarlo Governi, Il grande Airone


Chi ama il ciclismo non può fare a meno di questo libro, uno dei più completi su colui che è unanimemente riconosciuto come il più grande campione delle due ruote di tutti i tempi. Parlo del Campionissimo, Fausto Coppi. Un grande dello sport italiano in senso assoluto, un mostro in sella ad una bicicletta. Quello che non tutti sanno è la sua importanza nel contesto storico del dopoguerra italiano. Il grande Airone, libro del giornalista ed autore televisivo Giancarlo Governi, mette in luce proprio questo aspetto meno conosciuto agli appassionati. Il grande Airone fu pubblicato per la prima volta nel 1995 e ripubblicato nel 2010 con sostanziali aggiornamenti, che includono le testimonianze di un "certo" Gino Bartali, altro mito delle due ruote.
Proprio con Bartali, Coppi condivise il destino del ciclismo italiano negli anni Quaranta e nei primi anni Cinquanta. La loro fu una semplice rivalità sportiva, se ci si limita a considerare il loro rapporto interpersonale. L'opinione pubblica trasformò la rivalità in un dualismo fra due diverse visioni del mondo - e soprattutto due contrapposte appartenenze politiche: il piemontese Coppi a fianco del Partito Comunista e il toscano Bartali con la Democrazia Cristiana (nonostante entrambi non furono mai iscritti a questi partiti politici). Negli ultimi anni Cinquanta, quando l'Intramontabile Bartali decise di abbandonare le corse, i due si avvicinarono notevolmente sul piano umano, diventando due amici fraterni, accomunati dalle grandi vittorie ma da anche simili tragedie (entrambi persero i fratelli più giovani durante competizioni ciclistiche). I racconti sull'amicizia tra i due grandi fuoriclasse che divisero l'Italia pre-miracolo economico sono una delle parti più riuscite - e commoventi - del libro.
In secondo luogo – ma non meno importante, anzi forse ancora più significativo a livello storico – il libro di Governi mette in luce tutto il bigottismo imperante in quel periodo in Italia. La vita privata di Coppi, le sue vicende extraconiugali con la "Dama Bianca", furono oggetto di discussione in tutta Italia, addirittura a livello politico. A riguardo ne sapevo qualcosa, raccontato dai miei genitori e sentito in televisione a contorno dei racconti delle imprese coppiane. La gogna mediatica che dovette subire Coppi non mi stupì, ma non potevo immaginare che "solo" poco più di mezzo secolo fa, una donna potesse venire rinchiusa in prigione come una delinquente comune per la sola colpa di amare un altro uomo. Un episodio che fa riflettere sull'arretratezza del pensiero comune in Italia.
E poi c'è la storia della sua infanzia, trascorsa nella campagna alessandrina, gli inizi su una bicicletta con cui lavorava da fattorino, le prime corse, la vittoria all'esordio, nel suo primo Giro d'Italia. Il record dell'ora e la campagna d'Africa durante la Seconda Guerra Mondiale. Le grandi vittorie, le doppiette Giro-Tour e il Campionato del Mondo. Se proprio devo trovare una pecca in questo libro è il mancato riferimento ad una delle imprese più belle, la vittoria della Cuneo-Pinerolo nel Giro del 1949, simbolo della sua eterna grandezza. Ma ripeto, ne Il grande Airone è concentrata tutta la dimensione sportiva e soprattutto umana di Coppi. Sono pagine di sport e di vita che emozionano ancora, anche a distanza di decenni.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 9/10 

venerdì 23 ottobre 2015

MS#58

"Si vive di più andando cinque minuti al massimo su una moto come questa, di quanto non faccia certa gente in una vita intera".
Marco Simoncelli


giovedì 22 ottobre 2015

Le dieci cose che ho amato di più a Parigi

Ciao a tutti!
Quando vidi Parigi per la prima volta ero un giovane adolescente. Avevo da poco compiuto diciotto anni. Ma sapevo già prima di vederla che me ne sarei innamorato. E quando finalmente ebbi l'occasione di spendervi qualche giorno, beh, mi ero reso conto di non essermi sbagliato. In cuor mio, avevo sempre sperato di tornarci, un giorno o l'altro. Undici anni dopo ne ho avuto l'occasione. L'ho fatto con Giulia, con la mia futura moglie, ed è stato ancora più meraviglioso. Parigi è una città speciale, e chi si ama non può che amare Parigi.
Perché si ama Parigi? Un motivo vero e proprio non credo esista, è una combinazione di molteplici fattori, che possono essere anche molto diversi tra loro: luoghi, persone, cose. Io, in questa settimana parigina ne ho individuati dieci, che ho messo in ordine nella consueta Top-10 post-vacanza.

Oltre a Giulia, c'è anche Pont Alexandre III tra le cose più belle di questa vacanza parigina

1. Montmartre. Eh si, se c'è un quartiere con il quale si può identificare Parigi forse quello è proprio Montmartre, la "terra libera degli artisti". Qui si può dire di stare al centro di un sogno. Forse sarà anche per il nostro ritratto che si siamo fatti fare insieme in Place de Tertre, ma è a Montmartre che ci siamo sentiti sempre più innamorati. È a Montmartre che abbiamo toccato con mano lo spirito bohèmien. È Montmartre il quartiere dei mulini e delle vigne al centro di una capitale europea. A mio parere, senza Montmartre Parigi non sarebbe la Parigi che conosciamo.

Il Sacro Cuore di Montmartre

2. Bouquinistes. Se la Senna viene definita "l'unico fiume al mondo che scorre tra due librerie", il merito è tutto dei bouquinistes, probabilmente i più famosi commercianti di Parigi. Sulle loro bancarelle si può rintracciare di tutto: riviste, cartoline, libri (antichi e recenti), souvenir, stampe, oggetti da collezione. Se armati di pazienza, nei box in legno dipinti di verde collocati su entrambe le rive della Senna si può veramente trovare l'introvabile, dalle edizioni più antiche di libri dei propri autori preferiti - specie se francesi - ai numeri più introvabili di riviste ciclistiche anni '50, cartoline di cent'anni fa, poster del concerto sognato e mai vissuto o il pezzo che manca alla propria collezione di fumetti. I bouquinistes sono parte integrante del panorama di Parigi. Sono fermamente convinto che, oltre all'inestimabile importanza culturale, senza queste bancarelle anche una foto di Notre-Dame vista dal Lungosenna non assumerebbe lo stesso fascino.

I tipici box sul Lungosenna

3. Passeggiare sul Lungosenna. Immaginiamo una coppia di innamorati in visita a Parigi. Immaginiamo una sera d'estate, calda ma solcata da una fresca brezza. Immaginiamo le luci su Pont Neuf o sulla Conciergerie. Immaginiamo il romanticismo di Pont Alexandre III. Immaginiamo i riflessi della Tour Eiffel su una Senna increspata dal passaggio dei bateau mouche. Non ho bisogno di aggiungere altro. È la sintesi del luogo perfetto per una storia d'amore.

L'imbrunire è il momento migliore per una passeggiata sulla Senna

4. Tour Eiffel. Questo non è solo il simbolo di Parigi, ma anche un punto di riferimento, una calamita per gli occhi. Qualsiasi sia la prospettiva dalla quale ci si trovi ad ammirarla non si può non esserne rapiti. Davanti alla Tour Eiffel ci si ferma e non si andrebbe più via. Di giorno, ma soprattutto di sera, quando le luci la trasformano in uno spettacolo assolutamente unico.

Una torre... sfavillante

5. Le fermate della metro. La metropolitana parigina non è intuitiva come quella di Barcellona, non è pulita come quella di Monaco, non gode della stessa tranquillità di Amburgo, ma è sicuramente la più efficiente finora incontrata (in attesa di vedere come se la passa Londra). Ma le parete di alcune stazioni sono a dir poco indimenticabili. Penso alla fermata Tuileries, tappezzata di immagini vintage che scavano nel secolo scorso. Penso alla fermata Bastille, ricoperta di piastrelle dipinte dalle effigi di patrioti francesi. Penso alla fermata Concorde, una specie di Scarabeo su parete. Penso soprattutto alla fermata Abbesses, nel bel mezzo di Montmartre, alla scalinata le cui pareti sono colorate con immagini che più parigine non si può, senza dimenticare l'edicola in ferro battuto che si trova all'uscita, una delle poche ancora originali di fine XIX secolo. Ma penso ovviamente ai pali che riportano l'indicazione Metro, altro che le nostre M. Così come penso alla piastrellatura delle fermate. Non c'è niente da fare, altra storia, altra classe.

Metro old style

6. Gli squares. Non sono piazze, come gli anglofili potrebbero pensare. E non si pronuncia all'inglese (skwɛə(r)), come mi diverte fare, ma alla francese (skwaʁ). Chiamiamoli giardinetti pubblici? Chiamiamoli così. Ma sono qualcosa di meglio, forse perché sono disseminati in ogni area della città. In mezzo alle case e ai palazzi, dietro le chiese, nei luoghi più improbabili. Perché fermarsi in questi giardini può diventare veramente un bel momento di relax e piacere. Indimenticabili lo Square Jean Rictus, vicino alla stazione Abbesses della metropolitana, dove campeggia una enorme parete con le parole "ti amo" tradotte in tutte le lingue del mondo, e lo Square Gabriel Pierné, dove le panchine, a forma di libro, sono il miglior invito alla lettura.
Il più famoso è sicuramente lo Square du Vert-Galant, posto sull'estremità dell'Île de la Cité, ma era troppo affollato per i nostri gusti. Quelli più frequentati, invece, beh... sono sciuramente il giardino delle Tuileries e Place des Vosges. Chiamarli "square" è riduttivo. Ma quello sono, solo un pochino più grandi di un semplice giardinetto.

Lo square a fianco dell'abbazia di Saint-Germain-des-Prés

7. Macarons. Mi sono privato di questa bontà per quasi una settimana intera. E non si può immaginare il rimpianto che ho avuto quando ho scoperto, nel più celebre negozio di macarons di Parigi, Ladurée, che queste prelibate miscele di mandorla, uova e zucchero (più la crema,  ovviamente) sono completamente senza glutine. Uno dei motivi per tornare il prima possibile a Parigi!

Nel negozio di Ladurée in Rue Royale

8. Il palazzo del Louvre. Quanta imponenza, quanta maestria. In ogni suo lato, il palazzo del Louvre, incute rispetto. Per la sua presenza corpulenta, per il suo essere faro nell'urbanistica parigina. Ma soprattutto per ciò che contiene l'omonimo museo, una quantità pazzesca di bellezza artistica dal valore incalcolabile (impossibile non ripensare alla famosa frase "adorna d'opere di artisti incantati" de Il codice da Vinci). L'ala Denon, quella che si affaccia sulla Senna, è anche quella che ha l'onore di ospitare la "galleria degli italiani", uno spettacolare corridoio in cui sono presenti dipinti dei più grandi pittori italiani. Beh, posso garantire che passeggiare di notte, di fianco al Louvre, sapendo cosa giace a breve distanza, fa venire i brividi...

Il lato orientale del Palazzo del Louvre

9. Le facciate dei ristoranti. Anche qui si può dire che si sta parlando di qualcosa molto "parigino" o comunque tipico della cultura francese. Le pareti dei ristoranti (ma anche di altri esercizi come librerie o gelaterie), tutte in legno - ma è poi veramente legno? - e dipinte di colori vivaci, mi riportano indietro nel tempo, ad atmosfere rustiche, a tempi passati, lontanissimi dalla modernità dei giorni nostri. Sono locali questi, che fanno sognare, nei quali innamorarsi è un fatto più che lecito.

Un ristorante della Rive Gauche

10. I cartelli delle strade. Le targhe blu dalla cornice verde, che segnalano le vie di Parigi e l'arrondissement in cui ci trova, sono diventati un souvenir facile da trovare anche nei negozi di Parigi (io stesso ne ho comprato uno...). Ma ci sono altre città con una segnaletica stradale altrettanto irresistibile? Al momento non le ho ancora trovate...

L'inconfondibile segnaletica parigina

Bis bald!
Stefano

lunedì 19 ottobre 2015

Bücher: Come in una ballata di Tom Petty

"Alla fine è banale: ritorni in un luogo e lo vedi più piccolo di come ricordavi, più polveroso. E allo stesso tempo alcune cose mantengono un loro significato, senza che il restringimento di prospettiva le renda minimamente squallide: la libreria dal nome operaio, il supermercato dove lavorava tuo padre, la panchina dove ti eri steso dopo quella famosa seconda (o terza, o quarta?) sbronza. E il contrasto ti assedia i pensieri, perché questa volta sei solo, a contemplare quei posti. Solo e isolato, diresti. Solo e isolato perché ti aspettavi di essere riconosciuto, come se in qualche modo fossi parte della storia di quella città, una storia breve e intensa e adolescenziale, quando invece consumi strade e marciapiedi senza essere visto o notato."
Marco Patrone, Come in una ballata di Tom Petty


Leggere (e soprattutto recensire) un libro scritto da una persona che conosci non è cosa semplice. Si tende ad analizzare ogni singola frase con molta più attenzione, in questo caso alla ricerca di riferimenti autobiografici, alla ricerca di una connessione con una parte della sua vita. Parlando di Come in una ballata di Tom Petty di Marco Patrone (amicizia prima "virtuale" su Facebook e poi anche "reale" - ma che per me e Giulia rimane comunque Marco Recensireilmondo, dal nome dell'omonimo blog letterario), rivedo molto di lui e di ciò che pubblica costantemente sul suo profilo.
Rivedo nel suo libro d'esordio una scrittura un po' ermetica, ma proprio per questo coinvolgente. E rivedo anche parte di me. Non potrebbe essere altrimenti, Come in una ballata di Tom Petty è sostanzialmente un viaggio in Europa tra Italia e Germania (dove peraltro l'autore vive). È una fuga, ribelle ma mai scriteriata, di un manager italiano dalla realtà di Monaco - ricca e glamour - alla ricerca di una nuova vita che riscopra le proprie origini (mane e territoriali). In essa ritrovo molte componenti psicologiche del ritorno a casa di un uomo che passa il 90% lontano dalla sua terra, in un'altra nazione. Chi sa cosa vuol dire lasciare la propria terra si ritroverà facilmente nelle numerose riflessioni che questo romanzo induce, con un pizzico di mesta ironia. Marco racconta scene di vita vera vissuta nella normalità, scene che in parte ho vissuto anch'io, con dettagli che sono un sincero specchio del pensiero umano.
I riferimenti musicali sono tanti, ma da me poco conosciuti: sicuramente danno un tono di originalità al romanzo e stimolano il mio desiderio (un po' sepolto) di riprendere un po' le mie "ricerche musicali", a partire proprio dal Tom Petty del titolo - so chi è, ma conosco una sola sua canzone. Molto più comprensibili per me i riferimenti calcistici, a partire da Valderrama per arrivare alla formazione dell'Atalanta. All'insegna dell'inconsueto.
Per concludere, voglio fare tre domande "fuori dal coro" all'autore che, conoscendolo, sono sicuro risponderà. In ordine di (non) serietà:
- il caffè buono è solo quello non premuto? Per me è il contrario...
- perchè, nell'intento di addormentarsi, Marco pensa proprio alla formazione dell'Atalanta?
- ma perché diamine Marco non riesce a confessarsi a Francesca???
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 9/10 
>>> vedi recensione di Come in una ballata di Tom Petty su Scusate, devo andare a leggere.

domenica 18 ottobre 2015

Direzione Ponte Vecchio: 18 ottobre 2015, mai fidarsi degli interisti

Ciao a tutti!
Non sono il tipo di persona che si pone questioni di scaramanzia quando c'è da scegliere un capo di abbigliamento. Soprattutto quando si parla di calcio. Da juventino, non ho molti vestiti "in black and white", ne ho molti di più con colori simili al granata, quello della rivale cittadina. Ripenso anche alle vecchie scarpe da corsa: le prime avevano un look milanista, l'ultimo paio che ho pensionato erano rosse e gialle, una combinazione romanista. Nel cassetto del vestiario da corsa ho anche un paio di calze nerazzurre. Era da un po' che non le mettevo. Le ho indossate stamattina per il consueto lungo del fine settimana (oggi da ventotto chilometri), assolutamente incurante del fatto che stasera si sarebbe giocata Inter-Juventus. E, scherzo del destino, mi hanno provocato una vescica sulla pianta del piede destro.

Maledette calze nerazzurre

Nulla di grave, eh. Ultimi chilometri corsi con un bel fastidio e un' andatura un po' claudicante per casa. Sarà solo un caso che le calze "interiste" portino sfortuna? Non lo so, però è curioso che questo episodio capiti proprio nel giorno del "derby d'Italia".
L'allenamento almeno è andato bene, anzi fantasticamente bene. Oltre 28 chilometri a 4'30"/km, un ottimo tempo. Sei mesi fa circa, corsi circa 27 chilometri in 4'44"/km e circa 31 chilometri in 4'45"/km. Correre quindici secondi più forte ogni chilometro può valere una decina di minuti in meno durante la maratona. Beh, ora sto sognando, ma pensare di migliorarsi è cosa più che legittima. Calze interiste permettendo - che ovviamente non saranno a Firenze.
Bis bald!
Stefano

venerdì 16 ottobre 2015

Trenta per mille

"Fino a trent'anni, se ne hanno sempre venti. Dopo i trent'anni, se ne hanno quaranta."
   Charles Régismanset

 
Per il post del mio trentesimo compleanno avevo in serbo un pezzo speciale. Tante riflessioni, idee, bilanci. Alla fine, sapete che dico? Tutte cazzate. A chi potranno mai interessare? Oggi compio trent'anni, per me sono tanti, forse troppi e non posso che augurarmi altri trent'anni così, pieni di vita e di gioia. E lo faccio così, con un aforisma un po' scemo ma molto calzante, nel post numero mille de A spasso tra i Giganti.

giovedì 15 ottobre 2015

Maestro per molti, esempio per tutti

Conosceva il Cervino come le sue tasche, nessuno più di lui. Parlo di Luigi Carrel, probabilmente la più grande guida della Valtournenche. È a lui che dedico l'ultimo della serie di post pensati per omaggiare il Cervino e suoi uomini, in quest'anno segnato dal centocinquantesimo anniversario della prima salita. E ho scelto questa data perché mi è sembrata, da italiano, quella più significativa. Il 15 ottobre, infatti (era l'anno 1931), Luigi Carrel, assieme a Enzo Benedetti e Maurice Bich, compivano la prima ascensione integrale della parete sud, quella che appartiene interamente al territorio italiano, quella che guarda Cervinia e la Valtournenche.

La parete sud, quella tutta italiana (fonte: clamarcap.wordpress.com)

Luigi Carrel, detto "Carrellino" è indubbiamente uno dei personaggi più importanti della storia del Cervino. Il suo nome è sostanzialmente scolpito nella roccia della Gran Becca, grazie alle numerose salite, delle quali non si può tenere più il conto, e soprattutto delle prime assolute realizzate sullo gneiss del Cervino. Quella del 15 ottobre 1931 è una delle tante. L'anno successivo Carrel si prende anche la pericolosissima parete est, assieme ad una cordata di altri cinque alpinisti. E anche sulla ovest Carrel mette il suo nome su una nuova via (nel 1947). Senza dimenticare che anche sulle creste, Carrellino ha lasciato il segno: la prima salita integrale della cresta di Furggen viene compiuta nel 1942 e porta ancora una volta la firma di Luigi Carrel.
Ma Luigi Carrel non è solamente la più grande guida del Cervino. È un alpinista a tutto tondo, e lo testimoniano le numerose spedizioni in Patagonia, nel tentativo di salire Fitz Roy e Cerro Torre, nonché le salite effettuate nei gruppi del Gran Paradiso e del Bianco. Qui tentò ripetutamente la prima salita della parete nord dello Sperone Walker delle Grandes Jorasses (poi conquistata da Cassin). Il suo nome è anche il capolista dell'albo d'oro di una famosissima competizione, il Trofeo Mezzalama. Si, uno dei primi vincitori della più famosa gara scialpinistica, che si tiene fra Cervinia e Gressoney, fu proprio Carrellino.

Un'illustrazione della più grande guida del Cervino, Luigi Carrel (fonte: madonnadeighiacciai.it)

Il valore dell'impresa di Carrel, a distanza di oltre ottant'anni, sta nel fatto che, fatta eccezione per la prima invernale, questa via sulla parete sud vanta solamente due ripetizioni. Certo, la parete sud non gode dello stesso fascino (e storia) della parete nord. Ma il continuo scarico di pietre che avviene dalla parete sud la rende pericolosa e di difficile accesso, per questo sono stati così pochi i tentativi di salita. Salita che nel 1931 fu compiuta secondo un brillante itinerario, diretto, in cui vennero utilizzati solamente cinque chiodi nonostante il IV grado costante soprattutto nel tratto finale: tutti fattori che esaltano l'impresa di Carrel.
Carrel è un personaggio che la comunità alpinistica non dimentica affatto. Non lo dimentica certamente la Valtournenche, dove è nato (per la precisione a Cheneil, uno dei più straordinari balconi sul Cervino) e vissuto, dove ha scritto alcune delle pagine più memorabili dell'alpinismo.
Bis bald!
Stefano

mercoledì 14 ottobre 2015

Bücher: Walter Bonatti. Il fratello che non sapevo di avere

"Walter è stato l'ultimo grande dell'alpinismo tradizionale, che a lui era sacro, l'ultimo alpinista forte su tutti i terreni contemporaneamente, nello stesso periodo. È chiaro che l'alpinismo di oggi non è più la stessa cosa. però, chi entra davvero nella psicologia e nella storia dell'alpinismo capisce che lui è la direzione giusta, quella che lascia maggiore possibilità di fare esperienze. Walter ne ha avute di fortissime e ha saputo anche esprimerle e trasmetterle. Per questo oggi lui non manca all'alpinismo, ma mi manca come compagno di discussione e di vita. Fra noi si era creata una forte e intima conoscenza dell'altro. La compassione anche, intesa come condivisione dei sentimenti, il capire l'altro attraverso le gioie e le sofferenze vissute. È stato un grande dolore perdere l'amico, l'alpinista, però in me c'è la consapevolezza che se n'è andato con la massima purezza e rimane questo cristallo, senza età, sempre giovane nella mia memoria, forte, idealista, creativo, genuino verso gli altri, senza invidia. Un grande uomo, dotato di una grande umanità, come ne ho trovata in poche altre persone. Lo stimo molto. E più ancora delle grandi capacità di alpinista stimo la sensibilità che ha saputo esprimere nei suoi scritti, raccontando quello che ha visto, sofferto, capito nella sua vita."
Reinhold Messner, Walter Bonatti. Il fratello che non sapevo di avere.


Difficile dire chi siano stati i più grandi. Personalmente, non ho dubbi. Assieme a Riccardo Cassin, sono loro due i più forti alpinisti italiani del XX secolo: Reinhold Messner e Walter Bonatti. E quando il primo racconta il secondo, non possono che scaturire emozioni a raffica, di quelle che fanno sfiorare il pianto.
Walter Bonatti. Il fratello che non sapevo di avere è un libro scritto "a quattro mani" da Messner con il giornalista Sandro Filippini, amico di entrambe le leggende della montagna. Pubblicato nel 2013, a due anni dalla scomparsa di Bonatti, questo libro vuole essere per Messner il suo personale omaggio a questo gigante delle Alpi, l'alpinista che con le sue solitarie e l'etica ferrea e senza compromessi ha saputo ispirare la carriera dell'altoatesino. È un omaggio più che affettuoso, verso un personaggio, Bonatti, che ha sempre ammirato ma dal quale - come spiega nel libro - la stampa ha saputo allontanarlo. Semplici incomprensioni, che verranno sanate nel 2004, molto tardi ma mai troppo tardi: da quel momento trascorreranno sette anni di proficuo scambio di esperienze.
Esperienze dalle quali nasce questo meraviglioso volume, che alterna una cronaca a tratti romanzata della storia di Bonatti e soprattutto dell'episodio più controverso che lo riguarda (la conquista italiana del K2) all'esperienza di Messner e di egli stesso con Bonatti. Descrizioni dettagliate, commenti sempre appropriati, un meraviglioso dipinto dei retroscena alpinistici del XX secolo, quasi un testo di filosofia dell'alpinismo... Per scoprire infine che i due scalatori italiani, per quanto divisi da numerosi fattori (dal tempo, dalla storia e dall'esperienza) hanno vissuto momenti di vita analoghi fra loro. Uno dei momenti più toccanti è proprio la trascrizione di un dialogo tra Bonatti e Messner, che lui definisce "come se fossimo stati in quota, in una tenda". Un confronto epico, tra due monumenti della montagna.
Per appassionati e non solo.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 10/10 

martedì 13 ottobre 2015

Direzione Ponte Vecchio: chilometri di foglie morte

Ciao a tutti!
Gli allenamenti in vista di Firenze continuano senza indugi. Assieme alla palestra, sempre importante, assieme a ripetute su salite apparentemente impossibili da correre, assieme a serie di allunghi veloci, talvolta sotto un diluvio, ci sono i "lunghi", la tipologia di allenamento che più preferisco. Poco alla volta, il chilometraggio aumenta. E soprattutto, sale con interessanti risultati, che lasciano intravedere ottime prospettive verso l'appuntamento di fine novembre.

Io corro qui/1 - Mainradweg (versione autunnale)

Un'uscita da 16.5 chilometri a 4'34"/km, ad inizio settembre, poteva essere poco significativa. Sedici chilometri non sarebbero da considerare come "lungo", in quanto l'allenamento standard giornaliero consta di quattordici chilometri circa. Ma è un tempo già importante, tenendo conto che è stato fatto ad inizio preparazione. Poi arrivano due "lunghi" interlocutori, come la sessione da 18 chilometri sul tappeto, svolta a 4'43"/km e ancora quella effettuata per verificare la tenuta sulla mezza maratona, 21.7 km corsi a 4'41"/km. Tempi comunque buoni, se messi in relazione a sei o dodici mesi fa.
Ciò che mi ha stupito sono i lunghi che sono venuti dopo. Una settimana prima della mezza maratona corsa a Norimberga ho aggiunto due chilometri, correndo 23.8 km in 4'35"/km. Ecco, questo è un importante miglioramento, totalmente inaspettato. Ma ciò che è stato per me molto significativo è il come ho corso durante questi (quasi) ventiquattro chilometri. Dopo i primi tre-quattro chilometri come sempre relativamente lenti, ho iniziato a carburare e macinare chilometri costantemente sotto 4'40"/km. Ci sta, a gambe fresche. Ma con lo scorrere dei chilometri il passo aumentava sempre di più. La stanchezza affiorava, ma il ritmo non calava, anzi aumentava, fino ad uno splendido 4'27"/km nel chilometro finale.

Io corro qui/2 - Mainberg (© Christian Kutz)

Mi sono detto: «dopo un lungo fatto in queste condizioni, la prossima uscita dovrai essere un pochino più lento». E invece no, domenica ho corso 26.9 km in 4'33"/km, ossia limando due secondi a chilometro, ma aggiungendo tre chilometri. La trama è la stessa: anche stavolta, dopo una partenza col freno tirato, ho progressivamente alzato il ritmo, fino a correre gli ultimi tre/quattro chilometri costantemente sotto 4'30"/km. Qui si inizia a superare i 13 km/h, cosa che non credo mi sia mai successa in un lungo. Inizio a non credere più a me stesso. Progredire, avanzare, migliorarsi, ci sta, è legittimo, ho lavorato per questo. Non pensavo potesse succedere al punto tale da raggiungere e oltrepassare quello che vorrebbe essere il ritmo maratona.
Penso a sei mesi fa, quando corsi un lungo da 27 chilometri in 4'45"/km (vedi post), che significa correre cinque minuti più veloci. Il 29 novembre non potrò correre cinque minuti più veloci. Ma aspettarsi un bel miglioramento è lecito. Scendere sotto le 3h15' è più che una speranza. In condizioni favorevoli e senza imprevisti, è quasi una certezza.
Bis bald!
Stefano

lunedì 12 ottobre 2015

L'abisso fra noi e loro

Ciao a tutti!
Il campionato del mondo ironman, che si tiene annualmente alle Isole Hawaii, oltre alla meravigliosa performance di Alex Zanardi - che ha saputo ripetere il successo dell'anno passato (vedi post), migliorandosi ancora - ha visto concretizzarsi un nuovo exploit dello sport tedesco. La competizione ironman "più dura del mondo" è stata nuovamente vinto da un atleta tedesco (Jan Frodeno) ma l'edizione 2015 è stato catalizzata dalla presenza della Germania, che sale anche sul secondo gradino del podio. Doppietta tedesca in una prova che richiede muscoli ma soprattutto forza di volontà e tenacia di acciaio.
Parlando di sport, i tedeschi sono veramente una nazione molto forte. Si potrà dire che per mentalità, per dedizione, per preparazione, possono essere più forti di altri, ma personalmente penso che i segreti dello sport tedesco risiedano nei numeri del movimento sportivo tedesco. Ne avevo già parlato in occasione dei Giochi olimpici di Sochi, ma questo trionfo teutonico all'Ironman di Kona ha aperto una riflessione su quanto i tedeschi siano superiori a livello sportivo. E, con qualche mese di permanenza in più, posso portare esempi concreti.

Jan Frodeno, vincitore dell'Ironman 2015, stremato al traguardo (fonte: sueddeutsche.com)

Ne parlavo solamente ieri con Giulia... guarda dove finiscono i tedeschi di domenica: nelle ciclovie. O sui sentieri in mezzo ai boschi, o al lago, nei parchi. Non di certo in affollati centri commerciali dall'aria viziata - peraltro chiusi nei giorni festivi. Fare attività sportive, più o meno intense, durante i fine settimana, è pratica comune in Germania, da parte di anziani e soprattutto giovani. Durante le mie escursioni nella Thüringer Wald o nella Rhön, sono rimasto favorevolmente stupito dalla presenza di molti giovani, a piedi o in bici, su sentieri di queste aree. D'altronde la prima forma di relax è quella mentale, e ossigenare il cervello nel weekend aiuta sicuramente a fare bene durante la settimana.
Un altro esempio l'ho avuto lo scorso weekend a Norimberga, dove ho corso la Stadtlauf Nürnberg Halbmarathon 2015. I numeri, se paragonati a quelli di una città che conosco, come Torino, sono impietosi. A Norimberga, città di 490.000 abitanti, una mezza maratona raduna 1881 podisti; Torino, città dalla popolazione quasi doppia (895.000 unità), ne raccoglie 1445, il 25% in meno. Se il movimento podistico in Italia è in forte crescita, beh, in Germania è una solida realtà da anni.
Ma i numeri globali del movimento sportivo tedesco fanno ancora più impressione: se il CONI, il Comitato Olimpico Italiano, può vantare 11 milioni di tesserati in circa 95.000 società, l'omologo tedesco, il DOSB, ne conta 27 milioni in 89.000 società. Germania batte Italia con un +250% che è impietoso, pensando che la Germania ha una popolazione superiore del 36% rispetto all'Italia. E poi ci sono i risultati dei Giochi Olimpici. Non prendo in considerazione le edizioni invernali, in cui, per risorse e tradizioni, la Germania non può che essere che naturalmente superiore all'Italia. Ma nelle ultime cinque edizioni, da Atlanta 1996 a Londra 2012, gli atleti tedeschi hanno portato a casa 255 medaglie contro le 157 italiane (+62%) - di cui 73 d'oro, contro le 52 italiane (+40%). Si parla di numeri, certamente, ma sono cifre che diventano lo specchio di una diversa attitudine ed abitudine allo sport.
C'è tantissimo da fare per raggiungere la Germania. Bisogna rinnovare infrastrutture, ricercare nuove forme di finanziamento, ma soprattutto cambiare l'inclinazione allo sport della gente. E per questo serve tantissimo tempo, forse un'intera generazione. Ma si deve cominciare ora. Consoliamoci almeno con il calcio. In questo sport, quantomeno, i tedeschi non ci battono mai.
Bis bald!
Stefano

domenica 11 ottobre 2015

C'è sempre qualcosa di nuovo da imparare...

"La montagna più alta e difficile è sempre quella che portiamo dentro di noi. Perché alla fin fine siamo noi a crearci le nostre montagne e il desiderio di superarle."  
Walter Bonatti

Campaniletto, Grigna: laddove nacque il mito Bonatti (fonte: summitpost.org)

Leggendo di Bonatti, delle sue vicende e della sua carriera di alpinista, c'è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, qualche insegnamento speciale e soprattutto mai banale.
Penso a questa affermazione e dico: averne, di queste montagne da superare. Questa frase, citata da Messner in Walter Bonatti. Il fratello che non sapevo di avere, fa parte di quell'infinito bagaglio di saggezza che Bonatti ha lasciato ai posteri. Un bagaglio dal quale, una volta aperto, non si riesce più ad estrarne tutto il contenuto. Di imparare, non si smette mai.

sabato 10 ottobre 2015

Bücher: Eva dorme

«La maggior parte degli altoatesini di lingua italiana pensano che voi sudtirolesi di lingua tedesca siete tutti nazisti.»
Io gli risposi: «La maggior parte dei sudtirolesi di lingua tedesca pensano che voi altoatesini di lingua italiana siete tutti fascisti.»
«Dovrebbero allearsi e dichiarare guerra al resto del mondo. Io però non sono fascista. Tu sei nazista?»
«No.»
«Mi sembrava. Io sono figlio di un ferroviere d'Isernia e un'insegnante di Salerno, ma sono nato e vivo a Bolzano, l'unico posto sul territorio nazionale dove gli italiani si sentono appunto italiani, e non siciliani, napoletani, veneti o piemontesi. Se non addirittura abitanti di Acitrezza – ovvero tutta un'altra cosa, ma proprio una cosa diversissima, da non confondere a nessun costo con quelli di Acireale.»
«Ma almeno a te» gli dissi «quelli che abitano da Verona in giù non fanno la famosa domanda, come a me invece.»
«Fammi indovinare qual è: “Posso invitarti a cena?”.»
«No. “Ti senti più italiana o più tedesca?”»
«Davvero te lo chiedono?»
«Sempre. Tutti.»
«Deve essere molto fastidioso. Senti, vorrei farti una domanda. Ti senti più italiana o più tedesca?»
«…»
«Va bene, allora te ne faccio un'altra: posso invitarti a cena?»
Francesca Melandri, Eva dorme


Ciao a tutti!
Eva dorme di Francesca Melandri è uno di quei libri che dovrebbe entrare in ogni elenco di letture consigliate per gli studenti delle scuole superiori. Questo testo colma una grande lacuna nella memoria storica italiana, la questione sudtirolese. Lo fa miscelando verità storica ed una vicenda non reale ma assai realistica. La verità storica, minuziosamente raccontata in uno stile semplice e romanzato, diventa un meraviglioso spaccato di storia e di territorio che buona parte del popolo italiano ignora e dovrebbe conoscere, integrandosi perfettamente con la storia intera della nazione (vengono discussi episodi come la strage di Bologna e il rapimento di Aldo Moro). La vicenda è quella di una madre e di sua figlia, Gerda ed Eva, protagoniste assolute e immagini di donne coraggiose.
La trama di Eva dorme corre su due binari paralleli. Il primo è la lunga storia di Gerda, donna forte, figlia di un uomo freddo ed incapace di provare sentimenti, sedotta da un uomo che la abbandonerà non appena scoprirà che è incinta, madre coraggiosa in un periodo intriso di tensioni sociali. Tramite la vicenda di Gerda si sviluppa anche tutta la storia della questione sudtirolese. Il secondo filo conduttore è il viaggio che la figlia di Gerda, Eva, ormai donna adulta, compirà dalle Dolomiti alla Calabria per andare a trovare Vito, figura chiave del romanzo, un uomo che con il suo calore riscatta la codardia del padre di Gerda, prima, e del padre di Eva, dopo. Non è un semplice viaggio in treno, è una profonda ricerca introspettiva, storica e personale, nonché una lunga esplorazione delle diverse tradizioni italiane.
Le culture, gli usi e costumi presenti in Italia sono molteplici e assai diversi tra loro. Eppure, la storia ci ha riunito in una solo paese. Non siamo tutti uguali, ma le diverse forme di bellezza che ci contraddistinguono nel mondo possono coesistere. Questo è uno dei messaggi, a mio parere, di Eva dorme. Ed è per questo che esso è un testo di grande valore sociale, in grado di raccontare le battaglie politiche, i contrasti tra i sudtirolesi e i Walschen (così venivano chiamati gli italiani) e il processo di integrazione di una terra tanto meravigliosa quanto tormentata, che continua ancora oggi.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 10/10 

venerdì 9 ottobre 2015

Direzione Ponte Vecchio: cielo grigio su, la pioggia giù

Quando quasi tre anni fa portai a termine la prima maratona, a Torino, vivevo ancora in Italia e avevo modo di contagiare chi mi stava attorno con i miei racconti. Di come fosse meraviglioso alzarsi alle 5.30 per correre le ripetute nella notte oppure svolgere allenamenti da oltre trenta chilometri. Qualcuno tra i miei amici e conoscenti ha provato, per breve tempo, a lasciarsi travolgere da questa mia passione. Ma nel 95% dei casi non ha funzionato. Perché? Perché la corsa è un sentimento. E come tutti i sentimenti, o ci sono o non ci sono.
È quello che ho pensato martedì quando ho cominciato la "fase due" dell'allenamento in vista della Firenze Marathon, in cui lascio le ripetute in salita per ritrovare le ripetute in piano. È di nuovo ora di 30-20-10, un tipo di allenamento molto redditizio ma anche dispendioso fisicamente e mentalmente. Ricominciare sotto un diluvio non è proprio il massimo. Eppure, nel pomeriggio di martedì, questa era la proposta di un cielo più che plumbeo. Gocce fitte e grasse, prendere o lasciare. È in questi momenti, in cui c'è da decidere se prendersi o meno un acquazzone memorabile, che si comprende come la corsa sia veramente un sentimento, un amore che nella maratona rasenta la follia.

La pioggia che affossa le gambe (fonte: matteoraimondi.altervista.org)

Decido dunque di uscire per l'allenamento previsto. L'impatto è di quelli forti. La pioggia non fa male ma si sente. Sono quasi le 18 - i negozi stanno per chiudere - e la poca gente ancora in giro per Schweinfurt mi guarda stranita. Che ci farà mai 'sto pazzo qui a correre sotto la pioggia, per di più con un berretto in testa (che in realtà uso per evitare che la pioggia dia fastidio agli occhi)? Non lo posso sapere ma immagino che pure gli automobilisti che mi vedono in attesa del verde al semaforo pensino all'incarica la medesima cosa: ma chi glielo fa fare?
Arrivo alla Mainradweg, in un posto finalmente tranquillo, lontano da sguardi di stupore. La visuale è di un grigiore senza precedenti. Il cielo, che non si capisce se è coperto da nebbia o da nubi, è grigio. Il fiume Meno, pure. Alle sue rive si trovano due enormi edifici, due blocchi di cemento, l'Ostello della Gioventù e il mulino Cramer, anch'essi grigi. In un tale contesto anche gli alberi pare abbiano perso la loro colorazione...
Quando inizio le accelerazioni la pioggia si intensifica. Sono dieci minuti difficili, in cui accelero e rallento con un occhio puntato sul cronometro. E schivo pozzanghere. Ma è inutile, le mie calzature sono già intrise di pioggia. Al Mainberg l'intensità delle precipitazioni diminuisce e allora guardo in che stato sono. La maglietta è un tutt'uno col corpo, la strizzo un po' per alleggerirla... ma quanta acqua ho preso??? Da lì fino a fine allenamento non avrò più a che fare con la pioggia, piuttosto con una macchina della polizia. Chissà che devono aver pensato all'interno...
Nelle quattro ripetute da otto minuti percorro in ordine queste distanze: 1.94-1.95-1.90-1.88 chilometri a ripetuta, distanze in linea con quelle di sei mesi fa. Non male per essere all'inizio delle settimane delle ripetute, non male se fatte sotto il diluvio. Cosa rimane di questa sessione un po' pazza? Rimane il ricordo di un'esperienza...purificante. Per quanto scomodo e fastidioso possa essere correre sotto l'acqua, un allenamento nel bel mezzo di un diluvio è una bella scarica di adrenalina...
Bis bald!
Stefano

giovedì 8 ottobre 2015

Un concentrato di design - La Top-10 dei padiglioni di Expo2015

Ciao a tutti!
Manca poco alla fine di Expo2015, sicuramente il più importante evento tenutosi in Italia nel 2015. Dopo aver raccontato le sensazioni della giornata trascorsa a Milano (vedi post), voglio ora stilare la classifica dei padiglioni più belli di Expo. Non tanto per il loro contenuto - ci andrebbero giorni di visita - ma per il design, lo stile e il gusto che li contraddistinguono nella loro struttura esterna.
Buon...giro del mondo!
Stefano

10. Cina. Ai cinesi piace essere i primi e dominare il mondo. Non si risparmiano quanto ad audacia e sobrietà, e lo provano anche ad Expo2015, dove si presentano con una specie di doppia onda. Assolutamente spettacolare.


9. Bielorussia. Non sarà di certo il padiglione più impattante di Expo2015 - peraltro nessuno lo cita nei consigli di visita - ma la "ruota della vita" è una delle idee più originali viste a Milano: una sorta di mulino in cui l'acqua viene sostituita da sgargianti cristalli liquidi.


8. Azerbaigian. Strano, ardito, complesso: tutto questo è il padiglione dell'Azerbaigian, un concentrato di modernissimo design sia esternamente che internamente.


7. Malesia. La struttura del padiglione malese riprende quella dei quattro semi della foresta pluviale ed è costruita in legno strutturale ricavato da materiale locale. Effetto scenico garantito.


6. Germania. Anche i tedeschi sono gente creativa, e io lo sono bene... Il padiglione tedesco, uno dei più frequentati tra quelli europei, ovviamente dopo quello italiano, è esternamente un mix tra il Sydney Opera House e l'Olympiapark di Monaco. Come sempre, proiettati verso il futuro.


5. Kazakistan. Un grande specchio frastagliato per il "paese del futuro", come ama definirsi. Non sappiamo minimamente cosa volesse offrirci il padiglione kazako, ma esternamente lascia a bocca aperta.


4. Russia. Ai sovietici pare che piaccia guardarsi e riguardarsi e quindi, dopo lo specchio kazako, è il turno dello specchio russo. Solo un po' più grande ed incline ai selfie.


3. Emirati Arabi Uniti. Troppa la coda per entrare in uno dei padiglioni definiti tra i più interessanti. Anche il design scelto per Expo2015, mimimalista e con i toni del deserto, lo rende tra i più fotografati e riconoscibili della manifestazione. D'altronde, è stato progettato da un certo sir Norman Foster...


2. Gran Bretagna. L'alveare del padiglione britannico, che si ispira al movimento di un'ape, ci mostra quanto siano importanti le scelte globali sul futuro dell'alimentazione: e ai visitatori, fa girare la testa.


1. Ecuador. Guardatelo: non ci si può non innamorare di fronte a tanto colore, tanta gioia e tanta vita. Assolutamente il mio preferito.


Fuori categoria. Italia. Ai francesi piace dire "hors catégorie", e fuori categoria lo è veramente. Ispirarsi alla natura (in questo caso ad una ragnatela) e rispettare la natura (la struttura è fatta in un cemento speciale che elimina l'inquinamento tramite processi di fotoossidazione) ci pongono, secondo me, un gradino di fronte a tutti i partecipanti. Brava, Italia!


mercoledì 7 ottobre 2015

Dell'acqua e del sangue - Scoprire Parigi lungo la Senna

Ciao a tutti!
I fiumi che attraversano una grande città rivestono sempre un ruolo di grande importanza. In molti casi, essi si identificano con la città stessa (e viceversa), per formare legami indissolubili. Le grandi capitali europee sono il miglior esempio: il Tamigi a Londra, il Tevere a Roma, il Danubio a Vienna e Budapest. Parigi non è ovviamente da meno: la Senna non è il fiume più importante di Francia in senso geografico - Rodano e Loira sono due corsi d'acqua molto più imponenti per lunghezza e bacino - ma lo è in senso storico ed economico. Buona parte della crescita di Parigi all'interno del contesto francese e del suo ruolo di capitale indiscussa di Francia, è dovuta alla presenza della Senna, sulle quali rive fu sostanzialmente costruita la coscienza dei francesi come popolazione.

La Senna in versione notturna
E poi, ovviamente, quell'aria di romanticismo che solo a Parigi si respira, beh, non sarebbe certamente la stessa cosa senza la Senna, senza i ponti che la attraversano, le costruzioni che la affiancano e le innumerevoli storie che qui si sono succedute nel corso dei secoli.
Anche passeggiare alla sera ha un'altra valenza se fatto mano nella mano lungo la Senna. Le luci soffuse dell'Île de la Cité, i riflessi della Tour Eiffel, i fari dei bateau mouche che rischiarano la grande bellezza parigina. Ah, i bateau mouche. I famosi e numerosi battelli che solcano il corso della Senna possono essere la migliore sintesi di Parigi. Un'ora, o un'ora e mezza, e Parigi è visitata, di giorno o di notte, con una romantica cena o senza. Si può sostanzialmente ripercorrere tutta la storia di Parigi e della Francia tramite un bateau mouche. Ogni ponte sotto il quale passa il battello ha una sua storia da raccontare. Ed è quello che proverò a fare in questo post.

Pochi i lucchetti su Pont des Arts, vero?

Partendo in un viaggio lungo il corso della Senna, comincerei dal Pont d'Austerlitz, quello che si potrebbe definire il ponte "delle due stazioni". Non lontano da questo ponte infatti, e su entrambe le sponde, si trovano due importanti stazioni parigine, la Gare d'Austerlitz (sulla rive gauche, centro nevralgico per i collegamento verso sud-ovest) e la Gare de Lyon (sulla rive droite, probabilmente la stazione più famosa di Parigi e arrivo dei treni provenienti dal sud, addirittura dichiarata monumento nazionale!). Prende il nome dalla località ceca dove ebbe luogo una delle più grandi vittorie napoleoniche. Napoleone è uno dei personaggi chiave della storia di Francia, storia che specchia dei ponti di parigi: questo è solo uno dei tanti ponti in cui vengono celebrate o ricordate le vicende di Napoleone Bonaparte.

La Colonna di Luglio: ciò che rimane della Bastiglia

Il bateau mouche viaggia verso ovest, verso le due isole della Senna. La prima è l'Île-St-Louis, la meno famosa delle due, ma non per questo meno accogliente. Affianchiamo l'isola subito dopo aver superato il Pont de Sully, quello che porta alla Bastiglia. La Bastille, l'antica fortezza di Parigi, la cui conquista il 14 luglio del 1789 fu un'icona, un momento simbolico della Rivoluzione Francese, al punto tale che quel giorno è celebrato come festa nazionale. Place de la Bastille, il cui monumento al centro della piazza, la Colonna di luglio, ricorda invece la fine del regno di Carlo X e l'inizio della dominazione di Luigi Filippo, è oggi uno dei poli per le grandi manifestazioni di massa nonché area di grande vivacità culturale grazie all'Opera. Della Bastiglia oggi non c'è più niente, solo una traccia impressa al suolo di boulevard Henri IV - che però non abbiamo trovato.

Bateau mouche in transito sotto la Conciergerie

In base alla sponda scelta si incontrano ora Il Pont de la Tournelle (sulla rive gauche) o il Pont Marie (sulla rive droite), collegati tramite l'Île-St-Louis con una strada dal nome tutt'altro che originale, Rue des Deux Ponts. Percorrendo questa strada in direzione nord si arriva nel vivace quartiere del Marais. Ma su questi ponti è nato il primo nucleo fortificato di Parigi: il nome "de la Tournelle" deriva proprio da una torretta di fortificazione risalente al XII secolo.
Dopo il ponte "doppio", è il turno del ponte "triplo", in corrispondenza del canale che separa l'Île-St-Louis con l'Île de la Cité: muovendosi dalla rive gauche verso la rive droite si incontrano in sequenza il Pont de l'Archevêché, il Pont Saint-Louis, il Pont Louis-Philippe. Il primo, il Pont de l'Archevêché, ha una caratteristica peculiare: con i suoi diciassette metri di ampiezza è il più stretto di Parigi. Il secondo, Pont Saint-Louis, collega le due isole, è interdetto al traffico motorizzato e proprio per questo è il terreno ideale per gli artisti di strada.

L'Hôtel de Ville

Dunque, si incontrano i ponti "di Notre-Dame", quelli dai quali può raggiungere più facilmente la più famosa chiesa di Parigi. Pont au Double, Pont d'Arcole, Petit-Pont, Pont Notre-Dame. Dire che sono ponti molto suggestivi è riduttivo, vista la presenza della cattedrale di Notre-Dame sul ramo sinistro della Senna e dell'Hôtel-Dieu sul ramo destro. Quest'ultimo, edificio dotato di grande imponenza utilizzato in passato come ricovero per pellegrini, anziani e malati, caratterizza completamente l'aspetto della Senna nel ramo destro. Ma da Pont d'Arcole, si può ammirare in tutto il suo splendore anche l'ottocentesco Hôtel de Ville, sede del municipio di Parigi, uno degli edifici a mio parere più spettacolari delle'intera città.
Ma se c'è un altro fenomeno a caratterizzare questo tratto di Senna è la presenza dei bouquinistes, commercianti/librai che riempiono le banchine della Senna con i loro libri usati, nonché antichi giornali e souvenir vari, in alcuni casi veri pezzi da collezione. Senza i bouquinistes e senza i tipici box in legno pitturato di verde, i boites verts, le rive della Senna non sarebbero la stessa cosa...

Pont Sant-Michel e Notre-Dame

Quindi è il momento dei due ponti più "incasinati di Parigi": Pont Saint-Michel e Pont au Change. Sono molto frequentati in quanto collegano l'Île de la Cité con due importanti stazioni della metropolitana, Châtelet e Saint-Michel. Entrambi sono facilmente riconoscibili, grazie alla "N" che rappresenta l'effigie di Napoleone III. L'asse composto da questi due ponti si concretizza sull'isola con il Boulevard du Palais, sul quale si affacciano alcuni tra i più importanti edifici di Parigi: il Palais de Justice, la Conciergerie e la Sainte-Chapelle (vedi post). Senza dimenticare che sulla "terraferma" ci sono il Marais e il Quartiere Latino, due aree non proprio noiose e poco frequentate...

Pont Neuf visto dal bizzarro Pont des Arts

Il Pont Neuf è forse il ponte più imponente di Parigi. L'ultimo collegamento tra le due sponde della Senna che attraversa anche l'Île de la Cité ha un nome piuttosto controverso. Risalente al 1607, esso è infatti il ponte più vecchio di Parigi, nonché il più lungo (oltre duecento metri), il più amato dagli artisti (Pissarro l'ha raffigurato più volte) e anche il più decorato: la sua fama è data anche dai 385 mascarons, le decorazioni grottesche a mo' di maschere dell'antica Grecia. Visto dal Pont des Arts, il Pont Neuf appare quasi come una fortificazione fluviale. Camminarvi sopra significa passeggiare sulla storia di Parigi, sulla pietra che ha visto nascere una nazione. Significa anche godersi uno degli scorci più tipici della capitale francese o regalarsi un acquerello dai vari ambulanti che sostano sui balconi del ponte. Sulle sue sponde sorge il famoso ex-magazzino La Samaritaine, un pezzo di storia di Parigi e simbolo dell'Art nouveau.

Il monumentale complesso del Louvre

Superate le isole, la Senna si apre placida. Ma ad interrompere questa serenità arriva la passerella pedonale di Pont des Arts, una costruzione non molto bella ma molto simbolica. Questo è il punto di ritrovo di tutti gli innamorati che vogliono suggellare la loro storia d'amore con un lucchetto. È anche il luogo ideale per improvvisare un picnic cittadino o mercanteggiare qualche opera di pittori in cerca di fortuna. Ma è soprattutto il collegamento tra Saint-Germain-des-Prés, il grande polo delle gallerie d'arte e di antiquariato e il Louvre, un palazzo-museo che non ha certo bisogno di presentazioni.
Sulla rive gauche, all'altezza del Pont des Arts, sorge un edificio di grande fascino e notevole importanza, l'Institut de France, un collegio fortemente voluto da Mazzarino come scuola per le giovani promesse francesi. Esso raggruppa ben cinque accademie, quella delle scienze, delle belle arti, delle lettere, delle scienze politiche e la più antica, l'Académie française, fondata da Richelieu nel 1635.

Il Museo d'Orsay è l'antica stazione ferroviaria della linea Parigi-Orléans

Poi, con l'ala Denon del Museo del Louvre sulla rive droite, si arriva al Pont du Carroussel, il cui nome deriva chiaramente dalla Place du Carroussel di fronte al Louvre e alla sua piramide, e dunque al Pont Royal, il cui nome fa riferimento al Re Sole, Luigi XIV che investì personalmente nella sua ricostruzione. Sono due ponti in pietra che ben si addicono alla regalità del Palazzo del Louvre davanti al quale sorgono.
Prima di arrivare alla Passerelle de Solférino, si incontrano due luoghi di fondamentale importanza: uno è il Museo d'Orsay, l'ex stazione ferroviaria costruita per l'Esposizione Internazionale del 1900 e noto in tutto il mondo per ospitare le più famose opere impressioniste, dai francesi a Van Gogh; l'altro è l'edificio che ospita il Musée de la Légion d'honneur. Beh, cosa sia e cosa contenga, non mi è molto chiaro, ma questo palazzo è perfettamente collocato nel ambiente reso elegante dalla presenza di due musei come il Louvre e Orsay.

Guglie della concordia

Di lì a breve si incontra il Pont de la Concorde: è un ponte dagli innumerevoli significati. Guardando verso la Tour Eiffel, sulla sinistra si ha il Palazzo Borbone, dove ha sede l'Assemblée Nationale (uno dei due rami del parlamento francese), sulla destra si trovano il Giardino delle Tuileries, uno dei luoghi più ameni di Parigi, e la grande spianata di Place de la Concorde. È dunque un ponte di importanza nevralgica nel contesto urbano parigino, ma soprattutto ha un valore simbolico incredibile: alcune delle pietre con le quali è costruito provengono dalla Bastiglia, la cui presa e distruzione diedero il via alla Rivoluzione Francese. Non a caso, in passato questo ponte fu anche chiamato Pont de la Revolution.
Una menzione d'obbligo va a Place de la Concorde, uno dei luoghi che più mi ha emozionato di Parigi. Perché questa piazza, il naturale prolungamento delle Tuileries, la spianata più grande di Parigi e la seconda più ampia di tutta la Francia, è oggettivamente meravigliosa. La precisione verticale dell'obelisco di Luxor di Place de la Concorde e la mole della Tour Eiffel sembrano quasi volersi sfidare di fronte ai fotografi come due giocatori di pallacanestro a rimbalzo. L'obelisco è crocevia di sguardi e traiettorie visive, da qui si ha una visuale quasi perfetta sugli Champs-Élysées e sull'asse che parte dal Louvre fino all'Arc de la Défense, passando per l'Arc du Triomphe di Place Charles De Gaulle. Ma la grande emozione è anche fatta di ricordi sportivi. Sulla superficie di Place de la Concorde e sugli Champs-Élysées transitano per i loro ultimi chilometri i corridori del Tour de France, e quindi non possono che ritornare alla mente le grandi gioie regalate da Marco Pantani (la sua vittoria nel 1998 rimane per me una delle gioie sportive più grandi mai vissute) e più recentemente da Vincenzo Nibali. Ovviamente, non si può dimenticare il significato storico di Place de la Concorde: questa era la piazza della ghigliottina - qui vennero decapitati Luigi XVI con la compagna Maria Antonietta, Danton e Robespierre, tra l'altro - qui è scorsa una quantità inimmaginabile di sangue, il sangue che ha forgiato l'anima della Francia.

Pont Alexandre III

Segue il mio ponte preferito, pont Alexandre III. Per più di un motivo: perché qui si consuma il finale di uno dei romanzi di Barreau (vedi post), perché è assolutamente il più affascinante, per l'eleganza che la campata unica gli conferisce, per la colorazione bianca che quasi nasconde la sua natura in acciaio, per le statue dorate e le decorazioni baroccheggianti. Costruito anch'esso in occasione dell'Esposizione Internazionale del 1900, il nome di questo ponte nasce dall'alleanza siglata tra la Francia e la Russia a cavallo tra il XIX e il XX secolo, il cui iniziatore fu proprio lo zar Alessandro III. È senza dubbio uno dei luoghi più romantici di Parigi, una di quelle location che non si dimenticano facilmente.

Hôtel des Invalides

E anche attorno c'è quanto basta per rimanere a bocca aperta. Sulla rive gauche è ben riconoscibile l'Hôtel des Invalides, il cui nome deriva dal suo primo utilizzo, come ospedale per gli invalidi di guerra. La grandiosa struttura barocca, voluta dal Re Sole affinché i reduci di guerra trovassero cure e riposo adeguati, è caratterizzata da una cupola completamente dorata sotto la quale sorge una chiesa, inizialmente cappella privata di Luigi XIV. Successivamente, l'Hôtel des Invalides ebbe diversi usi: come mausoleo (qui riposano le spoglie di Napoleone e di molti ufficiali dell'esercito francese), come museo (tra le sue mure è ubicato il Musée de l'Armée) e durante la Seconda Guerra Mondiale, fu la base logistica del movimento di resistenza guidato da De Gaulle.
Sulla rive droite, invece, "è nata l'arte contemporanea", prendendo spunto dalle parole di Giulia. L'asse formato dall'Hôtel des Invalides e dal Pont Alexandre III continua sulla riva destra con Avenue Winston Churchill, la quale separa il Grand Palais e il Petit Palais. Realizzati sempre in occasione dell'Esposizione universle del 1900, il Grand Palais e il Petit Palais sono due enormi padiglioni espositivi realizzati secondo criteri neoclassici. Il primo è tuttora utilizzato per mostre di arte ed eventi fieristici, il secondo ospita la collezione del Museo delle Belle Arti di Parigi. Come è ovvio, in una settimana poter visitare tutta Parigi è impossibile, ma Grand e Petit Palais sono sicuramente nella lista di prossime mete da visitare in una futura tappa a Parigi.

Le Grand Palais

Superato il seguente Pont des Invalides, il più basso di Parigi, si arriva in una delle location parigine più frequentate dal 1997, il Pont de l'Alma. Nell'omonimo tunnel che dalla rive droite porta al ponte perse la vita in un incidente stradale Lady Diana assieme al compagno Dodi Al-Fayed. La fermata della metropolitana Alma-Marceau, in ottima posizione per raggiungere la Tour Eiffel e l'Arc de Triomphe, è utilizzata soprattutto dai turisti per andare a vedere il tunnel dove morì una delle icone femminili del XX secolo. La Flamme de la Liberté, riproduzione della "fiamma" presente sulla Statua della Libertà a New York e posta proprio all'imbocco del Tunnel de l'Alma, è il punto di raccolta in cui decine di persone lasciano un fiore in ricordo della compianta principessa del Galles.

La Senna e la Tour Eiffel viste dal Pont de Bir-Hakeim: è l'ultima foto prima di lasciare Parigi...

A breve distanza dal Pont de l'Alma, si trova il Pont d'Iena, il raccordo sulla Senna tra la Tour Eiffel e il Trocadéro, ponte voluto da Napoleone per ricordare la sua vittoria sui prussiani a Jena. Per ovvi motivi, il Pont d'Iena è assieme al Pont Neuf il ponte più affollato di Parigi... quante foto alla Tour Eiffel vengono scattate da questo ponte. Anche se, a dirla tutta, la vista più spettacolare sul simbolo di Parigi si trova poche centinaia di metri più avanti, con il Pont de Bir-Hakeim. È un ponte destinato alla metropolitana, un ponte che benedico e maledico allo stesso tempo. Perché da qui, abbiamo finalmente visto la Senna e la Tour Eiffel al nostro arrivo a Parigi e da qui, con un sorriso ed una lacrima, le abbiamo salutate. Fino al prossimo appuntamento, ovviamente.
Bis bald!
Stefano

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