mercoledì 30 settembre 2015

L'isola del vino

La passeggiata nei vigneti era qualcosa che mancava alla lista delle "cose da fare" in Franconia. E quale momento migliore se non settembre, il mese della vendemmia, per fare una bella gita tra i più importanti vigneti della Germania, quelli della valle del Meno? L'area posta tra Schweinfurt e Würzburg non è sicuramente la più importante in Germania per quantità (impossibile competere col Baden o con il Palatinato) ma è certamente una delle più rinomate terre per la produzione vitivinicola.

I vigneti a nord di Nordheim am Main

Alcuni paesi adagiati lungo le rive del Meno possono affermare di vivere quasi esclusivamente sulla produzione di vino. Uno di questo è Sommerach, un curatissimo paesello di un migliaio di anime, distante soli trenta chilometri di auto da Schweinfurt, che avevo già attraversato più di un anno fa quando percorsi la Mainradweg (vedi post). Tra Sommerach e il vicino Nordheim am Main, si sviluppa un'immensa area fatta esclusivamente di vigneti, il cui nome non può tradire: Weininsel, "l'isola del vino".

Viti verso l'infinito

Aussichtsturm

Perché abbiamo scelto Sommerach? Il motivo è molto semplice. La mappa della zona indica la presenza di vigneti e allo stesso tempo di sentieri segnalati che li attraversano. La Weininsel possiede una notevole rete di strade e sentieri, impossibile resistere alla tentazione di vedere tutta la meraviglia dei vigneti franconi nel loro momento migliore. Inoltre, la valle del Meno, che proprio attorno alla Weininsel si incurva in una delle tante anse che caratterizzano questo fiume (Sommerach si raggiunge in trenta chilometri di auto, o settanta chilometri lungo la Mainradweg), garantisce una visuale ampia sui vigneti.

Presto in bicchiere

Prima di entrare nella zona dei vigneti, superiamo il centro storico della piccola Sommerach. Grazioso, curato e soprattutto molto frequentato. Le Weingut, ossia le case vinicole e le cantine tedesche, offrono degustazioni abbinate a piatti tradizionali della cucina locale, anche a cifre abbordabili. Non a caso, sono quasi tutte piene. Tra queste, c'è quella della cooperativa locale di Sommerach, alla quale appartengono buona parte dei vigneti che attraverseremo di lì a poco. Letteralmente invasa dalla gente, molti dei quali l'hanno raggiunta in bicicletta. Che straordinario esempio di turismo sostenibile.

L'esposizione di una rivendita locale

Saliamo verso una torre di osservazione. Può sembrare strano, ma in cima alla collina, è stata eretta un torretta dalla quale si può osservare il panorama sui vigneti della Weininsel. E non solo. Già sulla strada perso la cima della collina si possono ammirare, grazie anche alla splendida giornata, il profilo di Sommerach nascosto dalle viti, la valle del Meno che tende ad aprirsi in direzione Kitzingen, l'abbazia benedettina di Schwarzach. Il Meno si nasconde un po' alla visuale, servirebbe qualche metro in più. In compenso, il panorama sui vigneti è clamoroso, e da qui si evince che la Franconia, almeno quanto a bellezza delle sue colline, non ha nulla di che invidiare alle Langhe o al Monferrato. C'è una sola differenza: il cielo, all'orizzonte, è costellato di pale eoliche.

Pale ne abbiamo?

La gita della domenica

Ci spingiamo ancora avanti nel percorso, fino a raggiungere un altro punto punto panoramico. Di qui la vista si spinge maggiormente verso nord. Fino a Schweinfurt, addirittura. Prima raggiungiamo Nordheim am Main con lo sguardo, poi le torri della ormai ex-centrale nucleare di Grafenrheinfeld, quindi la nostra città. Ma ciò che più colpisce sono i vigneti: bellissimi, ricchi, floridi. I grappoli di uva sono di un colore intenso, e soprattutto dolcissimi - si, ci facciamo cogliere dalla tentazione di spiluccare qualche acino. Ciò che ne uscirà non potrà che essere un ottimo vino. E ovviamente, è sempre affascinante vedere la cura che i tedeschi mettono nelle aree rurale. L'ordine e la precisione tedesca arrivano anche nelle campagne. Non una strada, un filare o una zolla fuori posto.

Sommerach

Torniamo a Sommerach continuando la nostra amena passeggiata domenicale tra i filari, incrociando qualche famiglia e anche parecchi anziani. Loro sì che l'hanno capito, che non c'è niente di meglio di una domenica soleggiata trascorsa nella natura più tradizionale e con un bel bicchiere di vino di qualità. Il vino... questa volta non me lo posso permettere in quanto c'è da ritornare a Schweinfurt e devo farlo in auto. Ma la prossima volta...
Bis bald!
Stefano

martedì 29 settembre 2015

Provateci, capirete

"Ha vintoo! Stefano Baldini ha vinto la madre di tutte le corse! Ha sfinito gli uomini degli altipiani, ha stroncato i guerrieri masai e ha vintoo! Oddio, ma come posso spiegarvi cosa significa veramente. D'accordo, facciamo quello che Galileo chiamava un esperimento mentale. Poniamo che abbiate tra i 30 e i 40 anni. Poniamo che siate sani e abbastanza in forma. Poniamo che uno vi abbia appena rubato il portafoglio e voi stiate correndo a tutta velocità per riacciuffarlo - un centinaio di metri, diciotto secondi - e proprio quando siete sul punto di prenderlo, scoppiate. Ecco, immaginate che mentre voi siete lì con le mani sulle ginocchia, il rumore del sangue nelle orecchie, il vostro ladro continui così per altri cento metri e poi per altri cento e per altri cento ancora, così avanti per 42 chilometri e 195 metri, cioè quattrocentoventidue volte quello che avete appena corso, sempre alla stessa velocità con cui voi stavate per avere un infarto. Bene, il ladro del nostro esperimento è Stefano Baldini, capite? Ovviamente il nostro maratoneta non ha rubato niente a nessuno, ha rivaleggiato con i più forti del momento, ivi compreso il detentore del record del mondo Paul Tergat, e ha vinto nel modo più meritato che si potesse sperare (anche l' incidente capitato allo sportivissimo De Lima a causa di un mitomane non ha influito che di pochi secondi sull'esito della gara). Eppure ho paura che non mi stia ancora spiegando, magari voi state pensando che in fondo si tratta sempre di una corsa: insomma, non è una disciplina tecnica, non è il salto con l' asta, non è il nuoto sincronizzato - Dio, la tv rende tutto maledettamente semplice. Allora proviamo così: un maratoneta di sessanta chili consuma circa 450 litri di ossigeno e perde più di tre litri di liquidi. Compie circa 21.000 passi alla massima velocità consentita dal suo organismo. Al termine dei 42.195 metri la cannibalizzazione delle fibre mitocondriali, subita in uno sforzo pari a 2200 kilocalorie, gli impedirà di camminare eretto per almeno un paio di giorni. Sì, cannibalizzazione, perché, una volta esaurite anche le ultime riserve di glicogeno scovate nel fegato, i muscoli cominciano a mangiare se stessi e lui si ritrova a poter contare solo su ossa e neuroni. A quel punto, chi lo vede da fuori pensa che gli abbiano appena sparato addosso un intero caricatore. È poco tecnico un atleta che sa correre con le ossa e i neuroni? Può sembrarvi rozzo materialismo, ma paradossalmente questi dati sul corpo sono importanti per comprendere lo spirito del maratoneta, il quale fa della propria pratica sportiva una specie di arte marziale, qualcosa che assomiglia a una disciplina interiore più che a un gesto atletico. Baldini si allena dodici volte alla settimana per complessivi duecento chilometri. Ha una perfetta conoscenza di tutto ciò che succede dentro quella macchina pensante che è il suo organismo. Ha educato il proprio metabolismo a fornirgli fin dai primi chilometri una miscela di zuccheri e grassi, cioè l' ideale per fabbricare le quantità sconsiderate di Atp che una maratona pretende. Sa amministrare le proprie risorse, e controllare i nervi, per una gara che raramente finisce prima di due ore e dieci. Non so come dire, la sua tecnica è rarefatta in un gesto più mentale che fisico. È questo che attrae le persone che corrono. E non sto parlando di professionisti, sto parlando delle centinaia di migliaia di italiane e italiani incapaci di resistere un paio di giorni senza una sgambata. Cominciano con qualche chilometro - e il k-way giacca e pantaloni, credendo che sudare faccia dimagrire - e finiscono per correre nove ore alla settimana. Chi entra nel tunnel della corsa difficilmente ne esce. Non è questione di linea - quella di solito è solo la motivazione iniziale -, la corsa, quando attecchisce, diventa un piacere irrinunciabile. Chi corre, chi lo fa abitualmente, tende a confrontarsi con i propri limiti, prova a forzarli, continua a esplorarsi, a conoscersi. Presto o tardi finisce per misurarsi con la maratona. È lì che il runner si trasforma in una specie di samurai senza spada, un guerriero consapevole della propria cosmica fragilità, duro e severo solo con se stesso. La maratona è un obiettivo personale per moltissima gente. Quella di New York è entrata nell'alfabeto visionario dei pubblicitari. Il mondo del running è fitto di relazioni, contatti, siti web per incontrarsi nei parchi e correre insieme. C' è tutta una comunità nascosta che alle otto del mattino, nelle città disabitate delle domeniche d' inverno, calza tutine in lycra e partecipa alle «non competitive». Ma ci sono anche i solisti, uomini che corrono sul bordo strada con l'esclusiva compagnia delle proprie scarpette. Magari qualche volta avrete rischiato di investirne uno. Ora sappiate che poteva trattarsi di un campione olimpico."
di Mauro Covacich, Corriere della Sera, 30 agosto 2004

L'emozione unica di una partenza (fonte: startnummermarkt.de)

lunedì 28 settembre 2015

Direzione Ponte Vecchio: shakera!

Ciao a tutti! Dopo cinque cicli di allenamento per sei maratone ho potuto constatare come in una preparazione tutto "faccia brodo", dalla palestra all'usare la bicicletta tutti i giorni per recarsi a lavoro, dalla passeggiata in montagna alla cyclette. Per svegliare le gambe dal torpore estivo post-Alta Via ho anche messo a punto un nuovo allenamento, che il mio stesso coach ambiva di farmi realizzare, che miscela la corsa pura, la base della preparazione, con il ciclismo. Le caratteristiche geografiche della Franconia, la terra in cui vivo, hanno fatto il resto. E, durante un weekend in cui ho avuto un sabato di libertà quasi assoluta, ho provato a svolgere questa sessione di training per me assolutamente nuova.

Di corsa sui sentieri dell'Ellertshäuser See (© Zimmerfrau)

Preparo la bici da corsa, un oggetto che in Franconia può essere molto prezioso. Lasciando la valle del Meno si incontrano numerose colline e quindi percorsi vallonati molto divertenti, fatti di un susseguirsi continuo di brevi salite e discese. Con la bici da corsa percorro i (circa) venti chilometri che mi separano dall'Ellertshäuser See, quella che sarà la mia sede di allenamento "podistico". Sono chilometri questi, molto divertenti. All'inizio, uscendo dal centro abitato, la salita è decisamente impegnativa, poi diventa un saliscendi in cui non si fatica troppo in salita e si toccano punte importanti in discesa. Fino all'Ellertshäuser See, appunto. Qui comincio la parte "di corsa". Sfilo il casco, cambio i pantaloncini e lego la bici. Poi parto per tre giri del lago, un'ottima meta per staccare dal trantran cittadino. Corro per il 95% su sterrato, seguendo le numerose anse del lago. Passo in mezzo ai pescatori e sorpasso qualche podista del weekend (arrabbiandomi per vederli correre in tuta con una temperatura di 20°C).
Poi mi ricambio e indosso nuovamente il casco. Ma stavolta seguo un altro percorso, che mi riporta ovviamente a Schweinfurt, ma passando da Schonungen (il primo comune che si incontra lungo la Mainradweg in direzione Bamberga), attraversando altre piccole ed amene frazioni, tra strappi micidiali e discese piacevoli.

Il percorso del mio primo allenamento "misto"

Come è andata? Alla grande, direi. Primo tratto in bici: 18.3 chilometri a 22.1 km/h, non male considerando le varie salite affrontate. Poi la corsa: 12.9 chilometri al passo di 4'51"/km. Anche qui, la prestazione è ottima, va messo in conto che i primi due chilometri sono stati lentissimi. Passare dalla pedalata alla corsa non è facile, i muscoli sembrano inizialmente pesanti. Secondo tratto in bici: 24.8 chilometri a 27 km/h, sebbene con la discesa verso il fondovalle, ma fatti con già due ore di attività alle spalle. Sono numeri importanti.
E certo, questo sarebbe un allenamento veramente notevole. Peccato non si possa replicare spesso. Purtroppo un adeguato allenamento in bici richiede più tempo rispetto alla corsa. E serve anche il bel tempo, che non è scontato da nessuna parte, tantomeno in Germania. Già mi è toccato allenarmi con la pioggia correndo, farlo pedalando sarebbe veramente... un inferno.
Bis bald!
Stefano

domenica 27 settembre 2015

Neolatinismi

Ciao a tutti!
Quando mi è stato proposto di fare un salto nel Quartiere latino di Parigi, devo ammettere, non ero convinto. Stavolta avevo ragione, questa è stata l'unica area della capitale francese che non mi ha entusiasmato. Sfiorata durante la visita a Saint-Germain-des-Prés, ci siamo veramente addentrati nel Quartiere Latino per pranzare... ed è lì che ho iniziato a non apprezzare particolarmente il caos di buttadentro, una categoria di personaggi che ho sempre detestato e sempre detesterò. Troppa folla negli stretti vicoli del quartiere, troppo traffico tra Boulevard Saint-Michel e Rue Saint-Jacques. Insomma, non ce n'era una al posto giusto. Il posto non faceva per me.

Il Pantheon parigino

I tratti per essere un'area interessante, però, ci sono tutti. Place Saint-Michel è splendida, messa nel crocevia tra l'Île de la Cité, la Senna e il Quartiere latino, una piazza dalla sana vivacità, grazie a locali etnici e alle vecchie librerie. Ci sono alcune tra le chiese più belle di Parigi, tra cui la gotica Saint-Séverin e l'originale Saint-Étienne-du-Mont, che purtroppo abbiamo trovato chiusa. C'è soprattutto la Sorbona, il celebre edificio che dà il nome a tre delle tredici università di Parigi. La Sorbona è sicuramente il catalizzatore per la presenza di case editrici, librerie, caffè e locali vari.

Angolo del Quartiere latino

Ma la vera attrattiva del Quartiere Latino è il Pantheon, il tempio della patria francese.
Era una vecchia chiesa, dedicata alla patrona di Parigi, Santa Genoveffa, alla quale è intitolata anche la piccola collina su cui sorge il Pantheon. Le forme, grandiose e solenni, in particolar modo al momento dell'ingresso, sono ispirate da alcune chiese europee e ovviamente dal Pantheon romano. Questa sorta di ambiguità architettonica fece di questo edificio un oggetto di contesa dalle varie dominazioni che si sono succedute in Francia tra il XVIII e il XIX secolo: mausoleo durante la Rivoluzione, chiesa sotto Napoleone III. Solo con il funerale di Victor Hugo (quanta importanza ha avuto questo grande scrittore...), nel 1885, il Pantheon viene ripristinato come tempio dedicato a conservare i resti dei grandi di Francia.

L'ingresso della Sorbona

Entrare in questo luogo, in cui riposano i resti di grandi personaggi, molti dei quali letti e studiati sui libri di storia, letteratura o di scienze, è un percorso formativo all'interno della cultura che la Francia ha contribuito ad alimentare negli ultimi secoli. Nell'austera cripta sono conservate le spoglie di molti personaggi, Voltaire (forse il più "visivamente" celebrato), Rousseau, Zola, Marat, Monge, Lagrange. Ma è ovvio che alcuni più di altri suscitino maggiormente emozione. Per Giulia sono gli scrittori: impossibile per lei non provare almeno un po' di commozione di fronte alle reliquie di Hugo e Dumas. Per me sono ovviamente gli scienziati a raccogliere il maggior interesse e infatti non riesco a rimanere indifferente di fronte alle tombe di Pierre e Marie Curie. E fa anche un certo effetto sapere che al centro del Pantheon, proprio sotto la cupola, Léon Foucault dimostrò scientificamente la rotazione terrestre, installando un pendolo dalla lunghezza di oltre sessanta metri, il famoso "pendolo di Foucault".

Tomba "n.8": Pierre e Marie Curie

Il Pantheon, grazie alle sue dimensioni imponenti, grazie alla storia e alle storie che vi sono conservate, grazie a tutto il bagaglio storico-culturale lasciato da chi vi riposa, è il luogo in cui è più facile rendersi conto della grandezza di una nazione come la Francia. Una delle più grandi, come l'Italia, la Gran Bretagna o la Germania.
Bis bald!
Stefano

sabato 26 settembre 2015

Direzione Ponte Vecchio: la solita magia

Ciao a tutti!
Una delle componenti fondamentali dell'allenamento in vista di una maratona è il lungo. È la tipologia di allenamento che preferisco, perché permette di rilassarsi molto di più a livello a mentale. Nella fase iniziale della preparazione, però, i lunghi non superano la distanza della mezza maratona. Dovrebbero definirsi "medi". Queste prove stanno stanno dimostrandomi di essere già in una discreta condizione e, ancora una volta, palesano quanto incidano due tecniche come l'osteopatia e il kinesiotaping.

Corsa a tutta! (fonte: src-verlag.info)

Da due anni, dalla mia prima maratona di Venezia, le due tecniche sono ormai prassi della preparazione per la maratona, durante i primi giorni di allenamento, se non addirittura prima di iniziare. Da quando ne ho colto i benefici non ne ho più fatto a meno. E ho sempre percepito un incremento di prestazione nei primi giorni successivi alla seduta.
Anche quest'anno non si sono smentite: una delle distanze più classiche che percorro in allenamento, in ripetuta e non, i 16,5 chilometri, hanno rivelato che differenza facciano osteopatia e kinesiotaping. Ultimo allenamento prima della seduta: 16,5 chilometri percorsi in 1h18'45". Primo allenamento dopo la seduta: 16,5 chilometri percorsi in 1h15'22". Più di tre minuti guadagnati. E soprattutto un passo migliorato da 4'48"/km a 4'34"/km. Quattordici secondi sul passo sono un'enormità, veramente.
Niente doping, niente farmacia. Qualche mossa e un cerotto, e il gioco è fatto.
Bis bald!
Stefano

venerdì 25 settembre 2015

Sentieri di basalto

Ciao a tutti!
Per la mia seconda uscita nell'area più "montana" che possa a trovare nelle vicinanze di Schweinfurt, la Rhön (parco e riserva naturale che si estende tra i land di Baviera, Assia e Turingia), ho scelto ancora una meta molto "turistica". Consigliatami da un collega, ho imboccato la Hochrhönstraße, una strada statale di 25 chilometri che rappresenta a suo dire uno dei migliori balconi sull'area. Non l'ho percorsa tutta - sarebbe molto più bello farlo in bici - ma per pochi chilometri, quelli che bastavano per raggiungere il Rothsee, un piccolo lago dal quale si può dire che abbia inizio l'altopiano della Rhön, il Lange Rhön.

Rothsee

È una zona ricca di sentieri, tutti molto curati e battuti, molto frequentata da camminatori di ogni età, che permette di entrare un po' più nella realtà più rurale di quest'area. Parto come detto poc'anzi dal Rothsee, un laghetto che ho definito non appena l'ho visto il "Lago di Carezza della Rhön": acque verdi-blu, circondato dal bosco. Manca il massiccio del Latemar, ma quello in Germania non lo si può proprio esportare. Il Rothsee è un perfetto esempio, l'ennesimo, di come i tedeschi siano maestri nel saper sfruttare a fini turistico-commerciali tutto ciò che la natura gli offre. Questo minuscolo lago, con la sua breve passeggiata, un prato dove stendere una coperta e il suo ristorante dalla cucina tipica sono in grado di riempire tutto un parcheggio.

Praterie sconfinate

Dall'area circostante si vede molto bene il Kreuzberg, meta della mia precedente escursione nella Rhön, e le sue piste da sci, proprio quelle in cui verremo quest'inverno, neve permettendo. A novecento metri di quota, e con inverni sempre più caldi, non si può sapere... Dal Rothsee sembra quasi una montagna, e pure un pochino ripida. Ma l'occhio inganna, il Kreuzberg è una grande collina, quantomeno vista da est. Il paesaggio aperto sul Kreuzberg tende a modificarsi rapidamente nel corso della passeggiata nel Lange Rhön. Esso diventa molto più orizzontale: foreste, praterie, pascoli. È terra di allevamento, lo testimoniano i prati curati e qualche sparuta mandria. È terra di legname, come appare chiaramente dalle cataste lungo i sentieri. Che sentieri non sono, bensì comodissime strade in cui camminare è un piacere, e non può che esserlo per tutti... Certo, il panorama, per quanto bucolico, è ben lontano da quello delle grandi montagne alpine, ma non per questo meno interessante. La pace che si respira su questi prati pare essere infinita. Lungo il sentiero mi fermo per qualche minuto. Ascolto la natura di fine agosto: questo rumoroso silenzio è relax per la mente.

Basaltsee

La Rhön è anche terra dalla particolare conformazione geologica, la quale è spiegata nei numerosi pannelli informativi presenti lungo i sentieri ma che sono ancora inaccessibili per il sottoscritto. Quel che è certo è che il sottosuolo di questa "porzione" di Rhön era molto ricco di minerali, anche grazie all'attività vulcanica qui sviluppata in tempi immemori. A pochi passi dal Rothsee si trova una cava-museo, in passato miniera di lignite (un tipo di carbone), mentre a qualche chilometro di distanza, si trova il Basaltsee, il cui nome spiega tutto. Questo lago, infatti, è nato dopo la chiusura della cava di basalto negli anni '60.

Neri sentieri tra le colline della Rhön

In procinto di raggiungere il Basaltsee, mi domando se qui posso trovare quelle rocce dalla struttura colonnare simili all'irlandese Giant's Causeway, il famosissimo selciato fatto di decine di migliaia di colonne esagonali di basalto. La risposta, che troverò però a casa tramite una ricerca sul web, è si. Non molto distante dal Basaltsee, nell'area del Gangolfsberg, sono visibili queste rocce inconfondibili, testimonianza dei vulcani che furono. Comunque, io queste rocce le cerco nei dintorni del Basaltsee, ma senza successo. L'unica presenza di attività vulcanica visibile a un non-esperto è nei sentieri: la ghiaia che li compone è scurissima, di un grigiastro tendente al nero.
Annoto il Gangolfsberg per una delle prossime escursioni nella Rhön: lì dovrei trovare le colonne di basalto. Qui tornerò presto. Non sono montagne, non solo le mie amate montagne, ma le colline della Rhön hanno già dimostrato di poter fornire più di uno spunto di interesse.
Bis bald!
Stefano

giovedì 24 settembre 2015

Sovrano

"Il Cervino seduce e respinge, ammalia e strega. Il Cervino è Re. Si esprime senza proferire parola e benedice i suoi sudditi senza alzarsi dal trono. Cattura l'occhio come la piramide di Cheope e ci guarda crescere senza giudicare."
Hervé Barmasse, La montagna dentro

Re in ogni stagione

mercoledì 23 settembre 2015

Un anno qui

Ciao a tutti!
Il 23 settembre rimarrà sempre nella mia testa, come il giorno dei saluti alla mia terra di origine e il giorno del mio definitivo trasferimento in Germania. Un anno fa, esattamente, lasciavo il villaggetto in cui ho vissuto quasi ventinove anni (Cercenasco), il Piemonte, le Alpi e l'Italia per muovermi in Baviera con Giulia, verso una nuova avventura lavorativa e soprattutto una nuova esperienza di vita, completamente nuova per me.

Un gelato in piazza!

Cosa ne è stato di questo ultimo anno da residente in Germania? I primi sono stati mesi duri: c'è tutta la burocrazia da superare. L'ostacolo non è nella burocrazia di per sé perché non siamo in Italia, ma nella lingua. Che all'inizio è stato una vera e propria barriera per entrambi, mentre ora lo è solo più per me. Si, il mio tedesco è ancora stentato e la dura battaglia che ho intrapreso con questa lingua sarà ancora molto molto lunga. Mentre Giulia invece la lingua l'ha imparata eccome, non senza sacrifici, fino al punto di poter trovare un impiego a stretto contatto con la gente, dove l'uso del tedesco parlato è essenziale.
Lavorare in Germania... che abisso con l'Italia. Giulia ha impiegato poco tempo a trovarlo, da quando ha cominciato a cercarlo. Io... dovrei parlare di qualcosa che in Italia si può solo immaginare, dal salario all'orario di lavoro, dal clima aziendale alla mutua.

Una tipica alba dalla finestra di casa

La vita in Germania è molto diversa da quella in Italia, o almeno in Piemonte: altri ritmi, altre velocità, altre consuetudini. Ma qui si sta bene, e dove si sta bene ci si abitua in fretta. E quindi ci siamo abituati in fretta anche alle tazze di Glühwein, alle strambe feste in piazza a base di birra, vino, Bratwurst e Sauerkraut, alle domeniche di silenzio e di riposo, ai negozi chiusi di domenica e aperti non oltre le 18, a usare la bici come mezzo di trasporto preferenziale. Io ci provo ogni giorno a raccontare ad amici e parenti quanto sia bello vivere qui - pur con tutto ciò che manca dell'Italia, sia chiaro - ma solo chi è venuto a trovarmi ha visto quali siano veramente gli effetti positivi del lasciare l'Italia per iniziare una vita in Germania: prezzi più bassi, salari più alti, parchi pubblici curati, strade perfette, zero (o quasi) delinquenza, trasparenza nei servizi, autostrade gratis, benzina meno cara del 15-20%, consapevolezza di vivere in paese più pulito e trasparente da tutti i punti di vista (anche nell'anno segnato dalle vicende Germanwings e Volkswagen).

Il Meno "ghiacciato"

Certo, mancano gli affetti - che il telefono e i social network possono rimpiazzare in qualche modo. Manca qualche tradizione nostrana - che in parte abbiamo importato e in parte abbiamo sostituito. Mancano le montagne, quelle proprio sono insostituibili. Ma alla fine, credo sia ben chiaro: noi siamo felici qui in Baviera. La vita può sempre riservare delle sorprese (e l'essere qui si può alla fine considerare tale), ma noi, da Schweinfurt, dalla Baviera, dalla Germania, non ce ne vogliamo proprio andare.
Bis bald!
Stefano

martedì 22 settembre 2015

Poche le auto illegali in giro - Die Abgasaffäre

Questa volta l'hanno proprio fatta grossa. La notizia è sulle prime pagine di ogni giornale e nelle aperture di ogni telegiornale, e parlo dello scandalo che sta travolgendo il gruppo Volkswagen, e con sé il mercato borsistico e il mercato dell'automobile. L'agenzia americana per la protezione dell'ambiente (EPA) ha accusato Volkswagen di aver infranto la legge per aver equipaggiato le centraline dei motori diesel delle vetture Volkswagen e Audi, al fine di aggirare i test di controllo delle emissioni. Tale software sarebbe stato in grado di percepire autonomamente quando l'auto era sotto ispezione e modificare la mappatura del motore per ridurre consistentemente le emissioni, salvo poi tornare alla normalità una volta conclusa la prova.
Il titolo sta crollando in borsa, e per la casa di Wolfsburg si prevedono già gli scenari più cupi: maxi multa da diciotto miliardi di dollari, downgrade del rating in borsa, severe inchieste a tappeto in Europa e in Asia, richiamo di undici milioni di veicoli, a rischio l'imminente leadership mondiale tra i costruttori a scapito di Toyota, risarcimenti a clienti e concessionari. E questa sarebbe solo la prima parte: effetti negativi sulle altre case tedesche, sull'indotto di Germania ed Europa, e quindi con effetto immediato sulla flebile ripresa economica. Sono solo scenari, ipotesi - esattamente come le teorie complottistiche che stanno emergendo sui retroscena della vicenda, relative a giochi di potere all'interno di Volkswagen, equilibri tra Europa e USA, proprio nel bel mezzo del salone di Francoforte. Ipotesi, tutte quante da verificare.

Martin Winterkorn, CEO di Volkswagen (fonte: cdn.salzburg.com/)

Ma c'è un dato di fatto sostanziale, innegabile fin d'ora: il "Dieselgate" incrina definitivamente il mito dell'integrità e dell'affidabilità tedesca, già messo a dura prova nel 2015 con la vicenda Germanwings. La Volkswagen si è elevata nelle campagne pubblicitarie con il motto "Das Auto" a identità stessa del made in Germany e a simbolo della precisione ingegneristica tedesca. La stessa Volkswagen, quella che produce le "auto del popolo" (che comunque, a prezzi così popolari non sono), si è elevata a paladina dell'ambientalismo, con i suoi motori iperpuliti, dalle eco-prestazioni che nessun altro costruttore riesce ad avvicinare. La Volkswagen che fa della propria reputazione inossidabile un punto di forza. E ora? Beccati! Sono stati beccati proprio i tedeschi, proprio quelli che (tanto per fare un esempio) con arroganza più o meno giustificata, accusano le nazioni di falsificare i bilanci e di "non fare i compiti a casa", quelli che pontificano sulle strategie migliori per uscire dalla crisi, quelli sempre in prima linea quando si tratta di impartire lezioni di onestà.
Una domanda e un commento finale. La domanda: ma di chi possiamo ancora fidarci in questo mondo, se ora perfino i tedeschi sono stati presi con le mani nel sacco? Il commento finale: in queste mie ultime righe sono stato molto polemico contro Volkswagen, ma ci sono tanti di quegli italiani i cui pensieri sono mossi dall'odio verso la Germania. Beh, cari italiani, se non lo sapevate, Ducati, Lamborghini e Italdesign sono proprietà di Volkswagen, senza trascurare l'importante contributo dell'indotto automotive. Sono aziende, lavoratori e famiglie italiane che grazie a Volkswagen possono condurre una vita dignitosa. Da non dimenticare. Così come non si deve dimenticare che i responsabili di questa truffa pagheranno. Eccome se pagheranno: la Germania non è un paese per impuniti.
Bis bald!
Stefano

lunedì 21 settembre 2015

Pompidou, un presidente un centro culturale

Ciao a tutti!
Il connubio tra l'arte moderna e Parigi è riassumibile in un solo nome: Centre Pompidou. Il grande complesso fortemente voluto dall'omonimo presidente francese, o meglio ciò che vi risiede, il Museo Nazionale d'Arte Moderna, era una delle mete parigine da me più “desiderate”, per più di un motivo. Venni per la prima volta a Parigi durante la gita di quinta superiore, e, in visita proprio al Centre Pompidou, tutta la classe non ci capì un accidente. Di lì a pochi mesi ci saremmo diplomati come periti elettronici, la nostra età e il nostro background scolastico furono più di una giustificazione della nostra svogliata e disinteressata visita. Undici anni dopo, con una discreta quantità di sale in zucca in più e soprattutto con un vettore di cultura come Giulia al mio fianco, la visita del Pompidou non poteva che trasformarsi in uno dei momenti più appassionanti della settimana parigina.

La più che inconfondibile facciata del Centre Pompidou...

Innanzitutto, bisogna spendere due parole sull'edificio e sulla sua storia. Intitolata al presidente della Repubblica francese Georges Pompidou, questa audace costruzione fu inaugurata nel 1977 proprio grazie al suo volere. Pompidou era infatti preoccupato dall'avanzare di New York quale Mecca dell'arte contemporanea, nonché desideroso di ampliare il bacino di pubblico raggiungibile da un moderno spazio di aggregazione nel pieno centro della capitale francese. Il concorso per la realizzazione dell'edificio viene vinto a sorpresa da un gruppo anglo-italiano di architetti, tra cui l'ancora sconosciuto Renzo Piano. Lo stile dell'edificio è ardito e, nel bene o nel male, lascia il segno nello sguardo dei visitatori, grazie alla moltitudine di colori che lo circonda: sono infatti ben visibili le tubature colorate che riforniscono l'edificio di acqua (verde), aria (blu) ed elettricità (gialle). I tubi rossi sono quelli legati alla rete di ascensori, tutto il resto è... apparenza.

...e l'ampio "cortile" di ingresso

Ma il Centre Pompidou non è il solo museo d'arte moderna: lo si capisce già entrando al suo interno, quando si viene accolti da un avveniristica hall, un grande spazio, ampio ed aperto nel quale si percepisce la grande mole di cultura che vi è racchiusa. È un luogo nel quale non ci si può non sentire a proprio agio. Ed effettivamente, ben tre piani del Centre Pompidou costituiscono la Bibliothèque publique d'information, la più grande biblioteca pubblica di Parigi, un grande centro del sapere e dell'informazione a 360 gradi: quattrocentomila documenti tra libri, riviste, giornali e documenti audiovisivi.

Gelb-rot-blau, uno dei capolavori di Vassily Kandisky esposti al Musée d'Art Moderne

Poi c'è ciò per il quale siamo venuti: il Musée national d'Art Moderne, uno straordinario viaggio all'interno dell'arte del XX secolo. Si parte dal fauvismo di Matisse fino ad arrivare alle correnti più recenti, quelle dei giorni nostri, passando per un numero impressionante di opere (servono tre/quattro ore per esplorare tutto il museo) e di artisti che hanno lasciato il segno nel panorama artistico: Magritte, Picasso, Klee, Mondrian, Braque, Chagall, Dali, Kandinsky', De Chirico, Ernst, Brancusi, Duchamp e potrei ancora continuare nella lunga lista di grandi artisti. Soprattutto nel piano dedicato agli artisti che hanno lavorato tra il 1900 e il 1960, il museo si rivela essere un attraente insegnante di storia dell'arte: ogni sala è spiegata con opportuni commenti, per meglio comprendere quanto si nasconde dietro le più famose creazioni artistiche del Novecento.

IKB 3, il quadro monocromo di Yves Klein, in abbinamento con l'abbigliamento di Giulia

Il quarto piano raccoglie le opere dal 1960 ad oggi, più complesse da comprendere a fondo senza un adeguato background, mentre il quinto piano è dedicato all'arte della prima metà di secolo. È allestito stupendamente, con opere esposte in ordine sostanzialmente cronologico (perfetto per capire l'evoluzione artistica del Novecento); a livello di organizzazione è forse il museo migliore che abbia mai visitato. La visita scorre senza intoppi, non annoia ed è assai coinvolgente. Abbiamo dedicato tre ore e mezza per la sua visita ma, veramente, non ce ne siamo assolutamente resi conto…

Può un simile oggetto essere "arte"?

Anche chi non bazzica frequentemente i musei può divertirsi e regalarsi una visita al Centre Pompidou, soprattutto al quarto piano, chiedendosi: come è possibile che certe opere vengano considerate arte? Io mi chiedo tuttora come oggetti (tra i più disparati) come una cornice vuota, delle lattine, maschere per l'ossigeno, dentiere, lampadine, addirittura un pisciatoio (!!!) possano essere arrangiati a piacimento per creare… dell'arte. Questo proprio non riesco a spiegarmelo. Non è una colpa dell'artista, ovviamente, la colpa è della mia ignoranza in materia. L'arte contemporanea, secondo me, è ancora un qualcosa per pochi fortunati in grado di intenderla. Ma proprio perché di difficile comprensione, essa suscita in me un certo fascino per tutto ciò che dietro si nasconde...

La Fontana Stravinsky, proprio davanti al Centre Pompidou

E, infine, due must da non perdere: la terrazza del Centre Pompidou, dalla quale spaziare con lo sguardo su Parigi (non a 360°, ma quasi), e la Fontana Stravinsky, proprio di fronte all'edificio, una collezione di sculture automatizzate che spruzzano acqua e raffigurano le opere dell'omonimo compositore. Noi le abbiamo viste immobili, ma anche da ferme sono meravigliose.
Bis bald!
Stefano

La mia personale Top-10 del Musée d'Art Moderne al Centre Pompidou di Parigi:

1. Vassily Kandisky - Gelb-rot-blau ()
2. Georges Braque - Nature morte au violon ()
3. Otto Dix - Erinnerungen an die Spiegelsäle von Brüssel ()
4. Henri Matisse - Luxe, Calme et Volupté ()
5. Yves Klein - IKB 3, Monochrome bleu ()
6. René Magritte - Le double secret ()
7. Fernand Léger - Le réveil-matin ()
8. Yona Friedman - Etude de la ville spatiale ()
9. Pablo Picasso - Portrait de jeune fille ()
10. Paul Klee - Rhythmisches ()

domenica 20 settembre 2015

L'Italia che vince a settembre - Parte 3

L'Italia che vince a settembre non è solo il trionfo in terra spagnola di Fabio Aru o la doppietta tutta pugliese agli US Open. C'è un mondo di sportivi più nascosto, quasi sconosciuto ai più, che non è incensato dalla cronaca. C'è un mondo di sportivi che conosce la fatica come pochi altri. Parlo della Nazionale italiana di corsa in montagna, che ieri, in Galles, in una terra che apparentemente di montagna non ne ha, ha conseguito uno straordinario risultato individuale e collettivo.
La squadra azzurra, composta dai due fratelli gemelli Bernard e Martin Dematteis, Xavier Chevrier, Alex Baldaccini, Luca Cagnati e Alessandro Rambaldini, ha conquistato la medaglia d'oro nella prova a squadre, alloro collettivo impreziosito dall'argento, stavolta individuale, di Bernard Dematteis.

Alex Baldaccini e Alessandro Rambaldini, due degli atleti della Nazionale di corsa in montagna, oro mondiale 2015 (fonte: fidal.it)

Ecco, i titoloni stavolta non si sono visti. Ma nemmeno li aspettavo. Il mondo dell'atletica di per sé non fa molta notizia - a meno che ci sia qualche vittoria in una maratona - figuriamoci in una specialità molto "settoriale" come la corsa in montagna. Ma onore va reso a questi ragazzi, che compiono ogni giorno sacrifici assurdi per regalarsi e regalare all'Italia queste soddisfazioni. Correndo, seppur a livello amatoriale, posso immaginare.
Le parole di Bernard Dematteis, dopo aver tagliato la linea del traguardo, la dicono lunga. "È un sogno che si avvera, un sogno che inseguo da otto anni e che si è realizzato proprio oggi, in Galles. Dopo quattro medaglie di legno ai mondiali oggi finalmente mi sono messo al collo questa agognata medaglia... io, e soprattutto mio fratello gemello Martin, quest'anno abbiamo passato momenti personali difficilissimi. Ecco, io oggi ho guardato in alto, al cielo, per ringraziare chi ci ha aiutati, chi ha guardato giù. Martin ha fatto un capolavoro. Quando passi attraverso un grande dolore impari tante cose, la vita prende un significato diverso. E proprio per questo apprezzi di più i momenti come questo. L'atletica e la corsa in montagna sono parte di noi, fino dentro al midollo. La corsa ci ha dato gioia e speranza anche nei momenti più bui, ci ha insegnato che dopo il buio, se continui a lottare e a crederci, torna a splendere la luce del sole. Sono qui in Galles, ho appena vinto i Mondiali, e di fronte a me c'è un tramonto bellissimo: ma, ve lo dico, a me questa sembra di più un'alba, un nuovo inizio."
Bravi ragazzi, ennesimo simbolo di un paese che non molla.

sabato 19 settembre 2015

Direzione Ponte Vecchio: Bergstraße

Due anni fa, proprio in questi giorni, ero nel bel mezzo della preparazione per la mia prima Venice Marathon. Fu in quell'occasione che conobbi la grande fatica ma anche l'enorme potenziale delle ripetute in salita. Durante le prime settimane di allenamento, le più dure e contemporaneamente le più importanti, mi ritrovai per due/tre volte alla settimana a correre su una vera rampa di garage, lunga qualche decina di metri, ma dalla pendenza tutto fuorché facile (che stimo intorno al 25-30%). Posso garantire che questo tipo di seduta è tra le più massacranti che abbia mai provato. Gli effetti benefici si fecero comunque sentire e nella Venice Marathon 2013 migliorai il personale come mai prima, e neanche dopo.

Quel cartello... non è una minaccia

La rampa micidiale

Schweinfurt non è una città che sorge su un'area pianeggiante, la Franconia è tutt'altro che una tavola da biliardo, ma di salite all'altezza (senza spostarsi in macchina) non ho trovate per molto tempo. Fino a questa primavera, durante la quale mi imbatto nella Bergstraße, che letteralmente significa "strada della montagna". Mai nome fu più appropriato. È una strada di centocinquanta metri circa, che inizia dolce, si inerpica brutalmente, spiana leggermente curvando e riattacca a salire ancora più forte. Si sale di venti/venticinque metri (ventitré per Google Earth), la pendenza è dunque intorno al 15%, ma considerati i tratti "facili" tocca picchi del 20-25%.
Ho dunque riproposto la ripetuta in salita (quattro serie da cinque salite, per ora) come parte dell'allenamento per le Alte Vie e la sto riproponendo nelle prime settimane di allenamento verso Firenze. Che non sia ancora una volta la chiave verso un altro bel risultato in maratona? Fra qualche settimana avrò le prime indicazioni...
Bis bald!
Stefano

venerdì 18 settembre 2015

Visioni e sguardi di Expo 2015

Expo Milano 2015: finalmente ci siamo andati, finalmente trovo il tempo di raccontare cosa è stata per noi questa edizione dell'Esposizione Universale, parlarne un po' e fare qualche riflessione su quello che è sicuramente l'evento dell'anno, quantomeno su territorio italiano.
Inizio con una precisazione: quanto sto per scrivere si basa su quel poco che abbiamo avuto occasione di vedere nella nostra unica giornata trascorsa ad Expo. Il “poco” è dovuto alla vastità della manifestazione, che è impossibile da gustare pienamente in una sola giornata. Ci sono così tante cose che si possono visitare ad Expo2015, così tante persone e così tante code di fronte ai padiglioni, che poter dire di aver interamente vissuto Expo2015 è un eufemismo. D'altronde, parliamo di un evento realizzato su uno spazio espositivo di 110 ettari, in grado di contenere 250.000 persone al giorno, che coinvolge 145 nazioni in rappresentanza del 94% della popolazione mondiale. È qualcosa di così immenso per cui ogni giudizio basato sull'osservazione di fatti e cose nell'arco di una giornata di visita è piuttosto relativo. Credo che si debba essere milanesi o si debba pianificare una settimana di visite per poter dire di avere veramente vissuto Expo2015.

Meraviglia: l'Albero della Vita

Cosa abbiamo visto ad Expo2015? Poco, niente, tanto, tutto: dipende dai punti di vista.
POCO, perché nel complesso abbiamo visitato dodici padiglioni “nazionali” su 53. Per la precisione: Austria, Azerbaigian, Gran Bretagna, Israele, Kuwait, Malesia, Nepal, Oman, Russia, Vietnam, includendo le visite parziali di Germania e Svizzera in parte ed escludendo l'inutilissimo Sudan. In più, la doverosa visita al Padiglione Zero (padiglione delle Nazioni Unite), che però non è un vero e proprio padiglione nazionale.
NIENTE, perché i padiglioni che nei primi mesi della manifestazione hanno raccolto il maggior consenso, per interesse e spettacolo (citerei Emirati Arabi Uniti, Giappone ed Italia), erano presi d'assalto dai visitatori: le due ore di coda per Emirati e Giappone e le – addirittura!!! – tre ore di coda per il Padiglione Italia ci hanno scoraggiati; non siamo venuti ad Expo2015 per metterci in coda, siamo venuti ad Expo2015 per ammirare la bellezza del mondo nella sua varietà e nelle sue infinite sfaccettature, pertanto l'abbiamo cercata altrove.

Il Palazzo Italia

Dunque, direi che abbiamo visto MOLTO, perché, seppur nella sua piccola parte, ciò che abbiamo visitato è stato complessivamente assai piacevole, divertente e formativo. Abbiamo imparato che i paesi arabi appaiono arretrati solo in apparenza, siamo rimasti ammaliati dal folclore di un paese a noi semisconosciuto come l'Azerbaigian, le grandi capacità di un paese talvolta bistrattato come Israele, ci siamo fatti stregare dalle tradizioni e della cucina del Kuwait, abbiamo apprezzato le idee stilistiche di inglesi e russi.
E infine potrei affermare di aver visto TUTTO, in quanto abbiamo visto, quantomeno esternamente, tutti i padiglioni dei vari paesi ospitati ad Expo2015, i cosiddetti “self-built”. Le moderne strutture messe in piedi dai singoli stati, così diverse tra loro nelle forme e nei colori erano quasi tutte meravigliose, il loro stile riflette l'anima e il gusto di ogni singolo stato. Poterli osservare era una gran gioia per gli occhi e per l'anima.

Azerbaigian = top of design

Delusione? Non per me. Sono uscito da Expo2015 felice, conscio di aver trascorso una giornata veramente «in mezzo al mondo». C'è veramente tanta bellezza in questo palcoscenico, che merita di essere ammirata. Ciò che colpisce di più in primo luogo è il Cardo, il lungo viale di un chilometro e mezzo, vero asso portante di Expo2015, lungo il quale sono dislocati i padiglioni nazionali ed i cluster tematici: la copertura progettata per il Cardo è una delle meraviglie di Expo2015. Le strutture e l'originalità stilistica dei padiglioni, tutti o quasi, non possono non colpire i visitatori, catapultati in una realtà dal design estremizzato. Le nazioni si sono veramente messe in gioco per mostrare al mondo il loro meglio, in un clima pacifico, nel vero spirito dell'Esposizione Internazionale. Poi c'è l'Albero della Vita che si, è davvero stupefacente, soprattutto nella sua versione notturna, fatta di giochi di luce e supportata da spettacoli musicali.

Il Cardo, il lungo asse di Expo2015

Certo, le diffidenze, gli scetticismi e alcune perplessità resteranno. La vicenda Expo è stata sulle bocche di tanti e di troppi per lungo tempo: le varie associazioni a delinquere smascherate, le polemiche per i ritardi accumulatisi durante i lavori, gli appalti e i subappalti, i costi per la costruzione e la gestione, i lavoratori sottoretribuiti (ma sarà poi vero?)… tutti argomenti di discussione che alla fine hanno in parte minato la credibilità di Expo2015, evento che dovrebbe servire a rilanciare il sistema-Italia. Solo una visita ad Expo2015 può realmente spazzare via tutte le malignità che hanno ruotato intorno a questa manifestazione.

Mettete dei fiori sulle bici malesi

Ma è tutto così perfetto ad Expo2015? Oh, no, affatto. Se globalmente è un'ottima manifestazione, qualche punto debole c'è. Il sito web di Expo non mi è parso di facile navigazione, discutibile la gestione dei parcheggi (dalla prenotazione online alla viabilità), la zona orientale impoverita di visitatori in quanto l'ingresso principale è sostanzialmente quello occidentale, ristoranti e bancarelle a prezzi a mio modo di vedere non eccessivi ma comunque sopra la media. Anche la questione degli assi portanti avrebbe potuto essere organizzata meglio, all'incantevole Cardo fa da contraltare un Decumano sul quale non bastano le aree espositive italiane per bilanciare l'immensità dell'altro asse di Expo2015.

Le bancarelle del Cardo: il macellaio

E che dire dei cluster? All'apparenza uno dei più geniali elementi organizzativi di Expo2015 si è rivelato una delusione: le aree comuni predisposte secondo identità tematiche e tradizioni alimentari, nate come spazi di dialogo e di aggregazione per gli stati più poveri, che non potevano permettersi economicamente un proprio padiglione, si sono rivelate un'accozzaglia di mercatini spesso sconnessi dai loro intenti. Nel cluster del cacao abbiamo trovato bancarelle piene zeppe di cianfrusaglie, ma zero cioccolata. Per trovare la cioccolata bisognava andare nei padiglioni di Lindt e Perugina. E qui vengo all'altra nota stonata: le grandi compagnie (il mio dito è puntato su alcune di esse) dovevano proprio far parte di Expo? A McDonald's e Unilever non interessa nutrire il pianeta, a loro interessa nutrire i loro conti correnti.

L'omaggio russo a Mendeleev

Lo slogan di Expo2015 è “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Ma è veramente lo sforzo comune di tutti “nutrire il pianeta”? Ecco, l'impressione che ho avuto nel visitare alcuni dei padiglioni presenti a Milano è che tutti i paesi ospitati si candidino a leader globale per trainare il pianeta Terra fuori dalla tragedia della fame e della malnutrizione, che tutte le nazioni più importanti si considerino le migliori per “potenziale per garantire la sicurezza alimentare del genere umano” (citazione del padiglione russo). Ecco, ma chi è infine che realmente si prende carico del problema e inizia a togliersi il paraocchi? I veri temi da approfondire, quelli relativi allo sbilanciamento tra l'Occidente e il Terzo Mondo, dello spreco di risorse alimentari, dell'avidità dei paesi più industrializzati sono stati scarsamente toccati. Forse perché non creano interesse o non suscitano stupore.
Tra i padiglioni visitati, forse solo il Padiglione Zero, bellissimo per carattere visionario e per significati, ma allo stesso tempo eccessivamente ampio e quindi in parte “spreco”, ha provato a toccare queste tematiche. E aggiungerei la Svizzera, che con la domanda «ce n'è per tutti?» e le quattro torri simbolicamente riempite di caffè, sale, acqua e mele, ha provato a sensibilizzare la platea sul tema dell'effettiva quantità di risorse a disposizione: ne possono prendere a volontà, sapendo che chi verrà dopo deve trovare qualcosa... Pur non avendoli visitati sono sicuro che Slow Food abbia provato coinvolgere i visitatori sulla problematica, mentre mi chiedo con quale faccia Stati Uniti e Cina possano parlare di agricoltura ed alimentazione sostenibile.

Le visioni del Padiglione Zero

Cosa suggerirei a coloro che ad Expo2015 devono ancora andare (manca poco più di un mese alla fine)? Innanzitutto di arrivare presto, con la metropolitana, e fiondarsi in uno dei padiglioni con più calca già alla mattina (in sostanza uno tra Italia, Emirati Arabi Uniti, Giappone e Germania). Non fermarsi alle apparenze: il Nepal è stata una grande delusione nonostante promettesse molto bene. Tra i padiglioni che consiglio, meritano una menzione speciale quelli di Azerbaigian, un fantastico mix di tradizione locale e design; Israele, una visita multimediale e spettacolare; Kuwait, per scoprire usanze a noi totalmente sconosciute. E se fa caldo, anche una gita al padiglione austriaco: lì sarà sempre fresco... Consiglio ancora il Kuwait per una sosta gastronomica e raccomando di assistere ad uno spettacolo serale dell'Albero della Vita: imperdibile, emozionante, straordinario!
Rimpianti? Qualcuno. Il Padiglione Italia e quello tedesco rappresentano il meglio del nostro paese di origine e del paese in cui viviamo. Non vederli mi lascia con l'amaro in bocca, ma, ahimé, le code erano troppo lunghe. E poi, il padiglione brasiliano: la rete interattiva vista da fuori pare essere qualcosa di spettacolare.

Gran Bretagna: l'alveare

Esco da Expo2015 con una domanda fissa in testa. Che ne sarà del dopo-Expo? Il mio sogno, una vera e propria utopia, sarebbe quella di vedere Expo2015 trasformato in un "museo del mondo". Ma è per l'appunto utopia e quindi mi dovrò accontentare della "cittadella dell'università e dell'innovazione". C'è chi venderà, come il Nepal, bisognoso di fondi per ricostruire dopo il terremoto che l'ha colpito. C'è chi sposterà e riconvertirà le proprie strutture sul proprio territorio, come la Repubblica Ceca e gli Emirati Arabi, o altrove, in beneficenza, come il Principato di Monaco che donerà la sua struttura al Burkina Faso. E tutto il resto? Spero che si salvi il più possibile di quanto si è visto ad Expo2015, lasciare tutta questa meraviglia nelle mani delle ruspe, sarebbe qualcosa di veramente inaccettabile e, soprattutto, sarebbe un grande spreco. Proprio quello che questa edizione di Expo2015 ha voluto provare a combattere...
Bis bald!
Stefano

giovedì 17 settembre 2015

Sulle tracce di re e di sorgenti

Ciao a tutti!
Da qualche mese stavo immaginando una puntata nella Thüringer Wald, una delle aree della Germania più adatte a praticare del buon trekking, nonostante, come già accennato qualche post fa, questa nazione di montagne in sostanza non ne abbia se non nelle aree di confine con l'Austria. Un'ora circa di macchina e raggiungo Steinbach-Hallenberg, una delle cittadine più importanti della Thüringer Wald, area collinare che si estende per l'appunto nella Turingia per un centinaio di chilometri e che rappresenta una delle zone più indicate per passeggiate e anche per gli sport invernali.

Talsperre Schmalwasser

A pochi chilometri da Steinbach-Hallenberg, il paese scelto per la partenza della mia prima escursione nella Thüringer Wald, si trova la città di Schmalkalden, che altro non è che Smalcalda: la versione italianizzata di Schmalkalden mi fa tornare alla mente qualche rimasuglio della storia studiata a scuola. Smalcalda è infatti conosciuta per essere stata la città sede dell'omonima Lega dei principi protestanti che si opponevano all'imperatore Carlo V. Oggi, le guerre tra principi ed imperatori sono ormai alle spalle. E Smalcalda, come altre città della Thüringer Wald, sforna alcuni tra i più grandi campioni tedeschi nelle discipline invernali. Smalcalda, ad esempio, è la città natale di Kati Wilhelm (che però vive proprio a Steinbach-Hallenberg), grandissima biatleta con un palmares d'eccezione: tre ori olimpici e cinque titoli mondiali.

Steinbach-Hallenberg, dall'alto del Königsweg

La meta di giornata è il Talsperre Schmalwasser, un lago artificiale utilizzato per la produzione di energia elettrica e di acqua potabile. È uno dei tanti laghi che in Turingia appaiono sulla cartina come figure dalle forme strane e per questo attraggono la mia attenzione.
Per raggiungerlo imbocco da Steinbach-Hallenberg il Königsweg, il "sentiero del re", una bellissima carrozzabile, lunga e mai ripida che, comunque, permette in breve tempo di prendere un pochino quota e raggiungere più di un punto panoramico. Il sentiero offre molte curve, dalle quali si può dominare dall'alto proprio la stessa Steinbach-Hallenberg, e percepire la grandezza della Thüringer Wald. La prima impressione è che sia veramente una foresta immensa. Ed immensa lo è per davvero.

Una finestra sul lago

Per arrivare al lago bisogna anche camminare qualche passo sul Rennsteig, il più importante sentiero tedesco (una sorta di Alta Via in salsa teutonica), il più antico e il più frequentato: centomila trekker all'anno non sono certo pochi. E infatti, si presenta molto curato e perfetto per passeggiate non faticose e rilassanti.
Quando arrivo in prossimità del lago, vedo tutti gli effetti della torrida estate che non ha risparmiato nemmeno la più fresca Germania. C'è poca acqua, e laddove dovrebbe iniziare il lago si intravedono solo erba e pietre.

La diga più alta di Germania

Nell'intento di camminare il perimetro, mi ritrovo subito su un lato sinistro poco interessante, che offre pochi spunti: siamo in una foresta... e gli alberi ricoprono ogni possibile visuale sul lago. Quando mi avvicino alla diga, finalmente si apre qualche punto dal quale ammirare questo bellissimo specchio d'acqua, in cui la roccia bianca fa da contraltare all'azzurro vivo dell'acqua, fatto di tante anse così articolate che sembrano voler nascondere qualche segreto. È un lago molto isolato: se non fosse per le strutture della società che gestisce la diga, non ci sarebbe traccia di civiltà. Sulla diga incontro addirittura dei ciclisti sull'orlo della disperazione perché non hanno trovato alcun punto di ristoro lungo il percorso. Ecco, a momenti l'isolamento del Talsperre Schmalwasser mi ha ricordato, quanto a location anguste, l'Hotel Overlook, il famoso albergo di Shining.

Torri di cemento e torri di roccia

Ma qui di personaggi alla Jack Torrance non se ne vedono e posso proseguire con calma il mio tour del lago, che conta undici chilometri di camminata, tra lunghissime anse, panorami sulle strane formazioni rocciose (dall'aria dolomitica) frutto dell'erosione dell'acqua, graziosi rifugi pensati per i trekker e i biker in cerca di riparo e una presenza fissa al centro del lago: la torre per la depurazione dell'acqua. Il sentiero, che è più una larga strada che un sentiero, procede tranquillo, quasi mai ripido, fino a ricongiungersi all'estremità meridionale del lago. Un luogo perfetto per camminare in solitudine, spensierati, o in compagnia, senza dover interrompere i discorsi per il fiatone di un'erta salita.

Camminare sul Rennsteig significa anche essere circondati da cataste di legname...

Per il ritorno a Steinbach-Hallenberg mi concedo una variazione di percorso: scendo prima a Oberschönau, attraversando nuovamente il Rennsteig e dunque alcune aree preda dei boscaioli, alacri lavoratori in questa terra che ha nel legname un'importante fonte di reddito. Al mio ritorno a Steinbach-Hallenberg, posso dire di aver camminato quasi trentuno chilometri: un bel modo per rimettersi in forma in vista della preparazione per la maratona e per capire come provare a completare, fra qualche tempo, il Rennsteig. Si, sono sempre in cerca di nuove strade da percorrere.
Bis bald!
Stefano

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