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giovedì 3 settembre 2015

Bücher: Cervino. Il più nobile scoglio

"La battaglia per il Cervino segnò l'inizio di questa evoluzione, da cui discende anche una radicale trasformazione della disciplina: da alpinismo di conquista ad alpinismo della difficoltà. Ed entrambi i pionieri del Cervino, Whymper e Carrel, sono figure simboliche. Del trionfo del Cervino, tuttavia, è rimasto solo il nome di Whymper: un giovane uomo, grande come la montagna che ha scalato per primo. Ancora oggi è famoso come pioniere, ammirato come disegnatore, letto come scrittore. Non c'è dubbio che fosse uno scalatore sufficientemente capace, dotato i ideali, obiettivi e un'etica autoritaria. Soltanto, non voleva assumersi la responsabilità delle proprie azioni."
Reinhold Messner, Cervino. Il più nobile scoglio


Se un gigante dell'alpinismo racconta una delle più grandi ed importanti vicende che la montagna ha vissuto, beh, non può che uscirne un grande libro. Il gigante dell'alpinismo è Reinhold Messner e la vicenda, nel centocinquantesimo anniversario, è ovviamente la prima scalata del Cervino. E Cervino. Il più nobile scoglio, è forse il libro definitivo sua vicenda che ha messo di fronte Jean-Antoine Carrel e Edward Whymper (vedi post).
Messner analizza tutti i documenti sulla vicenda e illustra un quadro ben diverso da quello che viene comunemente descritto quando si parla di ciò che successe il 14 luglio 1865 e nei giorni successivi (come ne La salita del Cervino dello stesso Whymper e ne Il Monte Cervino di Guido Rey). Le figure di Whymper e Carrel, due immagini dell'alpinismo poste agli antipodi, ma con lo stesso medesimo obiettivo, vengono analizzate nei minimi dettagli. Messner, di un'altra generazione di alpinisti, "vuole scalare con loro". Tutto ruota al ruolo delle responsabilità da prendersi durante la salita. Il valligiano Carrel, la guida di Valtournenche, viene esaltato come il vero eroe del Cervino grazie al senso di responsabilità nei confronti dei suoi clienti; il "dandy" Whymper viene ridimensionato: è sì, il vincitore della sfida, ma con il fardello delle responsabilità che non si prese dopo la nota tragedia durante la discesa. Non aggiungo altro, meglio scoprirlo da soli: una simile storia, raccontata da Messner, si beve tutta d'un fiato. O visto l'argomento, si scala senza fatica...
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 8/10 

martedì 25 agosto 2015

"Non è caduto, è morto"

Il 25 agosto può essere una data come tante altre. Non lo è invece per chi conosce bene la grande storia dell'alpinismo sul Cervino. Il 25 agosto non si celebra una scalata storica, ma è una data di grande importanza. In questa data, era il 1890, moriva Jean-Antoine Carrel, il grande conquistatore italiano del Cervino. E non lo fece in maniera "banale". Lo fece sotto la sua montagna, quella montagna che più di ogni altro alpinista credette fosse possibile scalare.

La "croce Carrel", memoria della grande guida di Valtournenche (fonte: quotazero.com)

Il 25 agosto 1890, Carrel si ritrova nel bel mezzo di una bufera lungo la cresta del Leone. Con lui ci sono il suo cliente, il compositore torinese Leone Sinigaglia, e un portatore, Carlo Gorret. Nella tempesta, nella nebbia, in mezzo ai fulmini, Carrel si posiziona come ultimo di cordata e guida magistralmente Gorret. Quando quest'ultimo capisce che il peggio è passato, da grande eroe (dopo 17 ore di discesa), Carrel si accascia ed esala l'ultimo respiro. Aveva sessantuno anni, e sulle sue robuste spalle di valdostano tenace si contano cinquantuno salite alla Gran Becca . Dove morì, sorge ora una croce, unanimemente conosciuta come la "Croce Carrel".

Jean-Antoine Carrel (fonte: matterhorn.nzz.ch)

La frase che le guide del Cervino pronunciarono dopo la morte del loro "fondatore", quando i clienti volevano sapere come e dove fosse caduto, fu sempre la stessa: "egli non è caduto, è morto".
Ma nella storia dell'alpinismo, egli è tutto fuorché morto. I giganti come Jean-Antoine Carrel sono come le montagne: immortali.
Bis bald!
Stefano

venerdì 24 luglio 2015

La lunga salita verso il Cervino - Parte seconda

La seconda parte dell'avvincente storia che porta l'uomo in cima al Cervino è fatta di avventure durate un decennio, di uomini d'altri tempi, tenaci e coraggiosi, di ideali patriottici che oggi sembrano spariti, di forza di volontà. La seconda parte della prima salita al Cervino è riassunta nella figura di un uomo, la guida valdostana di Valtournenche Jean-Antoine Carrel.

Il versante italiano del Cervino (© Stefania Grasso)

Descrivere una figura come quella di Jean-Antoine Carrel è cosa tutt'altro che semplice. Era chiamato “il Bersagliere”, perché aveva servito la patria nelle guerre di Indipendenza. Fu questa un'esperienza che lo rese un uomo dal forte spirito nazionalista ed orgoglioso di rappresentare l'Italia in quella che veniva considerata una missione simbolica. Salire il Cervino, pochi anni dopo l'Unità d'Italia, era il mezzo migliore per dichiarare al mondo la grande capacità e l'indipendenza del popolo italiano. Carrel fu addirittura incaricato da un esponente di spicco della politica italiana, l'allora Ministro delle Finanze e fondatore del CAI, il biellese Quintino Sella, di salire fino alla vetta del Cervino nel suo versante italiano, di salirla per dimostrare che il popolo italiano può superare i propri i limiti tramite atti di coraggio eroici (e c'è da fidarsi, centocinquanta anni fa salire sul Cervino era veramente un atto di eroismo).
Non era solo la "questione di stato" ad animare Carrel. Nonostante molte storie terribili venissero narrate sul conto della Gran Becca, Carrel era fermamente convinto di poter vincere quel "mostro" di roccia e ghiaccio. Fu l'unico, assieme all'amico-rivale Edward Whymper, a credere nella fattibilità dell'impresa.

Jean-Antoine Carrel nel disegno di Leonardo Bistolfi per Il Monte Cervino di Guido Rey

Dal 1857, l'anno del primo tentativo, un po' pionieristico, con l'Abbé Gorret, passarono otto lunghi anni prima di poter salire in vetta. La "questione di stato" divenne in tutto e per tutto una questione personale per Carrel, che questa ascensione la sognò per troppo tempo. I tentativi furono tanti: con l'inglese Whymper, che lo scelse come guida in molteplici occasioni grazie alle formidabili doti di scalatore; con l'irlandese Tyndall, durante il quale tentativo, si fermarono sull'omonimo Pic Tyndall nel famoso passaggio dell'Enjambée; con il fratello Jean-Jacques, il solo con il quale avrebbe voluto veramente arrivare in vetta.
Carrel sapeva bene che l'unico rivale per la conquista del Cervino poteva solamente essere Whymper che, più organizzato e con maggiori mezzi a disposizione, ebbe infine la meglio. Come già raccontato nella prima parte del racconto (vedi post), le fasi che precedettero i tentativi del 14 luglio 1865 furono un concentrato di tatticismo raramente visto in precedenza in montagna. Whymper tenta la salita dalla cresta dell'Hörnli – quella secondo lui più facile da percorrere – Carrel riprova per l'ennesima volta dalla cresta del Leone – l'unica che potesse essere scalata per questioni di patria e per l'onore della Valtournenche. La corsa, il sogno di Carrel verso i 4478 metri si infrange sul passaggio della Cravate, da dove lui e i suoi uomini osservano la festa di Whymper e della sua cordata. La battaglia con l'inglese è persa, e mestamente tornano a Valtournenche, ignari della tragedia che colpì la discesa della spedizione vittoriosa sul Cervino. Il morale di Carrel è a terra. Serve tutto l'impegno di Felice Giordano e in particolar modo dell'Abbé Gorret, per risollevare l'umore di Carrel. Devono salire quella montagna, lo devono fare per la Valtournenche, per la Valle d'Aosta e per l'Italia. Lo devono fare senza clienti, Carrel non vuole mettere in pericolo i suoi compagni caricandosi la responsabilità di ulteriori clienti. Giordano non farà parte della spedizione, saranno Carrel e Gorret assieme ad altri due valligiani, Jean-Baptiste Bich e Jean-Augustine Meynet, a riprovare la salita.

Cervino e non solo

Lascio che siano le parole di Guido Rey ne Il Monte Cervino a raccontare la prima ascesa italiana al Cervino.

Il giorno di domenica 16, dopo aver sentito la messa alla cappella di Breuil, la piccola squadra partì. Giordano rimase, triste e solo al Giomein. «Feci il grave sacrificio di attendere ancora ai piedi del picco, invece di salirlo, – egli scrive in altra sua lettera al Sella – e ti assicuro che questo fu per me un vivissimo dolore».
Li vide col cannocchiale attendarsi al solito bivacco ai piedi della Torre alle 2 pomeridiane. Amé Gorret ha narrato con giovanile entusiasmo questa salita: «Enfin nous traversons le Col du Lion et nous touchons à la pyramide du Mont Cervin. Ce Mont Cervin était donc là, devant moi; nous allions l'attaquer par un dernier et supreme effort; l'étais impressionné, et mes compagnons comme moi; mon coeur battait fort... j'aurais voulu pouvoir l'embrasser ce mont Cervin!»
Il giorno seguente proseguono la salita e raggiungono il segnale di Tyndall. «Nous allions entrer – scrive Gorret, - en pays inconnu, aucun n'êtant allé plus loin».
A questo punto si divisero le opinioni: Gorret proponeva di salire per la cresta e affrontare direttamente l'ultima torre, Carrel propendeva per svoltare a ponente del picco, e superarlo per il versante di Zmutt. Prevalse naturalmente il volere di Carrel, che era il capo e che malgrado la disfatta non aveva perduto l'abitudine del comando. Varcano il passo dell'Enjambée e costeggiano il pendio vertiginoso per afferrare la cresta di Zmutt. Un passo falso di uno della comitiva è una caduta di ghiaccioli dall'alto inducono a riprendere la linea diretta dell'ascesa, e questo tragitto per ritornare sulla cresta di Breuil riesce difficilissimo. Cade un sasso che ferisce Gorret al braccio.
Giungono infine alla base dell'ultima torre. «Nous nous trouvâmes – scrive Gorret – en un endroit presque raisonnable. Quoique cet endroit ne soit pas plus large de deux métres, et qu'il presente une inclinaison de 75 pour 100, nous l'âppelames de tous les noms favorables: le corridor, la galerie, le chemin de fer, etc, etc…»
Credettero di essere al termine delle difficoltà; ma un canalone di roccia che prima non avevano avvertito li separava dall'ultima cresta ove la via sarebbe stata facile. Scendere tutti quattro giù pel canalone non era prudente, giacché non si sapeva ove appendere la corda che avrebbe servito nel ritorno. Il tempo stringeva; convenne ridurre la squadra: Gorret fece il sacrificio, e con lui rimase Meynet. Poco tempo dopo Carrel e Bich erano sulla vetta, «et moi, - scrive Gorret, - pour ne pas me laisser prendre du sommeil, j'expliquais à Meynet la beauté des montagnes et des campagnes de la vallée».
Intanto al Giomein Giordano signora sul suo diario: «Bellissimo tempo; alle 9.30 veduto Carrel e uomini all'Epaule, poi non si videro più. Poi nebbia assai attorno alla cima. Verso le 3.30 si scoprì un poco e vedemmo la nostra bandiera sulla vetta di ponente del Cervino. La bandiera inglese pare uno sciallo nero posto sulla neve, al mezzo.
Dopo queste parole è tracciato sul taccuino un profilo della vetta con le due bandiere, e accanto ad una è scritto: Italia! Il giorno dopo a mezzodì giunsero di ritorno, sani e salvi, i vincitori. Nello scendere avevano veduto tutte le bandiere sventolare sul Giomein in segno di gioia; la fatica, l'ansia della lotta, l'emozione del pericolo erano scomparse. Il loro arrivo fu un trionfo.

Tutta la maestosità della parete sud del Cervino (© Enzo Verga)

La vetta era stata conquistata anche nel versante italiano. La Valtournenche era in festa.
Qualcuno, ancora oggi, si chiede chi abbia vinto. La vittoria è di Whymper, il primo a raggiungere la vetta ma che, anche per troppa fretta, subì le conseguenze del disastro nella discesa, o di Carrel, che vinse un versante più arduo (in condizioni sociali più difficili di quelle di Whymper), riportando sana e salva la spedizione intera? Non mi piace pensare all'alpinismo, o alla montagna in genere, come ad un terreno di sfide e di lotte per una vittoria. Mi piace pensare che siano stati entrambi, con i loro ideali, il loro coraggio e la loro ostinazione, a conquistare il Cervino. E a accendere la fiamma di un sogno che continua, immutato nel tempo se non più grande, a riscaldare il cuore degli appassionati della montagna.

giovedì 23 luglio 2015

La lunga salita verso il Cervino - Parte prima

Centocinquanta anni fa, erano le 13 circa, un distinto signore londinese, Edward Whymper, e una guida di Chamonix, Michel Auguste Croz toccarono per la prima volta la vetta del Cervino, la montagna più celebre e probabilmente la più bella del mondo. Whymper, il sognatore che proveniva da una terra tutt'altro che ricca di montagne, e Croz, l'ardimentosa guida francese, avevano capeggiato una spedizione composta da altre due guide, gli svizzeri Peter Taugwalder padre e figlio e altri due clienti inglesi, Douglas Hadow, Lord Francis Douglas e Charles Hudson, partendo il giorno prima da Zermatt e risalendo la cresta dell'Hörnli. Poco dopo “l'ora colma di vita gloriosa”, una caduta di Hadow fece precipitare per circa mille metri, sulla parete nord, lui e altri tre membri della cordata. Quell'impresa, realizzata su una vetta allora ritenuta impossibile da salire e sul quale conto gli indigeni avevano architettato un sacco di storie raccapriccianti, fu anche la tragedia, la prima in alta montagna, che segnerà l'inizio dell'alpinismo moderno e la fine dell'alpinismo di conquista.

Una delle incisioni di Edward Whymper nel suo famoso libro Scrambles amongst the Alps in the Years 1860-69 (fonte: commons.wikimedia.org)

I primi tentativi di salita della “Gran Becca” (così veniva chiamato il Cervino dagli abitanti della Valtournenche) risalgono al 1857, e furono di Jean-Antoine Carrel, un valdostano della Valtournenche, un uomo tutto d'un pezzo, che veniva soprannominato “il Bersagliere”. A quei tempi la montagna era affollata di ricchi turisti, spesso anglais, che ingaggiavano le guide del posto per salire in cima alle montagne. Tra questi vi era Edward Whymper, un disegnatore che durante un viaggio in Savoia vide anche il Cervino e ne rimase folgorato. Raggiungere la sua vetta, negli anni tra il 1861, anno del primo tentativo e il 1865, l'anno della conquista, divenne per Whymper una vera e propria ossessione, al punto tale da provare addirittura una volta in completa solitudine – salvo poi tornare mestamente al Breuil dopo un volo in un canalone. Carrel era la guida migliore per tentare un qualcosa che allora era considerato irrealizzabile, per la tempra stessa di Carrel e per la convinzione di Carrel che quella vetta non era irraggiungibile. Carrel e Whymper impararono a conoscersi e a stimarsi l'un l'altro, avevano provato ripetutamente l'assalto alla vetta, sempre dal versante italiano, ma ne furono sempre respinti.

La normale svizzera al Cervino illuminata dalle guide alpine di Zermatt (© Robert Bösch)

Nel corso di cinque estati sulle Alpi, Whymper affina la tecnica di salita e si conquista una discreta fama nel panorama alpinistico. Non sale da solo ma con alcune fidate guide. Su tutti, proprio Michel Croz, e gli svizzeri Christian Almer e Franz Biener. Con loro, compirà alcune prime di notevole importanza, tra cui Barre des Écrins, Mont Dolent, Aiguille d'Argentière, Grand Cornier, Grandes Jorasses (Punta Whymper) e Aiguille Verte. A quel punto si sente pronto per tentare l'assalto definitivo al Cervino, ma senza Croz (impegnato con altri clienti), Almer e Biener (supponevano irrealizzabile una salita al Cervino). Whymper vuole solo Carrel per la salita al Cervino, ma Carrel pare sia impegnato con altri clienti di “una distintissima famiglia”.

Edward Whymper (fonte: srf.ch)

La “distintissima famiglia” era in realtà una spedizione nazionale organizzata dall'allora ministro nonché fondatore del CAI, Quintino Sella, e da Felice Giordano, uno dei primi alpinisti-geologi dell'epoca. Le montagne erano allora affare di stato, poter “fare proprio” il Cervino - dopo che solo quattro anni prima la montagna simbolo del Piemonte, il Monviso, era stato conquistato da inglesi e francesi – era questione nazionale. Whymper non si dà vinto per vinto e, nonostante la fregatura, capisce che c'è ancora spazio per poter arrivare in cima per primo. Le condizioni meteo innanzitutto non sono le migliori per arrivare in cima. Ha una sola scelta, superare il Colle del Teodulo per arrivare a Zermatt, cercare una guida locale e tentare l'assalto dalla cresta dell'Hörnli, che conosceva meno bene ma che, per conformazione geologica, avrebbe potuto offrirsi meglio alla scalata. La fortuna pare girare dalla parte di Whymper, in quanto a Zermatt incontra proprio Croz, il quale si era liberato del suo cliente; Croz era proprio in procinto di partire in direzione Cervino con altri clienti, gli inglesi Hadow, Hudson e Douglas e altre due guide, Taugwalder padre e figlio. Whymper non aveva fiducia nell'inesperto Hadow, ma il reverendo Hudson garantiva per lui.

Il Cervino nelle sue parti est e nord

La partenza è fissata per il 13 luglio 1865 da Zermatt. Superano quota 3300 metri, dove bivaccano per la notte, e ripartono la mattina successiva per il tratto finale di salita. Il quale procede scorrevole, quasi “facile”, per molte ore. Poi giungono ad un tratto che appare insuperabile, che li costringe a deviare dalla cresta sulla parete nord per salire una parte più complessa di salita, prima di riportarsi sulla cresta, a breve distanza dalla cima. Il timore di Whymper è che la spedizione italiana li abbia preceduti. L'inglese e la sua guida francese Croz si slegano con foga dalle corde e corrono fino alla punta (la leggenda narra che toccarono l'apice contemporaneamente), dove non trovano tracce degli italiani. Certo, la spedizione italiana, più numerosa e laboriosa, era ancora sul Pic Tyndall – mancavano poche centinaia di metri alla vetta. I vincitori del Cervino si misero a gridare per richiamare l'attenzione di Carrel e compagni che, rattristati, si ritirarono per tornare a Valtournenche.

La croce di vetta della "Gran Becca"

Poi arriva il momento di scendere. Whymper è preoccupato dall'atteggiamento mostrato durante la salita da Hadow e si decide dunque di affiancarlo a Croz, primo di discesa e il più esperto del gruppo. La discesa è lenta, si procede “di conserva”, e Croz è continuamente impegnato a sistemare la posizione dei piedi sulla roccia di Hadow, insicuro e inadatto ad una tale montagna. A pochi metri dall'uscita del tratto più complicato, quello sulla parete nord, Hadow scivolò colpendo con i piedi Croz sulla schiena. Hadow e Croz precipitarono in avanti, senza riuscire ad attaccarsi alla piccozza, trascinando con sé nella caduta sia Hudson che Douglas. Whymper e i due Taugwalder, richiamati dalle grida disperate dei quattro compagni si aggrapparono alla roccia. Fu lì che la corda di canapa tra Taugwalder padre e Douglas si allungò fino a rompersi: i quattro precipitarono sulla parete per oltre mille metri, schiantandosi contro le rocce e arrestando il loro salto nel vuoto solamente nel ghiacciaio alla base del Cervino. Non fu ovviamente facile per Whymper e i due Taugwalder ricominciare la discesa, lo shock fu grande. Al loro arrivo a Zermatt i tre sopravvissuti furono accusati di superficialità e di negligenza, alcuni ipotizzarono avessero spezzato di proposito la corda. Se superficialità ci fu, fu da parte di Taugwalder padre nella scelta di quella corda di canapa (inizialmente portata come corda di riserva), vecchia e usurata. Questo fattore scagionò in parte l'operato dei tre sopravvissuti, i quali dovettero comunque convivere fino alla morte con il peso di questa tragica esperienza.

La vecchia capanna dell'Hörnlihütte

La prima salita del Cervino segnò un confine importante nella storia dell'alpinismo. Le grandi montagne erano state conquistate, e la tragedia del 14 luglio 1865 apriva nuovi scenari e considerazioni: in montagna si poteva morire. Per qualche anno, l'unico versante scalato fu quello italiano, lungo la cresta del Leone (salito per la prima volta qualche giorno dopo – ma questa è un'altra storia), mentre per qualche anno la cresta dell'Hörnli venne considerata maledetta. Ma la cresta dell'Hörnli, la via normale svizzera, per la sua facilità, ebbe in seguito maggior frequentazione, e sicuramente ciò ebbe un impatto nel superiore sviluppo turistico (ancora attuale) di Zermatt rispetto a Valtournenche e Breuil-Cervinia.

La caduta di Croz, Hadow, Hudson e Douglas nella famosa illustrazione di Gustave Dorè (fonte: wikipedia.org)

La prima salita del Cervino è inoltre il primo caso di rivalità e competizione per la conquista di una montagna. I personaggi in questione, Edward Whymper e Jean-Antoine Carrel, personalità dalle caratteristiche completamente opposte, giocarono nel 1865 una partita a scacchi nella quale l'inglese, seppur a caro prezzo, uscì vincitore. Ma la sfida, nonostante trucchi e giochi tattici, rimase sempre nei confini del rispetto e della stima reciproca, fattore che rese questo “duello” assolutamente memorabile. Carrel rimase la guida preferita di Whymper, che lo volle con sé per le sue escursioni alpinistiche post-Cervino, nelle Ande.

sabato 18 luglio 2015

L'unione tra cielo e terra

Ieri, 17 luglio 2015, è stata una giornata importante per l'alpinismo italiano. Valtournenche ha celebrato (e continuerà a farlo oggi e nei prossimi giorni) i centocinquanta anni dalla prima scalata del Cervino nel suo versante italiano.
Da amante della montagna e specialmente di QUESTA montagna, il Cervino, tornerò sull'argomento - non appena mi sarò ripreso dalle fatiche dell'Alta Via n.2 della Valle d'Aosta, appena conclusa. Per ora, mi limito a condividere pienamente le parole di Annibale Salsa, già presidente del Club Alpino Italiano.

Un Cervino illuminato a festa!

«Il Cervino? E' la montagna simbolo per antonomasia», dice Annibale Salsa, antropologo e già presidente del Club alpino italiano.
- Perché proprio il Cervino?
«Per forma e isolamento. Piramide nel cielo. Richiama l'immagine della montagna nel modo più evidente proprio perché deriva dall'immaginario. Guardandolo, risalendo il versante Sud della Valtournenche, emerge con chiarezza il rimando al concetto semiologico. Il Cervino è una scala».
- Scusi?
«Una scala, trait d'union tra terra e cielo. Una percezione che è già della protostoria. E' un palo sacro, un eone, cioè materia, realtà che conduce all'immateriale. La montagna ha sempre avuto questo doppio significato».
- La montagna in genere.
«Sì, ma il Cervino è un riferimento certo proprio per la sua forma. E' materia e rappresenta anche il cielo, il trascendere la realtà, perché scala. Le Dolomiti, ad esempio, con torri e pilastri non offrono il senso della scala».
- Un'evidenza maggiore sul versante italiano del Cervino. Perché allora è più conosciuto come montagna svizzera?
«Altra storia. Riguarda il secolo dei Lumi, il Settecento, quando gli svizzeri inventarono le Alpi come paesaggio. È il fenomeno dell'esotismo alpino che poi viene replicato. Lo scienziato Horace Bénédict De Saussure solleticò la curiosità del mondo con il suo “Voyages dans les Alpes”. Gli inglesi ne furono poi i grandi promotori, esplorando le Alpi, salendole e diffondendo le loro imprese».
- Anche sul versante italiano?
«Meno. La montagna italiana era il Monviso, perché dominava la pianura, larga piramide che si vedeva da lontano. E si riteneva che fosse la montagna più alta d'Italia. Con De Saussure le Alpi sul versante settentrionale diventano meta di numerosi viaggi. Le guide locali non riuscivano neppure a soddisfare le richieste. Stessa sorte per il Monte Bianco».
- Sempre grazie a De Saussure, che ne lanciò la conquista proprio negli ultimi anni del Settecento?
«Già. Era ginevrino e dalla sua città si vede la cupola candida del Bianco. Anche in questo caso una visione lontana, quasi un miraggio appeso al cielo».
- Il Cervino poi è entrato nell'immaginario collettivo.
«Sì. Per la Svizzera è la montagna di riferimento, compare come icona di molti prodotti. Più della Jungfrau o dell'Eiger. In realtà il Cervino è molto più visibile sul versante italiano. Dall'elvetica Zermatt il Matterhorn è più lontano rispetto a quanto lo è il Cervino per Cervinia. Ma le Alpi, anche nei pacchetti vacanza più importanti, sono svizzere. Grazie a icone datate 300 anni fa, grazie a una messa in scena, a un sipario che si apre su un sogno da vivere. Questione di marketing».

da La Stampa, 14 giugno 2015

mercoledì 18 marzo 2015

Giorni leggendari

Il 18 marzo nella storia dell'alpinismo non può essere considerata una data come tante altre. È una data che ha dell'epocale nella storia dell'alpinismo e ancora una volta, di mezzo c'è il Cervino, la montagna dei sogni di ogni alpinista.
L'anno è il 1882: solamente meno di diciassette anni prima, il Cervino era stato conquistato: prima sul versante svizzero dalla cordata di Edward Whymper e pochi giorni dopo sul versante italiano dalla cordata di Jean-Antoine Carrel.

Il versante italiano del Cervino (© Vittorio Sella)

Nella lunga ed estenuante lotta per la conquista del Cervino, Carrel viene parzialmente ricordato come lo sconfitto: Whymper lo potrà guardare dalla vetta del Cervino, mentre lui e i suoi compagni stanno ancora salendo (Whymper stesso non sarà mai ricordato solamente per essere il primo a salire il Cervino, bensì anche come la persona che subirà per il resto della sua vita la morte di quattro dei sette uomini che composero la cordata vittoriosa). Carrel, il "Bersagliere", sarà comunque ricordato nei decenni per altre grandiose imprese che portarono la sua firma. Undici prime salite su altrettante vette delle Ande, trentaquattro salite al Cervino, il monte Bianco e tutte le vette del Monte Rosa (ai tempi non erano escursioni di poco conto). Il nome dei Carrel (ben tre ceppi in Valtournenche) sarà sempre collegato alle migliori guide del Cervino, alcune di esse autentici fuoriclasse dell'alpinismo.

Il più grande dei Carrel, Jean-Antoine (© Vittorio Sella)

Diciassette anni dopo il nome di Jean-Antoine Carrel si lega a quello di un esponente di un'altra gloriosa famiglia che dato tanto all'alpinismo italiano, i Sella. Fu proprio Quintino Sella, politico di spicco del neonato Regno d'Italia a fondare nel 1863 il Club Alpino Italiano e, due anni dopo, ad essere una delle persone che più incoraggiarono Carrel a tentare l'impresa della prima salita al Cervino dal versante italiano. Il 18 marzo 1882, il nipote di Quintino Sella, Vittorio, con Jean-Antoine Carrel, Jean-Baptiste Carrel e Louis Carrel, sono gli artefici di una delle più grandi imprese alpinistiche avvenute sul Cervino: la prima ascensione invernale assoluta, lungo la Cresta del Leone, la via normale italiana. Non ci sono grandi notizie su questa impresa, ma si può immaginare la difficoltà della salita, nel rigido clima dei quattromila metri d'inverno, con la neve e il ghiaccio che coprono la roccia, per mezzo di corde ancora molto arretrate.

Vittorio Sella (fonte: montanarilenti.blogspot.com)

Guido Rey, ne Il monte Cervino, celebra così l'impresa di Sella e dei tre Carrel che salirono con lui: "una simile impresa, per il pericolo delle rupi rivestite di ghiaccio, per la brevità dei giorni e per il freddo intenso richiede un coraggio a tutta prova, un'abilità somma, e una forza eccezionale di resistenza; e, a buon diritto, venne considerata come una delle imprese più ardite dell'alpinismo. Ancora una volta il nome italiano, il nome di un Sella echeggia onorevolmente nei fasti del Cervino".

Il versante svizzero del Cervino (© Vittorio Sella)

Il 18 marzo 1882 è la data in cui si inaugura a buon diritto l'era delle ascensioni invernali, un nuovo capitolo in quell'infinita ricerca dei limiti umani che è l'alpinismo. Lo faccio con questo post, umile e piccolo in confronto alla grandiosità dell'impresa di allora, corredato dalle più belle foto del Cervino realizzate da Vittorio Sella (considerate tuttora tra le più belle immagini di montagna mai realizzate) e con le immagini dei due grandi protagonisti, Jean-Antoine Carrel e Vittorio Sella.

Parete ovest (© Vittorio Sella)

Bis bald!
Stefano

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