sabato 30 novembre 2013

Vi presento la Baviera: Bayreuth

Ciao a tutti!
Il viaggio lungo la terra di Baviera prosegue con una città che della Baviera ha anche il nome. Si tratta di Bayreuth: nonostante il nome rappresenti una sorta di appartenenza alla Baviera (Bayern in tedesco) essa fu annessa solo nel 1810. Bayreuth è in realtà la città che - più di ogni altra in Baviera - si lega indissolubilmente ad uno dei più famosi compositori lirici, il sassone Richard Wagner.
Wagner è uno dei personaggi che più ha contribuito a rendere la Baviera così come la conosciamo. Due veri e propri simboli di questa regione che ebbi la fortuna di visitare due anni fa, i castelli di Neuschwanstein e di Linderhof, portano nelle loro vesti l'ispirazione delle opere del compositore tanto amato da Ludovico II. Infatti, la sala dei Cantori di Neuschwanstein raffigura infatti scene del Parsifal e del Lohengrin, mentre la grotta di Venere di Linderhof fu progettata per ospitare un atto del Tannhäuser.

Il monumento a Richard Wagner, la figura che più di altre ha reso importante Bayreuth importante nel mondo

Il culto di Wagner è rappresentato in primo luogo dal Bayreuther Festspiele, il festival dedicato alle sue opere, che ogni estate richiama molti appassionati. Basta pensare che ci vogliono anni per accaparrarsi un biglietto, per capire quanto sia rinomato questo evento. Questa rassegna si svolge in un teatro dedicato, il Festspielhaus, voluto fortemente da Wagner stesso e finanziato con il denaro del suo protettore, Ludovico II di Baviera. Esternamente è una semplice costruzione di mattoni, ma all'interno (ho avuto modo di leggere, dato che osserva chiusura proprio nel mese di novembre) è progettato per garantire una perfetta acustica e soprattutto per concepire l'idea di opera di Wagner, una vera fusione tra il palcoscenico e il pubblico.
E non finisce qui: a Bayreuth si trova il museo a lui dedicato, presso l'abitazione in cui trascorse gli ultimi anni fino alla morte, avvenuta nel 1883; il più importante centro benessere della città si chiama incredibilmente con un nome delle sue opere, Lohengrin Therme.

Saluti da Bayreuth! Non so se si vede che fa freddo...

Un altro personaggio a cui Bayreuth deve molto è Guglielmina di Prussia, per più di un ventennio sposa del margravio di Bayreuth. Fu lei, pur indebitando notevolmente le casse del Principato, a trasformare nella metà del XVIII secolo una tranquilla cittadina in una città di corte come appare oggi. L'aria settecentesca è tutta nel complesso del Neues Schloss, la residenza dei margravi, e della vicina Friedrichstraße.

L'Altes Schloss e il monumento a Maximilian II

Il luogo di maggior impatto visivo è sicuramente la Maximilianstraße, chiamata anche Markt, in quanto è un viale talmente ampio che definirlo piazza non è del tutto errato. Su questa via troneggia l'Altes Schloss, l'imponente palazzo rinascimentale al quale è legato un particolare aneddoto.
Durante la visita di Bayreuth, nell'intento di scattare alcune foto, mi ferma un corpulento signore che inizia a parlarmi, com'era prevedibile, in tedesco. Per fortuna conosce un po' di inglese e mi invita a seguirlo, vuol raccontarmi qualcosa della città. Mi porta all'altezza dell'arco che separa l'Altes Schloss dalla Schlosskirche e mi indica i caratteristici blocchi di pietra rossa. E mi fa notare una cosa molto particolare, difficile da scrutare: nelle pietre sono stampati ideogrammi cinesi. Pazzesco, un pezzo di Germania è "made in China"...

L'interno del Markgräfliches Opernhaus di Bayreuth (fonte: unesco-welterbe.de)

Purtroppo, ricorderò Bayreuth anche come la città dei restauri. Due importanti pezzi da novanta di Bayreuth sono attualmente in ristrutturazione e dunque la loro visita non è possibile al momento. Passi per la principale chiesa cittadina, la gotica Stadtpfarrkirche, ma non poter entrare nel Markgräfliches Opernhaus è stata una grande delusione. Il suo interno barocco è entrato da poco più di un anno tra i patrimoni mondiali dell'umanità UNESCO. Progettato da un italiano, Giuseppe Galli Bibbiena, l'interno di questo teatro è qualcosa di magnifico: affreschi, stucchi, statue, un continuum di decorazioni che non può far altro che ammaliare il visitatore (vedere foto in alto per credere...).
Peccato non poter essere stato "catturato". Come spesso accade in questi casi, per consolarsi non resta dire che "sarà per un'altra volta".
Bis bald!
Stefano

venerdì 29 novembre 2013

Gelandet!

Solitamente sei tu che aspetti me. Mi aspettasti più di otto mesi fa, di ritorno da Barcellona. A casa tua, quando vengo a prenderti. Mi aspetti quando torno dalla Germania, dopo un viaggio di ottocento chilometri e oltre. Mi aspetti durante l'ultimo chilometro di una maratona, e quella sì che è lunga...
Ieri è toccato a me, all'aeroporto di Francoforte: lo sguardo sempre sul monitor degli arrivi. Anflug: centinaia di atterraggi al giorno, ma preghi sempre che tutto vada bene. Gelandet: tiri un sospiro di sollievo ma poi inizi a spazientirti, perché prima che si scenda dall'aereo ne passano di giri d'orologio. Ausgabe: basta guardare i monitor, si guarda solo più l'uscita. Un'attesa dolce, di quelle vissute con un leggero batticuore, ritmato il giusto. E ancora più dolce, quasi surreale, l'abbracciarsi in aeroporto, lo sciogliersi in una gioia che durerà più giorni, stavolta.

Attimi di attesa...

Fra poco inizia dicembre. Dicembre... Natale. Germania... in poche parole, tutto ciò significa...mercatini di Natale! No, questi non posso andarli a vedere da solo, assolutamente no! Meno male che sei arrivata, Giulia. Se c'è qualcosa che proprio non voglio perdermi ma che voglio assaporare nella sua interezza, e soprattutto condividere con te, sono i famosi Weihnachtsmarkt, i mercatini di natale tedeschi.

I mercatini di Natale nella Marienplatz di Monaco di Baviera (fonte: militaryingermany.com)

Qualche giorno di pace tutta nostra, di momenti da spartire insieme e di ricordi da imprimere nel cuore. E tanti posti nuovi da vedere insieme. Monaco di Baviera, Würzburg, Norimberga, Bamberga.
Sono felice che tu sia qui, Giulia. Sarà una bella vacanzina, di quelle da ricordare a lungo, vedrai.
Bis bald! (für Weihnachtspost!)
Stefano

giovedì 28 novembre 2013

E venne il giorno

Escluso. Decaduto. Rovesciato. Espulso. Cacciato. Buttato fuori. Spodestato. Demolito. Non contano gli aggettivi, conta il fatto.
Anche all'estero, e soprattutto in Germania, l'evento non è passato inosservato. Senza girarci troppo attorno, si parla della caduta dell'ex-presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dalla carica di senatore. Fatto attesissimo in Italia, ma anche fuori dai nostri confini. Non appena la notizia è stata diramata, i giornali di tutto il mondo si sono fiondati a pubblicare articoli sulle loro versioni on-line.

La sua delusione, la nostra gioia (fonte: huffingtonpost.it)

Per questioni di tempo non ho avuto modo di leggere e tradurre ciò che varie fonti della stampa tedesca hanno scritto a riguardo, ma la testata giornalistica forse più importante d'Europa, Bild, ci è andata giù pesante (e io con un bel sorriso sulle labbra di fronte al monitor): “tutti i tentativi di rovesciare le leggi sono falliti”, “un “Bunga-Bunga”-Prozess ancora in corso”, “possibile fine della carriera politica”, “l'evidente incapacità di poter ancora sostenere certe responsabilità”. E a chiusura dell'articolo, la stoccata finale in classico stile germanico verso l'Italia tutta: “se si andasse oggi alle urne, Berlusconi avrebbe buone possibilità di essere rieletto”.
Fa malissimo sentire certi commenti della stampa straniera, però non hanno mica tutti i torti. La posizione sulla storia politica di questo personaggio è unanime sia nei sostenitori di sinistra che in quelli di destra. I commenti che ho raccolto in due mesi e mezzo in Germania sono “ladro”, “pagliaccio”, “vecchio”, “criminale”, “bunga-bunga”. E soprattutto: “perché lo votate???”. Già, perché? Beh, mi auguro vivamente che ieri si sia messa la parola fine su questa cupa storia italiana. Inizio ad essere stufo di vedere accostata la politica italiana all'unico nome di Berlusconi. Non che attorno ci sia di meglio, s'intende, ma quell'individuo è il peggio che poteva capitare.

Raus Berlusconi, raus! Esulta così l'edizione online di Der Spiegel

Chiudo con una citazione di Indro Montanelli: “L'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della marcia su Roma, becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo”.
Che ieri sia stato l'inizio di una nuova luce? Me lo auguro, così come spero se lo auguri tutto il popolo italiano.
Bis bald!
Stefano

mercoledì 27 novembre 2013

Mandami dell'altro vino!

Ciao a tutti!
Un po' causa preparazione alla maratona, un po’ la scarsità di occasioni, non avevo ancora messo alla prova uno dei fiori all'occhiello di questa regione. È finalmente dopo più di due mesi in terra tedesca che posso dire di aver assaporato il rinomato vino della Franconia. Lettori italiani, via i pregiudizi! Non pensiate che il vino buono sia solo quello italiano o quello francese. Qui c'è tanto vino di qualità, il rinomato bianco e il meno conosciuto rosso.

Rotling e Rote Wonne

Sono stati necessari il periodo di pausa dalle corse e dagli allenamenti e l'arrivo della mia collega Ilaria, qui a Schweinfurt per una serie di riunioni, per poter avere finalmente l’occasione di sedersi ad un tavolo e degustare un buon bicchiere di vino (già che la birra non la posso bere).
Sul locale sono andato sul sicuro, scegliendo l'Alte Mainmühle di Würzburg che mi aveva favorevolmente impressionato durante la visita di due mesi fa (vedi foto nel post su Würzburg). Posizione favolosa (proprio all'inizio dell'Alte Mainbrücke, il ponte sul Meno) ed un simbolo che ne caratterizza anche il nome, ossia il mulino. Sempre preso d’assalto da turisti e non solo, per me ed Ilaria la cameriera - italiana, peraltro - riesce a trovare due risicati posti a sedere nell’angolo dell’ingresso. Quanto basta per poter sorseggiare, durante una bella chiacchierata tra colleghi (o ex-colleghi, che dir si voglia), un quartino di Rote Wonne del 2011, direttamente dai vitigni della Weingut am Stein, proprio sulle colline a nord-ovest di Würzburg. Insomma, turismo enogastronomico a chilometri zero. Secondo la carta, è un vino con pronunciati aromi di frutti di bosco e cioccolato fondente. Sarà, io non ho sentito né gli uni né l'altro, io non so come facciano i degustatori a stabilire certi parametri olfattivi e gustativi. Me lo sono sempre chiesto, qualcuno me l'ha spiegato, ma in sostanza non l'ho mai capito. Il Rote Wonne, comunque, significa letteralmente “beatitudine rossa”. Si, è proprio buono, ed anche la cameriera ha fatto un cenno di assenso, quando l'ho ordinato.

Zum Wohl!

Tornerò sicuramente su questo argomento, e spero nelle prossime settimane di tornare a degustare qualche buon vino di Franconia.
Chiudo il post con l’aneddoto della serata. Dunque, questa è la mia terza uscita serale da quando sono in Germania*. Ed è la prima volta che mi capita di toccare alcolici. Un bicchiere di vino, poi. Ma la sfiga, si sa, ci vede benissimo. E non vuoi, in quell'unica uscita, incontrare una volante della polizia che, forse attratta dalla mia targa italiana, mi impone di fermarmi. Ah, tutto ciò a cento metri da casa.
Due agenti, in perfetto inglese, mi chiedono patente, libretto e che diamine ci faccio a Schweinfurt. Poi, la domanda fatidica: “Hai bevuto alcolici?”. “Nooooo”, la mia risposta, e tutto finisce lì, per fortuna. Che gran beffa sarebbe stata…
Bis bald!
Stefano

* Aggiungo: sempre con colleghi italiani in viaggi di lavoro a Schweinfurt. Tutto ciò la dice lunga sul come sia difficile instaurare vere relazioni umane con i tedeschi.

martedì 26 novembre 2013

Terra di Franconia: Haßfurt

Ciao a tutti!
Comincia con questo post un nuovo percorso di viaggio, un viaggio parallelo a quello che sto portando avanti in Baviera. La Baviera è una regione enorme, il Land più grande della Germania. Ed è mia intenzione concentrarmi un po' sulla regione che mi sta ospitando da poco più di due mesi, la Franconia (sul quale territorio sono comunque presenti città di una certa importanza come Würzburg e Bamberga), e sulle sue realtà locali, meno conosciute e blasonate ma di altrettanto valore culturale.
Questo percorso parte da Haßfurt, il capoluogo del distretto amministrativo Haßberge. Parto di qui in quanto è una delle località più vicine a Schweinfurt. Dista solo 25 chilometri e per di più è ottimamente collegata, via autostrada, ferrovia e (soprattutto, per quanto mi riguarda) ciclovia. Nel mio caso, un'ora e mezza di pedalata lungo la Mainradweg e si è arrivati.

La Marktplatz di Haßfurt raccoglie in sé il Rathaus e la Stadtpfarrkirche St.Kilian

Come descrivere Haßfurt? Come una piacevolissima sorpresa. Questa piccola cittadina adagiata nella valle del Meno, è inaspettatamente vivace e ricca di contenuti. Il centro storico è tutto quanto raccolto lungo l'arteria principale, la Hauptstraße, e nella principale piazza, la Marktplatz (tanto per cambiare...). Su quest'ultima, che odora di vero e proprio luogo di incontro tra le genti, si affacciano il cinquecentesco Rathaus e la Stadtpfarrkirche St. Kilian. Anche qui, sculture del Riemenschneider, un vero e proprio must della zona. Il suo marchio di fabbrica è ovunque, in Franconia e non solo.

Il gioiello per eccellenza di Haßfurt, la Ritterkapelle

Il gioiellino di Haßfurt è comunque senz'ombra di dubbio la Ritterkapelle. Si trova poco fuori dal vero centro storico di Haßfurt, quello delimitato dalle due Tor, i torrioni che fungono da porta d'accesso alla città. Questa chiesa in arenaria è decisamente il pezzo forte della cittadina: la decorazione in rilievo del portale è già di per sé favolosa ma a rendere unica questa chiesa è il fregio esterno del coro. Sono presenti infatti ben 248 stemmi araldici e suppongo che siano questi a conferire il nome della chiesa: Ritterkapelle vuol dire letteralmente "cappella dei cavalieri". Particolarità della chiesa è sicuramente il cimitero annesso alla chiesa, usanza tipica della Svizzera e di alcune aree della Francia ma che non avevo ancora ritrovato qui in Baviera.
Haßfurt è uno degli esempi che meglio si addicono quando si vuol rendere sincero omaggio alle bellezze artistiche "locali" senza dover per forza pianificare lunghi spostamenti in auto. Toh, prendi la bici e vai! E guarda cosa ne scaturisce...una piacevolissima gita in una fresca giornata di novembre.
Bis bald!
Stefano

lunedì 25 novembre 2013

Lettera a Turin Marathon

Spettabile Turin Marathon,
mi chiamo Stefano Garetto e sono un podista torinese di 28 anni che domenica scorsa ha concluso per la seconda volta la Turin Marathon.
Scrivo per portare alla luce due episodi accaduti nel weekend della maratona (uno dei quali vissuto in prima persona), i quali ritengo assai poco piacevoli.
Premetto che il sottoscritto è il maratoneta che ha corso lungo le strade di Torino con una maglia della Juventus e un cappello bianconero da menestrello. È stata una scelta un po' diversa, non potendo ambire a migliorare il mio personale e neanche ad avvicinarlo, ho pensato solo a divertirmi e a divertire. Il mio look bianconero ha suscitato reazioni molto diverse: chi manifestava la sua approvazione o disapprovazione, chi in maniera composta, chi senza alcun rispetto e con linguaggio volgare. Non mi sono stupito, so bene come è avvelenato il clima calcistico a Torino. Ciò che non ho potuto tollerare è stato l'inqualificabile gesto che ho subito da parte di un volontario di Turin Marathon. Al rifornimento del chilometro n°15, al momento di prendere la bottiglietta di acqua, sento un volontario che dice “A questo qui non gliela do l'acqua”, con chiaro intento discriminatorio. Accecato dalla rabbia per questa condotta scorretta, ho provato a strappargliela dalle mani, senza successo. Fortunatamente, subito dopo un altro volontario, resosi conto dell'increscioso episodio, ha personalmente provveduto a fornirmi l'acqua, peraltro rincuorandomi. Con la mente torno ancora indietro a quel momento e non riesco a capacitarmi del perché di questa inciviltà. Posso garantire che avessi avuto maggior lucidità, avrei interrotto la corsa per leggere il suo nome sul suo pass. E non mi sarei tantomeno fermato ad una lettera di denuncia come questa.
Ho avuto modo di riscontrare con i miei occhi atteggiamenti poco cortesi anche al ritiro dei pettorali della Turin Marathon. Ne segnalo uno che mi ha lasciato basito: un atleta straniero, probabilmente spagnolo, si presenta per prelevare il suo numero di gara, e in italiano stentato dice che parla sì, un po' di italiano, ma preferirebbe possibilmente parlare in inglese. E la signora dietro il banco risponde arrogantemente “no, niente inglese!”. Nonostante solo il 5% dei partecipanti alla Turin Marathon sia straniero, credo sia doveroso che i volontari preposti alla distribuzione dei pettorali debbano conoscere un po' di inglese, altrimenti come si può definire la Turin Marathon “gara internazionale”? E soprattutto, un po' di cortesia, soprattutto con gli stranieri. Con che ricordo se ne andranno da questa meravigliosa città?
Voglio precisare che non ho nulla contro Turin Marathon, che ogni anno organizza con passione questo evento, e contro i suoi volontari, tanto più che un mio carissimo amico vi presta servizio ormai da due anni. Non so quando, ma tornerò a correre la Turin Marathon. Non saranno gli episodi riferiti a mettere in secondo piano quanto sia splendido correre a Torino, nella città in cui sono cresciuto. Però, sarebbe bello trovare, la prossima volta, più umanità.
Distinti Saluti,
Stefano Garetto


domenica 24 novembre 2013

Cose che succedono @Torino 2013

Ciao a tutti!
Dopo Venezia, non poteva mancare il meglio di ciò che ho vissuto durante la Turin Marathon. Si, perché una maratona è anche questo. Momenti comici e siparietti divertenti, tanto il fiato non manca mai, anche al quarantaduesimo chilometro! Logicamente, la maggior parte di queste chicche è dovuta al mio look in bianco e nero.

Anch'io parte dello spettacolo!

Specie protette. La prima perla della Turin Marathon avviene dopo il primo chilometro. Appena superato il Ponte Vittorio Emanuele I da dietro sento un urlo: "Forza Toro!". Lo giuro, silenzio tombale. Pronta la mia risposta: "Ma non ti caga nessuno, non vedi che siete in via di estinzione?". Risate generali. E poi dicono ancora che Torino è granata. Pfui...
Domande retoriche. Intorno al chilometro 6 mi fermo a bordo strada per baciare Giulia. A parte i commenti del tipo "ecco, questo si che è un uomo", il meglio arriva quando, poco dopo, mi affianca uno e mi chiede: "Ma quella l'hai baciata a caso?". Giulia avrebbe risposto "Si, certo, prova a farlo anche tu...".
Il derby. All'improvviso mi supera un podista con chiaro accento romano e mi dice "Aò, non glie' fate vince' lo scudetto, st'anno eh!". No, non è della Lazio, no no...
La bionda. Stiamo per entrare a Nichelino. Una bella ragazza viene notata da due atleti compagni di squadra. Uno fa all'altro: "Oh, guarda, che manicotti rosa ha la biondona!". Risposta: "Eh certo, una così non poteva non mettersi in mostra!". E poco dopo, scattino per andarla a riprendere.
Il direttore d'orchestra. Corso Francia, ormai è già notte fonda da un pezzo. Mi sorpassano ormai in tanti, ma uno, evidentemente tifoso della Juventus, mi dice "Dai Pirlo, non mollare!". Io, che ormai non ne avevo più rispondo così "Se ho messo la maglia di Pirlo e non quella di Vidal ci sarà un motivo, no?" (Pirlo è conosciuto per essere un giocatore non dotato di grande corsa).
Gente da evitare. Dopo i primi chilometri, Bruno mi dice: "Non starmi attaccato che poi in foto vengo sempre di fianco ad uno della Juve". Oh, mica sono un lebbroso!
Le campane. Corso Vittorio Emanuele, si corre ormai ai 6'/km. Due podisti napoletani mi superano e mi dicono: "Adesso per due giorni avrai le campane nelle orecchie". Il riferimento al mio cappello da giullare con i campanellini sul bordo è evidente...

Bis bald!
Stefano

sabato 23 novembre 2013

Difetti di fabbricazione

Ciao a tutti!
Quando mi è capitato di vedere ciò che potete osservare anche voi in foto sono rimasto piuttosto basito (o forse sono io che ho poca confidenza con il mondo dell'alcol, cosa possibile). No, non è una latta da cinque litri contenente birra a stupirmi. Non qui in Germania, comunque. Ciò che mi stupisce è ciò che è riportato sul fianco della confezione: è un avviso per i consumatori, o meglio, per le consumatrici.
Letteralmente, vi è scritto che "le donne in gravidanza non dovrebbero bevande alcoliche perché si rischiano difetti di nascita"...Difetti di nascita? Un essere umano non è un robot che esce da una catena di montaggio. Se l'espressione è decisamente infelice, altrettanto non si può dire per il suo contenuto. Consumare bevande alcoliche non è di per sé qualcosa di salutare, però è un piacere al quale rinunciare del tutto non è neanche giusto. Ma l'indicazione è giusta, le donne in gravidanza non dovrebbero mai consumarne, perché l'alcol arriva direttamente al feto, senza alcuna barriera.


Non voglio tediare con i miei consigli sul come e sul quanto bere. Ho le mie idee, molto in contrasto con quelle della maggior parte dei miei coetanei, e me le tengo, ognuno faccia ciò che vuole. Faccio una riflessione, forse un po' scontata ma che calza a pennello.
Ormai è risaputo che il consumo di alcol alza il livello di trigliceridi nel sangue, quindi il suo consumo è strettamente relazionato all'aumento di peso. Sarà per questo che le donne bavaresi, specie quando sale l'età, mi appaiono in media tutte quante più grasse e di conseguenza più brutte rispetto alle italiane? Qui le donne bevono eccome... Non possono essere solamente gli uomini a contribuire al record assoluto di consumo pro capite di birra annuo: nel 2009, infatti, solo in Baviera il consumo di birra si attesta intorno ai 240 litri annui, contro una media tedesca di 110 litri annui, una media europea di 75 litri annui e una media italiana di soli 28 (...per fortuna!?!?) litri annui. Il discorso vale anche per gli uomini. Ci sono certi "palloni", qui...che a vederli ti fanno congelare il sangue nelle vene.
Giulia, puoi stare doppiamente tranquilla: non mi innamorerò di una bavarese e non diventerò panzone facendomi di wurstel, crauti e birra. Per me tra l'altro, essendo celiaco, la birra è pure bandita, ai primi posti della mia personale lista di proscrizione. Qualcuno mi ha fatto giustamente notare: e che ci fai in Germania, allora?
Bis bald!
Stefano

venerdì 22 novembre 2013

Nella mia città, con i miei colori - Il racconto della mia seconda Turin Marathon

Ciao a tutti!
Qualcuno l’ha definita una pazzia correre due maratone nel giro di tre settimane. Può essere. Mai come quest'anno avrei potuto rinunciare a esser lì a Torino, in Piazza San Carlo. La lontananza dell’Italia e della mia città (che in realtà non è mia, ma la considero tale) si fanno sentire, e quindi, perché non riconciliare il tutto con una bella maratona?
Gambe stanche, una cornice incredibile e i colori della mia squadra del cuore sulla pelle. Questo è in breve ciò che è stata la mia XXVII Turin Marathon, il mio quarto confronto con la distanza mitica dei 42,195 chilometri, i più duri di sempre, come sempre memorabili.


Piazza Carlo Felice, inizia l'ultimo chilometro della XXVII Turin Marathon

Ho già raccontato come ho deciso di partecipare (vedi post del 5 ottobre 2013) e anche come avrei affrontato questa maratona (vedi post del 14 novembre 2013), ma mai il perché della scelta del vestiario, che ha sorpreso molti. Beh, è semplice, durante qualsiasi maratona vedi gente conciata nelle maniere più strambe e in quei momenti mi sono ripromesso che prima o poi l'avrei fatto anch'io. Non serve molto: una maglia di una squadra di calcio ed il relativo cappello da giullare. Detto e fatto: arrivo a casa dopo dieci lunghe ore di macchina lungo quattro diverse nazioni e al termine di un susseguirsi delle più svariate condizioni meteo possibili, e cosa faccio? Rispolvero la 21 di Andrea Pirlo e il cappello comprato un anno fa in una bancarella davanti allo Juventus Stadium. È perfetto, vada per il look in pieno black & white.

Piazza San Carlo, ore 9.30: inizia la Turin Marathon!

Mi presento a Torino in veste insolita, con il classico sacco dell'immondizia che mi copre e protegge dal freddo, pronto ad essere buttato via una volta partito. Le sensazioni non sono quelle di sempre, manca l'emozione e la tensione della gara che conta, dentro mi sento molto, molto rilassato. Non sono preoccupato, l'importante è arrivare alla fine, in tre ore e mezza, in quattro o in cinque, non mi importa alcunché. Un po' di riscaldamento approssimativo in Piazza San Carlo, in quanto lo spazio è pochino. Sono quattromila circa i maratoneti, ma più di tre volte tanto sono coloro che si sono iscritti all'evento podistico collaterale, la Stratorino. Al riscaldamento vengo subito inondato di fotografie, il mio look non passa inosservato. Poi all'improvviso mi compare davanti una sagoma di uno spilungone: non ci posso credere, è Bruno, un maratoneta che ho conosciuto l'anno scorso proprio alla Turin Marathon, con il quale condivisi la parte centrale e gli ultimi quattro chilometri. Non è pronto per chiudere la maratona come l'anno scorso (circa 3h21') causa problemi di preparazione, e anch'io non posso ambire ad un buon tempo finale. Allora ci mettiamo d'accordo. Cominciamo insieme, poi vediamo che succede. Lui mi propone di viaggiare ad un ritmo tale da chiudere in 3h35'-3h40', per me andrebbe benissimo.

Il mio arrivo con Luca

Arriva il magico momento dello sparo e subito ecco l'effetto imbuto che crea l'ingresso del popolo della maratona in Via Roma. Primi metri rallentati, ma ben presto Bruno inizia a tenere un ritmo che per me è troppo veloce. Non posso tenere 4'45”/km a lungo, con quel passo chiuderei in 3h21'…lo lascio andare, continuo al mio passo, conscio che arriveranno chilometri durissimi. E non lo vedrò più.

Questa è Torino, questo è il popolo della maratona!

I primi chilometri sulla sponda destra del Po sono meravigliosi, la novità introdotta quest'anno sul percorso è decisamente ben riuscita. Tengo un ritmo ben sostenuto, comunque, mai sotto i 4'55”/km che è un bel correre. Il passo è costante, tranne durante il chilometro 6, dove c'è Giulia, con la sua inconfondibile giacca fucsia, ad aspettarmi. Un bacio veloce e poi si riparte, più veloci di prima. Un piccolo gesto, ma che dà tanta energia. Lungo il percorso ci sono tanti tifosi juventini che non si tirano indietro dall'incoraggiarmi e a mostrare il loro tifo per i colori bianconeri. Poi ci sono anche i granata, come è logico che sia a Torino. C'è chi si limita a dire “Forza Toro” (e ci sta) e c'è chi è decisamente più fastidioso e farebbe più bella figura a stare zitto. Per buona educazione non mi permetterei mai di insultare un podista con la maglia dell'Inter o del Milan, solo perché sostiene tifa una squadra diversa dalla mia. Esattamente come non ho contestato (ma che in fondo ho ammirato) il maratoneta tifoso del Napoli che corre i suoi 42,195 chilometri con davanti la bandiera della squadra partenopea. Siamo tutti atleti oggi, con le nostre fatiche e sofferenze, al di là di qualsiasi fede calcistica. D'altronde, non posso pretendere civiltà dal popolo italiano che, quando si parla di calcio, è il più incivile d'Europa. L'episodio più increscioso comunque, lo tengo ancora per me, e lo rivelerò al momento giusto.

Immortalato da Cico presso l'Ippodromo di Vinovo

Poco prima dei dieci chilometri avviene un incontro fortuito e divertente, quello con Silvia. Non mi riconosce subito, ma io riconosco lei. E scoppia in una gran risata, non aveva capito che ero io! Beh, abbigliato in quella maniera ero irriconoscibile ma assai apparente allo stesso tempo. Poi allunga, e non la vedrò più, anche lei, se non in foto… Un altro piacevole incontro avviene nel punto più a sud del percorso, presso la rotonda dove si trovano l'ippodromo di Vinovo e il centro di allenamento della Juventus. È Cico, pronto ad immortalarmi con i suoi potenti mezzi fotografici. Una brevissima pausa per un saluto e poi si ricomincia. Peccato che non abbia potuto farmi fotografare con la scritta che avevo preparato per coprire lo sponsor della maglia bianconera, “Turin à l'è bianca e neira!”, rovinatasi irrimediabilmente durante uno spugnaggio (quello dei 12.5 chilometri). Sarebbe stato stupendo! Rimane solo quella posteriore...
Dall'ippodromo di Vinovo si svolta rapidamente verso destra verso Stupinigi. Davanti alla Palazzina di caccia inizia il lunghissimo rettilineo che porta fino al quartiere di Mirafiori. Si corre la seconda parte della TuttaDritta al contrario, in pratica. Qui inizio a sentire che le gambe non sono più quelle dell'inizio e pian pianino il passo si alza, lentamente ma in maniera inesorabile, sempre più vicino ai 5'/km e oltre. Fortuna che qualche tifoso della Juventus c'è e fa sentire forte il suo sostegno.

Un keniota, come al solito: è Patrick Terer a bissare, con il tempo di 2.08.52, il successo della scorsa edizione

Il momento chiave della mia maratona è intorno al chilometro 28: a due terzi di gara, infatti, si percorre Via Tirreno. È una via in leggerissima salita, ma lunga e costante, di quelle che si fanno sentire nei muscoli. Al suo termine, quando si svolta in Corso Brunelleschi, non sono più quello di prima, le gambe sono ormai perse. Ho pagato il dazio di Venezia, la luce si è spenta. L'unica cosa da fare in questi momenti è tenere duro e arrivare in fondo, cercando di godersi l'atmosfera di Torino e della sua platea. Gli ultimi dieci chilometri sono quelli che immergono il podista nel vero spirito di Torino, e vanno assaporati fino in fondo.

Braccia al cielo in Piazza Castello

Ma questi ultimi dieci chilometri sono un'infinità: al passo che sto tenendo vogliono dire quasi un'ora di corsa se non di più. Il passo si aggira infatti tra i 5'30” e i 6/km se non oltre. I grandi viali che caratterizzano Torino, Corso Vittorio Emanuele, Corso Galileo Ferraris e Corso Duca degli Abruzzi sono ampi e danno al podista la sensazione dell'irraggiungibile, del tremendamente infinito. Corso Galileo Ferraris poi, è il più severo di tutti. Quando si svolta a sinistra per imboccarlo in direzione nord, compare subito la sagoma del Monumento a Vittorio Emanuele II. Sembra a portata di mano. Macchè, è più di un chilometro e mezzo, tutto da correre con i denti stretti. Non finisce mai. Le gambe stanno sempre peggio. Sono continuamente sorpassato. Trovo un po' di refrigerio per le mie gambe ai rifornimenti. Non ho obiettivi oggi, tantomeno quando il tuo passo si alza sopra i 5'/km. E allora fermiamoci, beviamo e mangiamo con calma, dopo si riparte.
L'ultimo rifornimento è in Corso Sommeiller. Da lì, si svolta a sinistra in Via Sacchi e più nessuna vera curva fino all'arrivo. Poco oltre l'ultima curva incontro Luca, un maratoneta veneto, gran tifoso della Juventus (siamo ovunque, noi juventini!). Vuole arrivare al traguardo con uno juventino. Averlo incontrato è fondamentale, si parla un po' della nostra squadra, di ciò che è ora e che sarà in futuro. E intanto il tempo scorre, anche lo sforzo sembra venir meno. A lui andrà, con sincera allegria, la rimanente scritta “Turin à l'è bianca e neira!”, quella attaccata sotto il numero 21 della mia maglia bianconera.

E sono tre: lo juventino avrà sicuramente capito che non sto parlando di maratone...

Poi si entra nel magico ultimo chilometro di corsa. È sempre fantastico correre in Via Roma! Esattamente come un anno fa, Via Roma risplende di luce, il sole rischiara il palcoscenico della Turin Marathon. Ed esattamente come un anno fa, vado ad incitare la gente, ad invitarla ad alzare il livello di rumore, a far esplodere il tifo per i maratoneti. Torino non resta muta, e si eleva forte il coro di incoraggiamento. Questa città, questa gente, questa passione, questi sfondi a me tanto cari, danno ulteriore grinta ed inattesa energia per chiudere per la quarta volta i mitici 42,195 chilometri, ancora una volta in Piazza Castello.

Giù il cappello in Piazza San Carlo!

Ma la carica più importante, quella decisiva, è ancora una volta quella di Giulia. Come tre settimane prima in Piazza San Marco, anche stavolta è lì ad aspettarmi in Piazza San Carlo. La vedo e mi preparo per il rito. Mi tolgo il copricapo da menestrello indossato con orgoglio fino a quel momento, perché il vero juventino si toglie sempre il cappello di fronte alla sua signora. E poi la bacio. È una giusta ricompensa per me e per la mia fatica, forse la sofferenza più grande da quando corro, è una giusta ricompensa per lei che ancora una volta ha saputo aspettarmi all'arrivo con estrema pazienza. È la scarica di adrenalina che mi porta fino all'arrivo, per poter fare quegli ultimi metri con ancora più esultanza. Le gambe improvvisamente non fanno più male, sembra di volare. Non è un luogo comune, o una semplice sensazione. Nonostante tutta la fatica accumulata (e con parte della Venice Marathon ancora nei muscoli), riesco a correre 4'30”/km gli ultimi metri! Che potere straordinario, quello di un semplice bacio.

Il momento più atteso da 42 chilometri...

All'arrivo giungo in 1954° posizione (137° di categoria), risultato tutt'altro che esaltante, ma non era il piazzamento ciò che mi interessava. Tempo finale: 3.48.55 il tempo di gara, 3.48.41 il tempo reale, chiusura ad un passo di 5'25”/km, quasi un minuto in più ad ogni chilometro percorso, rispetto a Venezia. Era prevedibile. La prestazione è stato un lungo decrescere: i primi dieci chilometri sono stati percorsi a 4'53”/km, dai 10 alla mezza maratona a 5'05”/km, il tratto 21-30 chilometri a 5'19”/km e poi il tracollo finale nell'ultimo settore, dal chilometro 30 all'arrivo in 6'12”/km.

La medaglia, il mio quarto riconoscimento alla fatica della maratona

Una maratona lenta e dura, la mia. Ma chissenefrega, tutta la fatica è ricompensata negli ultimi chilometri da questa città, da questa gente, da Giulia, dalla letizia che un maratoneta torinese trova nel correre nella propria città, tra i luoghi che l'hanno visto crescere e diventare uomo. L'avessi fatta anche in cinque ore e mezza, arrivando in ultima posizione, non sarebbe cambiato assolutamente nulla!

E ora, relax.

Ora, inizia un lungo periodo di riposo, lontano dalle corse. Necessito di recuperare energie a tutti i livelli, sia fisico che mentale. Anche la testa inizia a sentire, dopo mesi di severo rigore alimentare, la mancanza di qualche piacere a tavola, tra cui un po' di parmigiano, un buon bicchiere di vino durante i pasti e un bicchierino di genepy valdostano (che tra l'altro ho lasciato a casa, sigh). Non è che non correrò più fino al 2014, no di certo, correre non è un obbligo ma un piacere e allora lo farò nella maniera più istintiva. Lo farò perché è bello correre, perché questo gesto così spontaneo mi riporta ad una più primitiva essenza, perché mi rende felice, autenticamente. Da gennaio, si ricomincerà a fare sul serio. Ma questa è un'altra storia, un altro capitolo del mio libro. Mi raccomando, mettete il segnalibro…
Bis bald!
Stefano

Ps: il mio look non è passato inosservato ed è valso qualche inquadratura da parte di RaiSport e un servizio all'edizione regionale del TG3. Se riuscissi a trovarli, li posterò di certo…

giovedì 21 novembre 2013

La fatica non è mai sprecata

Ciao a tutti!
Le settimane in Germania mi hanno fatto scoprire (o riscoprire?), un po' per caso e un po' no, un eroe dello sport italiano. Si tratta di Pietro Mennea, l'indimenticato campione olimpico che ha fatto sognare l'Italia alle Olimpiadi di Mosca 1980, dove vinse l'oro sui 200 metri piani. Per ovvi motivi anagrafici non ho vissuto la sua storia e le sue vittorie, ma con tutto il materiale che si può trovare in rete, ho potuto recuperare il tempo "perso".
In attesa di leggere il suo libro, La corsa non finisce mai, ho trovato un articolo di Emanuela Audisio su La Domenica di Repubblica del 3 giugno 2012 (del quale riporto di seguito gli estratti più salienti, vedi articolo completo), che a parer mio è quasi il manifesto della vita e della carriera di questo atleta. Uno che ha fatto della tenacia, dell'umiltà e del sacrificio i mezzi per arrivare al successo, un uomo che ha esibito al mondo intero il lato agguerrito dell'Italia. Un po' mi commuovo a leggere queste parole, perché in fondo mi riconosco in lui, seppure ad altri livelli. Lui è stato un fuoriclasse dell'atletica leggera, io un semplice amatore come milioni nel mondo. Però mi ha insegnato che per ottenere ciò che vuoi, per raggiungere il tuo obiettivo, non si può sempre e solo aspettare la manna dal cielo. C'è da lottare, senza arrendersi mai. Ho fatto mio questo insegnamento durante la preparazione della Venice Marathon, ma è soprattutto nella lunga battaglia della vita che queste parole devono riecheggiare in noi, sempre.
Una parola sola, Pietro: grazie.

Pietro Mennea alle Olimpiadi di Los Angeles 1984 (fonte: fanpage.it)

«Pietro Paolo corre sempre contro. Anche a sessant'anni. "Quello della Silicon Valley, quello che ha detto che bisogna essere affamati e folli, mi fa ridere. Noi non avevamo niente e volevamo tutto. Eravamo cinque figli, quattro maschi e una femmina. Mio padre Salvatore era sarto, mia madre Vincenzina lo aiutava, a me toccavano i lavori più umili: fare i piatti, pulire la cucina, lavare i vetri. Avevo tre anni quando mamma mi mandò a comprare un bottiglione di varechina che mi si aprì nel tragitto, porto ancora i segni sulle mani. Papà veniva da una famiglia di undici figli, due si erano fatte suore, non c'era da mangiare a casa. Quando ho iniziato a correre i calzoncini me li cuciva lui. Oggi non mi entrano più, nemmeno al braccio, ma li tengo ancora. Le prime scarpe da gara le ho prese più grandi, dovevo ancora crescere, sarebbero durate. La tv non la tenevamo, si andava al circolo degli anziani, era su un baldacchino, pagavamo 50 lire per vederla. Ce l'avevo la rabbia dentro, eccome". E Steve Jobs è servito.
Pietro Paolo Mennea da Barletta è così: regge i confronti. È l'ultimo recordman mondiale bianco dello sprint, l'ultimo oro azzurro olimpico della velocità, e attuale primatista europeo dei 200. Il suo 19"72 non ha i capelli bianchi: dura dal 1979, al nono posto tra le migliori prestazioni di sempre.
Le prime gare provinciali con la maglia dell'Avis. "Io a quei tempi prima di gareggiare mangiavo tre piatti di pasta al forno. La mia crescita sportiva è stata lenta e costante, ma da ragazzo del sud nel '72 sono dovuto emigrare. Al centro federale di Formia: 350 giorni di allenamento all'anno. Stavo lì pure a Natale e Pasqua. Da solo. Vent'anni ad acqua minerale, e nemmeno gassata, il professor Vittori non voleva. Il complimento più bello me lo hanno fatto i vecchi custodi, la famiglia Ottaviani, che ha dichiarato: ce n'era solo uno che in tuta entrava al campo di mattina e usciva di sera. Nel '71 ai campionati europei gareggiai per la prima volta contro Borzov, atleta dell'Urss, dio della velocità. Avevo 19 anni, lo guardai negli occhi, e mi chiesi: ma io uno così quando lo batto? La stagione seguente sui 100 gli restai incollato, persi, ma al fotofinish, 10" entrambi. Continuavo ad imparare. E a stare nella realtà. Nel '73 con i primi guadagni mi comprai una Lancia Fulvia Montecarlo da rally, ma non ci dormivo la notte per la paura di aver fatto il passo troppo lungo. E la rivendetti". Di Mennea si diceva: magro, storto, contorto. Ma duraturo: cinque Olimpiadi, dal 1972 al 1988.
Messico e nuvole nel '79. E record a Città del Messico. Mennea aveva 27 anni, nei 200 metri era in corsia 4, la pista era consumata. Alle Universiadi nei giorni precedenti era comparsa la scritta Petro Menea, il suo nome storpiato, senza i e n, errata anche la nazionalità, francese. "Ero come un viaggiatore che stava per partire. Ogni corsa è un viaggio. Mi chiedevo: ho preso tutto? Ero alla ricerca di un tempo, troppe volte perduto. Pensai fosse la volta buona. Remai un po' in curva, controllai la sbandata all'entrata del rettilineo, non smisi di spingere, stavo andando a trentasei chilometri all'ora con le mie gambe. Corsi i primi cento in 10''34 e i secondi in 9''38. Arrivai con sei metri di vantaggio. Il pubblico urlò, ma io non ero sicuro. Non c'erano tabelloni elettrici, allora. Mi girai. l'unico cronometro era alla partenza. Guardai le cifre, forse avevano sbagliato anno? Eravamo nel '79 non nel '72, mi vennero tutti addosso, ci fu una grande confusione, non riuscivo più a respirare". L'Italia scoprì un altro Coppi. Veniva dal meridione, faticava come una bestia, ma in pista era resistente. Quel 19"72 aveva dentro scienza e dedizione. "Nessuno mi dava credito, quel primato sembrava destinato a cadere in fretta. È durato diciassette anni. Dal '79 al '96. Al 19"66 di Michael Johnson. Ci credo nei numeri: corsi sulla stessa pista dove Tommie Smith nel '68 aveva stabilito il mondiale con 19''83. Undici stagioni prima. E migliorai quel tempo di 11 centesimi. Ero in forma, affrontavo tutti, battevo gli americani, che fisicamente erano il doppio di me. A Viareggio sui 200 Williams mi passò: avevo le sue ginocchia all'altezza del mio mento. In California incontrai Muhammad Ali che per me è sempre Cassius Clay. Mi presentarono come l'uomo più veloce del mondo. Lui mi squadrò sorpreso: "Ma tu sei bianco". Sì, ma sono nero dentro. Sono stato l'ultimo a vincere una gara di velocità, a parte il greco Kenteris, poi rivelatosi drogato. Cos'è siamo diventati tutti brocchi? No, ma non c'è più cultura sportiva, c'è il mito del successo, non quello di farsi strada nella vita. Perché meravigliarsi delle scommesse? Se non si studia, se non si hanno interessi, non c'è crescita della persona. Uno sportivo non deve essere Einstein, ma un minimo ci devi provare a darti degli strumenti e non solo a gonfiare il portafoglio".
A Mosca nel 1980 l'oro dei 200 metri. La sua faccia scavata, la rimonta quando tutto sembrava perduto, lo spasmo finale. Un made in Italy che si affermava anche nello sport. "Ma nei cento non andai oltre la semifinale, dove mi qualificai precedendo di un centesimo Crawford che dalla rabbia buttò giù una porta. Anche io ero giù e mi isolai. Venne a trovarmi Borzov, ormai ex, non avevo tanta voglia di fare colazione con l'avversario di una vita. Mi regalò l'orsetto Misha e non la fece lunga: ti ho visto spento, senza scintilla, guardati dentro e torna a mordere la pista. In finale mi confinarono in ottava corsia, non ero contento, non potevo controllare gli avversari. All'uscita della curva ero penultimo, Wells indemoniato era tre metri avanti. Penso: non avrò altre occasioni. Dodici anni di lavoro e di dolore per niente. Allora riparto, risento tutto, rientro in gara, recupero, vinco, alzo le braccia e il ditino. Per quell'oro guadagnai un premio da otto milioni di lire e mi comprai sei poltrone Frau. Al ritorno il presidente Pertini mi abbracciò con molto affetto. Tra noi c'era un buon rapporto. Mi invitò a colazione al Quirinale, anche il giorno prima del suo addio. Era triste, mi commosse. Gli domandai cosa avrebbe fatto. "Tornerò a casa". Chiesi: sua moglie l'aspetta? "Lo spero", rispose".
Le fatiche di Mennea sono state codificate. "Convegno in Germania sulla velocità. Metà anni Ottanta. Parlo del mio training: 25 volte i 60 metri, 10 volte i 150 metri. Gli altri tecnici sbigottiti: ma se i nostri atleti al massimo fanno 6 volte i 150. E lì che ho capito che il doping aveva vinto: come facevano ad allenarsi tre volte meno di me e ad ottenere risultati? Quando Vittori mostrava nei convegni il programma di lavoro gli chiedevano: scusi, chi ha fatto queste cose è poi morto? A Formia ci costruivamo da soli gli attrezzi, anche in quello siamo stati artigiani. E sono tornato a sfidare i motori, come da ragazzo. Dall'auto siamo passati alla Vespa. Solo che Vittori a volte non riusciva a cambiare le marce in fretta, allora vincevo io. Avrei potuto ribattere il mio record dopo Mosca, valevo 19"60, me lo confermò lui, cronometro alla mano, ma credeva che ne sarei stato troppo appagato". Il dottor Mennea ha cinque lauree: Isef, scienze motorie, giurisprudenza, scienze politiche, lettere. È avvocato, commercialista, revisore contabile, agente di calciatori, giornalista pubblicista, insegnante universitario, è stato deputato al parlamento europeo ('99-2004). Ha cercato altra adrenalina. È appena uscita una sua biografia per Limina firmata con Daniele Menarini, La corsa non finisce mai, lui stesso sta scrivendo un libro su Bolt. "Anche per me ad un certo punto è stato difficile guardarsi allo specchio e decidere: chi vuoi essere? Forse potevo vivere di rendita, invece mi sono rimesso ai blocchi per altre partenze. Non ci sarà più un record come il mio, non in Italia, e non perché non possano nascere campioni. Ma oggi c'è una società e una morale diversa, che rifiuta tutto quello che io ho rappresentato. Io allenavo la fatica con l'allenamento".
La moglie Manuela Olivieri l'ha conosciuta ad una festa nel '92. Lei non sapeva chi fosse Mennea. E al primo appuntamento pensò che il campione si sarebbe presentato con un macchinone. "Arrivai con una Panda Young 750, bianca con i bordini azzurri. Quando corriamo, è più in forma di me, e mi lascia indietro. Ogni tanto c'è qualcuno nel parco che mi chiede: e tu che fai? Vorrei avere abbastanza fiato per rispondere: ho già fatto. 5482 giorni di allenamento, 528 gare, un oro e due bronzi olimpici, più il resto che è tanto. A 60 anni non ho rimpianti. Rifarei tutto, anzi di più. E mi allenerei otto ore al giorno. La fatica non è mai sprecata. Soffri, ma sogni".»

mercoledì 20 novembre 2013

"Tetesko"

Ciao a tutti!
Un simpatico siparietto occorso a lezione ha aperto in me una piccola riflessione su ciò che sto cercando di imparare in questi mesi in Germania, la lingua tedesca.
Man mano che le lezioni entrano nel cuore della lingua si arricchisce anche il numero di vocaboli nuovi che ci si trova di fronte. Risulta quindi utilissimo avere un piccolo dizionario con sé. Il mio vocabolarietto attira in fretta l'attenzione della docente, che non spiaccica una parola di italiano. A destare scalpore è il titolo del piccolo volume... "Tetesko... Was ist tetesko?". Sentire la parola tedesco pronunciata da una persona che tedesca lo è, mi diverte molto. Ma trattengo le risatine e spiego lei che con questo aggettivo un italiano vuol indicare qualcosa che proviene dalla Germania. Sconvolta, l'insegnante torna alla sua lezione.
Già, ma gli italiani parlano l'italiano, gli spagnoli comunicano in spagnolo, i francesi conversano in francese e così via per buona parte degli altri paesi. E in Germania non si parla il germanico o il germano, ma il tedesco. Perché, il "tedesco"?

Fido compagno di apprendimento

L'origine della parola ha radici nel Medioevo, quando appare per la prima volta su documenti ufficiali la parola theodisce, che vuol semplicemente dire "del popolo", quello che potrebbe equivalere ad una lingua locale, un dialetto. Questo termine, theodisce, è stato latinizzato da Carlo Magno a cavallo tra il VIII e il IX secolo, con l'intenzione di promuovere l'uso del theodiscus al fine di allargare il processo di evangelizzazione di alcune aree da lui acquisite, come la Baviera e la Sassonia.
Ma se in Italia si parla la lingua degli italiani, in Deutschland si parla giustamente la lingua dei Deutschen. Uhm... Deutschen, theodisce, nessuna somiglianza?
Bis bald!
Stefano

martedì 19 novembre 2013

Cose che succedono @Venezia 2013

Ciao a tutti!
Perché una maratona ha qualcosa in più? Tra i vari motivi che non sto qui ad elencare, posso dire che, rispetto ad altre corse su distanze più corte, la maratona permette (almeno, per me e per molti altri è così) di parlare con gli altri partecipanti. Di condividere esperienze, di accomunare la sofferenza. Di dividerla, e di accorciarla. I podisti parlano, alcuni sono molto loquaci. Io non sono tra i più ciarloni ma non sono quello che si tira indietro. Proprio per questo, ogni maratona porta con sé una considerevole quantità di aneddoti.
I miei li riporto qui, affinché possa rileggerli un giorno. Magari quando non potrò più correre e, sognando di poter ancora vivere quei brividi alla partenza di una maratona e le gioie all'arrivo, sorriderò ripensando a tutti quegli episodi che alla fine arricchiscono questi eventi.
Inizio con quelli di Venezia, ricordo di ormai più di tre settimane fa.

Quando si suol dire stringere i denti


W la sportività. Siamo quasi a metà corsa quando un runner molto navigato dice ad altri due che mi sembrano, a sentirli parlare, esordienti: "L'importante è partecipare...alla sconfitta del tuo avversario". Un vero signore.
Faccia di bronzo. Un esagitato maratoneta pugliese, ogni qualvolta si attraversa un centro abitato incita la gente ad incoraggiare i maratoneti urlando loro "Applaudite che non costa niente, non hanno ancora tassato l'applauso!". Mica ha tutti i torti.
Voglia di maledire qualcuno. Sono da poco arrivato al Tronchetto e da un piccolo stuolo di persone a bordo strada si leva una voce: "Venezia è vostra!". Mi viene da rispondergli "col cavolo!"... mancano ancora più di cinque km
Sincerità. Mi trovo sul ponte sul Canal Grande e l'unica cosa che riesco a dire è "Che figata".
Domande innoportune. Mestre, mi trovo all'incirca al km 25. Individuo un maratoneta che porta la canotta della Podistica Torino. Lo raggiungo e lo saluto, è una sorta di conterraneo. Non mi sta considerando molto. Mentre lo sorpasso gli chiedo: "Andiamo a farlo questo 3h15'?". La sua risposta ansimante mi fa capire che non ne ha già più. E tiro dritto.
Privilegi. Giunto in Piazza San Marco me ne infischio del cronometro e mi fermo a baciare la mia Giulia. Reazione delle vicine di transenna: "Che emozioneeeee". Aspettare un po' conviene, sempre...
Espressioni venete. Intorno al km 15, un gruppo di tifosi incita una pittoresca maratoneta che indossa le corna da diavolo. Lei improvvisamente si ferma facendo intuire che non ce la fa. I fan delusi reagiscono così, con tipico accento veneto: "Te sei brusà???". La dialettica veneta è fantastica...
18 minuti in meno. Durante l'attraversamento di Mira il mio cronometro mi indica che ho corso finora alla media di 4'34"/km. Dietro di me sento: "Ehi, stiamo andando forte, io dovrei chiudere a 5'/km". Allora rallenta, no?

Bis bald!
Stefano

lunedì 18 novembre 2013

Pazza gente

"I maratoneti devono essere persone molto strane. Devi voler veramente farlo. Non si tratta di vincere o battere qualcuno, devi solo arrivare. Questo è il senso della vittoria. Il senso di autostima."

Ted Corbett, fondatore del New York Road Runners

Ed era solo il chilometro 17... grazie a Cico per la foto!

Saremo anche pazzi. Ma saremo sempre felici, sorridenti. Mai insensibili, mai inaciditi o resi sterili dalla vita. Perché la maratona, così come la corsa, d'altronde, è solamente gioia.
A presto!
Stefano

domenica 17 novembre 2013

Turin à l'è bianca e neira - 3h48' di passione!

Ciao a tutti!
Anche la meravigliosa esperienza della maratona di casa si è conclusa, da poco più di tre ore. Che dire, ancora una volta Torino è stata eccelsa, superlativa, e nonostante l'estrema fatica che ho dovuto patire negli ultimi dieci chilometri, non sono assolutamente pentito. Certe gioie non hanno prezzo.
Cronometricamente parlando, il risultato è stato quello è stato, non soddisfacente, ma d'altronde non ho partecipato alla XXVII Turin Marathon con l'intenzione di fare un personale o di raggiungere un certo obiettivo. Ho comunque chiuso la mia quarta maratona sotto il traguardo di Piazza Castello in circa 3h48'. Non ho ancora visto le classifiche ufficiali, ma il tempo finale è all'incirca quello.

Un'altra volta Torino!

Maratona particolare non solo perché sulle strade di casa, ma anche perché, vista la condizione di non poter puntare a fare un buon tempo, ho pensato a divertirmi e divertire. Lo si può vedere dalle foto, a Torino ho corso con la divisa della Juventus, la n.21 di Andrea Pirlo, con il copricapo (già anticipato ieri) e con due scritte inneggianti alla realtà calcistica torinese (dura, per i tifosi del Torino): "Turin à l'è bianca e neira!". La maglia bianconera mi ha portato tanto sostegno (e anche qualche insulto del solito tifoso granata ignorante) e sono giustamente felice di aver sbandierato il mio orgoglio juventino durante la maratona. Pare addirittura che il mio look pittoresco sia valsa l'inquadratura della RAI.
Controllerò, non prima però essermi riposato per bene. Palate di stanchezza, ora.
A presto!
Stefano

Passione e sacrificio

"Mentre tu alle 21 del sabato esci con gli amici io mi sto mettendo a letto. Mentre tu alle 2 di notte ti diverti con gli amici, io sto sognando cosa farò domani mattina in corsa. Mentre tu alle 6 ti stai addormentando io mi alzo per preparare il borsone. Mentre tu alle 8 stai dormendo, io parto per andare a correre la mia maratona. La corsa è passione e molto sacrificio."
(di autore ignoto, liberamente e volutamente reinterpretata)

Let's run, today!

Buona maratona a tutti!
Stefano

sabato 16 novembre 2013

Mai stufo di Torino

Ciao a tutti!
Manca pochissimo: meno di dodici ore e si parte per l'ultima maratona del 2013, quella di Torino. Anche se può sembrare una pazzia correre per due volte la distanza dei 42.195 chilometri nel giro di tre settimane, sono sempre più convinto e contento della mia scelta di esserci domani, in Piazza San Carlo.
Il sabato pre-maratona è quello del pettorale, come sempre. Giornata stupenda: tanto sole, come raramente mi è capitato di vedere a Torino. Piazza San Carlo e Piazza Castello erano illuminate di una luce radiosa, quella delle migliori giornate di primavera. Si, insieme a Giulia, mi sono sentito a casa, nella mia città. Ho ripensato fortemente a quegli stessi momenti, vissuti un anno prima. E mi ricordo ancora cose, particolari, gesti, come se oggi fosse proprio il 18 novembre 2012.

Qualcuno non ci crederà ma correrò con il cappello da giullare, domani. Bianconero, rigorosamente

Sono contento, e molto rilassato. Non ho alcuna ambizione cronometrica, voglio divertirmi e divertire. Ho già preparato alcune cosette (una è già anticipata nella foto sopra) con le quali affronterò la maratona in maniera molto divertente e goliardica. Voglio godermi la festa che i ventimila podisti (poco più di quattromila al via per la maratona) produrranno domani. E diciamo così, voglio contraccambiare aumentando il livello di baldoria, correndo non da maratoneta serio (ripeto, non sono alla ricerca del personale e ora non ne sarei nemmeno in grado) ma da podista folkloristico, con un look totalmente insolito e che saprà ben differenziarsi dal resto del gruppo. Insomma, voglio essere parte dello show di domani!

Preparativi in corso in Piazza Castello per l'arrivo della Turin Marathon


Per tutti i conoscenti che vorranno seguirmi lungo le strade della XXVII Turin Marathon, il percorso lo potete trovare qui o sulla pagina dedicata di Turin Marathon. La partenza sarà alle 9.30-9.35 di domani ed è possibile seguire la gara (quella degli atleti forti, si intende, quindi non me) in diretta televisiva su Rai Sport, clicca qui per ulteriori informazioni.
Ora, è tempo di andare a riposare. Non devo spingere a tutta, domani, ma devo arrivarci comunque, in fondo. Non posso fallire proprio nella mia città!
A presto!
Stefano

venerdì 15 novembre 2013

Ave, autunno

Ciao a tutti!
Mi trovo in questo momento in Svizzera, nel favoloso cantone dei Grigioni. Direzione: Italia. Non manca molto... E c'è una bellissima sorpresa lungo il percorso: la neve! Era stata annunciata da giorni, anche a basse quote. Anche vicino a Coira, superata da poco, tutto è ricoperto da un chiaro manto bianco, ben illuminato dalla luce di stasera.
Manca ancora più di un mese al 21 dicembre, ma l'autunno è definitivamente archiviato, messo in soffitta. Con esso, se ne vanno anche tutte le caratteristiche peculiari di questa stagione, su tutte la ricchezza e la moltitudine di colori, dalla chiarezza del verde, all'intensità del giallo, per arrivare all'energia del rosso. Questo autunno, che sta concludendosi con la prima neve anche nei territori pianeggianti, non è come tutti gli altri. Perché l'ho vissuto all'estero, da straniero. Perché ho sperimentato nuove consapevolezze, in solitudine. Perché ho spalancato la mia mente a qualcosa di totalmente nuovo, cosa sulla quale non avrò alcun tipo di rimorso o rimpianto, mai. E, per ultimo, ho avuto modo di osservare proprio quei colori sopracitati in una maniera mai vissuta prima. In Germania, questi colori assumono una diversa vitalità, una carica più profonda, che in Italia ho visto di rado. Ho provato a coglierla, tramite la mia macchina fotografica. Non mi ritengo un abile fotografo, ma adoro scattare e ritrarre ciò che vedo. Senza filtri, come i miei occhi e la mia testa osservano ciò che ci attornia.
Ho provato anche stavolta, con i colori che quest'autunno tedesco mi ha regalato. E spero di aver fatto un discreto lavoro.
Buona visione...

A presto!
Stefano

Tra le frasche lungo il corso del Meno


Dal verde al rosso

Autunno a Zeil am Main

Bamberg, Alta Hofhaltung

Geometrie tinte di giallo in Thundorfer Straße, a Ratisbona

Abitazione di Bamberga rapita dalla variopinta edera

Un po' di giallo anche nei prati di Schweinfurt

E se volessi leggere il cartello?

Gelb Main

Spunta anche un campanile...

Vigneti nei pressi di Schonungen

Pronti per la tempesta!

I gialli vigneti del Michaelsberg

Moltitudine di tonalità anche in riva al Meno

Cornice autunnale

Giallo a Ratisbona (Dom St. Peter)

Colori infuocati al Baggersee

Solo rosso

Luce gialla

Accenni di ottobre sul Regnitz

Ed è autunno anche per la Mainradweg

Michaelsberg, le prime foglie gialle

Tavolozza di ottobre

Tutti i colori che vuoi

Il Meno verso il tramonto

La rete

Autunno nel Bischofshof di Ratisbona

Come un'edera si impossessa di un lampione

L'uva della Franconia

Anche l'acqua si tinge dei colori di autunno

Main Farben

Solo giallo

Ovunque, foglie gialle (St. Emmeram, Ratisbona)

Ed è novembre

Giallo, più giallo

Anche la bici in preda all'edera rosseggiante

Un isola di colore

La porta dell'autunno

Rosso verso il cielo

Da sole nel verde

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