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sabato 17 dicembre 2016

Gli orsi in cielo

Ciao a tutti!
Ottanta giorni, o poco più, sono trascorsi dal 25 settembre. Era il giorno della maratona di Berlino: volevo fare una gran bella gara. Col senno di poi, l'ho fatta, la "bella gara". perché l'imprevisto bisogna sempre metterlo in conto e, se per sette volte sono sempre arrivato alla fine senza troppi patemi, l'ottava l'ho pagata a caro prezzo. Una caduta dopo cinque chilometri, in cui inconsapevolmente mi sono fratturato un osso del piede, il dolore ad una gamba per una decina di chilometri e tutta la consueta trafila di dolori multipli in molteplici parti del corpo, prima dell'arrivo da brividi nel Tiergarten berlinese.
È una maratona che merita di essere raccontata non solo per ciò che è stata la gara del 25 settembre, ma anche per ciò che sono stati i tre mesi antecedenti l'appuntamento con i 42.195 chilometri. Questa volta è stata una "maratona prima della maratona", perché mai come stavolta la preparazione è stata lunga, intensa e difficile. Il caldo che a più riprese, ma soprattutto a cavallo di agosto e settembre, ha attanagliato la Germania, non mi ha consentito di allenarmi nelle migliori condizioni e soprattutto di recuperare a dovere. Si, è stato un percorso duro, durissimo, ma svolto con passione ed impegno. Proprio per questo l'ho voluto ripercorrere in questo post, una cronistoria del mio percorso che mi ha portato a Berlino, condito da alcune immagini della maratona e della mia personale partecipazione. Dalla pre-iscrizione e dal sorteggio fino all'esame che mi ha diagnosticato la frattura al piede. Una maratona, alla fine, è anche questo: la fortuna dell'estrazione, la sfortuna dell'incidente.
Bis bald!
Stefano

Nei primi chilometri, già caduto e con una gamba dolorante

25/10/2015: ritento il sorteggio per la BMW-Berlin Marathon
08/05/2016: ufficiale, il 25 settembre al via della edizione n.43 della BMW-Berlin Marathon

Potsdamer Platz, passaggio da brividi

07/07/2016: inizia la preparazione verso Berlino
20/07/2016: le nuove scarpe per la maratona di Berlino

Ancora un chilometro...

26/07/2016: primi allenamenti nel caldo torrenziale di luglio
07/08/2016: la fatica delle prime ripetute in salita
17/08/2016: fine della prima parte di allenamento, stop alle salite

Sul blue carpet

26/08/2016: ad un mese dall'appuntamento con i 42.195 chilometri
27/08/2016: prime indicazioni dai lunghi

Il popolo dei finisher

29/08/2016: nuove modalità di allenamento, le ripetute 120-60-30
01/09/2016: il troppo caldo e i trenta chilometri mai finiti nella Gramschatzer Wald
05/09/2016: vesciche e capezzoli sanguinanti durante le ripetute 120-60-30
15/09/2016: l'ultimo lungo-lunghissimo

"Berlin, I don't listen to you"

18/09/2016: quali ambizioni dopo un ultimo allenamento poco brillante?
21/09/2016: il percorso della 43esima BMW-Berlin Marathon
22/09/2016: è l'ultima settimana, la settimana della pasta

L'arrivo della maratona più veloce al mondo

23/09/2016: il giorno del pettorale
24/09/2016: tutte le sensazioni del giorno pre-maratona
25/09/2016: la carica prima dello sforzo totale

3h20'08", non è il personale, ma va bene uguale

25/09/2016: l'annuncio: 3h20'08” alla maratona di Berlino, nonostante una caduta
26/09/2016: la soddisfazione messa a fuoco nel day-after

Medaglia che racchiude fatica, gioia, dolore, tutto

30/09/2016: diagnosi impietosa, durante la maratona mi ero rotto un piede...
12/10/2016: il racconto della mia partecipazione alla maratona di Berlino
25/10/2016: ad un mese dalla maratona di Berlino, tutti i pensieri all'arrivo

lunedì 1 febbraio 2016

Storia di massacranti fatiche

Ciao a tutti!
A poco più di due mesi dalla mia ultima maratona, corsa a fine novembre a Firenze, arriva immancabile il post definitivo, che chiude questi magnifici mesi trascorsi tra i sogni del traguardo, la fatica degli allenamenti e infine, con la realizzazione di un desiderio che ti accompagna per settimane e settimane. Il modo per mettere la parola fine su questa esperienza è il solito, una carrellata di foto (realizzate da Foto Studio5) e soprattutto la cronistoria della mia preparazione all'appuntamento di quel fatidico 29 novembre 2015, costruita attraverso i post con i quali ho raccontato le settimane che hanno preceduto questo mio settimo appuntamento con la distanza simbolo della corsa di resistenza.
Ancora una volta, per narrare, tutta la meraviglia nel compiere qualcosa che non sarà impresa (i maratoneti sono sempre più) ma è sicuramente una enorme emozione.
Bis bald!
Stefano

Nel pieno centro fiorentino

15/09/2015: l'annuncio, al via alla Firenze Marathon il 29 novembre 2015
19/09/2015: allenamenti massacranti su strade fino al 25% di pendenza

Il sorriso degli ultimi chilometri

26/09/2015: le solite magie dei cerotti e dell'osteopatia
28/09/2015: allenamenti sulle gambe e sui pedali

Alla mezza maratona, ancora fresco...

01/10/2015: verso la mezza maratona di preparazione a Norimberga
03/10/2015: un gran bel tempo alla Stadtlauf Nürnberg Halbmarathon
06/10/2015: il racconto della mia partecipazione alla Stadtlauf Nürnberg Halbmarathon

La fatica di Ponte Vecchio

09/10/2015: ripetute sotto la pioggia battente
13/10/2015: enormi progressi sui lunghi

Occhio al cronometro davanti a Palazzo Pitti

18/10/2015: il fastidio di una vescica sul lungo
26/10/2015: il lungo da 30 chilometri

Gambe scavate dai chilometri

01/11/2015: ultime, durissime, serie 30-20-10
05/11/2015: ottime indicazioni dalla visita di idoneità agonistica
10/11/2015: il lungo da 35 chilometri

Testa bassa e correre

16/11/2015: l'ultimo lungo e l'infortunio al soleo
23/11/2015: una settimana tra ansie e paure
25/11/2015: countdown verso Firenze, -4 giorni alla maratona!
26/11/2015: il percorso dell'edizione 32 della Firenze Marathon

Smorfia eloquente...

27/11/2015: il venerdì del ritiro del pettorale
28/11/2015: le sensazioni della vigilia
29/11/2015: l'annuncio, 3h14'32" alla Firenze Marathon!

Rabbia e gioia all'arrivo

06/12/2015: le immagini che raccontano una maratona
22/12/2015: il racconto della mia Firenze Marathon
15/01/2016: pensieri sul traguardo della Firenze Marathon

venerdì 26 giugno 2015

Si corre fino alla fine

Ciao a tutti!
Ebbene si, questo post arriva esattamente due mesi dopo la maratona di Amburgo. Sembra passata un'eternità da quando domenica 26 aprile 2015 conclusi la mia sesta prova con la distanza più affascinante dell'atletica leggera. Nel mezzo, tanto riposo ma anche tante idee nuove. Per l'estate e soprattutto per l'autunno: al momento ho intenzione di provarci nuovamente su questa distanza, per fare meglio e per godere dei brividi che solo una maratona può dare, dei quali spero di nutrirmi ancora a lungo.
Il ricordo della Haspa Marathon Hamburg 2015 è ben saldo dentro di me, chiuso a doppia mandata e morirà con me. Con questo post, lo voglio condividere, tramite le foto più belle fornite da MarathonFoto® e dalla pagina Facebook di Haspa Marathon Hamburg, e i link ai post in cui ho raccontato, giorno dopo giorno, chilometro dopo chilometro, il mio avvicinamento alla maratona di Amburgo. Per raccontare e narrare quanto sia bello correre, quanto sia bello correre una maratona e soprattutto quanto sia fantastico il percorso per arrivare a correrla. In fondo, nulla (o quasi) è impossibile, se ci si crede veramente.
Bis bald!
Stefano

Un grande sorriso per una grande gioia

25/01/2015: voglio correre ad Amburgo!
26/02/2015: ricomincia l'allenamento verso una nuova maratona

Let's run!

04/03/2015: allenamenti sulle strade di casa (in Italia)

Fuori dalla Speicherstadt

06/03/2015: pensieri sul tapis roulant

Tieni duro...

13/03/2015: una mezza di allenamento, a Schwäbisch Gmünd
14/03/2015: 1.35.06 a Schwäbisch Gmünd
19/03/2015: il racconto della Halbmarathon Widmann-Cup a Schwäbisch Gmünd

Tutti eroi quelli che arrivano

24/03/2015: nuove tecniche di allenamento, la cyclette

Momenti di caos

26/03/2015: l'iscrizione alla 30. Haspa Marathon Hamburg

Un occhio sul porto

01/04/2015: la ripetuta nella ripetuta, il metodo "30-20-10"
07/04/2015: allenamenti su diversi terreni, diverse condizioni meteo e diverse nazioni

Alla ricerca della linea blu

12/04/2015: 35 km, il lungo più faticoso e doloroso

Atteso per 42 chilometri

16/04/2015: -10, inizia il conto alla rovescia

Il momento della medaglia

17/04/2015: in corsa a Schweinfurt, è l'ultimo allenamento
21/04/2015: il racconto della Fußodentechnik Schmitt Halbmarathon

Ancora pochissime decine di metri

22/04/2015: il percorso della 30. Haspa Marathon Hamburg
24/04/2015: riflessioni su ciò che potrà essere la maratona di Amburgo

Lepri

25/04/2015: il cibo del maratoneta, ciò che non può mancare...

I lunghi viali amburghesi

25/04/2015: momento importante, il ritiro del pettorale

Fenomeni

26/04/2015: l'annuncio, 3.15.43 e nuovo personale!

Il taglio del traguardo

27/04/2015: una medaglia e un piccolo punto della situazione

Premio per i mesi di sacrifici

29/04/2015: il potere delle immagini @Amburgo
13/05/2015: il racconto personale della maratona di Amburgo

Jungfernstieg

19/05/2015: pensieri all'arrivo di una maratona

mercoledì 26 novembre 2014

L'acqua che sfiora i tuoi piedi

Ciao a tutti!
Un mese è già passato da quel magico giorno, un condensato di sensazioni che, come la prima volta tanto quanto l'ultima, è sempre difficile rappresentare nella forma migliore. Le parole escono con tanta più difficoltà quanto è il valore dei ricordi personali. Per me questa maratona ha voluto dire tanto, per me e non solo. È per questo che a trenta giorni di distanza, riuscire a parlarne con effettiva lucidità è ancora arduo.
Ci sono tante immagini che porto con me di quel giorno… il sole della Riviera del Brenta, la lucente sagoma di Venezia dal Ponte della Libertà, il primo ponte nell'isola di Venezia e il canale della Giudecca, quell'indefinibile piacere nell'attraversare il Canal Grande, l'attesa e il batticuore in Piazza San Marco, il sorriso sotto il Campanile di San Marco, quei lunghissimi ed infiniti ponti in Riva degli Schiavoni, la folla che acclama il tuo nome, le incitazioni a non mollare, le gambe che non  ne hanno più ma vedono l'arrivo e per questo non smettono di muoversi. La gioia dentro, incontenibile. Non un piacere fisico, ma un orgasmo dell'anima.
Come al solito sono un fiume in piena, ma probabilmente solo chi ha corso una maratona o conosce qualche caro che l'ha fatto potrebbe comprendere appieno cosa possa significare. Se volete provarci – a capire, non a correre 42 chilometri – potete leggere la storia di questa maratona, tramite i post che raccontano l'avvicinamento alla mia 29°Venice Marathon e tramite alcune delle immagini (mie e non solo) di questo evento.
Bis bald!
Stefano

04/09/2014: si ricomincia a correre!
13/09/2014: ritorno alle gare: Mezza di Monza

La gioia dell'arrivo

14/09/2014: un buon tempo in mezza maratona sull'Autodromo Nazionale di Monza
18/09/2014: il racconto della Mezza di Monza

...è per voi, è per me

07/10/2014: i miracoli del kinesio-taping
09/10/2014: il primo lungo in Germania

Il via da Stra (fonte: venicemarathon.com)


11/10/2014: finalmente un po' di ripetute veloci...
13/10/2014: i lunghi "più lunghi", lungo il Meno

Neanche alla mezza maratona


14/10/2014: l'annuncio, per la seconda volta a Venezia
19/10/2014: ultime ripetute sulla ciclovia del Meno
21/10/2014: l'ultimo lungo, poi sarà maratona

A Mestre, lanciatissimo


22/10/2014: il Charity program della Venice Marathon
23/10/2014: il percorso della Venice Marathon

La felicità di correre in Piazza San Marco


25/10/2014: cose da prendere prima di partire per una maratona
25/10/2014: grandi emozioni: pettorale, Baldini e Zanardi

Discesa


26/10/2014: ho concluso la mia quinta maratona con nuovo personale!
27/10/2014: una medaglia ed un pensiero

Piazza San Marco ci aspetta (foto by L. Di Maio)


30/10/2014: le immagini "dietro le quinte" di una maratona
03/11/2014: il racconto della mia Venice Marathon

Una medaglia che vale doppio


06/11/2014: i pensieri a caldo dopo e durante una maratona

lunedì 3 novembre 2014

Tuti bei, dal primo all'ultimo - Il racconto della mia seconda Venice Marathon

Ciao a tutti!
Raccontare il giorno della maratona, il giorno atteso da mesi, per non dire da un anno intero, non è cosa facile. Parlare di ciò che hai dentro, di ciò che tieni dentro per tanto tempo, paure, desideri, sogni, attimi, è impresa difficile. E infatti sono necessarie ore di riflessione per mettermi finalmente sulla tastiera di un computer e iniziare a battere tutto ciò che transita per la mente riguardo a domenica scorsa.

Dietro di me, il Canal Grande
Paure: quella di arrivare in fondo con un ginocchio a pezzi non è mai realmente scomparsa del tutto durante i mesi di preparazione. Al minimo dolorino i timori crescevano, eccome se crescevano. E nell’ultima settimana i piccoli dolori, anche quelli più stupidi diventano giganteschi. È tutto un effetto mentale, o chiamiamola tensione, se preferite. Questa volta mi presento a Stra, alla partenza della mia quinta maratona con un dilemma in più. Un banale incidente per le vie di Torino, un’abrasione al ginocchio sinistro (non quello incriminato ma già ferito quest’estate), e il dubbio: arriverò fino alla fine? Io credo di si, ma quarantadue chilometri sono lunghi e in più di tre ore di cose ne possono succedere veramente parecchie.

L'alba di domenica, l'alba dell'edizione 29 della Venice Marathon


Desideri: beh, prima di tutto arrivare in fondo, magari farlo anche alla grande. Un anno fa realizzavo il mio personale, nel frattempo ho sofferto molto, più mentalmente che fisicamente. Esserci nuovamente è già molto bello, esserci e migliorare quanto fatto l’anno scorso sarebbe spaziale. Tornare e tornare più forti di prima, questo è il sogno.

Sono solo i primi chilometri


Il risveglio in albergo è all’insegna dei grandi nervosismi pre-maratona: passeggio concitatamente in camera, cercando di sistemare pettorale, cerotti e fascia cardio. Giulia (fortunatamente per lei) dorme ancora e posso solo scaricare parzialmente la mia tensione quando la saluto per andare a fare colazione, con quel “torno presto” che accompagna ogni nostro distacco. La colazione è velocissima: ho solamente venti minuti per ingerire quei carboidrati che brucerò celermente nel giro di poche decine di minuti. Nella sala colazione dell’albergo ci sono solo runner, talvolta accompagnati dalle loro mogli o compagne. Tutti silenziosi, assorti nei loro pensieri. Magari avvolti anche loro da un’aura di desideri. O coperti da una nube carica di angosce.

Prima curva a destra


Inizio a star meglio nel taxi che ci porta alla stazione ferroviaria di Mestre, da dove partono i pullman per Stra. Con me ci sono due ragazzoni svedesi, al primo appuntamento con la Venice Marathon. Sono cinque minuti piacevoli, racconto loro un po’ del percorso, come per scaricarmi e allo stesso tempo ripassare il percorso.
Fuori si gela. Ci saranno cinque gradi, non di più. Nel frattempo arriva il tanto desiderato bus. Dove potrò sedermi e cercare di trovare un po’ di tranquillità. Non ho interlocutori o compagni di avventura, non è come a Torino in cui è per me facile trovare qualche faccia conosciuta. Sono da solo, qui: saranno trenta minuti in cui ora non so dire cosa ho fatto o pensato. Credo di aver fatto un lungo viaggio in me stesso, infine. Perché una maratona è anche questo, un lungo viaggio dentro se stessi, alla ricerca di qualcosa che ti porta a compiere una fatica così grande. Ed è anche un grande viaggio nel passato, in quello che sono stato giorni, mesi e anni fa, e nel presente, a ciò che sono ora.

Transito a Mestre


Quando si raggiunge Stra non ho proprio voglia di scendere, il freddo è ancora tanto, nonostante il sole sia già ampiamente alto in cielo. La Riviera del Brenta accompagna me e i vari compagni di viaggio fino alla zona partenza, dove la folla è già numerosa. Code per i servizi igienici, code per il tè caldo, code anche per entrare nel tendone dove ci si ripara dal freddo prima di cominciare a correre. Questo tendone puzza di creme riscaldanti, qualcosa di cui non faccio uso ma sono un must per molti podisti. Io attendo qui il momento propizio per spogliarmi e iniziare il riscaldamento. Mangio due gallette di mais, senza un vero motivo. Poi controllo che tutto sia a posto nella borsa che troverò all’arrivo. Quindi faccio che giocare un po’ con il cellulare: ogni mezzo è buono per distrarsi. Poi arriva l’ora di togliersi la tuta. Ora si fa sul serio: c’è da eseguire un po’ di riscaldamento e molto stretching. Queste sono le operazioni che mettono in me molto nervosismo. In quei momenti non sai mai se lo stai facendo bene o no. E poi ovviamente se c’è un piccolo fastidio, voilà, eccolo che lo senti triplicato. Il ginocchio torna a bussare sui tuoi nervi più scoperti. E c’è quella paura, quel timore che sì, ti porta a scavalcare il guardrail, scendere in riva al Brenta e lasciare un piccolo ricordo, una fugace testimonianza in dono alla natura.
Quando decido che il riscaldamento è terminato, mi avvio verso le gabbie. La mia è la numero 2, colore giallo. Passo davanti a Villa Pisani, una delle residenze più belle del Brenta: si, l’inizio della Venice Marathon è veramente da brivido, in una tale location. Quando entro nella gabbia manca ancora mezz’ora allo sparo che decreterà il via alla maratona. In quei trenta minuti si pensa di tutto e si vede di tutto. Sono molti i siparietti curiosi a cui ho assistito, come quello dei runner in fila sulle transenne intenti a rimuovere gli ultimi liquidi, o come i lanci di maglioni verso i prati di Villa Pisani, prontamente raccolti dagli extracomunitari lì deliberatamente appostati. Però il più bello è anche quello che sogno di poter vivere in prima persona un giorno: una mamma con il proprio figlio, che tiene in mano un palloncino; sopra vi è scritto “forza papà”. Ecco, la maratona è anche questo.

La partenza da Stra (foto by A. Marini)


Arriva il momento dello sparo. Sono molto vicino – inspiegabilmente, nonostante la gabbia -alla linea di partenza, quindi so che il tempo che segnerà il cronometro all’arrivo sarà molto vicino a quello netto. Ma per i calcoli non c’è molto tempo ancora. Bisogna solo pensare a correre. Ovviamente parto abbastanza forte, senza neanche rendermene conto. Sempre così, in maratona. L’attraversamento del primo comune, Fiesso d’Artico, non aiuta a rallentare il mio ritmo, ma mi devo imporre una condotta di gara più oculata rispetto ad un anno fa. Cosi sarà: fino ai trenta chilometri il mio ritmo sarà veramente molto costante tra i 4’34”/km-4’38”/km. Correre così mi permetterebbe di chiudere a Riva Sette Martiri in 3h14’. Sognare è lecito, ma qui si tratta di qualcosa di impossibile. So di andare troppo forte, so che pagherò in fondo. Però so anche che è un ritmo buono e soprattutto molto costante.

Passaggio ai 30 chilometri


Un anno fa a rovinare parte della prestazione era stata l’alimentazione in corsa. Quest’anno, memore dell’esperienza dell’anno scorso e dei consigli del prezioso libro di Arcelli (vedi post), ho provveduto a rifornirmi di bustine di zucchero per poter rifornirmi continuamente di glucosio, limitando così l’assunzione di frutta sul percorso (che al sottoscritto lascia spiacevoli squilibri gastrici, con un’influenza di circa 10” a rifornimento). La tecnica funziona: lo zucchero scende giù molto più facilmente rispetto a banane e mele. Anche il rifornimento alla mezza maratona, un anno fa ai limiti del letale, passa via in scioltezza.

Muscolatura impressionante


La Riviera del Brenta non delude. L’incoraggiamento è festoso dall’inizio alla fine, in tutti i paesi. In particolare a Dolo e a Mira la folla è scatenata. Il clima è veramente positivo, favorito anche dall’incredibile sole che splende sul Brenta. Giornata perfetta per correre: c’è anche un po’ di venticello, molto gradito, in quanto mi permetterà di non sudare per quasi venticinque chilometri di corsa.
Correre di fianco al Brenta è veramente piacevole e nella prima parte di gara, grazie al paesaggio, all’atmosfera festante, ad un meteo eccezionale, non ci si accorge che si sta correndo una maratona. Tutto pare eccezionalmente facile, ma è sempre così, in ogni maratona. Si arriva dunque alla mezza maratona senza alcun intoppo, fatta eccezione per il cerotto kinesio applicato sul “famoso” ginocchio destro: non regge e dà solo noia, meglio toglierlo. L’attraversamento di Marghera è invece qualcosa di notevolmente fastidioso. Tralasciando la bruttezza della zona industriale, vi è un sottopassaggio che conduce a Mestre che attira a sé molte maledizioni, soprattutto a causa della risalita, forse più ripida di qualsiasi altro ponte in Venezia. A Mestre ci accoglie una folla nutrita: l’anno scorso mi diede modo di imprimere una bella accelerazione (che pagai alla fine); quest’anno mi contengo, memore delle fatiche di un anno fa.

Piazza San Marco è qui


Si può dire che a Mestre inizi veramente la maratona. Le mie gambe stanno bene e il morale è alto, avendo battezzato le “lepri” giuste per una decina di chilometri. Ma in uscita dalla città iniziano anche le prime difficoltà. Innanzitutto, il vento si fa più accentuato ed il sole diventa una presenza continua: essendo già le 11, si avverte il caldo. Poi, cominciano i primi dolori. Prima, la fitta al ginocchio destro, quello incriminato. Poi, un ginocchio sinistro (tutto quanto) che pare addormentato, come fatto secco da un’iniezione di morfina. Tutto passa, fino ad un certo punto. Dopo, dolori continui, fino alla fine. In realtà, le difficoltà, quelle vere, che arriveranno, sono altre.

Correre una maratona è anche questo... tutti contro la SLA


Il momento chiave della mia maratona e del mio rendimento in corsa è ancora una volta al Parco San Giuliano, dove cade il chilometro 30. Qui si corrono circa 3-4 chilometri in totale, che iniziano con un lungo e insidioso ponte. Dopo, un tortuoso saliscendi che conduce al Ponte della Libertà. È un tratto che molti non amano, a causa delle salite e delle numerose curve che lo contraddistingue. Io ci arrivo con un’ottima gamba, tanti altri no. Inizio a sorpassare e, galvanizzato, non metto freno all’entusiasmo. Sorpasso in continuazione, scendo anche sotto i 4’30”/km. Questo è troppo per le mie gambe. Di lì a poco pagherò con gli interessi. La salita che porta al Ponte della Libertà prima, e il ponte stesso, dopo, mi porteranno a correre anche venti secondi in più ad ogni chilometro. Sul Ponte della Libertà, rispetto ad un anno fa, c’è il vantaggio psicologico di poter già vedere lo skyline di Venezia. Si, i campanili di Venezia sono un bel punto di riferimento, ma quando soffia il vento è inevitabile dover rallentare il ritmo. Si fa più fatica respirare e il proprio corpo necessita di consumare più ossigeno per mantenere lo stesso passo. Si, faccio veramente fatica. Anche qui trovo una “lepre”. È un ragazzo che forse si chiama Stefano, o Simone, o Sergio, che ne so, ma ci sorpassiamo e controsorpassiamo a vicenda sull’ampia carreggiata del Ponte della Libertà, e ci diamo un notevole vantaggio psicologico. Intanto, stringendo i denti e cercando le più recondite energie interiori, questi tanto maledetti quanto scenograficamente meravigliosi chilometri giungono al termine: si entra finalmente a Venezia!

"Ce l'ho fatta, ancora una volta"


L’ingresso a Venezia avviene ovviamente dal lato ovest dell’isola, quello sicuramente meno interessante: qui la scena è dominata da un mare di asfalto e cemento. Questa è la zona del Tronchetto, di piazzale Roma e del porto, inutile aggiungere altro. Rispetto a un anno fa c’è una brutta sorpresa. La rampa di accesso all’isola viene completamente attraversata dalla corsa, e non elusa da un apposito sottopassaggio. È una discreta salita che i podisti si ritrovano al chilometro 37 di corsa. Non fa piacere, ecco. La fatica è tanta e l’acido lattico, ahimè, fa già male. Si, c’è una bella discesa, dopo, utile per rilassare braccia e gambe. Ma una salita seguita da un’importante discesa è tuttavia molto più deleteria in termini cronometrici di un’unica leggera discesa.
Beh, questa salita non vuole finire mai. Gli ultimi metri dello strappo sono accompagnati da molti incoraggiamenti e ce n’è un gran bisogno. Il sole annerisce l’asfalto e assieme al vento crea le peggiori condizioni di corsa fino a quel momento. Ma tutte le fatiche, prima o dopo, devono giungere al termine.

La Serenissima attende... (foto by L. Di Maio)


C’è più di un chilometro da correre nella zona portuale. Da una parte ci sono gli stabili del porto, dall’altra le navi di MSC e Costa, impetuose. Indubbiamente ci si sente piccoli piccoli. È un piccolo pensiero, un piccolo diversivo dalla fatica costante che si sta provando. Una sorta di zig zag tra quelli che sembrano essere magazzini e poi si inizia a vedere il Canale della Giudecca. Poi c’è il primo ponte. Ne seguiranno altri tredici. La quantomai lunga e al contempo breve “cavalcata” di quattro chilometri all’interno della città più bella del mondo, verso Piazza San Marco e verso Riva dei Sette Martiri, ha qui inizio.
Tutto è perfetto. C’è una folla che ti sprona a non mollare – e come potremmo – anche pronunciando il tuo nome. Il canale della Giudecca raggiunge stupefacenti picchi di bellezza. Mare e cielo, tutto quel blu. Il lastricato delle fondamenta del sestiere Dorsoduro, la facciata della chiesa dei Gesuati, tutto quel bianco. È meraviglioso esserci, è fantastico essere parte di questa scena, un piccolo puntino che corre ai bordi di Venezia.

L'arrivo del vincitore, l'etiope Mamo


La strada, o meglio, il passaggio, si fa veramente stretto quando ci si avvicina a Punta della Dogana. C’è spazio praticamente per un solo corridore, o quasi. Mi ritrovo una coppia di podisti e non è facile sorpassarla. Quando lo faccio mi ritrovo sul ponte che attraversa il Canal Grande. Stupore, come sempre d’altronde. Sono poche centinaia di metri, ma sono parte di ciò che dalla tua mente non scapperà mai più via. Non so perché corro, non so quanto forte corro, ma corro e basta, con la testa costantemente rivolta verso sinistra, verso qualcosa di magico. Non so se sto soffrendo, ma dentro e fuori di me c’è un sorriso enorme, che rimarrà impresso nell’obiettivo del fotografo appostato al termine del ponte.

Il ponte sul Canal Grande (visto dal vaporetto del ritorno)


Il passo successivo è Piazza San Marco. Il momento più atteso, da quando iniziai a coltivare l’idea di tornare a Venezia per la Venice Marathon. C’è un piccolo tratto sotto gli alberi subito dopo il ponte sul Canal Grande. Qualche bancarella di souvenir, poi un minuscolo ponticello, quasi impercettibile. Palazzo Ducale è già lì, inconfondibile, con il suo incantevole colonnato in stile gotico veneziano, dietro alla colonna con il leone marciano. Si, ci siamo. Ci sono, Piazza San Marco è qui. È qui che si concentra la maggior parte dei tifosi e degli accompagnatori. Anche Giulia mi sta aspettando qua, come l’anno scorso, da qualche ora. Devo fare attenzione a vederla, oltre che a schivare le pozzanghere presenti nelle depressioni della piazza. So che mi attende all’incirca all’altezza del Caffè Florian, come un anno fa. La vedo, finalmente, e questa è una delle immagini più belle dei miei 42,195 chilometri. Non solo perché lei è bellissima, come sempre d’altronde, ma perché protrae le sue braccia verso di me, distese come a voler afferrare qualcosa. La preda sono io, e non oppongo resistenza. Io non so ancora bene ora cosa sia successo in quei sedici secondi (si, sono proprio sedici), da questo punto di vista l’amore fa brutti scherzi. Un abbraccio, forse. Un bacio, probabilmente. Una promessa che vale una vita intera, sicuramente.
Poi riparto. Al traguardo di Riva dei Sette Martiri manca ancora più di un chilometro. Ho ancora un personale da conquistare.

Arrivo!


Non si vorrebbe mai lasciare Piazza San Marco: questa piazza è speciale, emana un’atmosfera distensiva, di pace. Ma è una maratona. Quando corri questa distanza ciò che hai sotto i piedi scivola via imperturbabile, senza alcuna possibilità di accorgersene. E anche Piazza San Marco scorre, passando di fronte alla Basilica, alla Porta della Carta e a Palazzo Ducale. Inizia Riva degli Schiavoni e lo fa con il suo ponte più duro, il Ponte della Paglia, un nome che non dimentico da un anno. Lo superi. Poi un largo spiazzo, fino al ponte successivo. Così via fino all’Arsenale. C’è tanta gente attorno a te, sui ponti le grida sono ben definite. È una fatica che sembra non finire mai, ma paradossalmente finisce troppo in fretta. Si, corro ancora veloce, nonostante i ponti chiudo il quarantaduesimo chilometro in meno di cinque minuti. Gli attimi dell’arrivo…beh, quelli vorresti non finissero mai. La gente che ti incita e tu chiedi a gran voce il suo sostegno (con l’ultimo fiato che rimane), il sole che batte in faccia, una linea da oltrepassare. Dopo, tanta gioia, tanta fatica. L’ultima goccia di energia la uso per alzare le braccia al cielo. Stavolta non urlo. Guardo la foto del mio arrivo. C’è tutta la grinta di chi non ha voluto mollare dopo i dolori dell’inverno, la rabbia per i tanti mesi in cui non ho potuto correre, la liberazione da tutti i dubbi che hanno attanagliato la mente. Poi, guardo il cronometro. Il tempo che esso segna non può essere quello esatto ma è quanto basta per poter dire che ho stabilito il nuovo personale sulla distanza della maratona. La soddisfazione è ovviamente doppia.
Poco più avanti, dopo un cambio e un piccolo recupero di energia e carboidrati, rivedo Giulia. Il nostro abbraccio è la fine di un mese durissimo, fatto di tanti sacrifici: i miei, quelli in allenamento; i suoi, quelli dell’attesa solitaria di tante sere durante le mie corse; i nostri, quelli del conciliare tutto ciò con i lavori per una casa nuova, in un paese straniero. È un abbraccio che vuol dire tanto, tantissimo.

I'm a finisher (per la quinta volta)


3h17’21”, è questo il tempo ufficiale all’arrivo: 441esima posizione (su 4687 giunti all’arrivo), 71esima di categoria. Sono quarantasei i secondi di miglioramento all’arrivo. Più o meno era quello che mi aspettavo. Certo, non ci fosse stato quel vento sul Ponte della Libertà… non ci fosse stato quel ponte all’ingresso di Venezia… non ci fosse stato tutto quel caldo all’arrivo. Ma alla fine ho corso solo un’ora peggio dei professionisti: il vincitore, l’etiope Ketema Mamo, ha trionfato con il tempo di 2h16’45”, che è un crono altissimo. Anche la prestazione dei top runner è stata dunque decisamente influenzata dalle condizioni meteo, dal vento in particolare.
Ma a conti fatti non mi interessa tutto ciò. So di aver fatto qualcosa di importante, di bello. Per me e per i miei cari. Sono altre le cose che ti rimangono dentro. Cose che non si possono spiegare, cose che si potranno dissolvere solo alla fine dei nostri giorni.
Bis bald!
Stefano

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