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domenica 18 dicembre 2016

Scempio

"Esistono luoghi in questa regione dove non ho incontrato nessuno, come Cime Bianche, che si affaccia sulla valle regalando un panorama mozzafiato. È uno degli ultimi luoghi della regione senza funivie e sono in molti a volerlo tutelare com'è, dalle associazioni ambientaliste a Stefano Unterthiner, che sulla realizzazione di un comprensorio in quella zona mi aveva detto che «andrebbe a rovinare l'ultimo vallone ancora intatto del Monte Rosa. È una valle che non va protetta solo per i valdostani, ma per tutti. Chi fa turismo estivo qui lo fa perché è ancora intatto, è un tipo di turismo che vuole ancora una montagna integra. I politici e gli abitanti dovrebbero capire che la vera capacità di essere vincenti sta nel saper proteggere ciò che ancora abbiamo». Sono parole polemiche ma dettate dalla passione e da un amore incondizionato per la sua terra. Non possiamo però fare una colpa alla Valle d'Aosta se ha scelto di puntare così massicciamente sul turismo di montagna, e su questo è d'accordo anche Stefano. Le funivie sono fondamentali per il turismo valdostano e in generale per quello alpino. In parte è proprio grazie alla realizzazione di chilometri di piste e funivie che la Valle d'Aosta, ma non solo, ha potuto mantenere popolate le terre alte e uno standard di vita medio alto. Ciò che è certo è che possiamo smettere di costruire, come mi ha detto anche Hervè Barmasse: «Per la Valle d'Aosta il turismo è essenziale, e le funivie servono per consentire unadeguato sfruttamento della montagna anche in inverno. Eviterei però di farne altre. Preferirei magari lo smantellamento di alcuni vecchi impianti ormai poco utilizzati».

Sognare una montagna senza più funi

È notizia di due giorni fa: la Regione Valle d’Aosta ha approvato il piano per il supercomprensorio sciistico tra Monte Rosa e Cervino, che dovrebbe collegare in un'immensa rete di piste la Valtournenche, Val d'Ayas, la Valle del Lys e la Val Sesia.
Sarebbe questo il modello turistico sostenibile della Valle d'Aosta? Costruire, abbattere alberi, piantare pali, cementificare? Distruggere la montagna, il primo grande bene di questa terra ineguagliabile, questa sarebbe la via per una crescita economica nel pieno rispetto della natura? La Valle d'Aosta ha già pagato il prezzo salato della cementificazione... Lo deturpamento urbanistico di Cervinia - forse l'opera più disgustosa mai vista in montagna e proprio nel vallone del Breuil, ai piedi del Cervino - per esempio. Oppure le ventiquattro dighe tra Valtournenche, Val d'Ayas e Valle del Lys (verificare sulla pagina della Regione Valle d'Aosta). Non sono sufficienti?
Qui si vuole far morire un territorio in nome del denaro, non valorizzarlo. È triste per me vedere tutto questo scempio.

martedì 5 gennaio 2016

Arrivederci, valle

Le vacanze di Natale stancano. Due viaggi da dieci ore l'uno, andata e ritorno con arrivi nella notte. Pranzo di Natale in quota, cena saltata, incontra i parenti. Gita con gli amici di sempre. Spesa "tricolore" da portare in Germania. Questioni burocratiche da risolvere. Pranzo a cui "non posso dire di no". Organizza il viaggio di nozze. Insomma, sono state vacanze intense. Ma ad una cosa per nulla al mondo avrei rinunciato: a godermi un po' di Valle d'Aosta.

Dal Teatro romano di Aosta, vista sul Grand Combin
L'abbiamo raggiunta nella notte di Natale, dal tunnel del Gran San Bernardo. Superata una galleria che lasciava di stucco per quanto fosse vuota, ci siamo precipitati in picchiata verso Aosta, superando paesi meravigliosi come Saint-Rhémy-en-Bosses, Etroubles e Saint-Oyen. Il capoluogo lo sfioriamo soltanto, perché la meta è la "solita" Valtournenche, dove Giulia (e in parte anch'io) trascorrerà queste vacanze natalizie, all'insegna di temperature eccezionalmente miti e di un paesaggio che sembra uscito dal mese di ottobre. Zero neve, fatta eccezione per qualche pista.
Questo pazzo dicembre ha però qualche vantaggio: le temperature elevate consentono di restare a quote superiori a duemila metri quasi in maniche corte. E noi ci godiamo un pranzo di Natale valdostano coperti da una sola felpa, al sole e di fronte ad una tavola imbandita con tutto ciò che di meglio può offrire la cucina valdostana. Ma la montagna, per me, normalmente esula dai soli momenti di convivio.

Il Monte Bianco dal Rifugio Bertone

Ed è per questo che il giorno antecedente San Silvestro ho voluto vivere qualche ora tra i monti alla mia maniera. Bastoni in mano e gambe in forma sono state sufficienti per salire al Rifugio Bertone (vedi post) da Courmayeur in meno di un'ora. Per restare qualche minuto in contemplazione, sui sentieri delle Alte Vie valdostane, ai piedi del Monte Bianco. La Valle d'Aosta nelle vacanze di Natale si conferma meta ambita e lo dimostra la folla presente al Bertone, attirata dai bei panorami del Bianco per l'impossibilità di sciare.
Il rifugio è eccezionalmente aperto, dunque ne approfitto per sedermi su una panca, con vista sulle cime più alte d'Europa e in lontananza sulla Val Veny, e un thè caldo. Nient'altro da chiedere.

Aria di Natale in Piazza Chanoux ad Aosta

Poi c'è la gita tradizionale ad Aosta. Come al solito, il percorso è Piazza della Repubblica-Via Aubert-Via de Tillier-Piazza Chanoux-Via Porta Pretoria-Via Sant'Anselmo-Piazza Arco d'Augusto, un itinerario lineare che percorrerei su e giù all'infinito. Qui trovo una delle mie librerie preferite - dove mi fermo sempre e dove sempre trovo qualche libro interessante - la mia bottiglieria di fiducia, tanti negozi dai souvenir originali, macellerie e gastronomie dai profumi divini, negozi specializzati in articoli per la montagna. Quando penso al centro di Aosta mi convinco che non sarebbe affatto male venire a vivere qui (traffico escluso, si intende).
Immancabile, una gita ai mercatini allestiti nell'area dell'antico Teatro romano, anche quest'anno illuminato con effetti violacei. Paragonati a ciò che si può visitare in Germania, questi mercatini natalizi non sono nulla di che. Valutati nel loro piccolo, in questa cornice, e con qualche bancarella in più, devo ammettere che non sono poi così male.

Pieno di Valle d'Aosta prima di ripartire...

Dunque il Capodanno in Valtournenche. L'assenza di neve si fa sentire a più livelli, l'odore dell'aria e il clima di festa non sono gli stessi. Ma un'ora di passeggiata con Giulia per le vie di Chaloz, Cretaz e Paquier non me la nego mai. Ripenso all'Alta Via, alla nostra relazione, alla pace della montagna. Anche al Cervino, non puoi non farlo quando nella Piazza delle Guide, tra la chiesa e il municipio, mi ritrovo di fronte alle effigi delle grandi guide della Valtournenche che hanno scritto grandi pagine di storia dell'alpinismo.
Il primo dell'anno è già ora di rimettersi in viaggio verso la Germania. Si ripassa dal Gran San Bernardo, stavolta illuminato dalla luce intensa del mezzogiorno, anche senza neve è un'altra storia. Prima di superare il confine per l'ennesima volta, ci facciamo il pieno di Vallée: l'ultima area di servizio prima di intraprendere il tunnel è un vero e proprio inno alla regione, con un bar e ristorante che offrono il meglio della tradizione gastronomica valdostana. Panino allo jambon de Bosses e poi via, si riparte per altre settimane tedesche. Fino al prossimo ritorno.
Bis bald!
Stefano

giovedì 15 ottobre 2015

Maestro per molti, esempio per tutti

Conosceva il Cervino come le sue tasche, nessuno più di lui. Parlo di Luigi Carrel, probabilmente la più grande guida della Valtournenche. È a lui che dedico l'ultimo della serie di post pensati per omaggiare il Cervino e suoi uomini, in quest'anno segnato dal centocinquantesimo anniversario della prima salita. E ho scelto questa data perché mi è sembrata, da italiano, quella più significativa. Il 15 ottobre, infatti (era l'anno 1931), Luigi Carrel, assieme a Enzo Benedetti e Maurice Bich, compivano la prima ascensione integrale della parete sud, quella che appartiene interamente al territorio italiano, quella che guarda Cervinia e la Valtournenche.

La parete sud, quella tutta italiana (fonte: clamarcap.wordpress.com)

Luigi Carrel, detto "Carrellino" è indubbiamente uno dei personaggi più importanti della storia del Cervino. Il suo nome è sostanzialmente scolpito nella roccia della Gran Becca, grazie alle numerose salite, delle quali non si può tenere più il conto, e soprattutto delle prime assolute realizzate sullo gneiss del Cervino. Quella del 15 ottobre 1931 è una delle tante. L'anno successivo Carrel si prende anche la pericolosissima parete est, assieme ad una cordata di altri cinque alpinisti. E anche sulla ovest Carrel mette il suo nome su una nuova via (nel 1947). Senza dimenticare che anche sulle creste, Carrellino ha lasciato il segno: la prima salita integrale della cresta di Furggen viene compiuta nel 1942 e porta ancora una volta la firma di Luigi Carrel.
Ma Luigi Carrel non è solamente la più grande guida del Cervino. È un alpinista a tutto tondo, e lo testimoniano le numerose spedizioni in Patagonia, nel tentativo di salire Fitz Roy e Cerro Torre, nonché le salite effettuate nei gruppi del Gran Paradiso e del Bianco. Qui tentò ripetutamente la prima salita della parete nord dello Sperone Walker delle Grandes Jorasses (poi conquistata da Cassin). Il suo nome è anche il capolista dell'albo d'oro di una famosissima competizione, il Trofeo Mezzalama. Si, uno dei primi vincitori della più famosa gara scialpinistica, che si tiene fra Cervinia e Gressoney, fu proprio Carrellino.

Un'illustrazione della più grande guida del Cervino, Luigi Carrel (fonte: madonnadeighiacciai.it)

Il valore dell'impresa di Carrel, a distanza di oltre ottant'anni, sta nel fatto che, fatta eccezione per la prima invernale, questa via sulla parete sud vanta solamente due ripetizioni. Certo, la parete sud non gode dello stesso fascino (e storia) della parete nord. Ma il continuo scarico di pietre che avviene dalla parete sud la rende pericolosa e di difficile accesso, per questo sono stati così pochi i tentativi di salita. Salita che nel 1931 fu compiuta secondo un brillante itinerario, diretto, in cui vennero utilizzati solamente cinque chiodi nonostante il IV grado costante soprattutto nel tratto finale: tutti fattori che esaltano l'impresa di Carrel.
Carrel è un personaggio che la comunità alpinistica non dimentica affatto. Non lo dimentica certamente la Valtournenche, dove è nato (per la precisione a Cheneil, uno dei più straordinari balconi sul Cervino) e vissuto, dove ha scritto alcune delle pagine più memorabili dell'alpinismo.
Bis bald!
Stefano

venerdì 11 settembre 2015

Vite in cresta

Nella mente degli appassionati di montagna di tutto il mondo, il Cervino è un punto fermo, un bastione inamovibile, un pensiero fisso. Vedendolo, chi da Zermatt o da Valtournenche, chi in fotografia perché sono troppi i chilometri di distanza, non può non rimanerne attratto. Molti sognano di scalarlo, la maggior parte di essi con una guida. Anche io, persona dalle capacità alpinistiche limitate (perché per un motivo o per l'altro non ho mai voluto/potuto svilupparle), vorrei un giorno salire su quella vetta. E mi chiedo spesso se salirei dalla via normale svizzera sulla cresta dell'Hörnli, più facile e per questo più frequentata, o dalla via normale italiana sulla cresta del Leone, più difficile ma meno battuta e forse più ricca di storia, grazie agli innumerevoli tentativi degli alpinisti dell'Ottocento.

Hervé Barmasse in cima al Cervino (© Hervé Barmasse)

C'è invece chi questo problema non se lo è mai posto: le guide del Cervino, ad esempio. Due di loro in particolare, le quattro creste del Cervino le conoscono alla perfezione. Parlo ovviamente di Marco ed Hervé Barmasse, padre e figlio entrambi emblemi della Valtournenche. Il primo, una delle più grandi guide di sempre, la storia del Cervino l'ha già scritta, il secondo, uno degli ultimi baluardi dell'alpinismo classico, la storia la sta tuttora scrivendo. Nell'anno del Cervino non potevo non menzionarli, perché sulla Gran Becca hanno realizzato alcune tra loro imprese più grandi.
Il 15 settembre del 1985 infatti, Marco Barmasse compie il primo concatenamento in solitaria delle quattro creste del Cervino. In sole quindici ore, parte dal bivacco Bossi per salire in vetta dalla cresta di Furggen, scende lungo la cresta dell'Hörnli, attraversa il ghiacciaio alla base della parete nord, risale in vetta lungo la cresta di Zmutt per poi concludere l'impresa scendendo la cresta del Leone. Il figlio Hervé lo emula meno di trent'anni dopo: il 13 marzo 2014 ripercorre le orme del padre, sempre in solitaria ma in invernale (compiendo anche la prima invernale degli strapiombi di Furggen), impiegando diciassette ore per l'intero concatenamento. Pazzesco.

Barmasse padre e figlio (© Hervé Barmasse)

Ovviamente, non sono solo i concatenamenti ad aver reso celebre la famiglia Barmasse. Barmasse padre, infatti, ha nel "palmares" una delle prime più prestigiose, la prima invernale sulla parete ovest e altre tre nuove vie. Il curriculum di Barmasse figlio è ancora tutto in divenire, e nonostante ciò ci sono già tre nuove vie e sei ripetizioni solitarie sul Cervino, oltre alle varie scalate in Pakistan e in patagonia. Hervé rappresenta la terza generazione di una famiglia di alpinisti. E ora, il Cervino aspetta la quarta...
Bis bald!
Stefano

mercoledì 2 settembre 2015

Intenzioni che diventano realtà: la salita sulla Becca d'Aran

Ciao a tutti!
Ne abbiamo parlato per tanto tempo, era un'idea che ronzava in testa ad entrambi da un notevole lasso di tempo. Salire sulla Becca d'Aran era un desiderio comune sia a me che a Giulia, ed entrambi lo avevamo espresso addirittura quando non eravamo ancora una coppia. Dopo più di due anni, quindi, abbiamo coronato questo piccolo sogno, salire su questa montagna di 2950 metri, fantastico balcone sulla Valtournenche.

In vetta alla Becca d'Aran

È una salita relativamente facile e tranquilla. Sicuramente lo sforzo fisico richiesto non è dei più impegnativi. Eh, dopo aver concluso da meno di un mese l'Alta Via n.2 della Valle d'Aosta, coprire i novecento metri che da Cheneil portano in cima alla Becca d'Aran non è nulla di difficile. partiamo con un buon passo non troppo presto, il tempo di aspettare di poterci procurare qualcosa da consumare per il pranzo. Magari in vetta, magari con la Valtournenche sotto di noi.

La conca di Cheneil

La salita inizia dalla frazione Barmaz, da dove si raggiunge la conca di Cheneil, una delle location più incantate dell'intera Valle d'Aosta, così affascinante da richiamare l'attenzione di due personaggi che la Valtournenche l'hanno vissuta a fondo: il primo uomo a salire il Cervino, Edward Whymper, e uno dei protagonisti della prima scalata italiana alla Gran Becca, l'abate Gorret; la tradizione vuole che questa conca sia stata ripetutamente frequentata dai due scalatori. Ma cosa ha di speciale di Cheneil? Dopo tanti anni (e questa sarà la sesta-settima volta, compreso il passaggio durante l'Alta Via n.1 della Valle d'Aosta) non l'ho ancora capito, ma trovarmi in questo grande bacino erboso, dove appare evidente il trionfo della natura, è sempre una bella sensazione.

Ancora meno di cento metri di salita verso la sommità della Becca d'Aran

Risaliamo facilmente la conca di Cheneil sul versante destro, fino ad oltrepassare una cascata. Qui il sentiero si fa più ripido e vi è da attraversare alcuni passaggi rocciosi anche aiutandosi con le mani. Si guadagna quota velocemente, fino a raggiungere una piccola spianata, la Pâturage de l’Aran. Qui si trova un bivio, verso sinistra si prende per la Becca d'Aran, verso destra si punta verso il Mont Roisetta. Il tratto più duro è sorpassato, ma, quando ormai la visuale sulle montagne valdostane diventa evidente, c'è ancora un tratto da affrontare con attenzione, prima di poter toccare la croce di vetta.

Panorama sulla Valtournenche

Finalmente di nuovo con le nostre montagne di fronte ai nostri occhi. Ci sono tutte quante. Alcune sono coperte, come il Cervino. Se il cielo non appare limpido si può stare certi che a mezzogiorno il Cervino è del tutto coperto, una regola che non viene mai tradita. Cervino o non Cervino, ce ne stiamo qualche minuto a guardare in basso. Per una volta, insieme, siamo noi a guardare in basso. E da questa vista cerchiamo di fare il pieno: di lì a qualche settimana, ci troveremo a che fare con ben meno spettacolari vedute...
Bis bald!
Stefano

martedì 25 agosto 2015

"Non è caduto, è morto"

Il 25 agosto può essere una data come tante altre. Non lo è invece per chi conosce bene la grande storia dell'alpinismo sul Cervino. Il 25 agosto non si celebra una scalata storica, ma è una data di grande importanza. In questa data, era il 1890, moriva Jean-Antoine Carrel, il grande conquistatore italiano del Cervino. E non lo fece in maniera "banale". Lo fece sotto la sua montagna, quella montagna che più di ogni altro alpinista credette fosse possibile scalare.

La "croce Carrel", memoria della grande guida di Valtournenche (fonte: quotazero.com)

Il 25 agosto 1890, Carrel si ritrova nel bel mezzo di una bufera lungo la cresta del Leone. Con lui ci sono il suo cliente, il compositore torinese Leone Sinigaglia, e un portatore, Carlo Gorret. Nella tempesta, nella nebbia, in mezzo ai fulmini, Carrel si posiziona come ultimo di cordata e guida magistralmente Gorret. Quando quest'ultimo capisce che il peggio è passato, da grande eroe (dopo 17 ore di discesa), Carrel si accascia ed esala l'ultimo respiro. Aveva sessantuno anni, e sulle sue robuste spalle di valdostano tenace si contano cinquantuno salite alla Gran Becca . Dove morì, sorge ora una croce, unanimemente conosciuta come la "Croce Carrel".

Jean-Antoine Carrel (fonte: matterhorn.nzz.ch)

La frase che le guide del Cervino pronunciarono dopo la morte del loro "fondatore", quando i clienti volevano sapere come e dove fosse caduto, fu sempre la stessa: "egli non è caduto, è morto".
Ma nella storia dell'alpinismo, egli è tutto fuorché morto. I giganti come Jean-Antoine Carrel sono come le montagne: immortali.
Bis bald!
Stefano

venerdì 24 luglio 2015

La lunga salita verso il Cervino - Parte seconda

La seconda parte dell'avvincente storia che porta l'uomo in cima al Cervino è fatta di avventure durate un decennio, di uomini d'altri tempi, tenaci e coraggiosi, di ideali patriottici che oggi sembrano spariti, di forza di volontà. La seconda parte della prima salita al Cervino è riassunta nella figura di un uomo, la guida valdostana di Valtournenche Jean-Antoine Carrel.

Il versante italiano del Cervino (© Stefania Grasso)

Descrivere una figura come quella di Jean-Antoine Carrel è cosa tutt'altro che semplice. Era chiamato “il Bersagliere”, perché aveva servito la patria nelle guerre di Indipendenza. Fu questa un'esperienza che lo rese un uomo dal forte spirito nazionalista ed orgoglioso di rappresentare l'Italia in quella che veniva considerata una missione simbolica. Salire il Cervino, pochi anni dopo l'Unità d'Italia, era il mezzo migliore per dichiarare al mondo la grande capacità e l'indipendenza del popolo italiano. Carrel fu addirittura incaricato da un esponente di spicco della politica italiana, l'allora Ministro delle Finanze e fondatore del CAI, il biellese Quintino Sella, di salire fino alla vetta del Cervino nel suo versante italiano, di salirla per dimostrare che il popolo italiano può superare i propri i limiti tramite atti di coraggio eroici (e c'è da fidarsi, centocinquanta anni fa salire sul Cervino era veramente un atto di eroismo).
Non era solo la "questione di stato" ad animare Carrel. Nonostante molte storie terribili venissero narrate sul conto della Gran Becca, Carrel era fermamente convinto di poter vincere quel "mostro" di roccia e ghiaccio. Fu l'unico, assieme all'amico-rivale Edward Whymper, a credere nella fattibilità dell'impresa.

Jean-Antoine Carrel nel disegno di Leonardo Bistolfi per Il Monte Cervino di Guido Rey

Dal 1857, l'anno del primo tentativo, un po' pionieristico, con l'Abbé Gorret, passarono otto lunghi anni prima di poter salire in vetta. La "questione di stato" divenne in tutto e per tutto una questione personale per Carrel, che questa ascensione la sognò per troppo tempo. I tentativi furono tanti: con l'inglese Whymper, che lo scelse come guida in molteplici occasioni grazie alle formidabili doti di scalatore; con l'irlandese Tyndall, durante il quale tentativo, si fermarono sull'omonimo Pic Tyndall nel famoso passaggio dell'Enjambée; con il fratello Jean-Jacques, il solo con il quale avrebbe voluto veramente arrivare in vetta.
Carrel sapeva bene che l'unico rivale per la conquista del Cervino poteva solamente essere Whymper che, più organizzato e con maggiori mezzi a disposizione, ebbe infine la meglio. Come già raccontato nella prima parte del racconto (vedi post), le fasi che precedettero i tentativi del 14 luglio 1865 furono un concentrato di tatticismo raramente visto in precedenza in montagna. Whymper tenta la salita dalla cresta dell'Hörnli – quella secondo lui più facile da percorrere – Carrel riprova per l'ennesima volta dalla cresta del Leone – l'unica che potesse essere scalata per questioni di patria e per l'onore della Valtournenche. La corsa, il sogno di Carrel verso i 4478 metri si infrange sul passaggio della Cravate, da dove lui e i suoi uomini osservano la festa di Whymper e della sua cordata. La battaglia con l'inglese è persa, e mestamente tornano a Valtournenche, ignari della tragedia che colpì la discesa della spedizione vittoriosa sul Cervino. Il morale di Carrel è a terra. Serve tutto l'impegno di Felice Giordano e in particolar modo dell'Abbé Gorret, per risollevare l'umore di Carrel. Devono salire quella montagna, lo devono fare per la Valtournenche, per la Valle d'Aosta e per l'Italia. Lo devono fare senza clienti, Carrel non vuole mettere in pericolo i suoi compagni caricandosi la responsabilità di ulteriori clienti. Giordano non farà parte della spedizione, saranno Carrel e Gorret assieme ad altri due valligiani, Jean-Baptiste Bich e Jean-Augustine Meynet, a riprovare la salita.

Cervino e non solo

Lascio che siano le parole di Guido Rey ne Il Monte Cervino a raccontare la prima ascesa italiana al Cervino.

Il giorno di domenica 16, dopo aver sentito la messa alla cappella di Breuil, la piccola squadra partì. Giordano rimase, triste e solo al Giomein. «Feci il grave sacrificio di attendere ancora ai piedi del picco, invece di salirlo, – egli scrive in altra sua lettera al Sella – e ti assicuro che questo fu per me un vivissimo dolore».
Li vide col cannocchiale attendarsi al solito bivacco ai piedi della Torre alle 2 pomeridiane. Amé Gorret ha narrato con giovanile entusiasmo questa salita: «Enfin nous traversons le Col du Lion et nous touchons à la pyramide du Mont Cervin. Ce Mont Cervin était donc là, devant moi; nous allions l'attaquer par un dernier et supreme effort; l'étais impressionné, et mes compagnons comme moi; mon coeur battait fort... j'aurais voulu pouvoir l'embrasser ce mont Cervin!»
Il giorno seguente proseguono la salita e raggiungono il segnale di Tyndall. «Nous allions entrer – scrive Gorret, - en pays inconnu, aucun n'êtant allé plus loin».
A questo punto si divisero le opinioni: Gorret proponeva di salire per la cresta e affrontare direttamente l'ultima torre, Carrel propendeva per svoltare a ponente del picco, e superarlo per il versante di Zmutt. Prevalse naturalmente il volere di Carrel, che era il capo e che malgrado la disfatta non aveva perduto l'abitudine del comando. Varcano il passo dell'Enjambée e costeggiano il pendio vertiginoso per afferrare la cresta di Zmutt. Un passo falso di uno della comitiva è una caduta di ghiaccioli dall'alto inducono a riprendere la linea diretta dell'ascesa, e questo tragitto per ritornare sulla cresta di Breuil riesce difficilissimo. Cade un sasso che ferisce Gorret al braccio.
Giungono infine alla base dell'ultima torre. «Nous nous trouvâmes – scrive Gorret – en un endroit presque raisonnable. Quoique cet endroit ne soit pas plus large de deux métres, et qu'il presente une inclinaison de 75 pour 100, nous l'âppelames de tous les noms favorables: le corridor, la galerie, le chemin de fer, etc, etc…»
Credettero di essere al termine delle difficoltà; ma un canalone di roccia che prima non avevano avvertito li separava dall'ultima cresta ove la via sarebbe stata facile. Scendere tutti quattro giù pel canalone non era prudente, giacché non si sapeva ove appendere la corda che avrebbe servito nel ritorno. Il tempo stringeva; convenne ridurre la squadra: Gorret fece il sacrificio, e con lui rimase Meynet. Poco tempo dopo Carrel e Bich erano sulla vetta, «et moi, - scrive Gorret, - pour ne pas me laisser prendre du sommeil, j'expliquais à Meynet la beauté des montagnes et des campagnes de la vallée».
Intanto al Giomein Giordano signora sul suo diario: «Bellissimo tempo; alle 9.30 veduto Carrel e uomini all'Epaule, poi non si videro più. Poi nebbia assai attorno alla cima. Verso le 3.30 si scoprì un poco e vedemmo la nostra bandiera sulla vetta di ponente del Cervino. La bandiera inglese pare uno sciallo nero posto sulla neve, al mezzo.
Dopo queste parole è tracciato sul taccuino un profilo della vetta con le due bandiere, e accanto ad una è scritto: Italia! Il giorno dopo a mezzodì giunsero di ritorno, sani e salvi, i vincitori. Nello scendere avevano veduto tutte le bandiere sventolare sul Giomein in segno di gioia; la fatica, l'ansia della lotta, l'emozione del pericolo erano scomparse. Il loro arrivo fu un trionfo.

Tutta la maestosità della parete sud del Cervino (© Enzo Verga)

La vetta era stata conquistata anche nel versante italiano. La Valtournenche era in festa.
Qualcuno, ancora oggi, si chiede chi abbia vinto. La vittoria è di Whymper, il primo a raggiungere la vetta ma che, anche per troppa fretta, subì le conseguenze del disastro nella discesa, o di Carrel, che vinse un versante più arduo (in condizioni sociali più difficili di quelle di Whymper), riportando sana e salva la spedizione intera? Non mi piace pensare all'alpinismo, o alla montagna in genere, come ad un terreno di sfide e di lotte per una vittoria. Mi piace pensare che siano stati entrambi, con i loro ideali, il loro coraggio e la loro ostinazione, a conquistare il Cervino. E a accendere la fiamma di un sogno che continua, immutato nel tempo se non più grande, a riscaldare il cuore degli appassionati della montagna.

giovedì 23 luglio 2015

La lunga salita verso il Cervino - Parte prima

Centocinquanta anni fa, erano le 13 circa, un distinto signore londinese, Edward Whymper, e una guida di Chamonix, Michel Auguste Croz toccarono per la prima volta la vetta del Cervino, la montagna più celebre e probabilmente la più bella del mondo. Whymper, il sognatore che proveniva da una terra tutt'altro che ricca di montagne, e Croz, l'ardimentosa guida francese, avevano capeggiato una spedizione composta da altre due guide, gli svizzeri Peter Taugwalder padre e figlio e altri due clienti inglesi, Douglas Hadow, Lord Francis Douglas e Charles Hudson, partendo il giorno prima da Zermatt e risalendo la cresta dell'Hörnli. Poco dopo “l'ora colma di vita gloriosa”, una caduta di Hadow fece precipitare per circa mille metri, sulla parete nord, lui e altri tre membri della cordata. Quell'impresa, realizzata su una vetta allora ritenuta impossibile da salire e sul quale conto gli indigeni avevano architettato un sacco di storie raccapriccianti, fu anche la tragedia, la prima in alta montagna, che segnerà l'inizio dell'alpinismo moderno e la fine dell'alpinismo di conquista.

Una delle incisioni di Edward Whymper nel suo famoso libro Scrambles amongst the Alps in the Years 1860-69 (fonte: commons.wikimedia.org)

I primi tentativi di salita della “Gran Becca” (così veniva chiamato il Cervino dagli abitanti della Valtournenche) risalgono al 1857, e furono di Jean-Antoine Carrel, un valdostano della Valtournenche, un uomo tutto d'un pezzo, che veniva soprannominato “il Bersagliere”. A quei tempi la montagna era affollata di ricchi turisti, spesso anglais, che ingaggiavano le guide del posto per salire in cima alle montagne. Tra questi vi era Edward Whymper, un disegnatore che durante un viaggio in Savoia vide anche il Cervino e ne rimase folgorato. Raggiungere la sua vetta, negli anni tra il 1861, anno del primo tentativo e il 1865, l'anno della conquista, divenne per Whymper una vera e propria ossessione, al punto tale da provare addirittura una volta in completa solitudine – salvo poi tornare mestamente al Breuil dopo un volo in un canalone. Carrel era la guida migliore per tentare un qualcosa che allora era considerato irrealizzabile, per la tempra stessa di Carrel e per la convinzione di Carrel che quella vetta non era irraggiungibile. Carrel e Whymper impararono a conoscersi e a stimarsi l'un l'altro, avevano provato ripetutamente l'assalto alla vetta, sempre dal versante italiano, ma ne furono sempre respinti.

La normale svizzera al Cervino illuminata dalle guide alpine di Zermatt (© Robert Bösch)

Nel corso di cinque estati sulle Alpi, Whymper affina la tecnica di salita e si conquista una discreta fama nel panorama alpinistico. Non sale da solo ma con alcune fidate guide. Su tutti, proprio Michel Croz, e gli svizzeri Christian Almer e Franz Biener. Con loro, compirà alcune prime di notevole importanza, tra cui Barre des Écrins, Mont Dolent, Aiguille d'Argentière, Grand Cornier, Grandes Jorasses (Punta Whymper) e Aiguille Verte. A quel punto si sente pronto per tentare l'assalto definitivo al Cervino, ma senza Croz (impegnato con altri clienti), Almer e Biener (supponevano irrealizzabile una salita al Cervino). Whymper vuole solo Carrel per la salita al Cervino, ma Carrel pare sia impegnato con altri clienti di “una distintissima famiglia”.

Edward Whymper (fonte: srf.ch)

La “distintissima famiglia” era in realtà una spedizione nazionale organizzata dall'allora ministro nonché fondatore del CAI, Quintino Sella, e da Felice Giordano, uno dei primi alpinisti-geologi dell'epoca. Le montagne erano allora affare di stato, poter “fare proprio” il Cervino - dopo che solo quattro anni prima la montagna simbolo del Piemonte, il Monviso, era stato conquistato da inglesi e francesi – era questione nazionale. Whymper non si dà vinto per vinto e, nonostante la fregatura, capisce che c'è ancora spazio per poter arrivare in cima per primo. Le condizioni meteo innanzitutto non sono le migliori per arrivare in cima. Ha una sola scelta, superare il Colle del Teodulo per arrivare a Zermatt, cercare una guida locale e tentare l'assalto dalla cresta dell'Hörnli, che conosceva meno bene ma che, per conformazione geologica, avrebbe potuto offrirsi meglio alla scalata. La fortuna pare girare dalla parte di Whymper, in quanto a Zermatt incontra proprio Croz, il quale si era liberato del suo cliente; Croz era proprio in procinto di partire in direzione Cervino con altri clienti, gli inglesi Hadow, Hudson e Douglas e altre due guide, Taugwalder padre e figlio. Whymper non aveva fiducia nell'inesperto Hadow, ma il reverendo Hudson garantiva per lui.

Il Cervino nelle sue parti est e nord

La partenza è fissata per il 13 luglio 1865 da Zermatt. Superano quota 3300 metri, dove bivaccano per la notte, e ripartono la mattina successiva per il tratto finale di salita. Il quale procede scorrevole, quasi “facile”, per molte ore. Poi giungono ad un tratto che appare insuperabile, che li costringe a deviare dalla cresta sulla parete nord per salire una parte più complessa di salita, prima di riportarsi sulla cresta, a breve distanza dalla cima. Il timore di Whymper è che la spedizione italiana li abbia preceduti. L'inglese e la sua guida francese Croz si slegano con foga dalle corde e corrono fino alla punta (la leggenda narra che toccarono l'apice contemporaneamente), dove non trovano tracce degli italiani. Certo, la spedizione italiana, più numerosa e laboriosa, era ancora sul Pic Tyndall – mancavano poche centinaia di metri alla vetta. I vincitori del Cervino si misero a gridare per richiamare l'attenzione di Carrel e compagni che, rattristati, si ritirarono per tornare a Valtournenche.

La croce di vetta della "Gran Becca"

Poi arriva il momento di scendere. Whymper è preoccupato dall'atteggiamento mostrato durante la salita da Hadow e si decide dunque di affiancarlo a Croz, primo di discesa e il più esperto del gruppo. La discesa è lenta, si procede “di conserva”, e Croz è continuamente impegnato a sistemare la posizione dei piedi sulla roccia di Hadow, insicuro e inadatto ad una tale montagna. A pochi metri dall'uscita del tratto più complicato, quello sulla parete nord, Hadow scivolò colpendo con i piedi Croz sulla schiena. Hadow e Croz precipitarono in avanti, senza riuscire ad attaccarsi alla piccozza, trascinando con sé nella caduta sia Hudson che Douglas. Whymper e i due Taugwalder, richiamati dalle grida disperate dei quattro compagni si aggrapparono alla roccia. Fu lì che la corda di canapa tra Taugwalder padre e Douglas si allungò fino a rompersi: i quattro precipitarono sulla parete per oltre mille metri, schiantandosi contro le rocce e arrestando il loro salto nel vuoto solamente nel ghiacciaio alla base del Cervino. Non fu ovviamente facile per Whymper e i due Taugwalder ricominciare la discesa, lo shock fu grande. Al loro arrivo a Zermatt i tre sopravvissuti furono accusati di superficialità e di negligenza, alcuni ipotizzarono avessero spezzato di proposito la corda. Se superficialità ci fu, fu da parte di Taugwalder padre nella scelta di quella corda di canapa (inizialmente portata come corda di riserva), vecchia e usurata. Questo fattore scagionò in parte l'operato dei tre sopravvissuti, i quali dovettero comunque convivere fino alla morte con il peso di questa tragica esperienza.

La vecchia capanna dell'Hörnlihütte

La prima salita del Cervino segnò un confine importante nella storia dell'alpinismo. Le grandi montagne erano state conquistate, e la tragedia del 14 luglio 1865 apriva nuovi scenari e considerazioni: in montagna si poteva morire. Per qualche anno, l'unico versante scalato fu quello italiano, lungo la cresta del Leone (salito per la prima volta qualche giorno dopo – ma questa è un'altra storia), mentre per qualche anno la cresta dell'Hörnli venne considerata maledetta. Ma la cresta dell'Hörnli, la via normale svizzera, per la sua facilità, ebbe in seguito maggior frequentazione, e sicuramente ciò ebbe un impatto nel superiore sviluppo turistico (ancora attuale) di Zermatt rispetto a Valtournenche e Breuil-Cervinia.

La caduta di Croz, Hadow, Hudson e Douglas nella famosa illustrazione di Gustave Dorè (fonte: wikipedia.org)

La prima salita del Cervino è inoltre il primo caso di rivalità e competizione per la conquista di una montagna. I personaggi in questione, Edward Whymper e Jean-Antoine Carrel, personalità dalle caratteristiche completamente opposte, giocarono nel 1865 una partita a scacchi nella quale l'inglese, seppur a caro prezzo, uscì vincitore. Ma la sfida, nonostante trucchi e giochi tattici, rimase sempre nei confini del rispetto e della stima reciproca, fattore che rese questo “duello” assolutamente memorabile. Carrel rimase la guida preferita di Whymper, che lo volle con sé per le sue escursioni alpinistiche post-Cervino, nelle Ande.

lunedì 20 luglio 2015

Il Cervino racconta...

Ciao a tutti!
Come già raccontato venerdì, in occasione della conclusione dell'Alta Via n.2 della Valle d'Aosta, questo momento per me di grande emozione ha coinciso con un grande anniversario: l'anniversario dei centocinquanta anni della prima salita al Cervino nel suo versante italiano. Era il 17 luglio del 1865 quando Jean-Antoine Carrel, Jean-Baptiste Bich, assieme a Jean-Augustin Meynet e all'Abbé Gorret, salirono per la prima volta il Cervino seguendo quasi integralmente la cresta sud-ovest, detta "del Leone". E lo fecero "per la Valtournenche, per l'Italia".

Mario Calabresi, Sandro Filippini, Reinhold Messner, Hervé Barmasse e Catherine Destivelle a Cervino sopra le righe

Valtournenche non poteva rimanere indifferente a questo evento. Venerdì 17 luglio, due eventi hanno caratterizzato la giornata della valle italiana del Cervino. Il primo, nel pomeriggio, è stato "Cervino sopra le righe", un incontro a sfondo letterario svoltosi nell'Auditorium di Valtournenche, condotto dal direttore de La Stampa Mario Calabresi, con tre alpinisti d'eccezione, Reinhold Messner, Hervé Barmasse e Catherine Destivelle, e con la partecipazione di Mario Filippini. Il secondo, nella serata, è stato "Il Cervino racconta", a Saint Vincent, in cui Kay Rush ha condotto, assieme ai già citati alpinisti, ai quali si è unito un altro fuoriclasse dell'alpinismo di oggi, Simon Anthamatten, una serata multimediale. Entrambi gli eventi hanno avuto come tema unico questa grande montagna, che ha acceso i sogni degli uomini centocinquanta anni fa, e continua a farlo oggi.

Selfie con Hervé...

...e dedica

Tutta il mio programma dell'Alta Via è stato studiato in funzione di venerdì. Volevo tremendamente esserci: gente come Barmasse e Messner, figure che rappresentano il radioso presente e il glorioso passato dell'alpinismo italiano, non le puoi incontrare ogni giorno. A modo loro, sono due figure straordinarie. Messner è un narratore eccezionale, sa incantare la platea con spiegazioni dettagliate, che non cadono in fredde citazioni, ma che provengono chiaramente dal cuore, con animosità (e senza autocelebrazionismi). Barmasse, l'alpinista di casa, rappresentante della quarta generazione di guide, emoziona tutti, raccontando con un sorriso genuino, il significato che ha per lui, nativo della Valtournenche, questa montagna. E con la stessa serenità firma e dedica libri ai suoi fan. Personaggi che sono ricchezza, personaggi di cui l'Italia deve essere orgogliosa.

I quattro alpinisti con la piccozza celebrativa della Grivel

Per vederli, ho chiuso con estrema rapidità l'Alta Via, ho preso i primi treni disponibili, corso notevolmente in autostrada e sulla statale della Valtournenche. Ne è valsa la pena. Sono stati due eventi memorabili per chi ama la montagna e i suoi uomini, in grado di incollare i presenti alle parole dei protagonisti. Dal ricordo degli eventi di centocinquanta anni fa, di quelle salite e di quella tragedia che, secondo Messner, "ha reso più famosa la salita svizzera del Cervino", alla memoria di Walter Bonatti, un pilastro dell'alpinismo che sul Cervino aveva capito che oltre non era più possibile fare. Dalle discussioni sulla montagna di oggi, per Messner solamente più sport (non velati gli attacchi lanciati a Ueli Steck e soprattutto a Kilian Jornet) o turismo, alle speranze per la montagna di domani, dove si spera che grazie a figure come Barmasse, possa nuovamente germogliare il seme dell'avventura, quello spirito di Ulisse che le giovani generazioni devono continuare a mantenere vivo.

Pazza gioia!

Sono tornato in Germania, oltre che alle immagini straordinarie dell'Alta Via ancora impresse negli occhi, con le parole di questi straordinari "artisti" della montagna. Ispirazione che mi accompagnerà, impulso che ha già rimbalzato da una parte dell'altra della mia testa durante il mio viaggio di ritorno di ieri. E che continuerà imperterrito nei prossimi mesi. Da Valtournenche e da Courmayeur ho fatto man bassa di letteratura alpina, per future immersioni nei racconti dei grandi alpinisti.
Bis bald!
Stefano

sabato 18 luglio 2015

L'unione tra cielo e terra

Ieri, 17 luglio 2015, è stata una giornata importante per l'alpinismo italiano. Valtournenche ha celebrato (e continuerà a farlo oggi e nei prossimi giorni) i centocinquanta anni dalla prima scalata del Cervino nel suo versante italiano.
Da amante della montagna e specialmente di QUESTA montagna, il Cervino, tornerò sull'argomento - non appena mi sarò ripreso dalle fatiche dell'Alta Via n.2 della Valle d'Aosta, appena conclusa. Per ora, mi limito a condividere pienamente le parole di Annibale Salsa, già presidente del Club Alpino Italiano.

Un Cervino illuminato a festa!

«Il Cervino? E' la montagna simbolo per antonomasia», dice Annibale Salsa, antropologo e già presidente del Club alpino italiano.
- Perché proprio il Cervino?
«Per forma e isolamento. Piramide nel cielo. Richiama l'immagine della montagna nel modo più evidente proprio perché deriva dall'immaginario. Guardandolo, risalendo il versante Sud della Valtournenche, emerge con chiarezza il rimando al concetto semiologico. Il Cervino è una scala».
- Scusi?
«Una scala, trait d'union tra terra e cielo. Una percezione che è già della protostoria. E' un palo sacro, un eone, cioè materia, realtà che conduce all'immateriale. La montagna ha sempre avuto questo doppio significato».
- La montagna in genere.
«Sì, ma il Cervino è un riferimento certo proprio per la sua forma. E' materia e rappresenta anche il cielo, il trascendere la realtà, perché scala. Le Dolomiti, ad esempio, con torri e pilastri non offrono il senso della scala».
- Un'evidenza maggiore sul versante italiano del Cervino. Perché allora è più conosciuto come montagna svizzera?
«Altra storia. Riguarda il secolo dei Lumi, il Settecento, quando gli svizzeri inventarono le Alpi come paesaggio. È il fenomeno dell'esotismo alpino che poi viene replicato. Lo scienziato Horace Bénédict De Saussure solleticò la curiosità del mondo con il suo “Voyages dans les Alpes”. Gli inglesi ne furono poi i grandi promotori, esplorando le Alpi, salendole e diffondendo le loro imprese».
- Anche sul versante italiano?
«Meno. La montagna italiana era il Monviso, perché dominava la pianura, larga piramide che si vedeva da lontano. E si riteneva che fosse la montagna più alta d'Italia. Con De Saussure le Alpi sul versante settentrionale diventano meta di numerosi viaggi. Le guide locali non riuscivano neppure a soddisfare le richieste. Stessa sorte per il Monte Bianco».
- Sempre grazie a De Saussure, che ne lanciò la conquista proprio negli ultimi anni del Settecento?
«Già. Era ginevrino e dalla sua città si vede la cupola candida del Bianco. Anche in questo caso una visione lontana, quasi un miraggio appeso al cielo».
- Il Cervino poi è entrato nell'immaginario collettivo.
«Sì. Per la Svizzera è la montagna di riferimento, compare come icona di molti prodotti. Più della Jungfrau o dell'Eiger. In realtà il Cervino è molto più visibile sul versante italiano. Dall'elvetica Zermatt il Matterhorn è più lontano rispetto a quanto lo è il Cervino per Cervinia. Ma le Alpi, anche nei pacchetti vacanza più importanti, sono svizzere. Grazie a icone datate 300 anni fa, grazie a una messa in scena, a un sipario che si apre su un sogno da vivere. Questione di marketing».

da La Stampa, 14 giugno 2015

sabato 27 giugno 2015

L'attesa che svanisce in un battito

"Al romeo pieno di fede, a cui dopo lungo pellegrinaggio, apparve d'un tratto imponente dinanzi agli occhi la cupola di San Pietro non palpitò più forte il cuore che a me in quel momento in cui vidi drizzarsi immenso, vaporoso, fra due quinte verdi della valle, il Cervino! Rimasi affascinato: era più alto e più grande che non avessi mai immaginato. Provai contemporaneamente un profondo scoramento ed un'immensa brama di giungere io pure a toccare quella vetta, in un giorno lontano, quando ne fossi degno. E, ancor oggi, quando lo rivedo mi riprende questo senso d'inquietudine e di desiderio, un senso che forse provano soli quelli che hanno l'animo stregato da questa benedetta passione di salire."
Guido Rey, Il Monte Cervino

La cartolina italiana più classica del Cervino

mercoledì 17 giugno 2015

All'ombra della Gran Becca: il Giro d'Italia a Cervinia

Ciao a tutti!
Forse è tardi, oramai si parla già di Tour de France, ma ho ancora voglia di parlare di Giro d'Italia, manifestazione che seguo da anni, prima in televisione e dopo (dal 2007) anche dal vivo. Ci tengo a farlo perché questa edizione ha un significato particolare per me.
Ho chiesto qualche giorno di ferie proprio per scendere in Italia nei giorni in cui il Giro transitava nelle mie regioni, Piemonte e Valle d'Aosta, che hanno ospitato due tra le più avvincenti tappe della manifestazione. La tappa valdostana ha visto il suo arrivo ancora una volta a Breuil-Cervinia, dopo 236 chilometri in cui i corridori hanno dovuto anche salire a Saint-Barthélemy e al Col de Saint-Pantaléon. Questa è senza dubbio una tappa simbolo del Giro, anche per il significato speciale che le viene attribuito: è l'edizione del 2015, quella in cui si festeggiano i 150 anni della prima salita alla cima del Cervino.

Ultimi chilometri di fatica per arrivare ai piedi del Cervino

Questa tappa è anche un occasione per abbinare un po' di trekking (mai perdere le buone abitudini) allo spettacolo del Giro d'Italia. Si lascia perdere un improbabile parcheggio in Cervinia per risalire a piedi la Valtournenche tramite il sentiero che dall'omonimo comune sale ai piedi del Cervino, in compagnia di Alberto ed Adriano. Costeggiamo il torrente Marmore per un po', risaliamo il gradino prima della diga di Perrères e arriviamo dunque a vedere la montagna delle montagne, il Cervino. Da lì, non è che una passeggiata di piacere fino a Cervinia.

L'arrivo di fronte alla Gran Becca

Cervinia... addobbata come non mai ma come tante altre città quando vengono toccate dalla corsa rosa. Tutto è rosa, tutto parla del Giro d'Italia, tutte le vie sono monopolizzate dall'evento. L'aria di festa non è solo quella delle grandi occasioni, come l'arrivo di una tappa del Giro, che è una festa ovunque essa sia, ma anche perché sono vicini i festeggiamenti per il centocinquantesimo anniversario delle scalate di Whymper e Carrel. La piramide che simboleggia la montagna più ambita di ogni alpinista è un emblema presente ovunque, per le strade di Cervinia.
E la linea d'arrivo, posta nella centralissima Via Guido Rey, da dove è più che imponente la mole del Cervino, toglie il fiato. Chissà come si sentiranno i corridori, che di fiato in quel momento ne avranno già poco...

Giro è... una 500 rosa

Pranzo sotto il Cervino (a quest'ora ancora stranamente senza nuvole...), una piccola gita al Lago Blu, che è una tappa quasi irrinunciabile, e poi ci piazziamo a poco più di due chilometri dal traguardo. Ci troviamo alla fine dell'ultimo tratto ripido di salita, qui la pendenza sarà intorno al 6% e non è più massacrante come all'ingresso del capoluogo di Valtournenche, quando si tocca il 12%. Qui la salita sarà ormai finita. Se si arriva in un gruppetto, è quasi scontata la volata; se ci si arriva in testa da soli, è assai improbabile che si venga ripresi.
Qui, inoltre, non vi è il caos dei due ambitissimi tornanti prima della galleria di Perrères e nemmeno la confusione della zona transennata. Possiamo anche fare un piccolo riposino in attesa che la carovana del Giro ci svegli. Volendo, qui c'è anche lo spazio per correre fianco a fianco con i più forti. Io preferisco sostenerli con la voce e amo fotografarli, ma chi lo può dire, magari un giorno ci proverò, anche sfruttando i miei trascorsi podistici.

Il conquistatore di Cervinia, Fabio Aru

Quando la carovana pubblicitaria (che negli anni ha capito di doversi allineare sempre di più a quella del Tour de France) sta per arrivare a Cervinia, vuol dire che manca un'ora circa al passaggio dei corridori. Le prime voci iniziano a susseguirsi sullo svolgimento della tappa. Le speranze sono tutte per un corridore italiano e soprattutto per Fabio Aru, il giovane scalatore sardo che fa ben sperare per il futuro del ciclismo tricolore nelle corse a tappe. Tutti sperano in un suo attacco, ben sapendo che per strappare la maglia rosa di Alberto Contador ci va un'impresa.

Il gruppo della maglia rosa Contador

Ma l'impresa la fa ugualmente. Tra i tifosi attorno a noi serpeggiano alcune voci, poi tramite la mia radio, il cui collegamento è piuttosto scadente (ma si sa, in alta montagna è così), ottengo la conferma che Aru è scattato in faccia a tutti quanti e ha fatto il vuoto.
Quando passa è il delirio. È a tutta, fa una fatica incredibile e si vede, la sua espressione è ornata delle smorfie che l'hanno ormai reso celebre sulle strade del Giro d'Italia, ma la vuole portare a casa, questa tappa. E così farà. Ci prova Hesjedal, a starci dietro, ma Aru è superiore a tutti, sulla salita di Cervinia. Dopo poco più di un minuto passa il gruppetto di Contador. Ben altra immagine: espressione riposata e movenze eleganti sulla bicicletta. Sembra quasi non abbia pedalato.

Fotoricordo da Breuil-Cervinia

I più forti passano, noi iniziamo la discesa incrociando seconde linee e gregari. Che fatica sui volti di questi ragazzi. Più di duecento chilometri di strada e tre chilometri e mezzo di dislivello da compiere. Dopo aver già completato altre diciotto tappe. La stanchezza è ben evidente nelle facce e nelle espressioni dei corridori.
La loro fortuna - e come sostengo da quando iniziai a girare Italia e Francia per assistere dal vivo alle corse ciclistiche più belle, anche dell'intero movimento ciclistico - è tutta nell'enorme calore che i tifosi, indigeni o giunti da ogni parte del mondo, dimostrano lungo questi chilometri di asfalto. C'è un sostegno, una passione, che è difficile da raccontare, da trasmettere e da comprendere. Questa è l'anima del Giro. Sommata alle meraviglie di questo paese, la rende veramente... uno spettacolo nello spettacolo.
Bis bald!
Stefano

venerdì 29 maggio 2015

Noi ci siamo! Live from Cervinia @ Giro 2015

Non sarà la corsa più famosa del mondo, ma è la corsa più dura del mondo nel paese più bello del mondo.
Non sarà il Mortirolo, lo Zoncolan o la Marmolada. Non ci saranno pendenze del 20%, ma questo spettacolo è anche nella bellezza della natura che lo circonda. Oggi, è il turno del simbolo per eccellenza delle Alpi, Sua Maestà il Cervino.
Oggi, ai piedi del gigante di roccia, arrivano i corridori del Giro d'Italia. Noi ci siamo.

L'arrivo della tappa n.19 (da Gravellona Toce a Cervinia) del Giro d'Italia 2015

sabato 18 aprile 2015

Bücher: Il monte Cervino

"Nella vettura tutti sembrano impazziti; si rizzano in piedi, si urtano per affacciarsi alle vetrate, ed erompe in varie lingue il grido: Cervino! Matterhorn! Mont Cervin! Questo scoppio di entusiasmi si rinnova ogni giorno, ad ogni arrivo di treno. E vi ha chi crede che gli entusiasmi pel Cervino, vecchi di un secolo, siano spenti! No: ogni anno nasce una nuova generazione, che, a suo tempo, la ferrovia recherà ai piedi del grande monte, e che si accenderà di nuova ammirazione."
Guido Rey, Il Monte Cervino


Per gli appassionati della grande montagna e della storia dell'alpinismo, questo è un volume imperdibile. Il Monte Cervino, dal quale sto pubblicando in queste pagine alcune emozionanti frasi sull'omonimo Gigante delle Alpi, è un volume che risale ormai al 1904, quando fu pubblicato per la prima volta da Hoepli. Quella che ho letto è un'edizione anastatica (l'esatta riproduzione) della prima edizione, con l'eccezionale prefazione di una firma eccellente, quella di Edmondo De Amicis, e con illustrazioni e fotografie d'autore.
Credo che siano tre i motivi principali per cui valga la pena passare qualche ora su questo volume. In primis, racconta gli uomini (quelli di montagna ma non esclusivamente) di centocinquanta anni fa, quando l'alpinismo era ben altra cosa rispetto all'ipertecnologia del giorno d'oggi. Dalle parole di Rey, l'alpinismo pare essere poesia, sentimento, desiderio di conoscenza. In secondo luogo, è il fedele ed onesto racconto della grande lotta per la conquista del Cervino tra due grandi uomini, l'inglese Whymper e il valdostano Carrel, che hanno consacrato la loro vita a questa montagna.
E ultimo ma non meno importante, Il Monte Cervino, nei suoi ultimi capitoli, è un sincero racconto di ciò che si prova dentro a scalare le montagne. Io non ho mai salito montagne come il Cervino - e chissà se mai lo farò - Ho sempre e solo utilizzato le mie gambe, mai braccia, corde, chiodi e piccozze. Ma arrivare in cima, che sia il Cervino o siano i monti che per anni hai visto dalla finestra di casa, regala sensazioni indescrivibili che ritengo universali. Rey le mise su carta, oserei dire in maniera perfetta.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 9/10 ««««««««««

sabato 4 aprile 2015

Valtournenche nel cuore

"Oh! Conservati così, come sei, piccola e oscura; ti ameremo di più noi che amiamo la montagna per la semplicità della sua vita, per la pace delle sue solitudini austere. La rozza veste montanina s'addice alla tua fronte modesta meglio che non il lusso cittadino; se la folla non viene a te, non scendere tu alla folla; vivi nascosta fra le fronde de' tuoi pini. A te rimane il tuo Cervino che i tuoi figli, e non altri, hanno conquistato."
Guido Rey, Il monte Cervino

Correva l'anno 1916.

mercoledì 18 marzo 2015

Giorni leggendari

Il 18 marzo nella storia dell'alpinismo non può essere considerata una data come tante altre. È una data che ha dell'epocale nella storia dell'alpinismo e ancora una volta, di mezzo c'è il Cervino, la montagna dei sogni di ogni alpinista.
L'anno è il 1882: solamente meno di diciassette anni prima, il Cervino era stato conquistato: prima sul versante svizzero dalla cordata di Edward Whymper e pochi giorni dopo sul versante italiano dalla cordata di Jean-Antoine Carrel.

Il versante italiano del Cervino (© Vittorio Sella)

Nella lunga ed estenuante lotta per la conquista del Cervino, Carrel viene parzialmente ricordato come lo sconfitto: Whymper lo potrà guardare dalla vetta del Cervino, mentre lui e i suoi compagni stanno ancora salendo (Whymper stesso non sarà mai ricordato solamente per essere il primo a salire il Cervino, bensì anche come la persona che subirà per il resto della sua vita la morte di quattro dei sette uomini che composero la cordata vittoriosa). Carrel, il "Bersagliere", sarà comunque ricordato nei decenni per altre grandiose imprese che portarono la sua firma. Undici prime salite su altrettante vette delle Ande, trentaquattro salite al Cervino, il monte Bianco e tutte le vette del Monte Rosa (ai tempi non erano escursioni di poco conto). Il nome dei Carrel (ben tre ceppi in Valtournenche) sarà sempre collegato alle migliori guide del Cervino, alcune di esse autentici fuoriclasse dell'alpinismo.

Il più grande dei Carrel, Jean-Antoine (© Vittorio Sella)

Diciassette anni dopo il nome di Jean-Antoine Carrel si lega a quello di un esponente di un'altra gloriosa famiglia che dato tanto all'alpinismo italiano, i Sella. Fu proprio Quintino Sella, politico di spicco del neonato Regno d'Italia a fondare nel 1863 il Club Alpino Italiano e, due anni dopo, ad essere una delle persone che più incoraggiarono Carrel a tentare l'impresa della prima salita al Cervino dal versante italiano. Il 18 marzo 1882, il nipote di Quintino Sella, Vittorio, con Jean-Antoine Carrel, Jean-Baptiste Carrel e Louis Carrel, sono gli artefici di una delle più grandi imprese alpinistiche avvenute sul Cervino: la prima ascensione invernale assoluta, lungo la Cresta del Leone, la via normale italiana. Non ci sono grandi notizie su questa impresa, ma si può immaginare la difficoltà della salita, nel rigido clima dei quattromila metri d'inverno, con la neve e il ghiaccio che coprono la roccia, per mezzo di corde ancora molto arretrate.

Vittorio Sella (fonte: montanarilenti.blogspot.com)

Guido Rey, ne Il monte Cervino, celebra così l'impresa di Sella e dei tre Carrel che salirono con lui: "una simile impresa, per il pericolo delle rupi rivestite di ghiaccio, per la brevità dei giorni e per il freddo intenso richiede un coraggio a tutta prova, un'abilità somma, e una forza eccezionale di resistenza; e, a buon diritto, venne considerata come una delle imprese più ardite dell'alpinismo. Ancora una volta il nome italiano, il nome di un Sella echeggia onorevolmente nei fasti del Cervino".

Il versante svizzero del Cervino (© Vittorio Sella)

Il 18 marzo 1882 è la data in cui si inaugura a buon diritto l'era delle ascensioni invernali, un nuovo capitolo in quell'infinita ricerca dei limiti umani che è l'alpinismo. Lo faccio con questo post, umile e piccolo in confronto alla grandiosità dell'impresa di allora, corredato dalle più belle foto del Cervino realizzate da Vittorio Sella (considerate tuttora tra le più belle immagini di montagna mai realizzate) e con le immagini dei due grandi protagonisti, Jean-Antoine Carrel e Vittorio Sella.

Parete ovest (© Vittorio Sella)

Bis bald!
Stefano

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