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martedì 13 gennaio 2015

Bonatti, fotografie dai grandi spazi

"Con la nord del Cervino, me lo ero ripromesso, avrei chiuso con l'alpinismo estremo, sostituendolo però con un altro tipo di avventura, altrettanto ispiratrice e capace anche di nutrire e soddisfare ancor più la mia curiosità, il mio sogno, la mia fantasia, e non ultimo, ancor più conoscere il profondo di me stesso. Con il passare degli anni avevo capito sempre più chiaramente che in fondo la mia vera indole era quella di vivere l'avventura nella sua espressione più vasta e universale. Se ti è nato il gusto di scoprire non potrai che sentire il bisogno di andare più in là. Pertanto, avrei insomma voluto abbracciare orizzonti ancora più vasti, e più intimi, in cui poter trasferire tutto ciò che di prezioso la montagna mi aveva già insegnato."
Walter Bonatti


Ciao a tutti!
Nel momento in cui seppi, qualche mese fa, che a Milano si sarebbe tenuta una mostra sull'opera fotografica di Walter Bonatti, non potei far altro che promettermi di mettercela tutta per fare in modo di visitarla. Troppo grande l'ammirazione per Bonatti, troppo forte l'attrazione per i meravigliosi scatti con i quali il grande (forse il più grande?) alpinista ed esploratore lombardo ha corredato i suoi reportage in giro per il mondo. Milano, e il suo Palazzo della Ragione, ridonano memoria a questo protagonista del dopoguerra italiano, in grado di conquistare il cuore delle donne e lo stupore degli uomini con le sue meravigliose imprese alpinistiche prima ed emozionanti avventure dopo. Proprio nell'anno in cui cade il cinquantesimo anniversario della memorabile ascesa di Bonatti al Cervino (22 febbraio 1965), in solitaria, invernale e lungo una nuova via.

L'allestimento di Palazzo della Ragione (fonte: arttribune.com)

Una mostra molto semplice ed intuitiva, "Walter Bonatti - Fotografie dai grandi spazi". Si comincia con il Bonatti che tutto il mondo meglio conosce, quello delle grandi montagne conquistate in solitaria come il Dru o il Cervino. O quello delle grandi delusioni (K2) o delle enormi tragedie (Frêney). Poche foto, ma corredati degli oggetti di una vita, come la sua macchina fotografica che lo accompagnerà per più di dieci anni sulle pareti di tutto il mondo. Il suo casco, i suoi ramponi, la macchina da scrivere. In sottofondo, poche toccanti immagini, corredati dalla candida e pacata voce di Walter. Una voce che tutti i visitatori ascoltano, con attenzione, nella prima sala della mostra.

1972: Namibia, Deserto del Namib, foto di Walter Bonatti (fonte: artslife.com)

La mostra continua con un enorme spazio dedicato alle fotografie raccolte durante le esplorazioni compiute in tutti i continenti della Terra, come inviato per il settimanale Epoca. Senza un ordine logico, a parer mio. Ma non ce n'è bisogno. Perché la bellezza e la grandezza, due caratteristiche che Bonatti ha saputo cogliere così bene nei luoghi che ha avuto la capacità di poter fotografare (e lui di risorse psicofisiche ne aveva da vendere), non hanno una loro precisa logica. Non sono fotografie, come si potrebbe dire, "di autore", ma sono scatti di testimonianza. Di un mondo che non c'è più se non nei nostri sogni, o forse nelle parole dei grandi narratori che ispirarono Bonatti: Melville, London, Defoe.

Gli attrezzi del mestiere

La grandezza della natura, la sua meraviglia, e la piccolezza dell'uomo di fronte a ciò che ci circonda sulla Terra. Questi sono i temi portanti dietro alle foto di Walter Bonatti. In un misto di incredulità, virtù e misticismo, il visitatore segue il percorso espositivo ammirando spazi che molto probabilmente non potrà mai vedere a occhio nudo, dal vivo. Infinite colline di sabbia nei deserti più inospitali, specchi d'acqua cristallina, colonne di roccia o di ghiaccio in Sudamerica, grigie pianure senza fine nelle lande africane, fessure al limite dell'impossibile, foreste di difficile risoluzione, geometrie che solo un'entità superiore può avere progettato, ineguagliabili giochi di luce e colori, paesaggi al limite della sopravvivenza, la roccia fusa o il ghiaccio più impetuoso, gli animali apparentemente più pericolosi. Godiamoci quest'opera così, come bambini che fanno le loro prime scoperte.

1976: Antartide, quadrante neozelandese, foto di Walter Bonatti (fonte: artslife.com)

E ringraziamo Bonatti, che ha saputo e voluto divulgare questa bellezza. Per non dimenticarci cosa e dove siamo noi umani.
Bis bald!
Stefano

giovedì 8 gennaio 2015

Segantini ed uno sguardo milanese sulle Alpi

Ciao a tutti!
Nonostante la bronchite che ha rovinato i miei piani per le vacanze natalizie, non mi sono fatto mancare un paio di mostre entrambe tenutasi a Milano. Nonostante non sia un amante del capoluogo lombardo, questa volta ho voluto fortemente spendervi una giornata. E non me ne sono assolutamente pentito.
La prima di queste, di cui parlerò in questo post, è la mostra "Segantini" e raccoglie buona parte delle opere di questo pittore, Giovanni Segantini, tra i massimi esponenti dell'arte italiana dell'Ottocento.

Mezzogiorno sulle Alpi (Meriggio o giornata di vento), 1891 (fonte: arttribune.com)

Le opere scelte per questa mostra, provenienti da tutta Europa e anche dagli Stati Uniti, ma soprattutto dal Museo Segantini di St.Moritz, raccontano benissimo l'articolato percorso di questo artista, dalla gavetta milanese fino ai successi costruiti sulle montagne dell'Engadina.
La mostra segue una linea netta nella carriera di Segantini. Si inizia con le opere della gioventù milanese, accademiche e dettate dalla tendenza del momento. Si continua con il naturalismo del periodo brianzolo, in cui Segantini prende i connotati di artista del mondo contadino. Si termina con l'evoluzione verso il divisionismo del periodo engadino (uno stile che prevede la separazione del colore in linee, di cui Segantini fu uno dei massimi esponenti) che ha nella natura e nei simboli della Terra i soggetti preferiti. Segantini racconta la vita quotidiana, quella più dura e più pura, quella dei contadini. Senza dimenticare che l'uomo non è nulla se non circondato da tutto ciò che Madre Natura ci ha messo a disposizione: il paesaggio rurale di Alla stanga, le montagne di Mezzogiorno sulle Alpi e del Trittico delle Alpi (non presente in mostra), la spiritualità di Le due madri.

Niente male l'offerta di Palazzo Reale...

Nota sull'organizzazione: la grande coda alla cassa (quasi due ore di attesa) era giustificata da una mostra di effettivo valore. Mi sarei aspettato gli ingressi contingentati: e invece ci ritroviamo con una visita guidata di una trentina di persone che costringe tutti quanti a saltare alcune sale od aspettare che l'onda barbarica sia transitata. Folla a parte, l'atmosfera soffusa all'interno delle sale è perfetta.

La raffigurazione della Priamvera, 1897 (fonte: giornalemetropolitano.it)

La mia personale Top-10 della Mostra "Segantini" al Palazzo Reale di Milano, qui visibili.
1. La raffigurazione della Primavera
2. Le due madri (studio di lanterna)
3. Costume grigionese (ritratto di Barbara Huffer)
4. Ave Maria a trasbordo
5. Alla stanga
6. Dopo il temporale
7. Donna alla fonte
8. La raccolta dei bozzoli
9. Mezzogiorno sulle Alpi (Meriggio o giornata di vento)
10. A messa prima

martedì 22 luglio 2014

Ma chi sono questi Preraffaelliti?

Ciao a tutti!
Se non fosse stato per Giulia, una mostra di settanta opere inglesi dell'Ottocento sarebbe scivolata via senza colpo ferire. Svoltasi a Torino in una sorta di ramo di Palazzo Reale altrimenti detto Palazzo Chiablese, "Preraffaelliti - L'utopia della bellezza" è stata veramente una fantastica occasione per conoscere un genere a me finora sconosciuto, se non per qualche accenno che Giulia mi fece in occasione della visita alla Alte Nationalgalerie di Berlino.
La mostra porta a Torino settanta opere degli artisti della Confraternita dei Preraffaelliti, una corrente artistica inglese dell'Ottocento, tutte provenienti dalla Tate Gallery di Londra. Una mostra veramente unica per un genere unico, particolare, ma ricco di fascino.

Ophelia (1851-1852) di John Everett Millais

Gli elementi insoliti sono veramente tanti, a partire dal nome stesso. Preraffaelliti... prima di Raffaello: il nome è dovuto al rifiuto dei concetti di ideale estetico incarnati nello stile di Raffaello Sanzio. La tecnica e lo stile sono decisamente non convenzionali, come non convenzionale era ciò che rappresentavano: i temi delle loro opere si rifanno alle opere di Dante Alighieri, William Shakespeare e ai cicli medievali, nonché a uno dei romanzi più fantasiosi, la Bibbia. Le loro opere sono descritte, quasi a mo' di didascalia, da estratti dei loro scritti (erano anche poeti e scrittori), in basso o addirittura sulla cornice. Anche il modo stesso di portare a termine un'opera è decisamente non stereotipato: prediligevano la pittura all'aria aperta, utilizzavano modelle per i soggetti femminili - che spesso erano anche le loro amanti, infatti compaiono più volte nei loro quadri. Il quadro simbolo di queste modalità pittoriche è l'Ophelia di John Everett Millais, l'opera in foto, nonché dipinto "di copertina" della mostra.
Visitare una selezione di loro opere è un po' come entrare in un mondo in cui la natura e le figure sono espresse in maniera del tutto nuova, sempre alla costante ricerca della perfezione estetica, e decisamente innovativa, rispetto a come si è abituati a vedere nei libri di storia dell'arte.
Avrei voluto fare uscire questo post decisamente prima, in maniera da concedere tempo ai lettori di provare ad approfondire, ma non mi è stato possibile. Le opere rientreranno dunque a Londra; per chi volesse ammirarle c'è sempre la Tate Gallery, oppure il catalogo della mostra (vedi link). Entrambi da non mancare.
A presto!
Stefano

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