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lunedì 1 febbraio 2016

Storia di massacranti fatiche

Ciao a tutti!
A poco più di due mesi dalla mia ultima maratona, corsa a fine novembre a Firenze, arriva immancabile il post definitivo, che chiude questi magnifici mesi trascorsi tra i sogni del traguardo, la fatica degli allenamenti e infine, con la realizzazione di un desiderio che ti accompagna per settimane e settimane. Il modo per mettere la parola fine su questa esperienza è il solito, una carrellata di foto (realizzate da Foto Studio5) e soprattutto la cronistoria della mia preparazione all'appuntamento di quel fatidico 29 novembre 2015, costruita attraverso i post con i quali ho raccontato le settimane che hanno preceduto questo mio settimo appuntamento con la distanza simbolo della corsa di resistenza.
Ancora una volta, per narrare, tutta la meraviglia nel compiere qualcosa che non sarà impresa (i maratoneti sono sempre più) ma è sicuramente una enorme emozione.
Bis bald!
Stefano

Nel pieno centro fiorentino

15/09/2015: l'annuncio, al via alla Firenze Marathon il 29 novembre 2015
19/09/2015: allenamenti massacranti su strade fino al 25% di pendenza

Il sorriso degli ultimi chilometri

26/09/2015: le solite magie dei cerotti e dell'osteopatia
28/09/2015: allenamenti sulle gambe e sui pedali

Alla mezza maratona, ancora fresco...

01/10/2015: verso la mezza maratona di preparazione a Norimberga
03/10/2015: un gran bel tempo alla Stadtlauf Nürnberg Halbmarathon
06/10/2015: il racconto della mia partecipazione alla Stadtlauf Nürnberg Halbmarathon

La fatica di Ponte Vecchio

09/10/2015: ripetute sotto la pioggia battente
13/10/2015: enormi progressi sui lunghi

Occhio al cronometro davanti a Palazzo Pitti

18/10/2015: il fastidio di una vescica sul lungo
26/10/2015: il lungo da 30 chilometri

Gambe scavate dai chilometri

01/11/2015: ultime, durissime, serie 30-20-10
05/11/2015: ottime indicazioni dalla visita di idoneità agonistica
10/11/2015: il lungo da 35 chilometri

Testa bassa e correre

16/11/2015: l'ultimo lungo e l'infortunio al soleo
23/11/2015: una settimana tra ansie e paure
25/11/2015: countdown verso Firenze, -4 giorni alla maratona!
26/11/2015: il percorso dell'edizione 32 della Firenze Marathon

Smorfia eloquente...

27/11/2015: il venerdì del ritiro del pettorale
28/11/2015: le sensazioni della vigilia
29/11/2015: l'annuncio, 3h14'32" alla Firenze Marathon!

Rabbia e gioia all'arrivo

06/12/2015: le immagini che raccontano una maratona
22/12/2015: il racconto della mia Firenze Marathon
15/01/2016: pensieri sul traguardo della Firenze Marathon

venerdì 15 gennaio 2016

Blue carpet

Si dice che gli ultimi chilometri di una maratona si corrano non con le gambe con la testa. C'è anche chi dice che gli ultimi 195 metri, non uno di meno, si percorrano con le lacrime agli occhi. Io non ho mai pianto al traguardo di una maratona, sono persona che difficilmente si commuove. Ma ho sempre provato emozioni fortissime ad ogni traguardo. Da solo o in compagnia, i metri dell'arrivo sono un rimescolamento continuo di oggetti che in tre mesi, il tempo di preparare una maratona, hanno affollato la mente. Pronti ad uscire tutti quanti improvvisamente, per scatenare un sentimento di indicibile euforia.
E ora, come sempre dopo una maratona, li raccolgo alla rinfusa e li metto in un post.
In Piazza Santa Croce, sul traguardo della Firenze Marathon, ho pensato...

A due chilometri dall'arrivo, la testa è tutta un turbinio di pensieri

...ai trentacinque treni che mi sono sfrecciati a fianco durante i miei allenamenti sulla Mainradweg
...a ogni allenamento concluso alle 19, ed ogni volta era un po' più notte
...agli allenamenti a zero gradi; ma ad ottobre
...allo spavento nel vedere un polpaccio di un colore "rosso pompeiano"
...ai limoncelli rifiutati (e di conseguenza negati)
...alle levatacce domenicali per fare il pieno di energia in vista dei lunghi
...al Voltaren sui miei piedi
...e al Voltaren sulle gambe
...a tutto il sudore versato su Bergstraße durante le ripetute in salita
...e alla gente che in quel momento avrà provato a capire cosa mi muovesse a correre su quella salita
...ai sogni, alle speranze, quando vedevo che ogni lungo mostrava un miglioramento
...alle paure di non riuscire a concludere la maratona intero, dissolte in un giubilo ineffabile
...al giorno in cui un paio di calze nerazzurre mi provocarono una vescica sulla pianta del piede
...alla ferita sul collo del piede dopo la mezza a Norimberga, "eppure non ci si può ferire correndo"
...ai pranzi "von Hase", 100% verdura e frutta
...a Giulia, e allora comincio ad accelerare come per tornare più in fretta da lei
...all'aria rigida delle sere di Schweinfurt, che ti sbatte in faccia impassibile appena oltrepasso l'uscio di casa
...alla calcolatrice in mano per poter prevedere in quanto sarei arrivato
...ai calcoli per cercare di arrivare a casa ad un orario decente
...a quel muscolo infiammato che si, alla fine non mi ha tradito
...alla neve dell'ultimo interminabile lungo
...ai ragazzini che mi affiancano durante i miei allenamenti, che mi staccano, certo, ma non di tanto
...a tutte le pasticche di arnica, soluzione o semplice placebo?
...alle occhiate incredule dei vicini quando esco per correre
...alla corsa in una Mainradweg nel buio e nella nebbia, dove l'unica luce è quella del tuo cronometro
...a quella serie di ripetute sotto il diluvio, che alla fine, non fu poi così male (però, quanta acqua)
...al gelo di ottobre (ottobre!!!)
...a Giulia, che mi aspetta sempre al traguardo anche se il traguardo non è, perché chi si ama si aspetta, sempre

Tutta la gioia dell'arrivo

E ancora una volta (la settima), come sempre, a tutti coloro che hanno corso una maratona, o la correranno, una volta almeno nella vita.
Stefano

giovedì 14 gennaio 2016

Agli albori della scienza

In passato ho scoperto che il giorno successivo ad una maratona una fra le migliori idee può essere quella di visitare un museo. Si rilassa la mente, si cammina un po' e le gambe rimangono attive. Anche dopo la Firenze Marathon ho pensato che si potesse visitare un museo. Poi, a Firenze vi è l'imbarazzo della scelta: Uffizi, Bargello, Accademia, per citarne alcuni. Ma con solo due ore di tempo a disposizione, causa aereo, e soprattutto senza l'esperta di arte al mio fianco, ho preferito optare su una scelta totalmente inusuale ed alternativa, il Museo Galileo.

Galileo Galilei, padre della scienza moderna

Sia ben chiaro, non è un museo dedicato al grande scienziato pisano, forse il più grande precursore della scienza "moderna". Il Museo Galileo, che trova spazio nelle stanze di Palazzo Castellani, antico edificio con vista sull'Arno, va oltre il personaggio a cui è dedicato. Una visita al Museo Galileo è un viaggio nel mondo della scienza, quando essa era ai suoi albori. Il viaggio ripercorre la storia della fisica, della chimica e della matematica attraverso una impressionante raccolta - dal valore inestimabile - di oggetti provenienti dalle collezioni fiorentine dei Medici (al primo piano) e dei Lorena (al secondo piano).

Uno dei pezzi più pregiati della collezione medicea, la sfera armillare di Antonio Santucci

In sole due ore non è facile neanche per me, amante della scienza e che con la chimica e la fisica ci lavoro tutti i giorni, comprendere a fondo i meccanismi degli strumenti che trovano spazio nelle sale del Museo Galileo. C'è un sentimento di tenerezza, compassione - non so come definirlo - nell'osservare macchinari, oggi conservati come reliquie, che hanno permesso nei secoli scorsi di determinare le più importanti leggi che regolano l'universo. Sono sensazioni che scaturiscono dal mero confronto con le apparecchiature dei giorni nostri - elettroniche, precise, sofisticate.

Le cere ostetriche

Prendiamo per esempio i microscopi. Io trascorro regolarmente dalle due alle quattro ore della mia giornata lavorativa su un microscopio ottico. E poi guardo queste apparecchiature, che sembrano appartenere ad un'altra era geologica. I principi di funzionamento rimangono gli stessi, ma sono passati tre secoli. Che progressi, che grandi passi ha fatto il genere umano nella tecnica. E potrei continuare con il banco chimico. Quello esposto al Museo Galileo risale all'epoca del granduca Pietro Leopoldo (XVIII secolo): che bello poter vedere e poter immaginare chimici al lavoro, intenti a rivelare all'umanità i segreti che regolano la materia.

Apparecchiatura microscopica - proprio come oggi

Nondimeno impressionano altri oggetti presenti nelle sale del Museo Galileo. Su tutti spiccano i cannocchiali di Galileo - gli originali! - e le immense apparecchiature per le esperienze di chimica e di fisica, che mostrano quanto fosse all'avanguardia il movimento scientifico toscano. Una sorta di commozione mi pervade quando noto - in alto, non ben esposta - un primissimo esemplare di tavola periodica: molto rozza, perché tale non era ancora, ma sarebbe giunta poco dopo. E colpiscono le cere ostetriche, che mostrano numerosi casi di complicazioni durante il parto o di malformazioni ai feti, atlanti tridimensionali che sono stupefacenti.

Palazzo Castellani, sede del Museo Galileo

Si può non essere amanti della scienza o della tecnica, ma posso garantire che il Museo Galileo non può lasciare indifferenti. Perché si può essere brillanti conoscitori della fisica, o si può fare l'espressione stralunata di chi non mai capito un acca di chimica, ma non si può non provare stupore di fronte a ciò che è l'alba della scienza.
Bis bald!
Stefano

martedì 22 dicembre 2015

Cinque chilometri di passione - Il racconto della mia Firenze Marathon 2015

Prima di affrontare la Firenze Marathon, avevo vissuto vigilie pre-gara - per così dire - piuttosto agitate. La maratona, con tutta la preparazione che richiede, è una cliente esigente. Stefano Baldini disse che "alla maratona si dà del lei". Non si scherza con i 42,195 chilometri ed è questa sorta di timore reverenziale che mi ha sempre fatto vivere una vigilia con una bella dose di tensione, a volte sana, ma talvolta anche fatta di nervosismo. Sabato sera, più che in ogni altra occasione, avrei avuto più di un buon motivo per mettermi a letto con molta agitazione addosso. Nelle ultime due settimane ho convissuto con l'incognita-soleo, improvvisamente dolorante durante l'ultimo lungo (vedi post).

Il sorriso nel sapere tutta questa fatica sarà finita

Un'incognita importante, di quelle che non possono far dormire sonni tranquilli ad un maratoneta.
Invece, la serata di sabato è volata via in grande relax. Passeggiata nel centro storico di Firenze, un regalo per Giulia in una di quelle librerie raffazzonate e piene di volumi polverosi, il classico mezzo chilo di pasta pomodoro e basilico, un po' di televisione finalmente in lingua italica e una novità assoluta: il kinesiotaping fai da te. Dopo l'arnica, il ghiaccio e pomate varie, il cerotto magico è l'asso nella manica che mi ero riservato per la sera prima della maratona. "Bravo Stefano, hai scoperto l'acqua calda", qualcuno potrebbe pensare. Certo, peccato che quei cerotti me li debba mettere da solo. E non si tratta di metterli su una coscia, una zona di facile accesso, ma su un polpaccio. E metterli male potrebbe anche voler dire compromettere la gara. Mi studio i video di applicazioni e autoapplicazioni kinesio fino allo sfinimento. E poi procedo. Studio per benino il posizionamento del cerotto, la cosa più difficile. Strappo la carta, presto attenzione a non toccare la colla e inizio ad stenderlo sul polpaccio, con il polpaccio in tensione: basta estendere le dita dei piedi. Viene fuori un buon lavoro, al punto che mi faccio coraggio e mi incerotto anche il diaframma, un muscolo che non è mai molto rilassato. Operazione ancora più complicata, perché va effettuata a polmoni pieni, o a torace espanso affinché abbia successo. Anche qui mi pare di aver raggiunto un discreto risultato. Posso andare a dormire tranquillamente.

Il lungo fiume di maratoneti

La mattina inizia col solito rituale. Colazione, un bel po' di tempo in bagno, incerottamenti antivesciche, incerottamento nasale, vaselina, arnica, lavoro di spille per fissare il pettorale e vestizione. Poi si parte in direzione Lungarno Pecori Giraldi. Fuori è un po' nuvoloso, ok, ma soprattutto fa piuttosto freddo. Dalla mia bocca esce vapore acqueo a volontà. La macchina della maratona è in gran fermento, molti atleti si stanno già scaldando con intensità. Io invece, ancora con la testa a letto, me la prendo comoda. Sono momenti che vanno vissuti con estrema calma. Perché non capitano tutti i giorni, e questa emozione, così unica e complessa da descrivere, è cosa che mi succede una/due volte all'anno. Si ripete e si rinnova, sempre uguale e sempre diversa contemporaneamente.
Sono le 8.30 circa quando scrivo a Giulia per darle il mio messaggio di "arrivederci" al termine della maratona. È un momento importante, perché saluto colei che più di ogni altra persona sa e conosce i sacrifici che ho fatto. E perché è la donna che amo, punto. "Sarai vicina al mio cuore" non è una frase di rito ma la realtà. Per la Firenze Marathon ho voluto fare un po' di esibizionismo supplementare. Due cerottini classici dalla funzione totalmente nulla: uno è in segno di solidarietà con le vittime dell'attentato terroristico di Parigi, l'altro è per Giulia - rigorosamente sul braccio sinistro, dove più pulsa forte il motore che vorrei mi portasse al traguardo di Piazza Santa Croce.

Faccia perplessa davanti a Palazzo Pitti

Esco dal tendone, come molti altri, coperto da una mantellina appositamente fornita dall'organizzazione. Fa freddo. Su un prato lungo l'Arno svuoto per l'ultima volta la vescica e mi dedico a riscaldamento e stretching. Le sensazioni sono buone. Zero fastidi e tanta tanta voglia di correre, di dare gas alle gambe. Entro nella gabbia, cerco di guadagnare qualche posizione, poi mi fermo e attendo che giungano le 9.15. Lì si concentrano tre mesi di allenamenti, sudore, chilometri, giornate vissute in funzione della corsa, magliette dagli odori più terrificanti, discussioni, dolori muscolari. E nonostante ciò, un maratoneta vive per essere lì, nella gabbia di partenza, per poter godere di quei minuti in attesa dello sparo. Minuti che sembrano infiniti quando ci si schiera, minuti che scorrono troppo celermente quando l'ora del via. Impressionante poi, il minuto di raccoglimento per le vittime del terrorismo. Non c'era alcuna vibrazione in grado di scalfire quel muro di silenzio.
Arrivano le 9.15. Guardo ancora in alto per qualche secondo, un'ultimo sospiro prima della corsa, quindi si parte verso il settimo traguardo sulla distanza della maratona.

Il via alla Firenze Marathon 2015

I primi chilometri scorrono molto veloci. Forse anche fin troppo veloci. Le gambe si muovono bene, non ho alcun segnale di fastidio, mi sento in grande forma. Sono le prime falcate, quelle in cui ogni maratoneta si sente di poter spaccare il mondo. Eppure sono i più difficili, perché bisogna sapersi controllare. Ultimamente riesco a farlo meglio che in tempi passati, ma quando mi ritrovo davanti il muro di atleti che rimangono appiccicati ai palloncini delle 3h15' (che si muovono anche troppo velocemente), decido di non badare troppo a secondi in più o in meno. Quel muro non mi piace, mi dà fastidio, lo devo superare. Che non vuol dire, molto semplicemente, mettere la freccia e sorpassare. Ci va più tempo, necessito di un paio di chilometri corsi tra 4'17"/km e 4'23"/km, un passo decisamente veloce. Questi sono i chilometri caratterizzati dai grandi corsi esterni di Firenze, viali nei quali il popolo della maratona può "disperdersi" perfettamente.

Primo, emozionante, passaggio in Piazza del Duomo

Poco dopo i sei chilometri di corsa inizia un settore importante di gara, un settore lungo poco più di otto chilometri, nel quale si scrive una fetta importante della propria performance. Sono gli otto chilometri del Parco delle Cascine. Importante è non strafare, non seguire l'istinto che ti direbbe di andare a superare uno dopo l'altro chi ti precede. So che che nei primi chilometri sono andato forte - forse anche fin troppo forte - ed è quindi il caso di rallentare un attimo. Entro nel parco ad un passo che mi permetterebbe di chiudere in 3h07', un sogno, ma non realistico; ne esco con un passo da 3h09', un'altra musica. Veramente, non è facile tenere a bada le gambe e sforzarsi di correre cercando di non superare i 4'30"/km. Il parco è un tratto di maratona che all'apparenza può essere divertente ma in realtà è assai noioso, il panorama è monotono e si aspetta sempre di poterne uscire. Quando, finalmente, arriva quel momento, inizia tutta un'altra corsa.

Un treno di runner pronto a superare il sottopassaggio (© Andy Shtilla/Germogli)

Dopo la svolta a destra, verso il sottopassaggio di Piazzale Vittorio Veneto, si affronta il primo ponte sull'Arno e si imbocca un lungo tratto di Lungarno. Continuo a correre molto bene, in quanto il tempo che impiego a percorrere un chilometro oscilla sempre intorno ad una media di 4'30". Continuando su questa scia, si potrebbe pensare veramente di chiudere in 3h10'. Ma non mi illudo, la maratona è un cliente complicato e ciò che si sogna al quindicesimo chilometro è spesso una chimera. Metro dopo metro, tutto può cambiare. Ad esempio, può cambiare il terreno di corsa. Dopo il Lungarno c'è un curvone a destra per prendere Via dei Serragli; qui comincia un tratto di asfalto in pessime condizioni, che dura per qualche centinaio di metri, e si sente già una differenza nella scioltezza di corsa. Non basta la folla assiepata in quel tratto di percorso ad alleggerire la sensazione di fatica che sovviene in quei momenti, dovuta ad un terreno più difficile e anche alla leggerissima salita verso Porta Romana. Salita che, comunque, è fortunatamente seguita dalla discesa verso Palazzo Pitti (tra l'altro, ma quanto è grande?) e verso Ponte Vecchio.

Tutta la sofferenza in Lungarno Vespucci

Il tempo per affrontare Ponte Vecchio è però ancora immaturo, sono trascorsi poco più di diciannove chilometri e lì non sono ancora passati neanche i campioni della disciplina. No, c'è ancora molta strada da lasciarsi alle spalle prima di ritornare a Ponte Vecchio. C'è ad esempio un altro lungo tratto di Lungarno, che porta al Ponte San Niccolò, sul quale ricade in pratica la mezza maratona. In quell'istante il mio ritmo di corsa è ancora ottimo e sotto il passaggio ai 21,097 km è ancora incoraggiante: se ripetessi una seconda metà di corsa come la prima potrei terminare veramente in 3h10'. Continuo a dire fra me e me che non è possibile, che sto andando troppo forte, che dovrei salvare un po' la gamba e tutta una serie di cose così. Eppure sto bene, mi sento di poter mantenere quel passo. Tutto ciò fino al chilometro numero 24.

I top runner nei loro primi chilometri di corsa

Siamo in via Aretina, la maratona ha già superato i confini più orientali del percorso; la strada sembra presentare anche una leggera salita. Inizio a sentire le prime avvisaglie di stanchezza, non un dolore specifico, nulla di terribile, ma è un segnale. Qui si cambia registro, la corsa non sarà la stessa. Si potrebbe dire che è una mini-crisi, che dura circa due chilometri, in cui inizio a segnare tempi rispettabilissimi (4'32"/km è ancora un ottimo passo), ma l'impressione è che debba forzare l'andatura per restare in linea con il passo medio. Tutto sembra svanire come d'incanto quanto si entra nel tratto che conduce i maratoneti a correre nella zona degli stadi. Penso "almeno io sì che potrò fare il giro dello stadio Artemio Franchi", non come quell'invasato dell'ex giocatore della Juventus Amauri (che sognava di fare il giro dello stadio se avesse segnato un goal alla Juventus indossando la maglia della Fiorentina). Non so se è questo pensiero che mi distrae per un attimo dalla corsa, ma la realtà è che mi sento meglio ora, che le gambe sembrano ritornate a fare il loro dovere. Ok, non proprio come dopo quattro chilometri di gara, ma le sensazioni sono migliori. Sono più tranquillo, anche pensando ai miei tribolati finali di gara.

Gruppo ancora compatto, prima di entrare nel Parco delle Cascine

Ma la maratona è lunga. Non ci si può rilassare con la mente. Neanche un attimo, a meno che il traguardo sia già stato superato. Non è finita finché non è finita, punto. Perché gli imprevisti, o le sorprese, sono sempre dietro l'angolo. O al chilometro 30: famosa tra i maratoneti è la "crisi del trentesimo chilometro". Un atleta davanti a me borbotta "sempre 'sti cazzo di maledetti ultimi dodici chilometri". Quasi a volerlo fare apposta, in un momento in cui la strada tende impercettibilmente a salire, lì mi coglie la seconda mini-crisi della mia corsa. Nulla di folle, non un crollo improvviso, ma la coscienza che quel ritmo a lungo non si può ancora tenere per molto. Rimango tranquillo perché so che ho corso talmente forte prima che anche con un deciso rallentamento posso comunque chiudere con un ottimo tempo finale. Nonostante ci si metta di mezzo un cavalcavia folle. È il cavalcavia dell'Affrico, un enorme ponte sulla linea ferroviaria che in breve arriva a Campo di Marte. Le pendenze di questa salita sono a prima vista spaventose: 15% forse? Si vede che è un cavalcavia tosto, di quelli che non conviene affrontare con rabbia. Meglio intraprenderlo con calma, senza esagerare e poi pagare qualche centinaio di metri dopo. I chilometri 31 e 32 vengono corsi a 4'39"/km e 4'38"/km, frutto di un piccolo cedimento e di una cavalcavia massacrante. Poi la discesa... da questo momento mi aspetta una curva a destra e poi il lungo viaggio verso il centro di Firenze. La fine si avvicina, la parte più emozionante della maratona si avvicina!

Fatica, gioia... cosa?

Il cuore di Firenze è sempre più a portata "di gamba", non vedo l'ora di arrivarvi. Di chilometri ne ho già corsi parecchi, e le gambe iniziano a cementificarsi, come se le fibre muscolari iniziassero a tessere una trama in grado di bloccarne ogni movimento. Ma ci sono ancora energie per correre veloci. Nei successivi quattro chilometri mantengo ancora un bellissimo ritmo: 4'35", 4'34", 4'30", 4'27"/km. Per essere tra il chilometro 33 e il chilometro 36, niente da dire, anzi, sono tempi strabilianti. Seppur a corto di energia, riesco a trarre il meglio da alcune situazioni, come nei sorpassi nei pressi di Piazza della Santissima Annunziata, a scapito di alcuni podisti chiaramente piemontesi (le canottiere delle squadre torinesi me le ricordo ancora bene), o dal tifo indemoniato al quale assisto in Via dei Martelli, preludio all'improvvisa comparsa davanti al mio sguardo, di Santa Maria del Fiore e del Battistero. Un momento di puro godimento, tanta gente ad acclamare e a sostenerti nel momento in cui la forza inizia a venire meno. La spinta del pubblico a volte può fare i miracoli.

Il trampoliere all'uscita di Ponte Vecchio (© New Press Photo)

Superata Piazza San Giovanni si imbocca Via Roma per poi svoltare a destra in Piazza della Repubblica, una delle più belle di Firenze, anch'essa gremita di tifosi. Il passaggio sotto l'arco che delimita il lato occidentale della piazza è da brividi, per il calore del pubblico. E per il freddo che l'ombra trasmette sulla pelle sudata. A partire da Piazza della Repubblica il tifo inizia a scemare, in quanto si sta abbandonando il cuore del centro storico di Firenze. Le strade si fanno strette, ombrose, questa è la Firenze più vecchia. Sento ancora sensazioni positive, nonostante la stanchezza stia già bussando alla porta. Vedo che il cronometro inizia a segnare tempi più elevati ma non mi preoccupo più di tanto, quando raggiungi il chilometro 37 è anche normale, no? Non si può rimanere freschi come una rosa lungo l'intero percorso. Poi, accade ciò che non ti aspetti.

Il canale nel Parco delle Cascine (© Andy Shtilla/Germogli)

Ho da poco superato il chilometro 37, mi trovo in un'ampia strada non lontana da Santa Maria Novella, Via Il Prato. Vedo che il passo si è alzato improvvisamente. Eppure... a me non sembra di aver rallentato. C'è una doppia curva a sinistra, per prendere Via Montebello. In quell'istante, tac, si spegne la luce. Le gambe non ne vogliono più sapere, si bloccano improvvisamente. Non so cosa può essere successo, ho sempre pagato i finali di gara in qualche modo, ma un crollo così repentino non l'avevo mai vissuto. E mancano poco meno di cinque chilometri. La strada è ancora lunga e ora inizia ad affiorare un po' di paura, la paura di non poter chiudere sotto le 3h15', l'obiettivo inseguito da tanto tempo, nonostante io sia arrivato al chilometro 37 con tutte le carte in regola per provare a chiudere ben tre minuti più veloce. Bisogna arrivare alla fine, sulle gambe in pratica non posso più fare affidamento ora, questo è il momento che sia la testa a portarmi all'arrivo di Piazza Santa Croce.

Stringevo i denti, eccome se li stringevo...

Le strade che portano a Piazza Santa Croce le ricordo alla perfezione. Quando inizio il Lungarno Vespucci credo che il più sia fatto, la strada riporta in centro. Ma di chilometri ne mancano ancora quattro e mi sembra di non trarre giovamento alcuno dagli incitamenti del pubblico. Sono veramente alla frutta, vedo tanti che mi sorpassano, ora. C'è un ponte, Ponte Santa Trinità. Attacca in salita, senza sconto alcuno. Pochi metri, ma sono una coltellata alle mie cosce. Ci si rimette per poche centinaia di metri sulla sponda destra dell'Arno e si entra in Borgo San Jacopo. Lì la stanchezza e la fatica si trasformano in paura. A causa dello sbalzo termico tra un tratto soleggiato ed un tratto ombreggiato (in Borgo San Jacopo la strada è stretta e i palazzi alti), suppongo, la vista mi si annebbia improvvisamente e mi sembra di poter stramazzare al suolo da un momento all'altro. Una sensazione bruttissima, mai provata prima durante una gara. Chiudo gli occhi un attimo, poi li riapro e guardo il cerotto sul braccio sinistro. Non si deve mollare. Nonostante tutto, c'è ancora la lucidità per arrivare in fondo. Ma ora è proprio il turno di Ponte Vecchio. Mamma mia, Ponte Vecchio. La salita di Ponte Vecchio squarcia in due le gambe. Mentalmente, madonne e santi vengono tirati giù dai loro scranni tra le nuvole. Sono pochi metri, ma sembrano decine, centinaia, migliaia. Quel lastricato è tremendo, durissimo. Sono i piedi che vi appoggiano sopra o sono le caviglie? Ciò che sento è una percezione di affanno incalcolabile. Vado così piano che le persone sul percorso hanno il tempo di leggere il mio nome sul pettorale e provare ad incitarmi.

Via delle Cascine

Non so bene per quale magia riesco a ritrovare un barlume di energia poco dopo aver superato Ponte Vecchio. C'è un po' di discesa e soprattutto ci sono i due passaggi più emozionanti. Prima c'è Piazza della Signoria, una di quelle piazze che attraversate durante una maratona spiegano alla perfezione il perché del tanto sacrificio di mesi per arrivare fin lì. Sono ovviamente brividi di grande gioia, quando svolto a destra e di fronte a me appare, grandioso in tutta la sua mole, Palazzo Vecchio. Poi Via dei Calzaiuoli. Altro calvario, prima di ritrovare lo slancio in Piazza del Duomo. Si passa tra Santa Maria del Fiore e il Battistero di San Giovanni, tra due ali di folla. Nonostante la fatica, nonostante l'acido lattico, nonostante tutto ciò che si può pensare in quei secondi, questi momenti sono l'estasi del maratoneta. Questi luoghi non si possono correre ma noi maratoneti si, li possiamo correre, come i grandi atleti e in mezzo a migliaia di altri atleti. Valicare l'angusto passaggio tra due dei simboli di Firenze è come aver conquistato una montagna... perché dai, ora che sei giunto lì, quanto potrà mancare ancora? Poco? Tutto è relativo: sono pochi o sono tanti due chilometri?

Piccolo al confronto con Palazzo Vecchio

Giro attorno al Duomo, alzo un pochino la testa per distrarmi e trovare energia nel marmo della cattedrale fiorentina, ma di energia proprio non ce n'è più. Cerco di capire quanto può mancare, perché anche la forza di guardare ancora l'orologio è finita. E non voglio vederlo! L'ultima volta che l'ho fatto avevo visto che stavo correndo ad oltre 5'/km. Meglio non farsi scoraggiare dai numeri.
Quando di fronte compare il Museo del Bargello, bisogna svoltare a sinistra, in Via Ghibellina. Sono alloggiato non lontano proprio da questa via e so quanto sia lunghissima questa stretta strada fino alla zona della partenza dalla quale bisogna ripassare. Infatti, è eterna. Quel lungo rettilineo, tutto in lastricato sembra una strada senza una fine vera e propria. Qui scatta l'ora dell'ultimo chilometro di corsa. Un ultimo chilometro da correre a denti stretti, sperando che sia anche breve e facile. Una curva a destra, per ritornare in Viale della Giovine Italia, da dove è partita la corsa poco più di tre ore prima. Lì compare la Torre della Zecca Vecchia, e inizio a realizzare dentro che ormai è fatta. Da lì - apparentemente - non può mancare molto.

Solite bischerate alla fiorentina

Bisogna stringere fortissimo i denti, perché i metri da correre sono ancora solamente più una manciata. Svolta a destra su Lungarno della Zecca Vecchia. Un tifoso ci urla che mancano cinquecento metri, che è finita. Finita un corno. Si scende a destra, davanti alla Biblioteca Centrale di Firenze, poi una curva a destra. La folla è sempre più gremita, capisco che ce la faccio, niente mi può fermare, ora. Sicuro? Davanti a me un podista si ferma improvvisamente. Dal gesto e dal movimento capisco immediatamente che si è stirato qualche muscolo. Questa è una scena che vorrei mai provare personalmente, ma neanche vedere perché posso comprendere la delusione di quell'atleta. Ma sono obbligato a vederla e quindi a scansarlo - era proprio davanti a me. Compaiono i miei genitori, a Firenze per sostenermi, poco prima di Santa Croce. Urlo loro un liberatorio "visto che ce l'ho fatta ancora?", forse perché, alla fine, i figli dovranno sempre dimostrare qualcosa ai loro padri e alle loro madri, indipendentemente dall'età raggiunta. E io credo di aver dimostrato loro quanto mi hanno messo al mondo forte e quanto mi hanno cresciuto tenace, in un'occasione come questa in cui sono stato messo a dura prova.

-2 chilometri, più o meno

Sotto i miei piedi c'è già il tappeto blu. L'arrivo è ad un passo, Santa Croce è già visibile. L'ultima curva, poi l'arrivo. Provo uno sprint, se possiamo chiamarlo così, dopo tutta quella fatica. Ma non si sente più niente, quando c'è l'arrivo la gioia ricopre ogni sensazione di dolore. Stavolta ce l'ho fatta, so che l'obiettivo non mi è sfuggito. Esulto, perché so di essere arrivato in fondo ancora una volta, perché so di essermi migliorato, perché ho alzato l'asticella dei miei confini, perché so che ho scavato dentro di me nel profondo durante gli ultimi tre mesi (nel quale si cresce, sempre). e perché i muscoli, soprattutto quelli per cui temevo hanno resistito senza alcun tipo di noia. Sul traguardo di Piazza Santa Croce, in questa incantevole cornice, in questa splendida domenica di novembre, mi lascio andare ad un gesto di esultanza senza freni. È lo sfogo, dopo tre mesi intensi di lavoro duro e dedizione all'allenamento. Molto lestamente, mi giro per guardare il cronometro di corsa. Segna tre ore e quattordici. Ce l'ho fatta, sono sceso sotto le 3h15' in maratona. Non so con quale tempo di preciso, ma ce l'ho fatta. Sarà un bellissimo tempo, 3h14'32", più di un minuto meglio che all'ultima maratona, corsa ad Amburgo sette mesi prima.

L'arrivo in Piazza Santa Croce

Metto una medaglia al collo, sudata, sospirata, attesa, guadagnata ma soprattutto meritata. Il valore di questo pezzo di metallo al collo è tutto negli ultimi chilometri. La crisi è stata tale che gli ultimi cinque chilometri li ho corsi in 4'57"/km, un passo incredibilmente lento. Rispetto alla media di corsa che avevo mantenuto prima di entrare in crisi, ho perso ventisei secondi ad ogni chilometro. Potevo veramente chiudere con due minuti in meno. Ma non è questo che mi rende meno felice. Volevo partire un po' più forte del solito, provarci, fare una corsa coraggiosa e chiudere senza rimpianti, senza dover dire "se fossi partito più forte, però...", dare tutto, insomma. Ci sono riuscito e alla fine il mio atteggiamento ha pagato. Credo di aver subito anche il lastricato di Firenze, micidiale, e alcuni tratti di asfalto assolutamente inconcepibili. Valgo qualcosa in più delle 3h14' della Firenze Marathon 2015? Forse si, ma non me ne preoccupo, ora. La risposta ce l'avrò solo nel 2016. Ora solo riposo per membra stanche e per un animo felice. E con una maratona in più.
Bis bald!
Stefano

sabato 19 dicembre 2015

(C)ome la vuole la bistecca?

"Perché poi – fuori di Toscana – un la sanno nemen tagliare: la fanno bassa, senza filetto... Basta tu guardi le bistecche disossate! Icché le sono: braciole! Ma pe' noi la bistecca... arta tre diti! Ma un la sanno nemmen còcere... la bistecca: zàzzà! e via!"
Accademia della Crusca

Un chilo di piacere (fonte: mangiaguardagodi.it)

Ciao a tutti!
Potrei ricordare il 2015 anche come l'anno di un sogno da tanto tempo conservato nel cassetto e finalmente esaudito: provare finalmente la bistecca alla fiorentina. Per farlo sono dovuto andare a Firenze a correre una maratona e quale occasione migliore della cena post-gara per rifocillarsi con uno dei piatti simbolo della cucina toscana? Un chilo di bistecca cotta al sangue (accoppiato ovviamente ad un buon Chianti), per recuperare le energie spese durante i 42,195 chilometri della Firenze Marathon, è proprio quello che ci andava.
E così, torno da Firenze con una tanto desiderata esperienza enogastronomica in più, un momento di puro piacere (per altro trascorso ad una manciata di metri da Santa Maria del Fiore, nelle vecchie botteghe di Donatello), di quelli che possono caratterizzare un intero fine settimana, una vacanza tutta. Forse, esagerando, anche più della stessa maratona.
Dopo la mia prima bistecca alla fiorentina, su una cosa posso mettere la mano sul fuoco, alla faccia di vegetariani e vegani. Non ci saranno mai più visite a Firenze o in Toscana, senza un pezzo di lombata del vitello di razza chianina, alta almeno cinque centimetri e cotto non oltre dieci minuti. Love it!
Bis bald!
Stefano

giovedì 17 dicembre 2015

Occhi sulla piazza

Ciao a tutti!
Firenze è una città in grado di ammaliare tutti coloro che vi si recano in visita. D'altronde, con la quantità di cultura e di bellezza che vi si può trovare, è presto spiegato. Ma una cosa più di ogni altra mi ha sempre stregato del centro storico fiorentino, forse perché costituisce un unicum nel mondo, ed è la Loggia della Signoria, forse più conosciuta come la Loggia dei Lanzi.

Un monito su Piazza della Signoria

Perché sento il fascino di questo monumento storico fiorentino? Forse perché mi piace essere travolto dal fascino di un qualcosa di assolutamente unico al mondo (si, ok, a Monaco di Baviera c'è qualcosa di simile, o meglio, ampiamente ispirato alla Loggia dei Lanzi, ecco). Non conosco altrove, in così pochi metri quadri e in una simile cornice, una tale quantità di arte esposta al pubblico. E poi, le forme: il porticato della Loggia dei Lanzi trasforma l'esposizione di alcuni capolavori della scultura italiana in un vero e proprio spettacolo teatrale. Solo a Firenze l'arte viene esposta in questo modo, con grandissimo coraggio. Gli spazi ampi della Loggia dei Lanzi permettono di fermarsi un attimo in più, a contemplare la leggiadria dei marmi e dei bronzi che trovano superbo riparo sotto questo "tetto" edificato nel XIV secolo, durante il primo periodo della Repubblica fiorentina.

La Loggia dei Lanzi

La Loggia dei Lanzi ha una storia tutta sua già nel nome e nella sua costruzione. Il nome deriverebbe dal numero corposo di lanzichenecchi che formavano la guardia privata di Cosimo I de' Medici. La costruzione risale alla fine del Trecento e fu commissionata per ospitare le cerimonie pubbliche della Repubblica. Dal Cinquecento, essa fu utilizzata per esporre alcune opere scultoree, che però non furono scelte a caso. Una di queste, la più celebrata tra le presenti, fu addirittura commissionata dal Granducato di Toscana. Si tratta del Perseo con la testa di Medusa, il bronzo di Benvenuto Cellini.

Il Ratto delle Sabine del Giambologna

Quest'ultima opera ha una storia piuttosto distinta, a partire dalla commissione di Cosimo I de' Medici: nelle sue intenzioni si voleva simboleggiare, con il taglio della testa di Medusa da parte di Perseo la fine dell'esperienza repubblicana a Firenze, e con i serpenti che escono dalla testa le numerose discordie create dalla repubblica stessa. Ma la fama dell'opera di Cellini sta nella sua tecnica di realizzazione: non per brasatura, come la maggior parte dei bronzi, ma per fusione. L'operazione fu molto complessa (basta vedere quanto è distante la testa di Medusa dal corpo centrale di Perseo), si narra addirittura che Cellini dovette fondere le stoviglie presenti nella sua abitazione e bruciare alcuni mobili.

Perseo con la testa di Medusa di Benvenuto Cellini

Oltre all'ottocentesco Ratto di Polissena e al "romano" Patroclo e Menelao, le altre due opere di rilievo appartengono al Giambologna. Si tratta del Ratto delle Sabine e di Ercole e il centauro Nesso, capolavori della scultura marmorea, due opere che fanno della torsione la loro caratteristica principale. Non si possono osservare da un solo lato, vanno circoscritte con lo sguardo, circumnavigate, per poterle ammirare in tutta la loro potenza. Perché di potenza si tratta, che sia quella di Ercole nell'intento di uccidere il centauro Nesso o dell'uomo che rapisce con rabbia una giovane donna. Il marmo scolpito dal Giambologna sembra sprigionare audacia e forza viva. Ed emoziona, non c'è null'altro da aggiungere. Come tutte le altre opere che giacciono sotto la volta della Loggia dei Lanzi, come tutte le altre statue di Piazza della Signoria, è pietra che prende vita.
Bis bald!
Stefano

domenica 13 dicembre 2015

La casa di Firenze

Ciao a tutti!
Cosa sarebbe Firenze senza il complesso del Duomo? Beh, di certo non sarebbe la stessa cosa. Da oltre millecinquecento anni, l'area tra Piazza San Giovanni e Piazza del Duomo - entro i quali confini sorge questo insieme di cultura e storia - segna la vita dei fiorentini, nonché la loro ricchezza, economica e artistica. Perché il complesso del Duomo di Firenze rappresenta un vero e proprio museo a cielo aperto. In questi pochi metri quadri sono racchiusi capolavori inestimabili della pittura (la cupola del Duomo affrescata dal Vasari), della scultura (la Porta "del Paradiso" nel Battistero di San Giovanni) e dell'architettura (il Duomo con la cupola del Brunelleschi e il Campanile di Giotto). E ho citato solo alcuni esempi.

Un'affollata Piazza del Duomo, anche di notte

Visitare l'opera del Duomo, composta dal Battistero di San Giovanni, la Cattedrale di Santa Maria del Fiore, il Campanile di Giotto e l'opera del Duomo, è estremamente semplice. Con la cifra di soli quindici euro (può sembrare una cifra esagerata, ma per il valore di ciò che si visita, si potrebbe quasi definire modica) si può visitare tutto il meraviglioso complesso al centro di Firenze. Ok, visitare Firenze novembre non è come visitarla a maggio o ad agosto, ma di coda ne abbiamo fatta veramente poca. Bello visitare un'opera come il Duomo di Firenze con questa calma.

Il Duomo di Firenze nella sua interezza

Comincerei il percorso alla scoperta dell'opera del Duomo dall'edificio più antico, il Battistero di San Giovanni. Così antico che in origine era probabilmente un tempio pagano, anche perché lo suggeriscono le sue forme ottagonali. Il Battistero come lo si conosce ora, ha origine a partire dall'XI secolo, durante il quale viene ricostruito utilizzando i pregiati marmi della Toscana. Ma è solo nell'epoca rinascimentale che il Battistero accoglie ciò che lo rende unico, ossia le porte bronzee e i gruppi marmorei che le sovrastano. Ovviamente, la star del Battistero, quella più cercata dai turisti e dalle loro macchine fotografiche, è quella orientale, la Porta "del Paradiso", un colosso bronzeo ricoperto d'oro che racconta le più famose scene dell'Antico Testamento. Da guardare e riguardare all'infinito, come anche anche l'interno del Battistero...

Battistero di San Giovanni, lato orientale

...che non è assolutamente da meno dell'esterno. L'ambiente a cupola, anch'esso dalle forme più pagane che cristiane, rappresenta una grande miscela tra diverse culture, quella araba nel pavimento, quello classico nelle colonne di marmo e soprattutto quella bizantina nella cupola. Proprio la cupola è l'attrazione dell'interno del Battistero. La grande figura di Cristo domina superba su tutto il resto della cupola e la divide in una sorta di giudizio universale, nel Paradiso (alla sua destra) e nell'Inferno (alla sua sinistra). Attorno, a diversi livelli concentrici, i mosaici continuano nella loro estensione, con il racconto delle più famose storie provenienti dalla Bibbia. Una bellezza che distrugge il collo.

La cupola del Battistero

Usciti dal Battistero, il percorso alla scoperta del più grande complesso ecclesiastico fiorentino prosegue naturalmente con la Cattedrale di Santa Maria del Fiore, un edificio che, come altri in Italia (penso al Duomo di Milano o San Pietro), ha richiesto secoli (quasi due) per essere portato a termine. E ha inoltre visto i contributi dei più grandi artisti di quel tempo, dall'Arnolfo di Cambio che pose la prima pietra della facciata e che stese il primo progetto, a Filippo Brunelleschi, che in sedici anni portò a termine la più spettacolare cupola esistente al mondo. Il risultato è qualcosa di stupefacente, di immenso per dimensioni dell'intera cattedrale, e di sbalorditivo per l'effetto cromatico tra i blocchi di marmo di diversi colori: sulla facciata si passa dal bianco del marmo di Carrara, al verde del marmo di Prato, fino al rosso del marmo maremmano.

Facciata di Santa Maria del Fiore

Se la facciata, così decorata che risulta difficile orientarsi nella sua comprensione, è veramente molto ricca, non si può dire altrettanto dell'interno, che colpisce ad una prima occhiata per l'enorme ampiezza spaziale e la sobrietà nelle decorazioni. Il fatto che Santa Maria del Fiore fu costruita a spese del Comune di Firenze lo si vede proprio nella decorazione della cattedrale: sulle navate trovano infatti spazio alcuni personaggi illustri della vita fiorentina, come i ritratti di Giotto, Brunelleschi e Arnolfo di Cambio, nonché il famoso dipinto di Domenico di Michelino che raffigura Dante con la sua Commedia.

Un campanile che svetta nel blu

L'apice della meraviglia dell'interno di Santa Maria del Fiore si tocca però ovviamente con la cupola. La decorazione, eseguita da Giorgio Vasari e Federico Zuccari nell'arco di otto anni di lavoro, ha lo stesso tema della decorazione della cupola del Battistero, ossia il giudizio universale. Esattamente come nel Battistero, il giudice dell'aldilà divide la superficie della cupola: in basso l'inferno, raffigurato simbolicamente dai peccati capitali; al centro e in alto il paradiso, rappresentato dai santi, dagli angeli e dalle virtù. L'effetto visivo che si ha dal basso è assolutamente mirabolante. È assolutamente ammirevole lo sforzo che fu fatto dal Vasari e dallo Zuccari, in termini di prospettiva, per garantire all'affresco della cupola un'ottima visuale dall'altare e dalla navata centrale. Lo si nota soprattutto durante la salita alla cupola, in cui si può camminare, per qualche secondo, a pochi centimetri da questi affreschi: le figure rappresentate risultano visibilmente deformate per poter essere ammirate nelle loro forme migliori dal basso.

Il lato interno della cupola

A due passi dal capolavoro

E poi c'è la cupola del Brunelleschi, il fiore all'occhiello dell'intero complesso. All'epoca della sua costruzione, essa era la più grande cupola esistente al mondo e tuttora rimane la più grande tra quelle costruite in muratura tradizionale. Secondo alcuni critici, la cupola di Santa Maria del Fiore è addirittura la più importante opera architettonica dai tempi dell'Impero romano. La storia della sua costruzione è un grande romanzo della storia dell'arte, e probabilmente meriterebbe un post a parte. Si può riassumere in due fasi: inizialmente fu la sfida iniziale tra Ghiberti e Brunelleschi, vinta poi da quest'ultimo, artista più completo ed originale; quindi venne il tempo della sua realizzazione, un lungo percorso ad ostacoli, tra le difficoltà tecniche di costruzione e i calcoli di progettazione: le dimensioni, che toccano quasi i 55 metri nel diametro esterno, erano di gran lunga superiori ad ogni altra cupola mai realizzata.

La cupola magica

Per molto tempo si è dibattuto sul segreto della cupola di Brunelleschi: con le tecniche di costruzione allora conosciute sembrava impossibile erigere una cupola di tali dimensioni. Il segreto stava nell'orditura a spina di pesce dei mattoni, ma la vera funzione di questa disposizione fu scoperta solamente nel XX secolo.
Ci si può rendere conto della magia di questa costruzione salendo in cima alla cupola. Il percorso di salita, dopo essere risaliti tra le mura della cattedrale, segue il perimetro della base della cupola e poi si incunea tra le due cupole - quella interna è la vera cupola, quella esterna fu creata per funzioni estetiche e di protezione. E una volta in cima, certo, c'è il panorama su Firenze, ma c'è anche tutta l'ammirazione per questa grande opera di ingegneria, un grande vanto dell'architettura italiana.

A precipizio verso Piazza del Duomo

Firenze e la cupola del Brunelleschi hanno un altro punto di osservazione privilegiato, ed è ovviamente il Campanile di Giotto. La salita è doverosa, è un'esperienza obbligatoria, nonostante siano poco più di quattrocento gli scalini, che tramite tratti di scala ripida e stretta risalgono la torre campanaria eretta sotto la guida di Giotto (e dopo la sua morte, da Andrea Pisano). È un campanile che sa tenere testa con grande forza alle sue "rivali" in altezza, la torre di Palazzo Vecchio e la Cupola del Brunelleschi. Al suo culmine, Firenze è ai nostri piedi, in tutta la sua completezza.
Uno spettacolo che mi godo per la seconda volta nella mia vita e del quale non potrei mai stufarmi.
Ma come ci si potrebbe mai stufarsi di Firenze e del suo Duomo?
Bis bald!
Stefano

lunedì 7 dicembre 2015

Nessun dubbio, piazzale Michelangelo

Ciao a tutti!
Il titolo del post non è altro che una risposta. Risposta a domanda precisa: "cosa vogliamo vedere per prima cosa a Firenze?". E allora ogni incertezza viene spazzata via. Il luogo che più di ogni altro incarna la bellezza fiorentina globale è la grande balconata sull'Arno e sul centro storico di Firenze. Non credo che molte altre città italiane possano vantare un simile panorama sull'intero centro storico. Probabilmente Roma e Torino, altre ora non mi sovvengono. Ma questo, per colpo d'occhio e qualità è forse il migliore.

Firenze da Piazzale Michelangelo: senza parole

Bisogna scarpinare un pochino, certo. Piazzetta San Miniato, poi in salita su una già panoramica Scalea del Monte alle Croci, dunque si arriva in una location da brividi (ex-partenza della maratona, tra l'altro). Da Piazzale Michelangelo la vista su Firenze è assolutamente grandiosa e diventa speciale se si aspettano le luci del tramonto, verso ovest, quando la torre di Palazzo Vecchio e il marmo di Santa Maria del Fiore si tingono di rosa. La prospettiva gioca gli occhi quando questi si volgono a sinistra, alla ricerca dell'Arno - un po' nascosto da vegetazione ed abitazioni - e dei suoi ponti, che solo da Piazzale Michelangelo appaiono così stranamente vicini l'uno all'altro. E poi ci sono le dolci colline di Firenze, le sue chiese inconfondibili, come Santa Maria Novella e Santa Croce, Fiesole.

Verso San Miniato

Ma non bisogna dimenticare ciò che dà il nome a questa balconata: Michelangelo Buonarroti e il suo David, (una delle copie, l'originale è nella Galleria dell'Accademia) che troneggia al centro del piazzale, come a voler dominare la città in cui il grande maestro aretino ha fatto grandi cose. Nell'intento di Giuseppe Poggi, l'architetto che ha sostanzialmente creato Piazzale Michelangelo, qui doveva sorgere un museo dedicato esclusivamente al grande artista del Rinascimento. Questo non fu mai realizzato, forse a causa degli stessi fiorentini, scandalizzati dal quantitativo di denaro speso per la ristrutturazione dell'area: i lavori di Piazzale Michelangelo furono compiuti proprio durante il periodo in cui Firenze fu capitale d'Italia.

Il David di Michelangelo (una copia)

Non serve camminare molto per raggiungere un altro gioiellino di Firenze, la Basilica di San Miniato al Monte. È un'opera inconfondibile del romanico fiorentino, dalla quale sono stati ispirati il Battistero di San Giovanni e la Basilica di Santa Maria del Fiore. Non a caso, l'accostamento cromatico tra il marmo bianco e il serpentino verde è proprio ritrovabile in queste due costruzioni. Ma è anche chiesa inconfondibile perché osserva Firenze da secoli, e che a sua volta viene guardata dai fiorentini e dai turisti che si trovano a percorrere il Lungarno.
Per osservarla più da vicino invece, bisogna risalire una scalinata che ha del sacro, del monumentale. Forse per la presenza dell'elegante cimitero ai fianchi della scalinata stessa? L'eleganza è parametro fondamentale per questo cimitero (detto "delle Porte Sante"), in cui sono sepolti alcuni personaggi illustri: tra i vari, Carlo Collodi, Giovanni Spadolini, Vasco Pratolini e Mario Cecchi Gori.

Attrazione di San Miniato: il mosaico del Cristo Redentore

La facciata di San Miniato, come già detto esempio del romanico fiorentino, presenta al centro un mosaico. Questo non è altro che la versione "mignon" del mosaico del Cristo Redentore che adorna l'abside. Una vera meraviglia in un contesto molto particolare, che profuma di pagano: quest'effetto è dato dal coro e dal presbiterio, entrambi rialzati; è inoltre diffuso un certo simbolismo zodiacale che aumenta il senso di esoterismo del luogo.
L'en plein non ci riesce: l'ora è tarda per poter ammirare gli affreschi della sagrestia, forse la vera attrazione di San Miniato al Monte, che raffigurano la vita di San Benedetto - l'annessa abbazia aderiva in origine all'Ordine benedettino. È un peccato, osservati successivamente in fotografia sembrava proprio di avere già visto questi affreschi, probabilmente negli agognati libri di storia. Dai, sarà questa una scusa, una delle tante, per tornare in visita a Firenze.

Scendendo da San Miniato al Monte

Dall'alto di San Miniato, appena usciti dalla basilica, il colpo d'occhio su Firenze si fa ancora più formidabile. È difficile scegliere: il panorama sulla città dei Medici o la bellezza del marmo di San Miniato? Nelle ultime luci di una giornata senza ombre, mi faccio travolgere da questa magia fiorentina...
Bis bald!
Stefano

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