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mercoledì 18 marzo 2015

Giorni leggendari

Il 18 marzo nella storia dell'alpinismo non può essere considerata una data come tante altre. È una data che ha dell'epocale nella storia dell'alpinismo e ancora una volta, di mezzo c'è il Cervino, la montagna dei sogni di ogni alpinista.
L'anno è il 1882: solamente meno di diciassette anni prima, il Cervino era stato conquistato: prima sul versante svizzero dalla cordata di Edward Whymper e pochi giorni dopo sul versante italiano dalla cordata di Jean-Antoine Carrel.

Il versante italiano del Cervino (© Vittorio Sella)

Nella lunga ed estenuante lotta per la conquista del Cervino, Carrel viene parzialmente ricordato come lo sconfitto: Whymper lo potrà guardare dalla vetta del Cervino, mentre lui e i suoi compagni stanno ancora salendo (Whymper stesso non sarà mai ricordato solamente per essere il primo a salire il Cervino, bensì anche come la persona che subirà per il resto della sua vita la morte di quattro dei sette uomini che composero la cordata vittoriosa). Carrel, il "Bersagliere", sarà comunque ricordato nei decenni per altre grandiose imprese che portarono la sua firma. Undici prime salite su altrettante vette delle Ande, trentaquattro salite al Cervino, il monte Bianco e tutte le vette del Monte Rosa (ai tempi non erano escursioni di poco conto). Il nome dei Carrel (ben tre ceppi in Valtournenche) sarà sempre collegato alle migliori guide del Cervino, alcune di esse autentici fuoriclasse dell'alpinismo.

Il più grande dei Carrel, Jean-Antoine (© Vittorio Sella)

Diciassette anni dopo il nome di Jean-Antoine Carrel si lega a quello di un esponente di un'altra gloriosa famiglia che dato tanto all'alpinismo italiano, i Sella. Fu proprio Quintino Sella, politico di spicco del neonato Regno d'Italia a fondare nel 1863 il Club Alpino Italiano e, due anni dopo, ad essere una delle persone che più incoraggiarono Carrel a tentare l'impresa della prima salita al Cervino dal versante italiano. Il 18 marzo 1882, il nipote di Quintino Sella, Vittorio, con Jean-Antoine Carrel, Jean-Baptiste Carrel e Louis Carrel, sono gli artefici di una delle più grandi imprese alpinistiche avvenute sul Cervino: la prima ascensione invernale assoluta, lungo la Cresta del Leone, la via normale italiana. Non ci sono grandi notizie su questa impresa, ma si può immaginare la difficoltà della salita, nel rigido clima dei quattromila metri d'inverno, con la neve e il ghiaccio che coprono la roccia, per mezzo di corde ancora molto arretrate.

Vittorio Sella (fonte: montanarilenti.blogspot.com)

Guido Rey, ne Il monte Cervino, celebra così l'impresa di Sella e dei tre Carrel che salirono con lui: "una simile impresa, per il pericolo delle rupi rivestite di ghiaccio, per la brevità dei giorni e per il freddo intenso richiede un coraggio a tutta prova, un'abilità somma, e una forza eccezionale di resistenza; e, a buon diritto, venne considerata come una delle imprese più ardite dell'alpinismo. Ancora una volta il nome italiano, il nome di un Sella echeggia onorevolmente nei fasti del Cervino".

Il versante svizzero del Cervino (© Vittorio Sella)

Il 18 marzo 1882 è la data in cui si inaugura a buon diritto l'era delle ascensioni invernali, un nuovo capitolo in quell'infinita ricerca dei limiti umani che è l'alpinismo. Lo faccio con questo post, umile e piccolo in confronto alla grandiosità dell'impresa di allora, corredato dalle più belle foto del Cervino realizzate da Vittorio Sella (considerate tuttora tra le più belle immagini di montagna mai realizzate) e con le immagini dei due grandi protagonisti, Jean-Antoine Carrel e Vittorio Sella.

Parete ovest (© Vittorio Sella)

Bis bald!
Stefano

venerdì 2 maggio 2014

Un'altra tesi?

Ciao a tutti!
Non si finisce mai di imparare qualcosa dalla propria città. Per esempio non sapevo, fino ad oggi, dell'esistenza di una biblioteca all'interno del Museo Nazionale della Montagna. Inutile dirlo, mi si è aperto un intero mondo. Sulla montagna e non solo. L'occasione, un po' per caso, me la fornisce Giulia. La tesi di laurea che sta completando, sulla pittura del paesaggio alpino valdostano, la conduce in questo archivio a me finora sconosciuto. Questa piovosa giornata di maggio ci porta quindi a rinchiuderci per qualche ora nella rilassante sala di questa piccola biblioteca torinese.

Prezioso sapere di montagna

Per chi è appassionato di montagna, scalate ed escursioni (e non solo) qui si trova IL sapere. I volumi di questa biblioteca non sono semplicemente raccolte di relazioni alpinistiche o di consigli escursionistici (in più lingue, peraltro). Qui c'è la storia della montagna, degli uomini che l'hanno resa mitica, c'è tutta l'influenza che il mondo dell'alpinismo ha avuto sul panorama culturale italiano. Fantastico, questo è l'aggettivo che più mi trovo a ripetere, continuamente, quando mi trovo di fronte a veri e propri pezzi di storia della cultura alpinistica. Prendo un volume a caso e trovo la relazione della famosa salita di Cesare Maestri e Toni Egger al Cerro Torre. Guardo i numeri del Lo Scarpone consultati da Giulia e mi imbatto nell'articolo sulla tragica fine di Giusto Gervasutti al Mont Blanc du Tacul. Guardo un'occhiata ai volumi e trovo materiale addirittura risalente al XIX secolo. Una meraviglia, un pozzo di scienza, una fonte inesauribile di conoscenza sulla montagna.

Reperto datato 1899

Semplicemente UGET

Poi, forse la cosa più "commovente", o più sorprendente che dir si voglia, vedere tra le pagine delle varie riviste le prime pubblicità sui materiali usati in montagna; il Vibram, per esempio. Quante differenze nel rapido mutare dello stile, della grafica e dei meccanismi di comunicazione al pubblico. Tutto quanto molto vintage, come si usa dire ora.
Ma questo è solo un esempio. In realtà questo è un piccolo paradiso. Non ci sono i monti in "carne e roccia", stavolta, ma ci sono tutte le parole spese per descriverli, tecnicamente e appassionatamente. Si trovano i mezzi per conquistarli, si trovano le parole della loro anima. Pochi metri quadri in cui - da novizio in questo posto - ritorno come un bambino che guarda con sorpresa ogni volume, come fosse un nuovo mondo da scoprire. Anche il Cervino, o il Monviso, quei monti che sono e saranno sempre nella mia vita.

Quando nel 1930 si parlava di montagna si scriveva su L'Escursionista

Peccato aver scoperto così tardi questo posticino, alla luce del mio futuro trasferimento in Germania. Che sia per una tesi ("Non è che devi fare un'altra tesi, Giulia?"...ehm ehm) per tornare alla caccia di nuovi percorsi da esplorare in montagna o semplicemente per fare un salto indietro nel tempo, è certo che ci tornerò, con occhi mai sazi di scoperta e di avventura.
A presto!
Stefano

sabato 20 luglio 2013

Sorrisi dolomitici: sette aneddoti da ricordare

Ciao a tutti!
Una settimana di cammino, tra meravigliosi monti come quelli dolomitici, porta con sé un insieme di ricordi magnifici, panorami mozzafiato e visioni da brivido, posti indimenticabili e scenari indelebili. Un viaggio come questo, comunque, contiene anche gli istanti che non è la natura a regalarci, ma l'umanità e tutte le sue variegate sfaccettature: aneddoti, racconti, discorsi, novelle che poco hanno a che fare con l'Alta Via ma che strappano un sorriso e spesso restano impressi nella memoria più delle montagne stesse.
La tradizione è partita proprio l'anno scorso in Dolomiti (vedi post dell'11 agosto 2012) ed è continuata a Barcellona, in occasione della maratona (vedi post del 4 aprile 2013). Voglio continuare ora, con i migliori aneddoti provenienti dalle Dolomiti dell'Alta Via n.3.

1. La verdura. Quando ho visto questa cosa non ci volevo credere, non pensavo che mente umana potesse concepire tutto ciò. Tappa 6: entro al Rifugio Casera di Bosconero, sistemo il sacco a pelo sul letto e cerco di fare ordine sommario nello zaino in vista della tappa del giorno dopo. C'è un'incombenza da risolvere, comunque, quella di sempre: svuotarsi. I bagni sono in fondo alla camerata; mi fiondo e noto che ce ne sono due, con dei disegni alle porte. Quando realizzo, rimango allegramente allibito: i disegni erano, per ciascuna porta, quelli di un pisello e di una patata. Il loro significato, lo lascio interpretare a voi lettori.

Pisello vs. patata...


2. Il ritorno. Questo è un episodio già raccontato in precedenza (vedi post del 5 luglio), ma lo ripropongo, è è stato un bellissimo momento di quest'Alta Via. Tappa 4: arrivo al Rifugio Venezia, entro e mi guardo attorno, respiro tutta la familiarità di questo posto, in cui ero già stato l'anno scorso durante il trekking che mi ha portato dal Passo Falzarego ad Alleghe. Mi annuncio alla gestrice e provo a ricordarle che ero già stato l'anno scorso con gli escursionisti del CAI UGET Torino. Non insisto ma non si ricorda. Beh, è passato un anno da allora, in fondo di facce ne passano tante, sempre nuove e probabilmente migliori della mia: effettivamente non vedo perché dovrebbe ricordarsi proprio della mia. Allora "se dico che sono celiaco magari ti ricordi!" E la lampadina si accende: "Ah si, tu eri seduto in fondo alla sala, una sera ti abbiamo fatto aspettare un'ora la cena... E la focaccia bruciata...". Come sentirsi a casa...

In partenza dal Rifugio Venezia


3. Il furto. Sembra incredibile come i piccoli episodi come questi possano creare una risata a livello internazionale. Tappa 6: all'arrivo al Rifugio Casera di Bosconero, la gestrice mi impone (come in ogni rifugio, d'altronde), di indossare le ciabatte all'interno della camerata e non gli scarponi. Vedo delle ciabatte vicino all'ingresso. Di tutti i tipi, ma ce ne sono alcune molto graziose. Vedo un paio che mi aggrada e lo indosso. Di lì a un'ora ritorna in rifugio un alpinista tedesco, facente parte di un gruppo di cinque. E immediatamente mi segnala che le ciabatte erano sue. Finisce qui? No... lo stesso identico episodio accade anche a Liz e Martin, che indossano (successivamente) altre due paia di ciabatte, proprio di due altri alpinisti tedeschi! Il tutto si risolve in una grassa risata di cuore, tra persone provenienti da tre nazioni diverse: Italia, Germania e Gran Bretagna. Solo la montagna può tanto.

Il Rifugio Casera di Bosconero


4. Il carico. Per la serie, prendiamoci un po' meno per i fondelli. Tappa 1, ora di pagare il rifugio (Vallandro). Come spesso accade, si fanno due parole con il rifugista, si parla di meteo, di come vanno gli affari in rifugio, di mete da raggiungere il giorno dopo, di progetti. A tal proposito, parlo alla rifugista del mio percorso. Ad un certo punto le dico "Eh si, le prime tappe, con lo zaino completamente carico, sono sicuramente più dure". Lei mi chiede "Ma quanto pesa?" e io le rispondo "Eh... ventuno chili". E tutta divertita chiude così: "Ventuno? Come alla naja!?!". A me non faceva così ridere.
5. L'età. Episodio simpatico ma che fa riflettere sul futuro della montagna. Tappa 2, è ormai sera avanzata al Rifugio Vandelli e si parla delle iniziative (fatte e non fatte) dalla Sezione di Venezia del CAI. Io sottolineo la quasi totale (e preoccupante) assenza di giovani in montagna e anche all'interno del Club Alpino Italiano. La rifugista replica, in tono ironico ma anche infastidito per la situazione in cui versa il CAI, così: "Ma cosa vuoi pretendere? Nel direttivo della Sezione di Venezia la persona più giovane avrà l'età di mio padre". Settantenni al comando: ma non è lo specchio dell'Italia?
6. Il piatto. Talvolta ci sono simboli che sono così "internazionali" che possono risolvere le discussioni tra persone di diversa nazionalità. Questo è un aneddoto raccontatomi da Liz e Martin ed è successo loro in un altro rifugio dolomitico. La rifugista di turno vuole proporre loro carne di cervo, ma non sa come esprimersi ai suoi clienti in lingua inglese. Nemmeno io so come si traduce "cervo" in inglese, sinceramente. Qui, il colpo di genio della rifugista: "Bambi!". Chapeau.
7. Il crollo. Posso capire le differenze linguistiche tra l'area "austriaca" e quella "italiana" delle Dolomiti, ma al contempo penso che comunque ci troviamo in Italia ed è sacrosanto pretendere che i miei connazionali conoscano l'italiano. Tappa 1, all'arrivo al Rifugio Vallandro la rifugista mi chiede da dove vengo. Si mostra interessata alla regione di provenienza di ogni escursionista che lì trova riparo e logicamente le rispondo "Piemonte". La risposta che mi fa cadere le braccia (e non aggiungo altro): "Ma come si scrive?".

A presto!
Stefano

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