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giovedì 2 agosto 2018

Parigi, venti anni dopo

Stump. Questa storia inizia con uno schianto e tante lacrime: respinto dalla traversa, il pallone calciato da Gigi Di Biagio scappa nel cielo di Parigi, portandosi dietro le speranze di vittoria azzurra al Mondiale 1998. I tifosi italiani piangono e imprecano contro quella che è diventata una maledizione: dopo il 1990 e il 1994, ancora i rigori sbarrano la strada alla Nazionale. Anche Marco Pantani è triste, ma per motivi diversi. Otto giorni prima, il 26 giugno, ha perso la sua guida, l'uomo che nel 1995 aveva creduto in lui nonostante la gamba maciullata, tenuta insieme dal ferro impiantato dai dottori del CTO torinese.
Luciano Pezzi, prima partigiano poi una vita da gregario di Fausto Coppi e un'altra da direttore sportivo iniziata alla grande con Felice Gimondi, era andato a prendersi il Pirata direttamente in ospedale: «Lascia la Carrera e vieni con noi: ti costruisco la squadra intorno. Sei il più forte, vincerai Giro e Tour». Sembravano parole al vento, azzardo destinato al fallimento. E invece il grande saggio aveva visto giusto: nel 1997 Pantani rimesso a nuovo ritrova scatti micidiali e sensazioni giuste sulle salite francesi con una maglia destinata a fare la storia: Mercatone Uno. Sale sul podio, come nel 1994. È il preludio al trionfo in Rosa: arriva nel giugno 1998 dopo un duello all'ultimo respiro col russo Pavel Tonkov. C'è una fotografia che ferma il tempo e restituisce la felicità di quei momenti: Pezzi tiene stretto Marco, lo abbraccia. E il romagnolo sorride, un sorriso bello come quello di un bimbo. C'è di più: il Panta indossa una mantellina gialla, un segno premonitore.
In quel luglio 1998 gli italiani vanno in vacanza scornati per la delusione Mondiale: Zidane trionfa su Ronaldo e alza la Coppa. Il giorno prima, sabato 11, il Tour parte da Dublino. C'è pure il Pirata e non era scontato. Anzi, per tutto il mese precedente sembrava che dovesse accadere il contrario. «Sono scarico mentalmente, dopo la vittoria del Giro ho fatto aldoria per una settimana. Che ci vado a fare in Francia?», ripeteva a tutti il cpaitano della Mercatone. E tutti gli davano ragione, tutti tranne uno: Pezzi, «Marco, dimentica pure sella e pedali per 15 giorni, ma lì devi andarci. Ho studiato il percorso, ci sono le pendenze per fare l'impresa e spezzare la maledizione gialla». Eh già, non ci sono solo i rigori a disturbare il sonno degli sportivi italiani. Per chi vive a pane e bicicletta, il Tour è una ossessione: dal 1965 l'inno di Mameli non fa da ninna nanna all'Arc de Triomphe. Trentatré anni dalla zampata di Gimondi, un'eternità. Pezzi punta tutto sul romagnolo, ma il destino suona alla sua porta: il cuore del vecchio leone smette all'improvviso di battere. Pantani è in Spagna con la squadra, una telefonata gli oscura l'alba: versa lacrime su lacrime. Nei giorni successivi in testa gli rimbombano le parole del suo mentore: «Devi andare al Tour, devi andare al Tour, devi andare al Tour...». E Marco gli rispinde al funerale, mettendo una mano sulla bara: «Ci vado, Luciano. Ci vado». Il resto non lo dice, ma lo pensa: «Ci vado e vinco, Luciano». Anche queste sembrano parole al vento.

Circondato dalla folla sul Galibier (fonte: couleur.cc)

Ma dal quel 26 giugno le cose cambiano: i gregari vedono negli occhi del capitano la scintilla che conoscono bene. Macinano chilometri su chilometri per recuperare il tempo perduto e arrivare alla partenza nelle condizioni migliori. La sfida è a Jan Ullrich, astro nascente e vincitore nel 1997. Il Mondiale viene in soccorso del Panta: la Grande Boucle, per non disturbare il tifo calcistico, posticipa il via di circa una settimana. Ossigeno e allenamenti in più per i muscoli del romagnolo. Ma il gap sembra lo stesso incolmabile: quando il 18 luglio la locomotiva tedesca della Telekom stravince la cronometro a Correze, si prende la maglia gialla e rifila 4' e 21" al Pirata, gli italiani spengono la tv e si concentrano sui bagni al mare. La spiaggia chiama, non ci saranno sorprese.
La Grande Boucle intanto si inerpica sui Pirenei, montagne che infilzano il cielo. Il Panta attacca a ogni tappa: inanella un secondo e un primo posto. Vuoi vedere...? Ullrich è in affanno, le gote sempre più rosse. Il giorno  del giudizio è il 27 luglio, sulle Alpi: da scalare il gigante Galibier, poi picchiata e risalita a Les Deux Alpes. È un pomeriggio estivo che più bugiardo non si può: pioggia gelata, vento, foschia e nuvoloni neri. Ai -4 chilometri da quota 2642 e a circa 50 dal traguardo, il Pirata di alza sui pedali e va all'arrembaggio con la pelata protetta da insolita bandana celeste. La ruota gialla della sua Bianchi solca l'acqua, lascia una scia nell'asfalto banato. E va su ancora, va su canterebbe Gino Paoli. Mezza Italia è incollata alla tv: salta sul divano, grida e scatta in ciabatte tra giardini e salotti. Come per magia quei momenti vivono in una bolla temporale, non vanno più via. Basta chiudere gli occhi per ritrovarsi indietro di 20 anni, ascoltare la voce amica di Adriano De Zan, annusare gli odori, rivivere le emozioni, i battiti del cuore sempre più accelerati. E lo scalatore arrivato dal mare ora va giù, va giù ancora. Poi, dopo la picchiata, di nuovo salita: l'arrivo è vicino, Ullrich sempre più lontano. Vince, il Pirata. Taglia il traguardo con gli occhi chiusi, braccia aperte come ali e il viso che è un matrimonio di sofferenza e gioia.
Sembra un novello Cristo, l'opera madonnara di un artista di strada. È "solo" Marco Pantani. Indossa la maglia gialla mentre il tedesco sbuffa ancora verso Les Deux Alpes: becca quasi 9 minuti dall'italiano. Non rimonta più, non ci sono rigori, gatti neri, macchine in contromano e altre diavolerie. La maledizione del Tour è spezzata, Gimondi alza il braccio del Pirata mentre risuona forte Fratelli d'Italia. «Quel 1998 ha cambiato tutto, facevo piadine e non capivo nulla di ciclismo», ricorda Tonina, la mamma di Marco. «Dopo sembravano tutti impazziti, ma se potessi ridarei indietro coppe e Tour per riavere il mio Antonio Inoki, come chiamavo Marco da piccino. In questi lunghissimi anni ho combattuto per ridare dignità a mio figlio, continuerò a farlo fino all'ultimo respiro. È stato maciullato e abbandonato dopo Madonna di Campiglio. Cosa inimmaginabile solo qualche mese prima». Già, nell'agosto 1998 Cesenatico diventa l'ombelico del mondo: alla festa in piazza arrivano da tutta Italia, c'è pure il premier Romano Prodi e Dario Fo, futuro Nobel, manda un quadro per celebrare l'impresa del romagnolo. Il 199 si tinge di rosa e giallo, è l'"anno di Pantani", è una goduria nazionale. Così, non ci sarà più.
Francesco Ceniti, Sportweek, 7 luglio 2018

martedì 14 febbraio 2017

Quelli che pedalano

E ora mi alzo sui pedali come quando ero bambino
Dopo un po' prendevo il volo dal cancello del giardino
E mio nonno mi aspettava senza dire una parola
Perché io e la bicicletta siamo una cosa sola
E mi rialzo sui pedali ricomincio la fatica
Poi abbraccio i miei gregari passo in cima alla salita
Perché quelli come noi hanno voglia di sognare
E io dal passo del Pordoi chiudo gli occhi e vedo il mare
E vedo te...e aspetto te...
Stadio, E mi alzo sui pedali

Pantani lungo la salita al Col du Galibier nel Tour de France del 1998 (fonte: campi sportivi.com)

San Valentino, per gli appassionati di ciclismo, da tredici anni a questa parte, non può essere semplicemente il giorno degli innamorati. Non quando viene in mente che in questo giorno se ne è andato il più grande eroe del ciclismo moderno.

mercoledì 27 aprile 2016

Bücher: Campionissimi

"Arrivati all'ultimo chilometro, al triangolo rosso che annuncia la fine della corsa, ci accorgiamo di quanta sofferenza ci sia nella vita dei corridori. E di quanti, tra loro, abbiano lo sguardo triste. Non è solo la durezza delle salite o delle pietre sotto le ruote, a volte è una specie di maledizione, o di malasorte [...] Perché il ciclismo è magnifico e spietato, gonfio di sogni e improvvisi risvegli. Mostra la bellezza del dolore su una bicicletta dove tutti, da bambini, siamo stati felici."
Maurizio Crosetti, Campionissimi


Ciao a tutti!
Pochi altri sport come il ciclismo sono in grado di fornire storie. Tutte diverse, l'una dall'altra. Se il calcio non può limitarsi alla semplice e pura esaltazione del singolo in quanto sport di squadra, il ciclismo può andare molto più in profondità, scavando nei sentimenti umani di questi atleti, da soli in sella ad una bicicletta, con la loro fatica e il loro dolore. I quali, talvolta, vanno a legarsi con qualcosa di ancora più grande, il sentimento popolare. E allora queste storie diventano leggenda.
Le storie che Maurizio Crosetti racconta in Campionissimi sono sicuramente leggenda. Perché leggende sono le imprese dei trenta ciclisti che Crosetti ha voluto inserire in questo volume, che ripercorre la grande storia del ciclismo dagli albori delle prime pionieristiche stagioni del ciclismo di Binda e Girardengo fino alle storie più recenti di fuoriclasse come Indurain e Pantani. Passando naturalmente per l'epopea di Coppi e Bartali e gli anni di Merckx e Gimondi. Campionissimi racconta le gesta dei più grandi, romanzi scritti nei tormenti delle più dure salite del Giro d'Italia o nel brevissimo istante della volata, sulle dure pietre delle classiche del Nord o nelle strategie tattiche di una corsa crudele come il Mondiale. Storie che di grande intensità, che raccontano il ciclismo in tutta la sua "ferocia".
Perché nelle ore trascorse davanti alla televisione nell'attesa che la corsa emetta il proprio responso, ma anche dal vivo, nella lunga attesa e poi nel veloce passaggio dei corridori, c'è qualcosa che sempre sfugge. Dietro la maschera di fatica del corridore, c'è un'anima, un carattere, c'è una guerra interiore che da fuori non si può comprendere pienamente. La tristezza di Ocaña, le frustrazioni di Gimondi, l'astuzia di Magni, la rabbia di Bettini, tanto per citare alcuni esempi tra i più personalmente apprezzati. Questo libro va oltre l'atleta e il grande gesto sportivo, semplicemente condensa in poco più di duecento pagine cento anni di battaglie per il primo posto al traguardo con le battaglie personali dei ciclisti, uomini prima di tutto.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 9/10 

mercoledì 13 gennaio 2016

Un uomo sempre in salita

"Pantani fa una strada tutta sua, in salita. Eppure è lì, ci sta dietro, non li molla, agile, diritto come una freccia, proprio come quando scatta sulle sue montagne e senti fare crack: la forza di gravità si spezza in due: una è per Pantani e lo fa volare su, l'altra è quella nostra, normale che ci trascina in basso. A un certo punto, questa forza lo chiama e lui risponde; nessun movimento, nessun gesto superfluo, impeccabile e implacabile. Un taglio secco, che non ammette repliche, correzioni, pentimenti. Quando Pantani sente che la salita è salita e che la sua gravità comincia a funzionare, taglia via quell'invisibile, resistentissimo filo che lega i corridori tra loro, stringe occhi e denti, orecchie ritte alla voce che gli ha imposto questo tremendo-stupendo mestiere, ed è aut-aut."
Massimo Cacciari

Il viso sereno di Marco Pantani con la maglia gialla sulle spalle... (fonte: biciexpresscatania.it)

Quanto manca un corridore così al ciclismo, allo sport, all'Italia. Ogni anno è un'assenza sempre più pesante e apparentemente incolmabile...

sabato 14 febbraio 2015

Sul traguardo, ad aspettare

Corri più veloce del vento
il vento non ti prenderà mai
corri ancora adesso lo sento
sta soffiando sopra gli anni tuoi.
Dammi la mano fammi sognare
dimmi se ancora avrai
al traguardo ad aspettarti
qualcuno oppure no.
Nomadi, L'ultima salita

Il più forte di tutti (fonte: lefigaro.fr), qui nel trionfo del Tour 1998 a Plateau de Beille

domenica 4 gennaio 2015

Bücher: Pantani è tornato

"Quando vincevi tu non era mai una cosa banale. Con te il cuore batteva in un modo diverso. Perché come te al mondo c'eri solo tu. Tu eri Marco Pantani. Meravigliosamente unico. Le tue non erano mai semplici vittorie. Ogni volta era sempre un'impresa, un volo solitario, un sogno. E i sogni, almeno quelli, non li può uccidere nessuno."
Davide De Zan, Pantani è tornato


Chi legge spesso i miei post sa bene quanto sia enorme l'ammirazione per Marco Pantani. È stato per me un mito del ciclismo, forse l'ultimo interprete romantico di questo sport, colui che mi ha fatto appassionare a questa disciplina, nonostante sia così tanto bistrattata a causa dei continui scandali che la tormentano.
La storia di Marco è nota ai più: grandi vittorie al Giro e al Tour, poi l'inferno di Madonna di Campiglio, dove viene estromesso da un Giro stradominato, dunque la discesa negli inferi della cocaina e la fine, in un triste residence di Rimini. Due momenti, quelli di Madonna di Campiglio e Rimini sui quali persistono, rispettivamente a più di quindici e dieci anni, pesanti dubbi.
Davide De Zan, giornalista sportivo e figlio del compianto Adriano, la più grande voce televisiva del ciclismo italiano, nonché amico di Marco, ripercorre le vicende di Madonna di Campiglio e Rimini, scavando a fondo nei documenti e nelle testimonianze e mette tutto a nudo in questo volume, Pantani è tornato.
La storia che De Zan racconta è il frutto di mesi di indagini condotte privatamente a stretto contatto con l'avvocato della famiglia Pantani, Antonio De Rensis. Da queste pagine emerge con chiarezza l'ardore di De Zan nel raccontare gli avvenimenti degli ultimi mesi, frutto del rapporto di amicizia che intercorreva fra i due. Croce e delizia di Pantani è tornato è probabilmente proprio questo: le parole di De Zan sono quelle di un tifoso che, pur restando lucidissimo nell'analisi, racconta con passione ma soprattutto indignazione i diversi errori (voluti o no?) commessi ai danni di Pantani negli episodi avvenuti nel 1999 e nel 2004. Pure con qualche riferimento (a me graditissimo) al texano...
Pantani è tornato si divora in poche ore, gli avvenimenti raccontati si susseguono uno dopo l'altro molto velocemente e non può che far parte della libreria di ogni tifoso del "Pirata". Per aggiungere fiato all'urlo di verità che merita un campione come Marco Pantani.
A presto!
Stefano

Giudizio: 8/10 ««««««««««

domenica 27 luglio 2014

L'italien qui gagne: Nibali campione!

L'attesa è finita! Dopo sedici anni, un italiano torna lì, sul gradino più alto del podio. A Parigi, sui Campi Elisi, davanti all'Arco di Trionfo. In maglia gialla. L'ultima volta che vidi questa scena ero bambino: nel 1998 vinse l'indimenticabile Marco Pantani. Ora il testimone passa a Vincenzo Nibali, lo “Squalo dello Stretto”.

Nibali in trionfo!

Si può raccontare di come abbia vinto un Tour: distacchi abissali (il secondo a più di sette minuti), quattro tappe vinte, numerosi piazzamenti, diciannove tappe in maglia gialla. Si, certo, Christopher Froome e Alberto Contador hanno dovuto ritirarsi. Intanto, al momento del loro ritiro, loro erano già dietro, ad inseguire. Intanto Vincenzo macinava chilometri, sempre all'attacco, con grinta ma soprattutto cuore. Ha vinto da finisseur a Sheffield, dove nessuno poteva immaginare un suo scatto. Ha rifilato distacchi paurosi sul pavé della Roubaix, ad Arenberg . Sui Vosgi, a La Planche des Belles Filles, ha nuovamente staccato tutti. Sulle Alpi ha messo tutti in riga a Chamrousse. E da leader incontrastato, ha vinto ancora sui Pirenei, nella tappa simbolo del Tourmalet, ad Hautacam.

Un brindisi di squadra

L'Italia che vince, che torna a sognare, in un momento in cui c'è bisogno di scosse come questa. Per il ciclismo, per lo sport italiano, per l'Italia. Questa è la scossa più bella, quella di un ragazzo pulito, sincero, lottatore, senza fronzoli, la faccia più bella del nostro Paese. La faccia di un siciliano che a quindici anni lascia la famiglia per andarsene in Toscana a coronare un sogno: diventare un ciclista. Mica da tutti. Sacrifici, chilometri in sella, sudore, montagne, serate in casa invece che con gli amici. Le prime vittorie, e gradualmente, un trionfo dopo l'altro. Vuelta 2010, Giro 2013, Tour 2014: entra così a far parte anche lui di quella ristretta cerchia di corridori che hanno vinto tutti i grandi giri, composta da gente come Anquetil, Gimondi, Merckx, Hinault e Contador, non i primi arrivati.

Il sapore della vittoria...

Chiudo con il cuore in mano, apertamente. Sono contento per questo successo. Ma il ricordo che non potrà mai cancellare nessuno è un altro. Un uomo, che ha lasciato la sua terra quasi quindici anni fa per seguire un sogno, ora si ritrova a coronarlo, sullo sfondo l'Arco di Trionfo e le note dell'inno di Mameli che si propagano. Di fronte a lui, la sua famiglia, la sua moglie e la sua figlioletta di cinque mesi. Tutti quanti in lacrime, lacrime di gioia. Ecco, sono sincero. Questo è qualcosa che mi fa veramente commuovere.
E soprattutto, pensare che esistono ancora storie belle da raccontare. Storie di sacrificio che hanno un lieto fine. Storie di chi ce l'ha fatta.
Questa è la storia di Vincenzo Nibali, questa è una storia italiana.

Tappa n.2: primo assolo da vero finisseur, a Sheffield

Tappa n.5: secondo posto ad Arenberg e distacchi pesanti per tutti

Tappa n.10: a La Planche des Belles Filles, ritorno in maglia gialla. Non gliela leveranno più...

Tappa n.13: le Alpi hanno il suo re, a Chamrousse vince ancora lui

Tappa n.18: il sigillo finale ad Hautacam, nella tappa del Tourmalet

Ciao a tutti!
Stefano

(foto tratte dalla pagina Facebook de Le Tour de France)

sabato 26 luglio 2014

Dal Friuli alla Sicilia, la leggenda continua

1924, Ottavio Bottecchia.
1925, Ottavio Bottecchia.
1938, Gino Bartali.
1948, Gino Bartali.
1949, Fausto Coppi.
1952, Fausto Coppi.
1960, Gastone Nencini.
1965, Felice Gimondi.
1998, Marco Pantani.
2014, finalmente, Vincenzo Nibali!


Domani a Parigi si leverà ancora una volta - la decima - più in alto di tutti il tricolore italiano. Dopo sedici anni dall'ultima affermazione, un atleta italiano si impone nella manifestazione ciclistica più importante del mondo, il Tour de France. A sedici anni di distanza dal trionfo sui Campi Elisi dell'indimenticabile Marco Pantani, ci pensa un ragazzo siciliano tutto cuore e gambe, Vincenzo Nibali, a riportarci al vertice del ciclismo.
Non è solo la vittoria di questo straordinario ragazzo, o del movimento ciclistico italiano, ma anche (e credo, soprattutto) di una nazione in crisi, che deve tirare su la testa, a livello sportivo e non. Nibali e la sua vittoria alla Grande Boucle rappresentano una gran bella speranza per un paese che ha bisogno di tornare in alto.
A presto!
Stefano

giovedì 13 febbraio 2014

Quando la strada si rizza sotto i pedali

“Chi gli ha voluto bene, Marco Pantani se lo ricorderà così, con quella sua voglia di vivere, di vincere, di credere all'impossibile e di realizzarlo. Di correre oltre la forza di gravità, di sfidarla come nessuno, di aprirsi la strada in mezzo a mille tifosi lì, solo per lui, magari da ore se non dal giorno prima, giusto per vederlo passare anche solo un secondo, per dedicargli un applauso o per urlargli “dai Marco!”. Di lui ci rimane il mito, le vittorie straordinarie che ha saputo conquistare… L'Alpe-d'Huez, il regno degli scalatori, poi il Giro d'Italia, il Tour de France. Pantani vinceva a modo suo, un modo diverso unico. Aveva fantasia, coraggio, amore per l‘impresa, ti faceva battere il cuore, ti coinvolgeva, ti lasciava spesso con le lacrime agli occhi perché sapevi che ogni volta la sua capacità di osare e di soffrire l'avrebbe portato a realizzare ciò che nessuno credeva possibile. L'hanno buttato per terra mille volte con la sua bici. Quella sfortuna sembrava seguirlo ovunque, dietro ogni curva. Gli hanno spezzato una gamba che ci voleva un ferro lungo più di trenta centimetri per tenerla insieme. Eppure, ogni volta, lui ti insegnava che ci si può rialzare, e se ci credi veramente nulla ti può fermare, ogni volta puoi tornare a correre, più forte di prima. È per questo che la gente lo amava, lui ti faceva sognare, anche quando era fuori dalle corse riusciva a trovare il modo di sorridere, scherzare, cantare, come quel Giro che iniziava ogni giorno con la sigla interpretata da lui, che in corsa non ci poteva essere per le fratture alla gamba. Corridore, personaggio, tenace sulla bici e fragile nell'animo, durissimo con se stesso e generoso con gli altri. Tutti lo chiamavano “Pirata” per quella bandana che gettava al vento come gesto di sfida prima dell'attacco. I francesi ce lo invidiavano, avrebbero fatto carte false per averlo, uno così. Ma lui era romagnolo e si vedeva. Lui era il “Pirata”, e il suo cuore batteva forte, là, in alto, dove la terra si avvicina al cielo, prima di volarci dentro e lasciarci qui a guardarlo, un po' più soli, a pensare con un dolore forte nello stomaco… quanto ci mancherà...”
Davide De Zan

L'apoteosi del Tour 1998: Pantani da solo a Les Deux Alpes (fonte: cyclingnews.com)

Ciao a tutti!
Tornando con la mente indietro nel tempo, mi sembra ancora impossibile pensare che Marco non ci sia più. Fisicamente ci ha lasciato esattamente dieci anni fa, ma il suo spirito vive in tutti i ciclisti e appassionati del grande ciclismo. Non lo si poteva non amare, quello scricciolo di uomo così grande sui pedali. Lui faceva sognare l'Italia intera con i suoi scatti micidiali, con le sue fughe irresistibili, con quelle azioni letali per ogni avversario. Anch'io fui fulminato quando lo vidi per la prima volta in televisione, nel 1994 salire sul Mortirolo prima e sull'Aprica dopo con una facilità disarmante. Un altro fulmine, ben diverso, mi colpì dieci anni dopo, quando il freddo SMS inviatomi dalla TIM comunicava che Marco Pantani era morto.

Tour 1997: sui tornanti dell'Alpe-d'Huez (fonte: sport.sky.it)

Era il 14 febbraio 2004, un'umida sera di San Valentino. Ricorderò per sempre quel momento, doloroso. Ero in macchina con un amico – di lì a poco avrei preso anch'io la patente – quando ricevetti quel messaggio. Rimasi impietrito, la serata era rovinata. Un pezzo della mia infanzia ed adolescenza se n'era andato per sempre. Marco mi ha fatto innamorare della bici, del ciclismo. Ha insegnato a me, e non solo, all'Italia intera, il senso della lotta, del non mollare mai. Dare tutto ciò che si ha, sempre.

Giro 1998: in fuga con Beppe Guerini sulle rampe del Passo Fedaia (fonte: news.sirotti.it)

Le sue imprese più belle, le ho ancora stampate negli occhi adesso. Mi viene in mente il trionfo a L'Alpe-d'Huez nel 1995, quando staccò tutti scattando sull'attacco della salita, lo rividero in cima. Era una giornata di sole ma fresca. Non avevo ancora compiuto dieci anni e provavo, probabilmente con scarso successo, a fare i compiti delle vacanze, mentre mia mamma, che stava stirando, gettava un occhio sulle mie attività. Oh, la testa non pensava ai compiti in quel momento. Ero rapito da quel corridore, un po' brutto, ma che in salita menava come nessun altro. Laggiù in cima, dove iniziano gli orrendi condomini dell'Alpe-d'Huez, i tifosi sono migliaia, decine di migliaia. Come Mosè separava le acque, Pantani divideva i tifosi in due ali di folla impazzita.

Tour 2000: il diavolo e l'acquasanta sul terribile Mont Ventoux (fonte: giornalettismo.com)

L'Alpe-d'Huez è una salita speciale. Quei ventuno tornanti sono la leggenda del ciclismo. Laggiù hanno vinto solamente i più forti. Coppi, Zoetemelk, Bugno, tanto per citarne alcuni. È la storia del Tour de France. Ho avuto modo di partecipare agli arrivi di tappa del 2008 e del 2011, quando a vincere furono Carlos Sastre e Pierre Rolland. Su quell'asfalto ho pensato alle incredibili pagine di storia sportiva che vi scrisse Pantani. Come nel Tour del 1997. Nessuno fino ad oggi, dopo sedici edizioni del Tour e otto arrivi di tappa all'Alpe-d'Huez ha saputo ripetere quella performance, neanche il re del doping Lance Armstrong. Stavolta ero in vacanza con i miei genitori a Selva di Cadore. Quel pomeriggio io e mio papà rimanemmo in casa, semplicemente perché “c'era Pantani”. Dopo due anni di sofferenze, quell'urlo feroce all'arrivo, tutto solo… Brividi…

Giro 1999: una rimonta incredibile ad Oropa (fonte:cyclingjournal.blogspot.com)

Poi venne l'anno magico, il 1998. Era un giovedì di attesa, quel 4 giugno. Pantani aveva già conquistato la maglia rosa nell'epica tappa della Marmolada, che avevo potuto vedere solo impostando il videoregistratore (ah, che tempi quelli delle VHS). Ma non aveva il vantaggio necessario per difendersi nella cronometro conclusiva. Quella tappa a Plan di Montecampione era decisiva. Lo sapeva anche mio papà che quel giorno decise di entrare prima a lavoro per poter essere anticipatamente a casa a godersi lo spettacolo. E spettacolo fu, quella salita infinita fu il teatro del duello tra Pantani e l'unico antagonista rimasto, il russo Pavel Tonkov. Incollati al divano, rapiti dalla grinta di Marco e dalla poetica telecronaca di Adriano De Zan e Davide Cassani. Solo sulla linea del traguardo, alzò la testa e si lasciò andare in un sospiro di liberazione. Il Giro era suo, e lui aveva fatto esultare tutti gli italiani.

Giro 1998: il duello finale con Tonkov a Plan di Montecampione (fonte: cyclingnews.com)

Il momento più indimenticabile arrivò però due mesi dopo circa. Lunedì 27 luglio 1998, si corre la tappa che da Grenoble porta a Les Deux Alpes. Piove a dirotto sulle Alpi francesi, le immagini riprese dai motooperatori della televisione francese sono continuamente disturbate. Piove anche in Italia, fa quasi freddo. Quel lunedì lo ricordo come se fosse ieri. Sguardo incollato allo schermo, ad un metro o forse anche meno di distanza, in attesa DELLO scatto. L'audio di scarsa qualità della telecronaca di De Zan e Cassani si mischia con il chiacchericcio di mia mamma e di mia nonna intente a preparare i vasetti di giardiniera. Che giorno, quel lunedì. Marco scatta a pochi chilometri dalla cima del Col du Galibier, una fucilata. Stacca tutti quanti, incrementa il vantaggio in discesa e completa l'opera con un assolo magistrale a Les Deux Alpes. La maglia gialla, il tedesco Jan Ullrich, arriva a nove minuti. Quel giorno si compie il più grande exploit del ciclismo moderno. La domenica successiva è il momento del trionfo finale, quello di Marco in maglia gialla a Parigi, davanti all'Arc de Triomphe, con un commosso Felice Gimondi (allora ultimo italiano in maglia gialla) che alza il braccio di Marco al cielo. Sono sincero, qualche lacrima mi scende ancora adesso, mentre scrivo…

Tour 1998: la rasoiata sul Col du Galibier, non ce ne sarà per nessuno (fonte: philmazzarello.com)

Il 1999 fu l'anno di vittorie strabilianti, da solo nella nebbia del Gran Sasso, una formidabile rimonta al Santuario di Oropa e il capolavoro solitario a Madonna di Campiglio. Poi venne ciò che tutti sanno.
A chi dice che era solo “un dopato di merda” io rispondo dicendo che non fu mai trovato positivo ad alcun test antidoping. Che l'ematocrito alto è un parametro che non stabilisce se un'atleta è pulito o no. Che nessun compagno di squadra lo accusò in seguito di aver fatto pratiche dopanti (come è successo ad esempio al texano). Che lo volevano fare fuori perché era il più forte, e dava fastidio a chi sarebbe dovuto venire dopo di lui. La sua unica colpa era quella di far sognare i tifosi con i suoi scatti.

Felice Gimondi passa il testimone a Marco Pantani alla premiazione del Tour 1998 (fonte: corriere.it)

Ha fatto sognare anche me, ovviamente. Ogni volta era una festa. Al termine di una tappa in cui aveva posto il suo suggello vittorioso, mi sentivo come… libero. Nel segno di questa libertà “ritrovata”, era normalità salire in sella e provare ad emulare le gesta del Pirata sulle uniche salitelle del mio paese, quelle dei ponti sul torrente Lemina. Scattare, come se in cima a quell'insignificante strappo ci fosse un traguardo da tagliare a mani levate. Pensare a lui mi ha fatto crescere in me la voglia di provare una bici da corsa, di provare – anche se con incostanza – salite vere, come il Sestriere. Le sue imprese hanno lasciato in me il desiderio di seguire dal vivo questo mondo così duro ma meraviglioso, quello della fatica e del sudore sui pedali. E in fondo, ha lasciato anche il recondito insegnamento che si può cadere tante volte ma si deve sempre trovare la forza per rialzarsi. Lottare, sempre.

Tour 1997: c'è solo rabbia nel suo urlo di vittoria all'Alpe-d'Huez, dopo due anni di sofferenze (fonte: testepelate.it) 

La crudeltà del mondo ciclistico l'ha portato via. E manca ancora troppo a questo mondo, così povero di personaggi che sappiano avvicinare le folle. Dopo l'estro e l'imprevedibilità di Marco, è venuto il tempo del ciclismo degli allenamenti scientifici: l'americano figlio del doping e il keniota bianco Chris Froome, tanto per fare due esempi. Nessuna benché minima traccia della poesia che era Pantani in salita.
Il ciclismo di Pantani non esiste più, o forse non c'era mai stato. Probabilmente era solo lui l'astro isolato che splendeva nel povero panorama che gli ruotava attorno. Ma non c'è solo quello. Manca un po' di spensieratezza, quella sensazione innata che ti porta ad attaccare una strada ripida quando a nessuno verrebbe mai in mente. Manca quell'intensità di vivere che ti porta a guardare una maglia di colore rosa, con gli occhi di un bambino che ha visto per la prima volta il mare. Combattere per un sogno…
Bis bald!
Stefano

giovedì 18 luglio 2013

Freccia gialla sulla Luna

Ciao a tutti!
Non potevo che trovare oggi la migliore ispirazione per il post in cui racconto l'avventura in Francia di domenica, in occasione dell'arrivo del Tour de France sul Mont Ventoux. L'avevo già scritto, domenica, che saremmo stati laggiù, in cima al Gigante della Provenza (vedi post). Ed ora, proprio a pochi minuti dal termine dello spettacolare tappone alpino con l'arrivo a L'Alpe-d'Huez, arriva il momento di raccontare tutto, di narrare il grande spettacolo della Grande Boucle.

Re del Tour e del Ventoux: è la maglia gialla Christopher Froome a trionfare sul Gigante della Provenza

Partenza da Airasca alle ore 5, con me i compagni di sempre durante le corse ciclistiche, Daniele e Davide, più la new entry Fabrizio. La levataccia è faticosa, ma dopo sette anni di viaggi al seguito del Giro d'Italia e del Tour de France, so bene che sono tutti sforzi che valgono la pena. Soprattutto quando si parla del Tour, dove il ciclismo sembra quasi essere lo spettacolo che diventa contorno del vero show, ossia la grande folla che attornia le strade di Francia.

Tra le ginestre lungo la discesa del Col de Macuègne, spunta lui, il Mont Ventoux


Il viaggio per arrivare a Sault è veramente lungo, si impiegano dalle cinque alle sei ore di auto. Fortuna che ci pensano i miei compagni di avventura ad allietare la trasferta, con le stupide battute di Davide o rivisitazioni dei nostri film preferiti, Fantozzi su tutti. Senza dimenticare i momenti revival della prima trasferta al Ventoux nel 2009, quando il solito idiota di turno pensava (puntando su anche qualche euro) che un banale canale ghiaioso fosse il leggendario gigante della Provenza, che ridere... Anch'io non scherzo, comunque. Sono convinto di essere andato solo l'anno scorso sul Ventoux: sono sempre lì a dire "l'anno scorso"...ma era quattro anni fa.

Il paesaggio "lunare" del Ventoux: solo pietre bianche in vetta


Si devono salire due passi, Sestriere e Montgenèvre, per arrivare a Briançon. Nella città delle famose fortificazioni di Vauban, comincia l'infinito tratto tratto di strada che conduce a Sisteron, attraversando buona parte della valle della Durance. Da Sisteron ci si immette nella valle dello Jabron: qui il paesaggio cambia completamente. Si passa in quella che è la vera Provenza; le montagne sono spoglie, i campi di lavanda sono in fiore e lungo le strade si ammirano le tipiche case dai mattoni chiari. Una vacanzina in Provenza è da segnare sul taccuino delle cose da fare in futuro. La stretta vallata che conduce a Sault sembra non finire mai, ma quando sono circa le 10, arriviamo finalmente allo stretto incrocio con un segnale "Mont Ventoux, 26".


Due grandi sconfitti dal Ventoux: il plurivincitore della Grande Boucle Alberto Contador e la maglia a pois Pierre Rolland


Da lì inizia il lungo tratto che in teoria porta a Le Chalet-Reynard. Questa località si trova a poco più di sei chilometri dall'arrivo; fin lì non si riesce ad arrivare, vuoi per motivi logistici (tratto di strada già chiuso dalla sera precedente), vuoi per motivi di folla. Il Mont Ventoux è una delle salite simbolo del Tour de France, la sua cima spoglia affascina tanti tifosi, lassù si è scritta la storia e solo i grandi hanno vinto. Non è facile parcheggiare: tra gendarmi, macchine in ogni dove e tifosi già deliranti, riesco a fare le giuste manovre per riuscire ad infilare la mia Meriva nella migliore fessura possibile.


I migliori esempi di bomberismo da Tour de France

Il tratto di strada percorso a piedi fino a Le Chalet-Reynard non è sicuramente esaltante, ma sono i chilometri che servono per giungere ai piedi del Ventoux. Si fa in fretta a capire quando si sta per entrare nella mitica strada che da Bédoin porta in cima al "Géant de Provence": la folla aumenta, iniziano a vedersi i primi gendarmi. E poi, si vede in lontananza l'osservatorio meteorologico in cima, quello che dà al Ventoux la sua famosa skyline.

Il regno delle Union Jack

Da quel momento inizia la grande festa che contraddistingue il Tour de France, ovunque si vada: bandiere di ogni nazione (quest'anno forte prevalenza per la britannica Union Jack, a dimostrare tutto il grande tifo inglese per la maglia gialla Christopher Froome), alcol a litri, camper addobbati con i vari colori delle maglie del Tour, bimbi che si divertono a colorare con i pastelli il nero asfalto del Ventoux. Famiglie iperorganizzate che grigliano lì, sul ciglio della strada, tifosi vestiti nei modi più strampalati, classici esempi di bomberismo. Ma l'Oscar ai migliori tifosi lo do sicuramente ai tifosi tedeschi di Rothenbuch (piccolo comune bavarese di poco più di duemila abitanti), cinque attempati suonatori che diventano una vera orchestra alimentata a litri di birra (vedi foto sotto). E un plauso va doveroso anche ai tifosi di Cadel Evans: nonostante il loro beniamino non sia in forma e fuori classifica, loro sono sempre lì ad applaudirlo e a sostenerlo.

Direttamente dalla Baviera, i tifosi più pazzi del Ventoux


E poi, ciclisti, ciclisti,ancora ciclisti. Tantissimi, a voler salire su quella montagna per poter tornare a casa e dire "Io ce l'ho fatta a salire laggiù!". Migliaia le bici in cima; se devo essere sincero, creano anche non pochi problemi, ma come vietare ad un appassionato della bici di arrivare sull'asperità che ha reso leggenda il più grande scalatore di sempre, Marco Pantani...

Anche sul Mont Ventoux, si risponde PRESENTI!


La salita prosegue divertita, è impossibile non sorridere di fronte ai variopinti e a tratti imbarazzanti costumi dei tifosi. C'è divertimento anche per un novizio dell'ambiente ciclistico come Fabrizio, nonostante soffra i chilometri di ascesa. Non solo folklore: quando ci si avvicina ai tre chilometri dall'arrivo, è la nuda pietra del Ventoux che rende magico tutto: la vegetazione è pressoché nulla, solo qualche sparuto cespuglio o qualche fiorellino diventano gli ultimi residui di flora presente. Solo pietra. Un deserto di pietre bianco-grigie. Sembra di stare sulla Luna, è un panorama unico: non a caso, è stata nominata "riserva di biosfera" dall'UNESCO.

Ancora lunga la strada per il Gigante...


L'arrivo sul Ventoux è sempre un'emozione per chi, come me, ha scoperto questo isolato monte quasi tredici anni fa (era il 13 luglio 2000) quando Marco Pantani, dopo un'azione epica, superò sulla linea d'arrivo Lance Armstrong. Vedere quell'ultimo tornante, con l'arrivo sullo sfondo è ossigeno per ogni tifoso di ciclismo, proprio lì dove l'ossigeno scarseggia eccome.
Non è facile trovare un posticino per poter osservare in posizione privilegiata l'arrivo della tappa. Siamo fortunatissimi a trovare uno spazio a circa 150 metri dall'arrivo. Più di così era obiettivamente difficile. Ho pure lo spazio per stendermi un pochino a terra, per riposare le gambe. C'è da mettere in conto anche una dozzina di chilometri da fare a piedi fino alla macchina, e il viaggio di ritorno: un po' di riposo non può che far bene.

Certi costumi si commentano da sè: tutto il folklore del tifo del Tour de France in una sola foto


Il riposo però non può durare tanto: di lì a poco inizia il passaggio della carovana pubblicitaria del Tour de France. Una festa per tutti, dai piccoli ai grandi. Sempre molto gioiosa, ma quest'anno in misura minore. Pochi gadget lanciati, meno casino da parte degli sponsor stessi, se non per alcune solite eccezioni come Carrefour, Vittel e Cochonou. La tappa è molto veloce: quando la carovana sta per transitare sul Ventoux, il gruppo dei corridori si trova già sulle prime rampe della salita.

Tutta la fatica del Mont Ventoux sui volti di Peter Velits e Maxime Mederel


La tappa di oggi è una lunga cavalcata della maglia gialla, Christopher Froome, il keniano naturalizzato inglese che sta letteralmente sbaragliando la concorrenza in questa centesima edizione del Tour de France. Il mio pronostico andava per lui, e non mi sono sbagliato, tanto quanto avevo indovinato la vittoria di Vincenzo Nibali sulle Tre Cime di Lavaredo (vedi post del 26 maggio 2013). Facile indovinare, quando le premesse sono queste: è sicuramente lui il più forte in salita. Lo dimostra a sette chilometri all'arrivo, quando fa il vuoto con una delle sue accelerazioni staccando tutti. Solo il funambolico scalatore colombiano Nairo Quintana riesce a rimanere alla sua ruota. Solo per qualche chilometro, poi Froome fa il vuoto e arriva ad alzare le braccia al cielo in totale solitudine, in mezzo ad una folla festante.
Ho denotato un bel sentimento del popolo del ciclismo nei confronti di questo ragazzo che ha lottato per sudare in bici, lui che solo qualche anno fa non aveva neanche un contratto con una squadra e ora combatte per conquistare un posto nell'albo d'oro della Grande Boucle: è una persona umile ma non disdegna mai di attaccare e di dimostrare la voglia di arrivare per primo. Un bel personaggio, può diventare un punto di riferimento per le corse a tappe. Un grande professionista: impressionante la sua magrezza e la facilità di pedalata in salita: non è un caso che quando la strada sale, sia il numero uno. Personalmente, mi auguro di vederlo il prossimo anno a combattere con il nostro Vincenzo Nibali per la vittoria del Tour de France.

Una lunga striscia di folla lungo le rampe del Mont Ventoux

Come sempre al Tour, il tifo non manca mai, per nessuno, francese, americano o giapponese. Si, ok, quando passa Thomas Voeckler, il beniamino dei francesi, c'è il boato, ma ogni corridore viene sostenuto da incitamenti continui. Io mi distinguo un po' dalla massa e quando passano Alberto Contador ed Andy Schleck un bel "dopato!" non glielo risparmio.
Mi piacerebbe tornare con un post sull'argomento doping, proprio ora che vengono discusse le prestazioni di Froome e la nazionale giamaicana di atletica leggera sta per essere praticamente smantellata. Considero il doping una legge non scritta del ciclismo, cioè "no doping, no vittorie". Accetto di andare a vedere uno spettacolo che si può anche definire fittizio, ma non tollero la falsità e la menzogna. Non accetto che i corridori, colti sul fatto (potremmo dire: con le mani nelle scatole dei farmaci), neghino l'evidenza, dando la colpa a chissà quale preparatore atletico, o a chissà quale bistecca contaminata o ancora al presunto integratore assunto per sbaglio. Non prendiamoci in giro, se un ciclista (o un qualsiasi altro sportivo) viene trovato positivo ai controlli antidoping, è bene che lo ammetta. C'è chi l'ha fatto, ha pagato, ed è tornato a vincere. Un esempio su tutti, Ivan Basso.

Ultima foto ricordo sul Ventoux. E un saluto, alla prossima tappa!

Il viaggio di ritorno è un calvario sotto tutti i punti di vista, ma rimarrà sempre un bel ricordo. Quando si è in compagnia, e la compagnia è ottima, la memoria del viaggio non può che essere positiva.
Ne accadono di ogni genere: mentre siamo ancora in cammino verso la macchina incontriamo la strada bloccata a causa di un incidente (notare: pochissimi tifosi italiani e di conseguenza nessuna polemica per la coda di quattro-cinque chilometri formatasi); in auto, un po' di rallentamenti prima e un incredibile temporale dopo, proprio nel tratto di strada più tortuoso. Si prosegue con una cena in un penoso autogrill francese (qui lo devo proprio dire: "Italians do it better!!!") che aumenta il mio livello di antipatia verso la popolazione transalpina in generale. All'autogrill non sono capaci a farti un caffè come si deve, lo devo prendere alla macchinetta: faceva letteralmente schifo e l'effetto è un bel twist nello stomaco, fino a casa. E poi, le solite fermate per far rilassare un altro stomaco, quello di Dado, sempre soggetto a strani movimenti quando i tornanti impazziscono.
Sono quasi le tre quando arrivo a casa. Non sono in grande forma, forse la condizione del momento non era che l'avvisaglia di ciò che mi aspettava di lì a pochi giorni. Ma ritorno ancora una volta dalla Francia con una grande gioia, anche stavolta la fatica è stata ripagata dalla solita grandissima festa che solo la Grande Boucle sa regalare a milioni di appassionati di ciclismo.
Buona serata a tutti!
Stefano

domenica 14 luglio 2013

Vive le Tour!

Ciao a tutti!
Dopo le avventure al Giro d'Italia (e che avventure!), tocca completare l'opera per il 2013 con il Tour de France. Il giorno prescelto è quello di oggi (peraltro festa nazionale francese): nella centesima edizione della corsa a tappe più importante del mondo si arriva in cima ad un monte in cui si sono scritte pagine memorabili di ciclismo, il Mont Ventoux.
Il gigante della Provenza ospiterà l'arrivo della quindicesima tappa, che partirà da Givors per arrivare, dopo 242 chilometri, sulle pendici di questa vetta alta 1912 metri, un'asperità che resta unica al mondo. In cima non vi è vegetazione, zero. Solo pietra, sembra di stare sulla Luna. Non sono le pendenze a rendere dura la corsa, ma il tipico clima torrido della Provenza e soprattutto l'ossigeno rarefatto dovuto all'assenza di flora. Componente micidiale per tutti, nessun ciclista escluso.
Al Mont Ventoux sono legati momenti di grande storia del ciclismo, come la vittoria nel 2000 di Marco Pantani, vissuta incollata davanti alla televisione come era solito per me fare in occasione delle imprese del Pirata. Qui non si vince "by chance", ma solo perchè si è grandi campioni: l'albo d'oro degli arrivi di tappa al Ventoux parla chiaro: Charly Gaul, Raymond Poulidor, Eddy Merckx, Bernard Thévenet, Jean-François Bernard, Marco Pantani, Richard Virenque, Juan Manuel Garate. Non solo gioia sul Monte Ventoso, anche tragedia, come la morte di Tommy Simpson.
Siamo ora in viaggio per Sault, dove ci incammineremo verso il traguardo. Il viaggio è ancora lungo, ancora circa quattro ore di macchina. Per ora cerco di allietarlo con qualche foto tratta dalla pagina Facebook de Le Tour de France: immagini che vogliono stupire e trasmettere la grande passione che ruota attorno alla Grande Boucle. Fra qualche ora, anche noi ne saremo parte!
A presto!
Stefano

Il Tour è prima di tutto il suo pubblico

Perfezione stilistica nella cronosquadre

Il dominatore del Tour 2013: Christopher Froome vince ad Ax-3-Domaines e conquista la maglia gialla

Tifo da vacanza

La speranza francese: Pierre Rolland, giovane scalatore con il simbolo del più forte in salita, la maglia a pois

Il re delle cronometro, il tedesco Tony Martin

Tutto pronto per la volata!

L'unico (per ora) vincitore di tappa italiano al Tour, Matteo Trentin, a Lione

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