venerdì 28 febbraio 2014

La folle idea - Die verrückte Idee

Ciao a tutti!
I problemi al ginocchio mi hanno fatto desistere dall'idea di provare a correre una maratona primaverile. Accantonata l'ipotesi di partecipare alla maratona di Parigi, avevo pensato a tentare di mettere su un allenamento sufficiente per poter correre dignitosamente una maratona primaverile qui in Germania (a maggio, per esempio, si corrono maratone ad Amburgo, Magonza e Ratisbona). La visita ortopedica ha un pochino stroncato questa idea, ma non è tutto.
Durante una lezione di tedesco presso la Volkshochschule, guardo con attenzione la mappa politica della Germania e la suddivisione del territorio tedesco nei sedici Land che compongono lo stato federale di Germania. Molto interessante, penso. Perché non provarci, a toccarli tutti e sedici questi Land? Prima di maggio...

Sedici Land, sedici capitali. Un'immagine per ogni "Hauptstadt": Stoccarda, Monaco, Berlino, Potsdam, Brema, Amburgo, Kassel, Schwerin, Hannover, Düsseldorf, Magonya, Saarbrücken, Dresda, Magdeburgo, Kiel, Erfurt.

Tre mesi esatti per mettere piede in tutti e sedici... Non intendo fare un tour automobilistico, eh, per poter poi dire "si, sono passato in tutti i Land di Germania". Troppo facile, così. Il mio folle progetto, la " meine verrückte Idee", va oltre il semplice portarsi fisicamente in ognuna delle sedici regioni tedesche. Significa visitare almeno una località per ogni Land. Il che è ben più complicato. Ci voleva, una sfida non normale, per una persona che ogni tanto non si ritiene normale nemmeno di suo.

La Germania e i suoi sedici "Länder"

Le difficoltà sono innanzitutto nelle tempistiche: tre mesi non sono pochi ma non sono neanche molti. C'è da considerare che qui in Germania ho un impiego, e che posso di certo comportarmi come mi pare per perseguire i miei fini personali extralavorativi. Quindi, tempo limitato. E nel mentre, non posso e voglio trascurare famiglia e amici. Peraltro, questi tre mesi iniziano con un handicap importante, quello del non poter disporre della mia auto, in quanto per causa della lentezza burocratica italiana, mi ritrovo con la patente scaduta (vedi post del 21 febbraio). Incrociando le dita che "ritorni" in fretta...
La distanza è un fattore non trascurabile: un conto è viaggiare fino in Renania, un altro portarsi ai confini di Polonia o Danimarca. Tanto per fare un esempio, il viaggio da Schweinfurt a Kiel, capitale dello Schleswig-Holstein (il più lontano), richiede un minimo di sei ore di guida. Che si traducono in molto tempo speso al volante e di conseguenza, tanta tanta stanchezza. Del treno non se ne parla neanche: con gli ICE (la versione tedesca del Frecciarossa) si toccano cifre proibitive, assai più costose che in Italia; con i regionali, invece, le tempistiche si allargano a dismisura.
Poi ci sono alcuni fattori che potrei chiamare "geografici": sono le cosiddette "scelte obbligate", città che non posso fare a meno di toccare. Sono tre, Amburgo, Berlino e Brema. Essendo loro delle "città stato" sono in sostanza obbligato a recarvici. E sono tutte quante a nord... Non è facile programmare un viaggio che preveda in tempi corti il passaggio in queste tre città.

Si parte da -14!

D'altro canto, ci sono alcuni fattori che giocano a mio favore. Inizio dicendo che dei sedici Land due sono già stati attivamente toccati, e sono Baviera e Turingia. Il primo, beh, l'ho girato in lungo e in largo, e ho già avuto modo di scoprire le meraviglie di quasi tutte le più importanti città. Il secondo invece è stato attraversato poco più di un mese in occasione della mia gita ad Erfurt. In sostanza, si parte da -14.
Un altro vantaggio sta nella posizione geografica di Schweinfurt. Nonostante la Baviera sia uno dei due Land meridionali e quindi apparentemente poco conveniente per compiere un tour della Germania, la sua estensione è tale per cui le sue aree più settentrionali sfiorino il centro geografico del paese. La Franconia, la regione in cui mi trovo, è posta infatti in posizione discretamente centrata e non sfavorevole.
Novantadue giorni, per quattordici regioni e altrettante località... Non semplice ma neanche impossibile. Le cose facili non mi attraggono, altrimenti non sceglierei di fare trekking in solitaria, di andare a lavorare in Germania e di correre maratone. Le sfide contro sé stessi, contro il tempo e contro tutto, sono il sale della vita, sono il bello di questa breve esistenza sulla nostra Terra. Trascorriamo la vita a risolvere problemi di ogni genere. A me piace combinare le due cose: la vita e i problemi. Non potranno che venire fuori molte di queste "verrückte Ideen"...
Bis bald!
Stefano

giovedì 27 febbraio 2014

La domenica che aspettavo

Ciao a tutti!
Cinque mesi e anche più, questo è il tempo che è dovuto trascorrere affinché un tedesco mi invitasse per un incontro di piacere. Un pranzo, una cena, o un aperitivo. Niente di tutto ciò, per più di cinque mesi. Poi arriva la persona in fondo più inaspettata, Elke, la tua insegnante di tedesco, che invita te e i tuoi compagni a casa sua per il pranzo domenicale. Questa si che è stata una gradita sorpresa, la più bella da quando mi trovo per lavoro in Germania.

Veduta di Kitzingen, altra città francone che si affaccia sul Meno

L'episodio la dice lunga sull'apertura sociale del popolo tedesco. Ovviamente non ho mai preteso che qualcuno mi invitasse a cena, tantomeno a casa sua. Mi aspettavo piuttosto un invito a fare una bevuta in qualche locale. Che non è mai arrivato, a parte prima di Natale, quando però trovarsi a bere Glühwein è quasi un rito sacro per tutti, ed è stata l'unica occasione in cui ho visto uno spiraglio di apertura nei confronti dello straniero.
Mi aspettavo di poter condividere qualche serata con i colleghi che già conoscevo prima del 14 settembre 2013, giorno in cui mi sono trasferito a Schweinfurt. Fino ad ora, buio pesto. Ed anche dai colleghi nuovi non ho mai ricevuto alcun invito. Forse in futuro qualcosa si muoverà, ma al momento, zero assoluto. Ma loro sono fatti così (specie in quest'area), sono freddi, chiusi - introversi non è la parola corretta - forse un po' diffidenti nei confronti degli stranieri, loro che hanno subito e, anche se in misura minore subiscono ancora, l'occupazione militare americana. E poi c'è l'ostacolo lingua. Se non parli il tedesco sei fuori. L'inglese lo sanno in molti, non tutti, ma tanti sono restii al suo uso. E per chi ha tentato questa avventura senza spiaccicare una sola parola di tedesco, non è facile. Il calore della nostra terra italica è cosa lontana anni luce dalla freddezza germanica.
Sia ben chiaro, non voglio essere frainteso: durante questi mesi ho conosciuto persone molto gentili, squisite, disponibili e con le quali mi sono anche divertito. Ma tutto nel contesto lavorativo, fuori è tutta un'altra solfa.

Mit der Lehrerin!

Poi arriva la domenica fatidica, una giornata in cui ho compiuto un piccolo viaggio nella cultura tedesca. Il ritrovo a casa di Elke è alle 13. Entriamo in casa e si sprigiona già un certo profumino. Ci ha preparato un pranzo veramente "tedesco". Si comincia con una zuppa a base di zucca e altre verdure, si continua con un mix di carne, verdura e pasta. Ce n'è da sfamare un esercito. Si chiude con un dessert classico, frutti di bosco con crema alla vaniglia. Al termine, combattiamo il trend sonnifero con una bella passeggiata per la città (per la cronaca, si tratta di Kitzingen - vedi foto in alto), in cui è Elke stessa a farci da guida. Una città si vive meglio, se lo si fa con una persona indigena. Un caffè, un inaspettato spettacolino del marito di Elke - illusionista per passione - e la domenica se ne va veloce come mai era successo prima. Non prima di averla ringraziata come si deve, ci ha organizzato una domenica fantastica e si è impegnata a fondo affinché andasse tutto per il meglio... Amra, la compagna di corso svedese, la quale ha vissuto il mio stesso percorso lavorativo a Schweinfurt (ha concluso proprio oggi, e se ne torna in Svezia senza troppe remore), chiarifica con una frase decisamente esplicita: "Questa è la domenica più bella da quando sono qui". Anche lei ha sofferto, forse anche più di me, la chiusura dei tedeschi nei confronti degli stranieri.
Penso che i tedeschi possano dire e criticare gli stranieri finché vogliono sulla nostra non-integrazione, però mi pare piuttosto scontato che i connazionali si ritrovino più a loro agio insieme, specie in un contesto in cui non vi è l'apertura a colui che non viene dalla Germania. Non può essere vera integrazione, questa. Nel mentre, non posso far altro che aspettare che qualcosa cambi, per quanto riguarda il mio piccolo mondo. Speranze che diventeranno realtà o verrò presto disilluso? Tre mesi - sicuri, per ora - per stabilirlo...
Bis bald!
Stefano

mercoledì 26 febbraio 2014

Questa è la mia terra

"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti." 
Cesare Pavese, La luna e i falò

Montagne di casa. Foto di archivio, 27 gennaio 2007

martedì 25 febbraio 2014

Vi presento la Baviera: Augusta

Ciao a tutti!
Il viaggio in Baviera prosegue con la visita alla terza città bavarese per numero di abitanti, Augusta. Il nome originale è in realtà Augsberg, ma è bello chiamarla così, all'italiana, anche per ricordare le origini della città. Augusta Vindelicorum, questo il nome latino, fu infatti fondata nel 15 a.C. dall'imperatore Augusto ed è la seconda città più antica di Germania dopo Treviri. La traccia dell'imperatore Augusto non è solo nel nome di questa città, ma anche nei monumenti: una sua statua campeggia infatti al centro della Rathausplatz.

Il monumento ad Augusto nella Rathausplatz

Augusta è stata in passato, e lo è ancora adesso, una città molto ricca, sempre contraddistinta da un fiorente tessuto commerciale. Sicuramente favorita dall'ottima posizione (sulla Via Claudia Augusta), Augusta divenne una città di estrema importanza nello scacchiere politico tedesco a partire dal XIV secolo, quando inizia l'era dei Fugger. La storia della famiglia Fugger, il cui arricchimento iniziò con il commercio di stoffe pregiate, fu una lenta ma costante ascesa al potere economico della Germania. Essa diventò infatti la famiglia di banchieri e finanzieri più potente dell'intera Germania, in grado di finanziare tutte le campagne di guerra che gli imperatori desiderassero sostenere. Ed è grazie a loro che Augusta diventa nell'epoca rinascimentale diventa un centro chiave per il commercio internazionale e tocca il massimo fulgore.

Il famoso ritratto di Lutero, quello che si trova in tutti i libri di storia, si trova proprio ad Augusta, in St.Anna


La città di Augusta è legata anche alla famosa “pace” che porta il suo nome. È un evento di estrema importanza per i destini dell'Europa, in quanto sancisce la prima legittimazione di altre correnti all'interno del cristianesimo e la prima, seppur minima, liberalizzazione religiosa in Germania, dove stava esplodendo furioso, già da alcuni decenni, il movimento luterano.
Proprio per ricordare questo evento, l'8 agosto di ogni anno Augusta celebra simbolicamente la “festa tra i popoli”, a ricordo del trattato che sancì la pace tra l'imperatore e i principi luterani. Èd è anche giorno di festività, non in tutta la Baviera ma solo ed esclusivamente nell'abitato di Augusta.

Perlachturm e Rathaus visti da Maximilianstraße

Arrivare in Augusta in treno è un'esperienza tutta da vivere. Dal finestrino, dopo aver goduto della visione di verdissime colline avvolte dalle nebbie mattutine, appare all'improvviso una fitta serie di costruzioni ed edifici in cui si elevano prepotenti le torri delle principali attrattive cittadine: la Perlachturm, St. Ulrich und Afra e il meraviglioso Duomo.

Duomo, lato settentrionale

Il viaggio lungo le vie di Augusta può cominciare proprio da quest'ultimo. Il Duomo è sicuramente una delle maggiori attrattive della città e rappresenta una sorta di viaggio nella trasformazione artistica tedesca, in quanto presenta contributi risalenti a tutte le varie epoche artistiche a partire dal X secolo, quando ne fu iniziata la costruzione. È un edificio che mostra la sua struttura bicefala sia esternamente che internamente. Da fuori si possono vedere infatti il lato romanico con i mattoni a vista e quello gotico visibilmente intonacato; a separarli, idealmente, due meravigliosi portali. All'interno, verso ovest si ha la struttura romanica in cui spiccano le vetrate (in cui sono raffigurati i profeti) più antiche di Germania e il gigantesco affresco di San Cristoforo; la zona orientale e le navate laterali sono le aree gotiche. Il tutto è impreziosito da contributi rinascimentali (con le opere di Dürer e Holbein il Vecchio) e barocchi (la Marienkapelle).

Una delle vetrate della navata centrale, raffigurante un profeta (non chiedetemi quale). Questa serie di vetrate è la più antica di Germania

Il cuore di Augusta è però tutto nella Rathausplatz, dove si concentra buona parte della vivacità cittadina. Su questa si affacciano infatti la Perlachturm, l'imponente torre alta 70 metri che domina la città tutta, e che sorge alla base di una piccola chiesa, che oggi appartiene alla comunità italiana ad Augusta, assai numerosa anche grazie alla relativa vicinanza con l'Italia. A fianco di questa torre sorge un austero Rathaus, molto diverso da come sono stato abituato nelle precedenti escursioni nelle città bavaresi. La facciata è veramente imponente, quasi a volere esercitare un qual certo timore reverenziale. Il notevole frontone con il simbolo della città e le due torri laterali sono il miglior esempio dell'orgoglio e della forza di questa città durante il periodo rinascimentale in cui fu costruito.

La nobile Maximilianstraße, al fondo St. Ulrich und Afra

Dalla Rathausplatz parte la più importante arteria del centro storico, la Maximilianstraße. Questo larghissimo corso si fa strada tra eleganti edifici in cui secoli fa risiedevano le famiglie più ricche, tra cui anche i Fugger. Tutte queste costruzioni sono in gran parte ricostruite, in quanto furono distrutte o gravemente danneggiate dai bombardamenti americani del 1945.
La piacevole passeggiata lungo la Maximilianstraße conduce ad un altro notevole edificio religioso, St. Ulrich und Afra, favolosa chiesa posta su una piccola altura della città, nel cui interno spiccano tre enormi altari tardorinascimentali.

L'interno slanciato di St. Ulrich und Afra

Un'altra chiesa da segnalare è St. Anna, che offre uno dei migliori apporti rinascimentali all'arte tedesca, la Fuggerkapelle (composta da un altare e quattro rilievi), opera per la quale si deve ringraziare la generosa committenza della famiglia Fugger.
Nonostante la presenza di chiese meravigliose ed edifici civili di notevole magnificenza, e una discreta presenza di persone che dà un tono dinamico al centro storico, ritengo Augusta una città a cui – specie se paragonata con città bavaresi come Norimberga e Würzburg – manchi di quello spirito, di quell'atmosfera che a volte si può trovare in elementi impensabili (mura, pietre, forme), che serve a rendere speciale una città. Non metto in discussione la bellezza visiva, quella è innegabile. Manca però qualcosa affinché il centro storico di Augusta sia veramente indimenticabile.

Perlachturm e Rathaus visti dalla Rathausplatz

Chi ha conosciuto la città di Augusta potrebbe seriamente rimproverarmi. I miei riferimenti erano però relativi al centro storico e non a ciò che si trova fuori dal perimetro delle vecchie mura augustane.
Infatti ciò che rende Augusta una città veramente unica è la Fuggerei, e si trova per l'appunto fuori dal vero e proprio centro storico. Dal nome, si evince chiaramente che sono ancora una volta i Fugger a scrivere la storia di questa città. I gigli che tappezzano ogni edificio cittadino non erano sufficienti, serviva un'opera che portasse il suo nome. E così fu: nel 1521 viene inaugurato questo “quartiere”, che altro non è se non uno dei primi complessi di edilizia popolare del mondo. Il tutto finanziato per l'appunto da Jakob Fugger, detto il Ricco. Non sono riuscito a capire se tutto ciò fu per vera benevolenza dei Fugger o per un sentimento interiore di volersi “salvare l'anima” dal demone del denaro, ma questa fu l'eredità che il grande magnate del XVI secolo lasciò alla città di Augusta. La filosofia che sta dietro alla Fuggerei è veramente moderna ed innovativa, molto più delle dottrine luterane o dei vari riformatori cattolici che si sono susseguiti nei secoli.

All'interno della Fuggerei

L'unicità della Fuggerei, una vera “città nella città” sta nella continuità della sua storia. Da quasi cinquecento anni ormai, fornisce alle classi più indigenti di Augusta un rifugio in una comunità sostenuta dal mutuo aiuto tra le persone che la popolano. Il costo per l'affitto è simbolico: un fiorino renano all'anno, che oggi equivale a 0,88 €, più tre preghiere per la famiglia Fugger. Proprio per questo motivo, gli abitanti devono essere rigorosamente di fede cattolica. Oltre ad essere cittadini di Augusta devono essere anziani che sopravvivono con la pensione minima (cinquecento anni fa non vi era però questa distinzione).

Saluti da Augusta!

L'interno della Fuggerei è visitabile, nonostante si vada a disturbare parzialmente la quiete degli abitanti. Tutto è spiegato alla perfezione: la storia del complesso, come è stato progettato, come vivevano cinquecento anni fa e come vivono ora gli abitanti della Fuggerei, come è stato ricostruito dopo i pesanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, come si sono salvati nell'apposito bunker gli abitanti dai bombardamenti. E ancora una volta fa male vedere la benevola opera costruita dalla mano dell'uomo distrutta così malignamente dalla mano dell'uomo stesso. Tutte quelle macerie… stringe letteralmente il cuore.
La Fuggerei è un museo a cielo aperto, fantastico, con una strizzatina d'occhio all'architettura gotica della Germania. Tutte le abitazioni, intonacate e dipinte di giallo hanno i caratteristici pignoni a gradini che decorano i lati stretti delle file di case, che conferiscono al complesso un tocco in più di “germanità”.

E che diamine vorrà mai dire?

Ancora una cosa non ho scoperto di Augusta, ed è un mistero da risolvere. Su molte case di Augusta, come in tutte (o quasi, ora non ricordo) quelle della Fuggerei, e sul portale sud del Duomo, compare una scritta che sembra essere scritta con un gessetto: 20*C+M+B*14…che diamine vorrà mai dire? Credo che sia qualcosa di relativo alla fede cattolica. 20 e 14 potrebbero essere numeri legati all'anno. Sulle lettere non c'è chiarezza, su alcune fonti si parla di un epiteto, di una frase simbolica, in altre di un riferimento ai Magi (Gaspare, Melchiorre, Baldassarre). Un codice quasi esoterico, che contribuisce ad aumentare l'aura di mistero attorno a questa città che avrà perso sì, un po' di atmosfera romantica, ma conserva ancora un po' di misticismo.
Bis bald!
Stefano

lunedì 24 febbraio 2014

Sonata solitaria n.3

"La solitudine si cura in un solo modo, andando verso la gente e “donando” invece di “ricevere”. Si tratta di un problema morale prima che sociale e bisogna imparare a lavorare, a esistere, non solo per sé ma anche per qualche altro, per gli altri. Finché uno dice “sono solo”, sono “estraneo e sconosciuto”, “sento il gelo”, starà sempre peggio. È solo chi vuole esserlo. Per vivere una vita piena e ricca bisogna andare verso gli altri. E questo è tutto."
Cesare Pavese, Lettere

Tramonto su Geldersheim

Per la cronaca, Pavese è morto suicida. Don't worry, non voglio fare questa fine, ho un sacco di cose da fare prima di morire e credo che mai riuscirò a farle tutte!
Bis bald!
Stefano

domenica 23 febbraio 2014

Telecronache

Ciao a tutti!
Il mese di febbraio 2014 passerà alla storia per numerosi eventi, tra cui la nascita del governo Renzi e gli scontri in Ucraina. Personalmente, mi piacerà ricordarli più per i Giochi Olimpici invernali che si stanno per concludere a Sochi. Lo sport ha questo potere incredibile, unisce e sa sempre offrire momenti di grande gioia ai tifosi. L'edizione sulla quale sta per calare il sipario verrà da me ricordata come quella "tedesca", anche se potrebbe non essere l'ultima, o l'unica, a potersi definire tale.

Carolina Kostner vola sul ghiaccio di Sochi: per lei sarà bronzo (fonte: eurosport.com)

Nonostante gli impegni lavorativi avessero condizionato "negativamente" la mia attenzione a ciò che succedeva in Russia, ho avuto modo di seguire alcune tra le competizioni più attese dagli sportivi italiani, ossia la gara di slittino individuale maschile, in cui Armin Zöggeler ha conquistato un bronzo che gli vale il record di podi consecutivi in ben sei edizioni dei giochi olimpici (vedi post), e la gara di pattinaggio di figura individuale femminile, in cui finalmente Carolina Kostner è riuscita nell'obiettivo di una vita, salire sul podio olimpico, con una medaglia di bronzo al collo.
Grande soddisfazione per queste gare, indubbiamente, da sostenitore dei colori italiani sempre e dovunque. L'occasione di seguire i nostri atleti è diventata anche un'opportunità per provare a addentrarmi in un aspetto culturale tedesco finora trascurato da me, quello televisivo. Nell'appartamento in cui vivo ho la televisione, si, ma non capendo molto - quasi nulla, a dire la verità - l'ho accesa assai raramente. E dire che non ci sono neanche programmi sottotitolati, fattore che sarebbe di grande aiuto per la comprensione e l'apprendimento della lingua.

Uno dei beniamini tedeschi in azione a Sochi: Felix Loch, oro nello slittino individuale (fonte: google.com)

Sono sempre stato dell'idea che un'evento sportivo sia tanto più memorabile quanto più avvincente sia la telecronaca. Alcune volte, ti entrano in testa, come un mantra. Penso a Galeazzi con le vittorie dei fratelli Abbagnale, a Caressa e Civoli con i Mondiali 2006, a De Zan con i successi di Pantani, a Bragagna con l'alloro olimpico di Stefano Baldini, tanto per citarne alcune famose e che più mi sono rimaste nel cuore.
Durante queste Olimpiadi, trasmesse in Germania principalmente dal primo canale, la ERD, e in parte anche dal secondo canale, la ZDF, ho potuto riscontrare tantissimo entusiasmo da parte dei commentatori, sia quando erano chiamati in causa atleti tedeschi (vedi ad esempio l'oro dello slittino Felix Loch) o no (la gara di pattinaggio di figura). Non ci capivo un'acca, ma sentivo il coinvolgimento nel commentare e questo aiuta a trascinare emotivamente lo spettatore. E poi, dettaglio non da poco: noiose soste pubblicitarie quasi annullate! Non so come sia regolamentata la televisione in Germania, se c'è un canone come in Italia o meno, ma questa è stata una graditissima sorpresa.

Toni Kroos, match winner dell'andata dei ottavi di Champions League tra Arsenal e Bayern (fonte: uefa.com)

D'altro canto, non ho avuto la medesima impressione quando mi sono trovato a seguire l'ottavo di finale di Champions League tra Arsenal e Bayern Monaco (di cui avevo già parlato in passato sul blog, vedi post). Una telecronaca, quella della ZDF, scialba, priva di entusiasmo. Intere sequenze in cui il commento era limitato a pronunciare il nome del calciatore che aveva il possesso della palla non fanno altro che rendere poco attrattiva una partita che in realtà, è stata avvincente. Anche ai gol di Kroos e Müller, la voce non è sembrata carica di energia come ci si aspetterebbe da un telecronista tedesco che sta commentando il match di una squadra tedesca. Eh si, è in questi momenti che si sente la mancanza di un fuoriclasse come Sandro Piccinini. In compenso, la ZDF ha un post-partita di ottima qualità. Pochi siparietti e discussioni in stile "Bar Sport" come avviene in Italia, ma un piccolo studio, giornalista più commentatore tecnico (in questo caso, der Titan Oliver Kahn) e poche interviste ai personaggi chiave.
Come già detto per le gare dei Giochi Olimpici, anche nei match di Champions League, nessuna interruzione pubblicitaria a rovinare il clima partita. Questo è un fatto considerevole, che proverò ad approfondire nei prossimi mesi. Grazie allo sport, forse riesco a sorbirmi anche un po' di TV tedesca...
Bis bald!
Stefano

sabato 22 febbraio 2014

Bucher: La corsa non finisce mai

“Smetto di spingere praticamente solo sulla linea di arrivo. I miei avversari sono lontani. Mi piego su me stesso, chiudo gli occhi e ascolto… Pochi interminabili attimi interrotti dalle urla dei presenti: 19''72. Mi sale da dentro, fino alla gola e negli occhi un'emozione bambina: ma allora è vero che il lavoro paga. Che, alla fine, la vita ti restituisce il capitale sul quale hai investito, e ti premia se hai dimostrato di crederci anche quando nessuno ci avrebbe scommesso.”
Pietro Mennea, La corsa non finisce mai


Ciao a tutti!
Per chi non sapesse chi è Pietro Mennea, questo è il libro giusto. La corsa non finisce mai è la sua biografia, scritta in collaborazione con il giornalista sportivo Daniele Menarini. Quasi un testamento sportivo, per il grande campione barlettano, un simbolo dell'atletica leggera italiana e sicuramente il più forte velocista che l'Italia ha potuto vantare. Grazie all'oro olimpico conquistato a Mosca 1980 nei 200 metri piani, dopo un'incredibile rimonta negli ultimi cinquanta metri, e grazie al record del mondo sulla stessa distanza nel 1979 a Città del Messico, un primato che rimase imbattuto per quasi diciassette anni.
Mi sono avvicinato a questo personaggio - che avrebbe potuto dare molto al movimento sportivo italiano anche dopo il suo abbandono della vita agonistica - un po' tardi. Sapevo che era stato uno degli alfieri dell'atletica azzurra che negli anni '70 e '80 seppe sfornare molti campioni, tra i quali Sara Simeoni, Alberto Cova, Gabriella Dorio e Maurizio Damilano, ma non sapevo tutta la sua storia, fatta di lotta e sacrificio continuo, per diventare il più forte. Lui che "doveva ancora mangiarne di bistecche", lui che "faceva le smorfie in corsa". La storia che Mennea ci tramanda, e che ho approfondito ora con la lettura de La corsa non finisce mai, dopo la sua morte avvenuta quasi un anno fa (vedi post), è una storia che deve fungere da ispirazione per i giovani atleti e non solo. Anche per tutti i giovani di oggi, Mennea è il miglior esempio da seguire per perseguire il successo personale. Che non deve mai cadere dal cielo, ma va conquistato, con fatica, tenacia e sacrificio continuo.
Il racconto, molto incisivo, della carriera di Mennea è illuminante soprattutto per chi la fatica della corsa l'ha conosciuta bene come me, anche se in una forma diversa. Ogni tanto ci si perde nei dettagli tecnici che forse solo chi ha masticato un po' di atletica potrà capire, ma l'emozione di un ragazzo semplice che diventa campione olimpico e uomo più veloce del mondo, traspare sincera dalle parole di Mennea.
La corsa non finisce mai è assai coinvolgente, c'è un po' di amarezza alla fine, quella sensazione di smarrimento che si ha quando si sa di aver finito un bel libro e di aver vissuto tra le pagine, una bella storia. Inevitabile per me, andare a cercare su YouTube il video di quella grande vittoria a Mosca, una delle pagine più gioiose dello sport italiano. Che ripropongo qui sotto: il filmato è quello della RAI, con la memorabile telecronaca di Paolo Rosi.


Bis bald!
Stefano

Giudizio: 9/10 ««««««««««

venerdì 21 febbraio 2014

Ciao patente, ciao

Ciao a tutti!
Le disavventure in terra di Germania, per quanto piccole, sembrano non finire mai. Dopo uno smartphone rotto, vari problemi con la bici (che già in ottime condizioni non era), essere stato fermato per due volte dalla polizia - l'ultima volta una settimana fa circa - e i vari problemi fisici sopraggiunti ad inizio anno, vi aggiungo ora il problema della patente.
Quanto sto per raccontare ha nel suo piccolo qualcosa di sconcertante. La mia patente è scaduta solo ieri, 20 febbraio. Ricordandomi di questa cosa, ho provveduto a cominciare le pratiche per il rinnovo poco prima di rientrare in Germania dopo le festività natalizie. Supero quella visita pro-forma che si fa per ottenere il rinnovo e mi viene consegnato un foglio che attesta la mia idoneità alla guida, in attesa che arrivi un fantomatico bollino (il quale ci mette sessanta giorni - sessanta!!! - ad arrivare da Roma) certifichi l'avvenuto. Con tanto di marca da bollo. Il foglio mi consente di guidare anche a patente scaduta.
Si, ma solo in Italia. Siccome l'uniformità legislativa e burocratica tra Italia e Germania è attualmente pura utopia, mi informo già sospettoso sulla validità all'estero di quel documento. Scrivo ai consolati italiani di Monaco e Norimberga, e all'ufficio patenti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. I primi mi confermano infatti la non validità del documento: provate ad immaginare un poliziotto tedesco che mi vuole controllare la patente ed io costretto a presentare lui un documento in italiano, tranquillamente falsificabile peraltro, in cui vi è scritto che posso guidare. Dai, non è credibile. E l'ufficio patenti? Ah, loro dopo quaranta giorni non mi hanno ancora risposto.

Pronto per andare a lavoro... mobilità sostenibile!

Quindi, mi trovo ora senza patente. Costretto ad usare la bici per andare a lavoro (cosa che però faccio già abitualmente) e il treno per muovermi su e giù per la Germania. Tutta questa vicenda mette ancora più in evidenza la spaventosa quanto indecente lentezza della macchina burocratica italiana. Basterebbe una settimana per completare una prassi che tra l'altro è uguale per tutti gli automobilisti, uno standard. Questo è già qualcosa di cui non andare fieri. Però mi chiedo ciò: Italia e Germania sono due paesi dell'Unione Europea o no? Se si, perché un documento importante connesso alla patente è valido solo in un paese e non nell'altro?
I fatti che ho appena raccontato sono una cupa immagine di cos'è all'atto pratico l'Unione Europea. Le dogane non ci sono più da un pezzo, e sono ormai passati più di dieci anni dall'introduzione della moneta unica, ma siamo ben lontani dal poterci definire “cittadini europei”. A tutti i livelli, da quello umano a quello tecnico e politico. Gli esempi che si potrebbero elencare sono moltissimi, alcuni li ho vissuti sulla mia pelle, altri sono visibili a tutti, altri si possono solo immaginare sperando di non averci a che fare:
- le procedure burocratiche dipendono ancora da stato a stato, basta vedere cosa è successo con la mia patente.
- parliamo delle autostrade? In Italia i segnali autostradali sono verdi, mentre in Germania (come anche in Francia e Spagna) sono di colore blu. Fuori dalle autostrade la situazione è la stessa: in Italia i segnali sono blu e in Germania gialli; ma la confusione è totale nel resto d'Europa: in Austria la segnaletica è bianca ed in Francia verde…
- la polizia tedesca è estremamente diffidente nei confronti dei cittadini europei non tedeschi: io sono stato fermato dalla polizia in un'area di servizio in cui le macchine parcheggiate erano almeno trenta.
- conti bancari: forse solo chi ha avuto modo di stare in Germania lo sa, ma il codice IBAN che in Italia è obbligatorio dal 2008 è entrato in vigore in Germania solo quest'anno.
- io ho una macchina a GPL: non pensiate che si possa effettuare rifornimento in Germania come lo si fa in Italia. All'interno dei paesi UE vi sono tre (tre!!!) diversi standard per il sistema di rifornimento degli impianti a gas. Per fare rifornimento in Germania avrei dovuto quindi munirmi di apposito adattatore. Fortuna che la benzina ha un prezzo competitivo (vedi post del 12 febbraio 2014).

L'Europa che è, l'Europa che vorrei

Il post che mi accingo a concludere è una sorta di sfogo contro quest'entità, l'Unione Europea, che impone tanto ma in realtà decide poco, e conta ancora meno. È un'unione solo “cartacea”, se vogliamo. Quella vera, che si percepisce nella vita di tutti i giorni, è ancora ben lungi dall'essere raggiunta…
Bis bald!
Stefano

giovedì 20 febbraio 2014

Quota 40000 visite: Monte Pelmo

Ciao a tutti!
Per il regalino fotografico per le quarantamila visite appena raggiunte da A spasso tra i Giganti, ho pensato ad una delle "mie montagne", una di quelle che ti entrano dentro e non ti mollano più. Si tratta del Monte Pelmo
Il Pelmo è una cima che porto dentro e il cui ricordo custodisco con grande affetto, per esser stato ai suoi piedi per ben due volte, nel 2012 con il gruppo del CAI Uget (vedi post relativo al tour del Pelmo) e nel 2013 (al rifugio Venezia, arrivo della quarta tappa dell'Alta Via n.3 delle Dolomiti, vedi post): è mio grande piacere condividere con tutti i lettori un'immagine di questa vetta, vista dal versante sud-ovest - dai sentieri attorno al Civetta, per la precisione.

Il versante sud-ovest del Monte Pelmo. Foto di archivio, 10 agosto 2012.

Bis bald!
Stefano

mercoledì 19 febbraio 2014

Occhio al prezzo - Puntata n.4

Ciao a tutti!
Per un automobilista italiano guidare in Germania è un esperienza. Saltano velocemente all'occhio le autostrade gratis, il prezzo della benzina decisamente più economico e le strade conservate alla perfezione. Se l'occhio dell'automobilista è abbastanza fino, si accorgerà che il mercato interno è dominato dalle case tedesche, Volkswagen in primis. Mi sono chiesto il perché: semplice nazionalismo o pura convenienza? Già, ma in Germania, costa meno comprare un'automobile? Più di un italiano in Germania sostiene di si.

L'offerta della settimana!

Come fatto nelle precedenti puntate, ho messo a confronto i prezzi delle auto in Germania. Un confronto tanto semplice quanto efficace. Ho scelto quindici modelli di quindici diverse marche, in maniera tale da avere un quadro completo del panorama automobilistico europeo. Dopodiché ho consultato un po' di numeri su due fonti specializzate, AlVolante per i prezzi italiani e AutoBild per i prezzi tedeschi. Per la precisione, ho cercato, per ogni modello, il prezzo più basso possibile: per capirci, la cifra che segue l'espressione "a partire da".
Qualche spunto di riflessione interessante c'è... (vedi tabella sotto, tutti i dati fanno riferimento a www.alvolante.it e www.autobild.de e sono stati raccolti nel mese di febbraio 2014).

Un po' di automobili e numeri a confronto

Parto da un dato di fatto: sui modelli selezionati, ben dodici presentano prezzi inferiori in territorio tedesco. Poco da dire, anche sulle automobili pare esserci un risparmio. Sottolineo il mio "pare", non conosco a fondo i meccanismi che regolano l'acquisto di automobili in Germania: chi lo sa che non ci sia qualche tassa strana da pagare. Mai dire mai, in Italia siamo gli specialisti nel pagare dazi sulle cose più assurde. Il caso del modello Renault selezionato è un caso, probabilmente. Intanto su numerosi altri marchi si risparmia non poco, anche oltre il 10%. Su tre di quattro case tedesche (Audi, BMW e Volkswagen) si risparmia all'incirca un migliaio di euro, mentre è in controtendenza Mercedes.
Restando in ambito italiano, quindi su Fiat, la differenza di 100 € nel costo di una 500 non è poi così eccessivo. Però il fatto che sia una macchina italiana non garantisce che in Italia costi meno. Rimanendo su modelli popolari, l'esempio più adatto può essere quello della Panda: in Italia si parte da 10400 €, in Germania da 9290 €. Idem per la Punto: in Italia si parte da 11900 €, in Germania da 11590 €. E anche su vetture di altri segmenti, come il SUV Freemont, si ha un risparmio, anche se più contenuto.
Anche stavolta ho snocciolato qualche numerino, che certamente può avere un valore più o meno significativo. Nella mia piccola indagine ho scelto modelli a caso dei principali marchi, ma anche stavolta ho riscontrato che in Germania c'è una certa tendenza al risparmio, rispetto all'Italia. Ed è quindi per la quarta volta in un mese, che mi pongo questa domanda: "perché???".Qualcuno mi aiuti a capire, per favore.
Bis bald!
Stefano

martedì 18 febbraio 2014

Bucher: Walter Bonatti - L'uomo, il mito

"Quando da bambino mi chiedevano che cosa volessi fare da grande, non avevo dubbi: lo scalatore, rispondevo. Ma mi dicevano che ero matto. Tutti, a parte i miei genitori. Mi ammonivano: solo Messner e Bonatti sono riusciti a vivere di scalate ed emergere. È stato il loro esempio a farmi capire che dobbiamo essere noi per primi a credere in quello che facciamo, senza porci limiti e ostacoli. Ancora più della voglia di emularlo, Walter mi ha dato la convinzione che ciò che avevo in testa non era una semplice utopia."
Simone Moro, prefazione a Walter Bonatti - L'uomo, il mito

"Un nome noto in tutto il mondo, limpido, cristallino come le sue montagne. Un nome che conferma a un'Italia, in questo momento assai dubbiosa dei propri valori, quanto invece sia ricca di individui di fama planetaria che l'hanno fatta grande. E Dio solo sa quanto abbiamo bisogno ogni tanto di ricordarcelo."
Alessandro Gogna, prefazione a Walter Bonatti - L'uomo, il mito


Ciao a tutti!
Walter Bonatti è una pietra miliare della storia dell'alpinismo, il suo nome è scritto nelle rocce di tutto il mondo, Alpi, Himalaya, Ande. È normale pensare (per me) qualcosa tipo "chissà che figata che deve essere questo libro" e successivamente "no, lo devo prendere assolutamente". E infatti, lo prendo.
A pochi mesi dalla scomparsa della leggenda italiana della montagna, Roberto Serafin, già redattore del notiziario del Club Alpino Italiano, pubblica con Priuli&Verlucca questo saggio di grande intensità, che ci racconta il Bonatti "pubblico", quello delle grandi scalate, e quello più privato: il Bonatti solitario o il Bonatti che preferisce lasciare il segno dietro le righe di un libro o di un articolo. Il percorso che Serafin traccia lungo le pagine del suo saggio è lineare, e spazia dalle prime esperienze in Grigna fino alle ultime avventure nelle terre più inesplorate. L'analisi delle varie sfaccettature del Bonatti-pensiero è totale. Non si limita ad affrontare la spinosa vicenda della prima salita al K2, ma va a fondo nella disputa che Bonatti ingaggia con l'altro monumento vivente della montagna italiana, Reinhold Messner. E che a pochi è nota (e includo me stesso nella lista).
Probabilmente non il miglior libro per avvicinarsi alla storia di Bonatti, sicuramente un must per chi ne ha ammirato le gesta, con orgoglio ("era italiano ed era il numero uno") e quel normale senso di invidia che a volte ci fa pensare "sarebbe bello essere come lui"...
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 9/10 ««««««««««

lunedì 17 febbraio 2014

Il lumino in fondo al tunnel

Ciao a tutti!
Dopo un mese e mezzo dall'inizio del piccolo calvario al ginocchio destro, si inizia finalmente a intravedere qualche concreto miglioramento e qualche soluzione al problema.
Innanzitutto, c'è da dire che ho archiviato ogni tipo di fastidio durante il gesto della pedalata. Ho ripreso ad utilizzare con continuità la bicicletta per recarmi a lavoro, nonostante qualche problema tecnico. La notizia più confortante è di domenica scorsa, durante la quale ho raggiunto Volkach, ridente cittadina affacciata sul Meno, percorrendo in bicicletta la Mainradweg in direzione Würzburg. Non è stata una normale passeggiata domenicale, qualcosa di più. Volevo veramente capire la reazione del ginocchio ad uno sforzo superiore alla media. Ebbene, quasi 62 chilometri ad una media di quasi 20 km/h, senza alcun problema, sono stati un test superato più che positivamente. Ed io, sono ora molto più sollevato in chiave futura (vacanze in bicicletta?).

Il ginocchio "dentro"...

Durante la scorsa settimana, ho avuto inoltre il responso della risonanza magnetica e della visita ortopedica, che avrebbero dovuto fugare i dubbi sulla reale situazione del mio ginocchio.
L'esito della risonanza è stato confortante. Nessuna lesione (forse me ne sarei accorto, eh?), l'unica leggera anomalia è in un assottigliamento del menisco mediale. Il quale non ha nulla a che fare con il mio problema, dato che il dolore si manifesta nel compartimento esterno del ginocchio. Quindi, apparentemente nessuna deviazione dalla normalità. La visita ortopedica ha invece - spero - chiarito la situazione. Dopo un po' di movimenti, flessioni e pressioni, l'ortopedico ha individuato il problema in un'infiammazione del legamento esterno, oltre a confermarmi la condropatia rotulea (probabilmente scatenata dall'infiammazione tendinea). Possibili soluzioni: infiltrazioni o tecarterapia - della quale so poco, ma a tal riguardo ho ricevuto un ottimo feedback - in aggiunta al percorso di rinforzo muscolare che sto già praticando.

Però fino a Volkach ci sono arrivato...

Sceglierò sicuramente la seconda opzione, di schifezze nel nostro corpo ne entrano già a sufficienza durante tutta la vita. Avendo un'alternativa che pare molto valida, la percorrerò sicuramente. Dato che sulla salute ci voglio vedere chiaro, aspetterò di essere in Italia (in estate, quindi) per sottopormi a questa tecnica per recuperare l'infiammazione. Questo implica molto probabilmente la totale rinuncia ad ogni tipo di corsa per tutta la prima parte dell'anno. Sono dispiaciuto, però, dopo un mese e mezzo sono già rassegnato e ho avuto il tempo di valutare altre opzioni da percorrere.
Bicicletta, prima di tutto, per arrivare in forma ad un'estate in cui spero di ripetere con Giulia un'avventura simile a quella dello scorso anno sul Danubio.
E non solo, ho in testa un'idea che mi piace considerare "folle ma non troppo" che mi sta dando molti stimoli in questo periodo in cui ho dovuto forzatamente metter da parte lo sport che più amo. Questo è però tutto un altro discorso, che merita una discussione a parte...
Bis bald!
Stefano

domenica 16 febbraio 2014

-32

"Il tempo, si sa, vola a volte veloce come un uccello, a volte scivola lento come un verme, ma la sensazione migliore per l’uomo sta nel non accorgersi nemmeno se il tempo stia trascorrendo piano o in fretta."
Ivan Sergeevič Turgenev, Padri e figli

Tramonto sul Baggersee. Foto di archivio, 18 ottobre 2013

E si ritorna a fare il conto alla rovescia. Già notevolmente stufo, dei conti alla rovescia.
Bis bald!
Stefano

sabato 15 febbraio 2014

Terra di Franconia: Volkach

Ciao a tutti!
La Franconia non smette di stupire, ogni volta sa regalare qualche piccola perla di bellezza. L'ultima che ho scoperto è Volkach, un comune di poco meno di diecimila abitanti lungo le rive del Meno e di conseguenza, lungo la Mainradweg, la ciclovia del Meno.

La Marktplatz di Volkach

Raggiungere Volkach in bici costa trenta chilometri di pedalata lungo la Mainradweg partendo da Schweinfurt, in direzione sud-ovest. Questo è un tratto di ciclovia dalla duplice faccia: prima si pedala in una zona piuttosto acquitrinosa, poi quando mancano una decina di chilometri a Volkach, si inizia ad essere circondati dai vigneti, uno dei marchi di fabbrica della terra di Franconia.
Il vino è uno dei motori di questa cittadina fondata intorno all'anno 900 d.C.: l'ingresso nel paese è segnato da una piccola chiesa, il cui nome è quasi profetico, "Maria im Weingarten". E infatti, si trova sulla sommità di una collina completamente ricoperta dalle vigne. Quasi un baluardo a difesa dell'oro liquido di questa terra, il vino francone. Volkach è inoltre sede di una delle più importanti manifestazioni vitivinicole della zona, la Weinfest.

Una delle torri che segnano l'ingresso a Volkach

La cittadina di Volkach appare molto curata. I suoi edifici risalgono all'epoca rinascimentale, ma è evidente la mano del restauro. Il Rathaus, sulla piazza principale del paese dove un tempo si svolgeva il mercato, fu costruito nel XVI secolo eppure sembra come nuovo, pur mantenendo i tratti tipici dell'edificio a stampo germanico, come le scale ed il balcone a torre.
Sempre sulla piazza sorgono molti edifici caratteristici, tra cui spicca la Gasthaus Behringer. Questo edificio, una classica casa a graticcio oggi adibita ad hotel, è certamente il più suggestivo dell’intero paese, nonostante sull'arteria principale del paese si possano incontrare numerose e coloratissime abitazioni rinascimentali.

Una delle case più suggestive di Volkach, la Behringer

La struttura del paese ricorda molto Haßfurt: una lunga via centrale, una piazza principale e due torri che delimitano i confini del centro storico. Cosi è anche a Volkach. Sicuramente di livello inferiore rispetto ad Haßfurt è la chiesa principale, qui dedicata a San Bartolomeo. Essa infatti possiede all'interno numerose opere barocche.

Il Meno visto da Volkach

E poi, proprio come Haßfurt, permette di ammirare tutta la maestosità del Meno. Con in più, uno sguardo sulle colline, quelle colline i cui frutti deliziano i palati degli amanti del buon vino. Me compreso.
Bis bald!
Stefano

venerdì 14 febbraio 2014

Bucher: Patagonia Express

"Sento che ritorno in un mondo dove l'avventura non solo è ancora possibile, ma è la più elementare forma di vita."
Luis Sepúlveda, Patagonia Express


Ed è con questa frase che introduco Patagonia Express, eccezionale diario di viaggio dello scrittore cileno Luis Sepúlveda, che illustra in questo volume tutte le sue emozioni e i ricordi del viaggio che gli fa riscoprire la sua terra. Sepúlveda infatti, essendo stato un attivista del partito socialista guidato da Salvador Allende, fu arrestato, torturato e successivamente esiliato: è il 1977, passeranno ancora dodici anni affinché possa fare ritorno da libero cittadino nel suo Cile.
Sepúlveda riporta su una Moleskine (quelle di una volta, non quelle che si trovano oggi da Feltrinelli) regalatagli da un altro che ha fatto dell'avventura uno stile di vita, Bruce Chatwin, la poesia di una terra, la Patagonia, che rimane una delle ultime ancore di salvezza dal materialismo che ci circonda. Patagonia Express fotografa l'anima dei patagoni, che Sepúlveda descrive come un popolo duro ma gentile. Ogni capitolo descrive un luogo diverso e allo stesso tempo un personaggio nuovo. Personaggi, si, allegorie di un mondo lontanissimo, quasi un'isola sperduta dalla civiltà per come la conosciamo noi occidentali. Non c'è una trama definita, solo tante favole - apparentemente alla rinfusa - che sanno tenere incollato il lettore. E in fondo, lo fanno innamorare di questa terra così aspra.
Non a caso, è una persona che la Patagonia la porta nel cuore ad avermi regalato questo libro, sapendo con certezza che non sarebbe stata probabilmente questa gelida terra a rapirmi, ma le calde suggestioni che derivano dall'intensità umana di chi la popola, magistralmente dipinte dalla penna di Sepúlveda. Suggestioni che, lo ammetto, non potevano lasciare indifferente un'anima sempre in viaggio.
Bis bald!

Giudizio: 9/10 ««««««««««

giovedì 13 febbraio 2014

Quando la strada si rizza sotto i pedali

“Chi gli ha voluto bene, Marco Pantani se lo ricorderà così, con quella sua voglia di vivere, di vincere, di credere all'impossibile e di realizzarlo. Di correre oltre la forza di gravità, di sfidarla come nessuno, di aprirsi la strada in mezzo a mille tifosi lì, solo per lui, magari da ore se non dal giorno prima, giusto per vederlo passare anche solo un secondo, per dedicargli un applauso o per urlargli “dai Marco!”. Di lui ci rimane il mito, le vittorie straordinarie che ha saputo conquistare… L'Alpe-d'Huez, il regno degli scalatori, poi il Giro d'Italia, il Tour de France. Pantani vinceva a modo suo, un modo diverso unico. Aveva fantasia, coraggio, amore per l‘impresa, ti faceva battere il cuore, ti coinvolgeva, ti lasciava spesso con le lacrime agli occhi perché sapevi che ogni volta la sua capacità di osare e di soffrire l'avrebbe portato a realizzare ciò che nessuno credeva possibile. L'hanno buttato per terra mille volte con la sua bici. Quella sfortuna sembrava seguirlo ovunque, dietro ogni curva. Gli hanno spezzato una gamba che ci voleva un ferro lungo più di trenta centimetri per tenerla insieme. Eppure, ogni volta, lui ti insegnava che ci si può rialzare, e se ci credi veramente nulla ti può fermare, ogni volta puoi tornare a correre, più forte di prima. È per questo che la gente lo amava, lui ti faceva sognare, anche quando era fuori dalle corse riusciva a trovare il modo di sorridere, scherzare, cantare, come quel Giro che iniziava ogni giorno con la sigla interpretata da lui, che in corsa non ci poteva essere per le fratture alla gamba. Corridore, personaggio, tenace sulla bici e fragile nell'animo, durissimo con se stesso e generoso con gli altri. Tutti lo chiamavano “Pirata” per quella bandana che gettava al vento come gesto di sfida prima dell'attacco. I francesi ce lo invidiavano, avrebbero fatto carte false per averlo, uno così. Ma lui era romagnolo e si vedeva. Lui era il “Pirata”, e il suo cuore batteva forte, là, in alto, dove la terra si avvicina al cielo, prima di volarci dentro e lasciarci qui a guardarlo, un po' più soli, a pensare con un dolore forte nello stomaco… quanto ci mancherà...”
Davide De Zan

L'apoteosi del Tour 1998: Pantani da solo a Les Deux Alpes (fonte: cyclingnews.com)

Ciao a tutti!
Tornando con la mente indietro nel tempo, mi sembra ancora impossibile pensare che Marco non ci sia più. Fisicamente ci ha lasciato esattamente dieci anni fa, ma il suo spirito vive in tutti i ciclisti e appassionati del grande ciclismo. Non lo si poteva non amare, quello scricciolo di uomo così grande sui pedali. Lui faceva sognare l'Italia intera con i suoi scatti micidiali, con le sue fughe irresistibili, con quelle azioni letali per ogni avversario. Anch'io fui fulminato quando lo vidi per la prima volta in televisione, nel 1994 salire sul Mortirolo prima e sull'Aprica dopo con una facilità disarmante. Un altro fulmine, ben diverso, mi colpì dieci anni dopo, quando il freddo SMS inviatomi dalla TIM comunicava che Marco Pantani era morto.

Tour 1997: sui tornanti dell'Alpe-d'Huez (fonte: sport.sky.it)

Era il 14 febbraio 2004, un'umida sera di San Valentino. Ricorderò per sempre quel momento, doloroso. Ero in macchina con un amico – di lì a poco avrei preso anch'io la patente – quando ricevetti quel messaggio. Rimasi impietrito, la serata era rovinata. Un pezzo della mia infanzia ed adolescenza se n'era andato per sempre. Marco mi ha fatto innamorare della bici, del ciclismo. Ha insegnato a me, e non solo, all'Italia intera, il senso della lotta, del non mollare mai. Dare tutto ciò che si ha, sempre.

Giro 1998: in fuga con Beppe Guerini sulle rampe del Passo Fedaia (fonte: news.sirotti.it)

Le sue imprese più belle, le ho ancora stampate negli occhi adesso. Mi viene in mente il trionfo a L'Alpe-d'Huez nel 1995, quando staccò tutti scattando sull'attacco della salita, lo rividero in cima. Era una giornata di sole ma fresca. Non avevo ancora compiuto dieci anni e provavo, probabilmente con scarso successo, a fare i compiti delle vacanze, mentre mia mamma, che stava stirando, gettava un occhio sulle mie attività. Oh, la testa non pensava ai compiti in quel momento. Ero rapito da quel corridore, un po' brutto, ma che in salita menava come nessun altro. Laggiù in cima, dove iniziano gli orrendi condomini dell'Alpe-d'Huez, i tifosi sono migliaia, decine di migliaia. Come Mosè separava le acque, Pantani divideva i tifosi in due ali di folla impazzita.

Tour 2000: il diavolo e l'acquasanta sul terribile Mont Ventoux (fonte: giornalettismo.com)

L'Alpe-d'Huez è una salita speciale. Quei ventuno tornanti sono la leggenda del ciclismo. Laggiù hanno vinto solamente i più forti. Coppi, Zoetemelk, Bugno, tanto per citarne alcuni. È la storia del Tour de France. Ho avuto modo di partecipare agli arrivi di tappa del 2008 e del 2011, quando a vincere furono Carlos Sastre e Pierre Rolland. Su quell'asfalto ho pensato alle incredibili pagine di storia sportiva che vi scrisse Pantani. Come nel Tour del 1997. Nessuno fino ad oggi, dopo sedici edizioni del Tour e otto arrivi di tappa all'Alpe-d'Huez ha saputo ripetere quella performance, neanche il re del doping Lance Armstrong. Stavolta ero in vacanza con i miei genitori a Selva di Cadore. Quel pomeriggio io e mio papà rimanemmo in casa, semplicemente perché “c'era Pantani”. Dopo due anni di sofferenze, quell'urlo feroce all'arrivo, tutto solo… Brividi…

Giro 1999: una rimonta incredibile ad Oropa (fonte:cyclingjournal.blogspot.com)

Poi venne l'anno magico, il 1998. Era un giovedì di attesa, quel 4 giugno. Pantani aveva già conquistato la maglia rosa nell'epica tappa della Marmolada, che avevo potuto vedere solo impostando il videoregistratore (ah, che tempi quelli delle VHS). Ma non aveva il vantaggio necessario per difendersi nella cronometro conclusiva. Quella tappa a Plan di Montecampione era decisiva. Lo sapeva anche mio papà che quel giorno decise di entrare prima a lavoro per poter essere anticipatamente a casa a godersi lo spettacolo. E spettacolo fu, quella salita infinita fu il teatro del duello tra Pantani e l'unico antagonista rimasto, il russo Pavel Tonkov. Incollati al divano, rapiti dalla grinta di Marco e dalla poetica telecronaca di Adriano De Zan e Davide Cassani. Solo sulla linea del traguardo, alzò la testa e si lasciò andare in un sospiro di liberazione. Il Giro era suo, e lui aveva fatto esultare tutti gli italiani.

Giro 1998: il duello finale con Tonkov a Plan di Montecampione (fonte: cyclingnews.com)

Il momento più indimenticabile arrivò però due mesi dopo circa. Lunedì 27 luglio 1998, si corre la tappa che da Grenoble porta a Les Deux Alpes. Piove a dirotto sulle Alpi francesi, le immagini riprese dai motooperatori della televisione francese sono continuamente disturbate. Piove anche in Italia, fa quasi freddo. Quel lunedì lo ricordo come se fosse ieri. Sguardo incollato allo schermo, ad un metro o forse anche meno di distanza, in attesa DELLO scatto. L'audio di scarsa qualità della telecronaca di De Zan e Cassani si mischia con il chiacchericcio di mia mamma e di mia nonna intente a preparare i vasetti di giardiniera. Che giorno, quel lunedì. Marco scatta a pochi chilometri dalla cima del Col du Galibier, una fucilata. Stacca tutti quanti, incrementa il vantaggio in discesa e completa l'opera con un assolo magistrale a Les Deux Alpes. La maglia gialla, il tedesco Jan Ullrich, arriva a nove minuti. Quel giorno si compie il più grande exploit del ciclismo moderno. La domenica successiva è il momento del trionfo finale, quello di Marco in maglia gialla a Parigi, davanti all'Arc de Triomphe, con un commosso Felice Gimondi (allora ultimo italiano in maglia gialla) che alza il braccio di Marco al cielo. Sono sincero, qualche lacrima mi scende ancora adesso, mentre scrivo…

Tour 1998: la rasoiata sul Col du Galibier, non ce ne sarà per nessuno (fonte: philmazzarello.com)

Il 1999 fu l'anno di vittorie strabilianti, da solo nella nebbia del Gran Sasso, una formidabile rimonta al Santuario di Oropa e il capolavoro solitario a Madonna di Campiglio. Poi venne ciò che tutti sanno.
A chi dice che era solo “un dopato di merda” io rispondo dicendo che non fu mai trovato positivo ad alcun test antidoping. Che l'ematocrito alto è un parametro che non stabilisce se un'atleta è pulito o no. Che nessun compagno di squadra lo accusò in seguito di aver fatto pratiche dopanti (come è successo ad esempio al texano). Che lo volevano fare fuori perché era il più forte, e dava fastidio a chi sarebbe dovuto venire dopo di lui. La sua unica colpa era quella di far sognare i tifosi con i suoi scatti.

Felice Gimondi passa il testimone a Marco Pantani alla premiazione del Tour 1998 (fonte: corriere.it)

Ha fatto sognare anche me, ovviamente. Ogni volta era una festa. Al termine di una tappa in cui aveva posto il suo suggello vittorioso, mi sentivo come… libero. Nel segno di questa libertà “ritrovata”, era normalità salire in sella e provare ad emulare le gesta del Pirata sulle uniche salitelle del mio paese, quelle dei ponti sul torrente Lemina. Scattare, come se in cima a quell'insignificante strappo ci fosse un traguardo da tagliare a mani levate. Pensare a lui mi ha fatto crescere in me la voglia di provare una bici da corsa, di provare – anche se con incostanza – salite vere, come il Sestriere. Le sue imprese hanno lasciato in me il desiderio di seguire dal vivo questo mondo così duro ma meraviglioso, quello della fatica e del sudore sui pedali. E in fondo, ha lasciato anche il recondito insegnamento che si può cadere tante volte ma si deve sempre trovare la forza per rialzarsi. Lottare, sempre.

Tour 1997: c'è solo rabbia nel suo urlo di vittoria all'Alpe-d'Huez, dopo due anni di sofferenze (fonte: testepelate.it) 

La crudeltà del mondo ciclistico l'ha portato via. E manca ancora troppo a questo mondo, così povero di personaggi che sappiano avvicinare le folle. Dopo l'estro e l'imprevedibilità di Marco, è venuto il tempo del ciclismo degli allenamenti scientifici: l'americano figlio del doping e il keniota bianco Chris Froome, tanto per fare due esempi. Nessuna benché minima traccia della poesia che era Pantani in salita.
Il ciclismo di Pantani non esiste più, o forse non c'era mai stato. Probabilmente era solo lui l'astro isolato che splendeva nel povero panorama che gli ruotava attorno. Ma non c'è solo quello. Manca un po' di spensieratezza, quella sensazione innata che ti porta ad attaccare una strada ripida quando a nessuno verrebbe mai in mente. Manca quell'intensità di vivere che ti porta a guardare una maglia di colore rosa, con gli occhi di un bambino che ha visto per la prima volta il mare. Combattere per un sogno…
Bis bald!
Stefano

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