martedì 31 marzo 2015

Un galeone in piazza

Ciao a tutti!
C'è una piazza a Schweinfurt, la Marktplatz, che attraverso tutti i giorni con la mia bici per recarmi a lavoro. È una piazza che amo particolarmente. Attraversarla in bicicletta per recarmi al lavoro mi dà ancora più soddisfazione, forse perché è un personale simbolo di una vita che vorrebbe essere lenta, in un mondo che va sempre troppo forte. Forse un giorno ci scriverò due righe su. Ma in realtà non ho intenzione di parlare di piazze, oggi.

Beviamoci una birra in barca

Attraversandola ogni santo giorno, questo luogo scandisce i tempi, le stagioni, i movimenti. E quando la configurazione abituale varia, beh, è sempre un piccolo shock. Così arriva la mattina in cui sul pavè della Marktplatz spunta un galeone. Si, ho detto bene, un galeone. E mica tanto piccolo: l'albero maestro riesce, grazie alla sua altezza e ad un gioco di prospettiva, a coprire quasi completamente il profilo del Rathaus di Schweinfurt. Mi avvicino velocemente e vedo che il galeone è solo l'anticamera di qualche manifestazione che sta per arrivare. Tendoni, camioncini, bancarelle. Sembra il set di una vera e propria sagra di paese. L'odore di pesce è inconfondibile, le targhe dello Schleswig-Holstein non possono smentirsi. Sta per il arrivare il Fischmarkt, il mercato del pesce, cinque giorni dediti alle bontà del Mare del Nord (o del mar Baltico). E il galeone? Il galeone è il bar più chic del Fischmarkt.

Bontà di mare

Sugli odori che talvolta il vento ha trasportato fin sotto casa, non vi è nulla da obiettare. Il venerdì, giorno in cui mi capita non raramente di uscire anticipatamente dall'ufficio, proviamo a entrare nel cuore del "mercato dei pescatori". Maledetta sia 'sta celiachia che mi impedisce di provare qualcuna di queste prelibatezze, tutte rigorosamente impanate. Gli aromi sono veramente irresistibili, ma non posso far altro che rimanere ad annusarli. Allora provo ad inebriarmi in un altro modo. Lo faccio con il sole della Franconia, che pare essersi voluto concedere completamente, ai pescatori del nord. Lo faccio con l'allegria della gente in mezzo alla quale ci troviamo, a cui piace ritrovarsi in piazza per scambiarsi ed arricchirsi. Lo faccio con un ritrovato spirito di gioia, con facce serene e felici, lontane da fatiche ed ansie quotidiane. Questi sono i volti più belli di Schweinfurt, queste sono le immagini che sono felice di abbracciare ogni giorno con gioia.

E il Rathaus non c'è più!

Conscio che tutto l'entusiasmo che questa gioia mi provoca non può che da me essere restituito, in qualche modo.
Bis bald!
Stefano

lunedì 30 marzo 2015

Tedesco - Nugget of the day n.9

Trattasi di una storia vera.
Decido di recarmi all'unico negozio di Schweinfurt nel quale so di poter trovare delle calze per la corsa. È da qualche giorno, infatti, che mi ritrovo con delle piccole vesciche sulla pianta del piede. Urge sostituirle. Entro in negozio, studio un attimino la zona delle calzature e faccio dunque la mia scelta.
Sto per presentarmi alla cassa quando una curiosa ragazza dal viso acuminato e dalla voce androgina punta me e Giulia e ci rivolge a noi: «fsdfäsd ßdgäüc xvsdim apüas dcöqnq ven ryaeßvd fzen». Io ho lo sguardo letteralmente perso nel vuoto e non ho il tempo di provare la replica che mi anticipa Giulia: «zakßs dfvqpw oeirutzalsk djäfg müßcbn übersetzen» (übersetzen significa tradurre). Sostanzialmente mi voleva proporre un'offerta 3x2. Ma io punto dritto alla cassa, pronto a pagare, deciso a scappare al più presto da questo negozio. Sembra filare tutto liscio, quando la commessa, con tono decisamente più ammaliante, mi chiede «Eine Tüte?».

Milioni di tute... (fonte: bastelmoewenshop.com)

Secondo momento di panico totale. Dunque, io sono entrato qui per comprarmi delle calze. Perché questa qui mi vuole propinare un capo di abbigliamento di cui non ho affatto bisogno? Ma soprattutto, perché lo fa dopo il mio pagamento? C'è qualcosa di maledettamente complicato che non torna. A risvegliarmi dal brutto sogno è ancora una volta Giulia: «Ti chiede se vuoi una borsa». Per un paio di calze? No, no, per l'amor del cielo, andiamocene solo.
All'uscita, scoppiamo a ridere: die Tüte significa sacchetto. E io ovviamente, cosa potevo aver capito se non tuta? (oh, amici tedeschi e germanofili, non condannatemi: essendo in un negozio di abbigliamento sportivo, credo che il dubbio fosse lecito)
Bis bald!
Stefano

domenica 29 marzo 2015

"Let me ask leave to pay..."

"Lasciate che io porga un tributo di rispetto e di ammirazione al Cervino, altre volte cotanto agognato, prima che abbandonino il suo capo gli ultimi raggi d'un sole che tramonta per illuminare più alte e più lontane catene, e prima che lo sommergano i flutti dell'oblio."
Florence Crauford Grove

Soffio di luce (© Summit Ski and Snowboard School Zermatt)

sabato 28 marzo 2015

Bücher: Lettera di una sconosciuta

"Ti svelerò tutta la mia vita che veramente è cominciata il giorno in cui ti ho conosciuto. Prima non era altro che qualcosa di opaco e informe in cui il mio ricordo non si è mai immerso, una specie di cantina piena di cose e persone impolverate,nascoste sotto le ragnatele e sorde,delle quali il mio cuore non ha serbato alcuna memoria"
Stefan Zweig, Lettera di una sconosciuta


Ciao a tutti!
Lettera di una sconosciuta di Stefan Zweig non era di certo, per usare un gioco di parole, un'opera sconosciuta. Ero stato introdotto a quest'opera da Giulia, grazie dall'omonimo film datato anni '40.
Dunque, la trama mi era più o meno conosciuta. Ma volevo toccare con mano la "commovente" narrazione di Zweig in questo racconto - non si può parlare di romanzo breve. La storia è molto semplice: un famoso romanziere viennese riceve una lettera da una donna che, in punto di morte, dichiara il suo inconfessato amore per lui. Amore che ha provato tutta la vita, amore che ha trasformato in vita: da lui ha infatti avuto un figlio - e non continuo per non esagerare nell'attività di spoiler.
Il racconto di Zweig è sicuramente di ottima fattura e sa toccare con delicatezza un tema tanto delicato quanto sempre vivo: il difficile passaggio dell'amore adolescenziale all'amore maturo, quello che ti segue (e persegue) nel corso dell'età adulta. La scorrevolezza del testo e la perfetta alternanza tra gli struggenti sentimenti del presente e la lucida ricostruzione del passato sono di gran lunga la caratteristica migliore di Lettera di una sconosciuta.
Dall'altro lato, devo rimarcare alcuni aspetti che mi hanno deluso. Innanzitutto, non l'ho trovato particolarmente commovente: nell'ora di lettura necessaria non vi è tempo sufficiente per rielaborare nel proprio animo quanto l'autore vorrebbe trasmettere. Meglio il film, sotto questo aspetto. E poi una critica va fatta all'immagine che viene cucita alla protagonista: priva di amor proprio, cocciuta e infantile nel medesimo tempo, al limite della stupidità: sicuramente non la migliore protagonista incontrata in una storia d'amore.
Nonostante alcuni aspetti a mio parere negativi, Lettera di una sconosciuta rimane una buona opera, un racconto che può riempire un'ora libera con letteratura di qualità.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 7/10 ««««««««««

venerdì 27 marzo 2015

Molte anime nella stessa acqua

Ciao a tutti!
Strasburgo, undici anni dopo. Era il 2004 quando mi recai - era la gita scolastica della quinta superiore - per la prima volta a Strasburgo. Quanto tempo è trascorso, quante cose sono cambiate. Ho cambiato studi, ho compiuto cose che pensavo irrealizzabili, la mia vita ha preso strade decisamente non convenzionali. Sono maturato, sono diventato adulto. E guardo a questa città, un vero e proprio simbolo dell'Europa unita, con ben altri occhi rispetto a due lustri fa.

Rue Mercière

Gli occhi sono più interessati e desiderosi di scoprire. Cosa potrebbe mai fregare, sostanzialmente, ad un ragazzo di diciotto anni, sapere che la cattedrale di Strasburgo ai tempi della sua costruzione era l'edificio più alto del mondo? Perché mai un adolescente dovrebbe interessarsi ai motivi per il quale Strasburgo è stata scelta come "capitale dell'Europa"? L'importante era divertirsi con i propri compagni di classe. Ora, maturato, cresciuto, guardo a questa città con grande curiosità ed interesse. La storia di Strasburgo parla da sola: una città che ha cambiato numerose volte la nazione o il regno di appartenenza non può che avere moltissimo da raccontare.

Il Barrage Vauban e sullo sfondo, il Museo d'Arte moderna e contemporanea

Le vicende storiche di Strasburgo spiegano molto bene come si sia giunti alla decisione di farla diventare "capitale d'Europa" (dal 1949 è la sede del Consiglio d'Europa e dal 1952 sede del parlamento Europeo). Capitale di una regione, l'Alsazia, da sempre contesa tra la la Francia e i regni della Germania, Strasburgo ha visto susseguirsi svariate dominazioni. Tutte perfettamente visibili nella città come la possiamo ammirare oggi, soprattutto nell'architettura, nella gastronomia e nella lingua.

Scorcio di Petite France

Strasburgo è in territorio francese e si percepisce chiaramente il desiderio di appartenenza alla Francia, ma il francese che qui si parla è più una sorta di dialetto, con evidenti influenze germanofone. Anche la cucina risente particolarmente dell'influenza tedesca: se la tarte flambée (un piatto che assomiglia vagamente ad una pizza, fatto da un impasto lievitato condito da vari ingredianti come panna, cipolle o pancetta) ha un'origine prettamente francese, non altrettanto si può dire per la choucroute d'Alsace, sostanzialmente composta da crauti e carne di maiale, con poche differenze rispetto alle specialità della Baviera e del Baden-Württemberg. La smodata presenza della carne in ogni specialità, le patate a contorno di ogni piatto, la birra che domina sul vino spiegano bene come l'influenza della Germania sia una costante nella vita strasburghese, specie a tavola.
Anche nell'architettura, nell'urbanistica di Strasburgo, l'impatto tedesco è chiaramente visibile. Le case a graticcio della Petite France o delle vie adiacenti alla Place de la Cathédrale si rifanno alla miglior tradizione tedesca (quella di Rothenburg ob der Tauber o Norimberga, per intenderci), la Cattedrale di Notre-Dame è uno dei migliori esempi del gotico francese, il Palazzo dei Rohan segue la moda classicista di moda nel Settecento francese.

Bateau mouche

In Strasburgo ho rivisto a tratti caratteristiche di altre città visitate in passato: un po' Parigi (l'Ill non è la Senna, ma me la fa ricordare), un po' Norimberga (per le già citate case a graticcio), un po' Amsterdam (per la navigazione in battello), un po' Berlino (per la modernità degli edifici istituzionali), un po' Annecy (le rive del Thiou come quelle dell'Ill), un po' Costanza (l'eleganza di molti edifici non si può discutere). Una tale miscellanea di svariati contributi culturali ha reso Strasburgo una città cosmopolita nella sua migliore definizione. Scegliere Strasburgo come capitale d'Europa non poteva che essere la cosa migliore. Al centro del continente, al confine tra due stati fondatori della UE, sulle rive (o quasi) di uno dei fiumi più importanti d'Europa, se non il più importante, il Reno: tutto ciò fa di Strasburgo la vera e propria città madre del miglior sentimento europeo. Senza dimenticare il passato e la tradizione: per questo Strasburgo è una città... più che speciale!
Bis bald!
Stefano

giovedì 26 marzo 2015

Road to Hamburg: ad un mese di distanza...

Ciao a tutti!
Oggi è il 26 marzo. Per me significa una cosa sola: mi trovo ad un mese di distanza dalla Haspa Marathon Hamburg, a soli trenta giorni dal nuovo appuntamento con la distanza più affascinante dell'atletica leggera. È dunque tempo di ufficializzare l'iscrizione ad una delle manifestazioni podistiche più importanti di Germania: la maratona che si tiene annualmente ad Amburgo è seconda, come numero di partecipanti, solo a Berlino. Si, il 26 aprile 2015 sarò in griglia di partenza, pronto per compiere un lungo anello di oltre 42 chilometri lungo le strade di Amburgo. Per scaramanzia, mi tocca aggiungere: se non incapperò in nessun incidente di percorso - gli imprevisti, mi insegna la storia e soprattutto i corridori più navigati, sono sempre all'ordine del giorno.

Iscritto!

Meno uno, quindi. O forse sarebbe meglio dire "meno trenta": il mese prima della fatica massima può essere eternamente lungo. Meglio prendersela... comoda!?
Bis bald!
Stefano

mercoledì 25 marzo 2015

Cammini svevi

Il weekend della mia prima mezza maratona in Germania, a Schwäbisch Gmünd, è stato anche l'occasione per addentrarmi più a fondo nella realtà del Baden-Württemberg, un land molto vicino ma mai sufficientemente esplorato. Durante i miei viaggi tra l'Italia e la Germania, il tratto tedesco è per metà in questo land, ma si rimane sempre in una zona "di frontiera", al confine con la Baviera. Anche durante la Verrückte Idee, ho avuto modo di toccare il Baden-Württemberg, recandomi ad Heidelberg, ma anche questa città è una località di confine (con l'Assia e con la Renania-Palatinato). Il vero spirito del Baden-Württemberg è nel cuore di questa regione, nella Foresta Nera, nella Svevia.

Ebnisee: un paesaggio che sa di natura incontaminata

Quest'ultima zona del land, la Svevia (per la precisione, il Giura Svevo) è stata quella che abbiamo avuto maniera di attraversare due weekend fa. Il tempo per visitare luoghi e località è stato pochino, tra la mezza maratona e altri incontri, ma è stato sufficiente per capire qualcosa in più di questa terra. E per capire di volervi tornare più in là, magari quando inizierà ad insinuarsi stabilmente la bella stagione.
Due sono le facce di questa regione. La prima, forse più evidente, è quella industriale, piuttosto marcata nel circondario di Stoccarda e non solo, che fa di questa regione una delle più ricche di Germania (seconda per il tasso più basso di disoccupazione, terza per prodotto interno lordo e per salario lordo pro capite) e d'Europa, Mercedes e Bosch sono gli esempi migliori del florido tessuto produttivo dell'area. E dalle autostrade e dalle superstrade, vi assicuro, lo si capisce perfettamente.

Una casa a graticcio...inclinata

L'altra è quella rurale, quella lontana dalle fabbriche. Basta veramente poco per uscirne: talvolta è sufficiente percorrere pochi chilometri per ritrovarsi da un cuore di ferro e cemento ad un piccolo paradiso naturale. Quello a nord-est di Stoccarda, del quale abbiamo visto qualcosa, può apparire disabitato, quasi addormentato. In realtà è un mondo che ben conosce i tempi del lavoro e del riposo. Il paesaggio rurale sfiora il limite della perfezione, quella perfezione che i tedeschi autocelebrano. Eleganti campi arati, l'erba tosata tutta alla stessa altezza, le ordinate cataste di legna a bordo strada, tutti sintomi dell'attenzione che viene profusa nel curare il territorio nel minimo dettaglio. Tutto deve essere a posto, perché l'uomo possa sentirsi a suo agio.

Squarcio di Ebnisee

All'Ebnisee ci siamo sentiti completamente a nostro agio. Questo laghetto, il cui perimetro è passeggiabile in mezz'ora circa, lascia presagire un'atmosfera di incantata tranquillità, pronta a sciogliersi in allegria con l'avvento della primavera. Come in un racconto di Ernest Hemingway, in un scenario naturale che fa pensare al Montana, allo Wyoming, se non fosse per la casetta a graticcio che di americano non ha proprio nulla. Gli alberi non sono ancora ricchi di foglie e c'è ancora della neve sui lati del sentiero, ma è evidente che l'ora del bel tempo sta per arrivare...
L'unica città visitata, Schwäbisch Gmünd, è l'emblema di un luogo a cui piace il letargo, quello di un inverno freddo e lungo, cullato dalle colline boscose del Giura Svevo, ma che tenta un timido risveglio. Sensazione gustosa, come i deliziosi würstel trovati nel vivace mercato allestito lungo il perimetro del Münster, la principale chiesa di Schwäbisch Gmünd. Non è città d'arte, Schwäbisch Gmünd, ma è città attraente, gentile, patrizia: la Markt, con i suoi palazzi barocchi, le bizzarre case a graticcio e le numerose fontane, è luogo perfetto per un incontro d'alta borghesia, quella dell'artigianato e dell'oreficeria qui tanto prolifica.

L'elegante Markt di Schwäbisch Gmünd

Giura Svevo, Svevia, Baden-Württemberg: il tutto non è così distante da Schweinfurt. Io credo che a breve ci rivedremo. Per un incontro più approfondito, per una più degna conoscenza di una terra che ha tanto da offrire.
Bis bald!
Stefano

martedì 24 marzo 2015

Road to Hamburg: pedalare per correre

Ciao a tutti!
Con la settimana che si è conclusa domenica ho terminato un'importante fase del mio programma di allenamento in vista di Amburgo. Nelle ultime tre settimane di corsa ho differenziato parecchio la modalità di esercizi che ero solito compiere nello stesso periodo. Durante la preparazione delle ultime due maratone, ho svolto ripetute molto brevi (sostanzialmente allunghi), assieme a brevissime ripetute in salita. Le prime le ho riportate sul tapis roulant: due minuti a altissima velocità, oltre i 15 km/h di picco, seguiti da due minuti a bassa velocità, spesso di poco sotto il ritmo maratona. la novità assoluta è l'uso della bici, anzi, della cyclette - complici le temperature rigide e una certa comodità. Sulla cyclette ho replicato sostanzialmente ciò che avevo già fatto sul tapis roulant: due minuti ad alta intensità seguiti da due minuti a bassa intensità, per una durata tra l'ora e le due ore, il tutto regolando la resistenza del pedale.


È una tipologia di allenamento assolutamente nuova per me, che mai avrei potuto pensare di poter implementare in allenamento in vista di una maratona: pedalare non è correre, in fondo. Ma i consigli di chi ne sa di più di te vanno ascoltati, e così ho fatto anche stavolta. In passato, non ho avuto modo di pentirmi, quindi... Dal punto di vista dell'impegno fisico, la difficoltà è notevole. La fatica inizia a far male molto più lentamente che con la corsa, ma verso la fine lo sforzo pare essere equivalente. Le gambe fanno male, malissimo, quando pedalo con il pedale a durezza 20. Non c'è il fiatone tipico della salita impegnativa, ma un dolore atroce nelle fibre muscolari.
Sono contento di aver provato questa nuova tipologia di allenamento per la Haspa Marathon Hamburg: quando arrivi alla fine della seduta di allenamento che sei stravolto, credo sia sempre un segnale positivo. Ma ho ancora qualche scetticismo: monitorando l'attività cardiaca durante l'esercizio su cyclette, non sono mai riuscito ad oltrepassare la soglia anaerobica (uno dei motivi principali per cui si fanno le ripetute), bensì ho avuto modo di sfiorarla ripetutamente. Con la corsa, con le classiche ripetute, è tutta un'altra storia. Dubbi e domande che porterò con me nelle prossime settimane, nei "lunghi" che verranno. Solo quelli, assieme all'appuntamento del 26 aprile, giudicheranno la bontà di questo allenamento...
Bis bald!
Stefano

lunedì 23 marzo 2015

Zwei Jahre

Scusa è tardi e penso a te
ti accompagno e penso a te
non son stato divertente e penso a te
sono al buio e penso a te
chiudo gli occhi e penso a te
io non dormo e penso a te
Lucio Battisti, E penso a te

Nella Petite France di Strasburgo

Il 23 marzo è sempre un giorno importante - per me, per noi.
È un tempo carico di pensieri che attraversano la mente. È tempo di tenere reminiscenze su ciò che è stato, di speranzose riflessioni su ciò che sarà.
È la granitica certezza che nulla sarebbe potuto essere uguale, che niente di tutto ciò che ho raccontato in questi ultimi due anni sarebbe stato possibile...
...senza di te, Giulia.
Oggi, come nel ieri e nel domani, TI AMO.

domenica 22 marzo 2015

Il miglior architetto di sempre

"È impossibile esprimere con la parola l'idea dell'immensità di questa piramide, dalla forma regolare ed esatta, come se fosse disegnata da un architetto, ed elevantesi a prodigiosa altezza sul ghiacciaio che ne è la base."
Gilbert Elliot-Murray-Kynynmound, II conte di Minto

Prodigio della natura, il miglior architetto di sempre (© Orest Snape)

sabato 21 marzo 2015

Bücher: Eredità

"È un libro di memoria e di recupero di un'eredità familiare e culturale che mi appartiene. [...] Il mio è anche un tentativo di ritrovare ciò che è andato perduto, con chi ancora rimane. Un modo di onorare e ricordare quello per cui hanno combattuto, hanno sofferto e sono vissuti. Per guidarmi in questo percorso Rosa mi ha teso la mano, e io l'ho afferrata. pagina dopo pagina ha risvegliato la mia curiosità. ho potuto sentire le sue parole, come faceva mia madre Herlinde che mano nella mano passeggiava spesso con lei. La ascoltava spiegare i segreti della vita, imparava la saggezza per celebrarne la bellezza, il coraggio per affrontarne i dispiaceri. È così, di voce in voce, che sopravvive la memoria del mondo."
Lilli Gruber, Eredità


Ciao a tutti!
Lilli Gruber, giornalista storica della Rai e ora in onda su La7, non è di certo una persona che ha bisogno di presentazioni. E come tanti giornalisti televisivi, non disdegna di pubblicare libri (solitamente a sfondo storico-politico). Devo ammettere che Eredità, al momento il suo penultimo libro, mi ha colpito notevolmente. Consigliatomi da Giulia, che conosce la mia passione per le vicende che la storia ci ha insegnato, mi sono tuffato a capofitto in questa storia, una vicenda vera, reale, fatta di qualche momento di felicità e di tanta sofferenza.
La Gruber racconta sostanzialmente le vicissitudini dei suoi antenati, che ruotano intorno alla vita della sua bisnonna Rosa Tiefenthaler, una donna nata austriaca sotto l'Impero asburgico di Francesco Giuseppe I e morta "italiana" sotto il regime fascista in piena Seconda Guerra Mondiale. L'uso delle virgolette per italiana è d'obbligo: la storia di Rosa, donna orgogliosamente legata al vecchio Impero, non è altro che la storia dell'eterna lotta che si consuma in Sud-Tirolo fra la cultura austriaca, quella di origine, e la cultura italiana, quella di imposizione. Di questa storia non si sa molto - io stesso ammetto la mia ignoranza - e queste pagine aiutano a fare luce su questo pezzo quasi sconosciuto di un periodo storico, quello del fascismo, sul quale invece si sa moltissimo. La storia, intesa come entità superiore, spiega al mondo le verità di oggi: se tutt'oggi gli italiani non sono ben visti in Sud-Tirolo (e il sottoscritto ve lo può confermare) le ragioni sono radicate in alcuni decenni in cui questa regione si è sentita schiava di una nazione e di una tradizione che non aveva a che fare con la loro.
Eredità è certamente un romanzo di ampia godibilità, soprattutto per gli amanti della storia del Novecento. Lilli Gruber è meravigliosa nel narrare, anche attraverso dialoghi di fantasia, una vicenda concreta e che purtroppo ha lacerato le vite di molte persone. La sua narrazione è costantemente equilibrata; nonostante le sue origini tedesche e la sua crescita professionale avvenuta in Italia, riesce a rimanere sempre super partes, senza mai sbilanciarsi, senza imporre le sue possibili convinzioni a favore di una verità storica che ricerca in continuazione. L'unica pecca che posso attribuire a questo volume è quella tenue sensazione di incompiutezza che ho provato al termine: dopo pagine spese a descriverne il loro profilo, avrei voluto sapere (senza fermarmi alla morte di Rosa) cosa sarebbe successo ai protagonisti. Certo, c'è un seguito, però...
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 9/10 ««««««««««

venerdì 20 marzo 2015

E noi partiamo! - La massima di viaggio n.8

"Viaggiare mi esalta, mi ricarica, mi dà da pensare, mi fa vivere. L'arrivo in un paese nuovo, in un posto lontano, è ogni volta una fiammata, un innamoramento. Mi riempie di emozioni."
Tiziano Terzani

Scorcio artistico di Petite France

Dunque, Strasburgo sarà, undici anni dopo (la gita scolastica)...
Bis bald!
Stefano

giovedì 19 marzo 2015

Road to Hamburg: come la seconda delle donne

Ciao a tutti!
Sabato è stata di nuovo ora di corse, di competizione, quella vera. Ed è stata anche la prima in suolo tedesco, la prima di quella che spero sarà una lunga serie. Come annunciato nel weekend, la corsa scelta è stata la Halbmarathon Widmann-Cup, una mezza maratona tracciata nel territorio della città sveva di Schwäbisch Gmünd e nei suoi dintorni. Il risultato è stato non dei migliori a livello cronometrico, 1h35'06'', ma è stato ampiamente soddisfacente. Questo perché ogni riscontro va soppesato in base alle diverse situazioni. Vediamo quali.

La partenza dallo Schwarzerallee - della corsa dedicata ai bambini (© laufreport.de)

Innanzitutto, questa mezza maratona non è stata corsa per cercare un personale, per migliorare il proprio limite sulla distanza, ma per farlo in un altra, più importante, quella della maratona di Amburgo, in cui spero di fare meglio che nell'edizione 2014 della Venice Marathon. L'evento di ieri cade in piena preparazione per la maratona ed è quindi normale che le gambe non siano brillanti come in altri momenti. È invece importante il confronto con situazioni simili vissute in passato. Sei mesi fa, durante la Mezza di Monza, avevo chiuso la corsa con 42 secondi in più sul cronometro. Che equivale ad un passo di 2"/km più veloce: bene! Ma cosa è cambiato rispetto a sei mesi fa? Beh, il percorso, ancora più difficile e tecnico. Moltissime sono state le curve, alcune di esse strette, a 90°, altre strettissime, a 180° (come il giro di boa a 10,5 chilometri, o la salita del cavalcavia) che inevitabilmente fanno scendere il ritmo e costringono ad uno sforzo supplementare per ritrovarlo. Per non parlare del saliscendi continuo, fatto di cavalcavia, sottopassi e alcuni fastidiosi falsopiani. Il punto più alto (secondo il mio altimetro) era posto a 341 metri s.l.m., quello più basso a 296 metri s.l.m.: una differenza di altitudine di 45 metri in una mezza maratona è una enormità. Altra nota positiva è stato arrivare in ottima condizione a fine gara: quasi non mi sembrava di aver corso tutti quei chilometri. Invece di buttarmi a terra, come spesso fatto in altre occasioni, ho fatto una corsetta defaticante fino alla mia auto. Anche nelle ore successive, era per me incredibile come le gambe sembrassero non accusare la fatica.
Dall'altro lato, va ricordato che correre di pomeriggio può rappresentare un piccolo vantaggio (le gambe sono già ampiamente "rodate"). Poi c'è il freddo, quello aiuta sempre a ottenere ottime performance. Vantaggi e svantaggi sono dunque difficili da quantificare. Resta il numero, il dato di fatto, che fa segnare un buon passo avanti.

Altimetria della Halbmarathon Widmann-Cup (registrata con Germin Forerunner 310XT)

La mia personale condotta di gara è stata esemplare, forse la migliore finora: partenza cauta, attorno ad un ritmo di 4'30"/km che sapevo di poter reggere senza affanno, lento ma non troppo, anche per godersi il paesaggio. Al giro di boa, incremento la velocità, complice la discesa e due podisti poco più in là che stimolano la mia voglia di raggiungerli. Intorno al chilometro 16 incremento notevolmente la velocità: sento dei passi dietro di me, qualcuno mi sta raggiungendo e superando. Beh, è una giovane ragazza, arriverà seconda tra le donne. Si chiama Mira, spinge come un ossesso. Mi fa da "lepre", e talvolta la supero, come ad incoraggiarla a continuare su questo passo. Poco prima del chilometro 20 mi chiede quanto manca, "meno di due chilometri" la mia risposta. Al quel punto, inizia ad allontanarsi, la rivedrò solo al traguardo. Che energia. A 600 metri dall'arrivo si spegne la lampadina. Gli sforzi per restare nella scia di Mira si fanno sentire, ma in realtà molla solamente la testa, perché riesco a stare sotto 4'30"/km anche in un momento in cui mi pare di crollare da un momento all'altro. Invece non si crolla e si chiude a 1h35': alla partenza avrei fatto la firma su questo risultato.
Detto questo, c'è tutto il resto...

Una delle tante salite (© laufreport.de)

...un resto che è frutto di un'ottima organizzazione (migliorabile ma comunque encomiabile) e di un percorso immerso in luoghi meravigliosi. I dieci chilometri di strada sui quali si dipana il tracciato della Halbmarathon Widmann-Cup mi hanno regalato nuovi scorci di Germania: più agricoli, più rurali, ma non per questo meno affascinanti. Poche ma curatissime casette a graticcio lungo il Waldauer Bach, foreste che sembrano infinite, prati dal verde rigoglioso, la legna accatastata a bordo strada per essere raccolta, la ferrovia che corre a fianco della strada, alternandosi al torrente Rems. Sono piccole cose, pur sempre un contorno per un podista, ma che aiuta a tornare a casa con un ricordo piacevole in più. E forse, anche il desiderio di ritornarvi, in queste terre.

Atleti della gara sui 10 chilometri (© laufreport.de)

Cosa vuol dire correre in Germania? Forse è presto per dirlo, in quanto questa è la mia prima corsa sul suolo tedesco, ma ho trovato alcuni spunti interessanti. A partire dal trasponder per rilevare il tempo: fissato sul retro pettorale, una sorta di spugna della quale presenza non ci si può proprio accorgere. Un pettorale con il proprio nome stampato (cosa mai vista prima in maratona). La banda di paese che carica gli atleti a inizio e fine gara. Orari rispettati in maniera impeccabile. La distribuzione dei numeri forse lascia un po' a desiderare (ah, tra l'altro, nessun certificato medico richiesto) ma la soddisfazione di vedere la birra distribuita a fine gara è impagabile...
Bis bald!
Stefano

mercoledì 18 marzo 2015

Giorni leggendari

Il 18 marzo nella storia dell'alpinismo non può essere considerata una data come tante altre. È una data che ha dell'epocale nella storia dell'alpinismo e ancora una volta, di mezzo c'è il Cervino, la montagna dei sogni di ogni alpinista.
L'anno è il 1882: solamente meno di diciassette anni prima, il Cervino era stato conquistato: prima sul versante svizzero dalla cordata di Edward Whymper e pochi giorni dopo sul versante italiano dalla cordata di Jean-Antoine Carrel.

Il versante italiano del Cervino (© Vittorio Sella)

Nella lunga ed estenuante lotta per la conquista del Cervino, Carrel viene parzialmente ricordato come lo sconfitto: Whymper lo potrà guardare dalla vetta del Cervino, mentre lui e i suoi compagni stanno ancora salendo (Whymper stesso non sarà mai ricordato solamente per essere il primo a salire il Cervino, bensì anche come la persona che subirà per il resto della sua vita la morte di quattro dei sette uomini che composero la cordata vittoriosa). Carrel, il "Bersagliere", sarà comunque ricordato nei decenni per altre grandiose imprese che portarono la sua firma. Undici prime salite su altrettante vette delle Ande, trentaquattro salite al Cervino, il monte Bianco e tutte le vette del Monte Rosa (ai tempi non erano escursioni di poco conto). Il nome dei Carrel (ben tre ceppi in Valtournenche) sarà sempre collegato alle migliori guide del Cervino, alcune di esse autentici fuoriclasse dell'alpinismo.

Il più grande dei Carrel, Jean-Antoine (© Vittorio Sella)

Diciassette anni dopo il nome di Jean-Antoine Carrel si lega a quello di un esponente di un'altra gloriosa famiglia che dato tanto all'alpinismo italiano, i Sella. Fu proprio Quintino Sella, politico di spicco del neonato Regno d'Italia a fondare nel 1863 il Club Alpino Italiano e, due anni dopo, ad essere una delle persone che più incoraggiarono Carrel a tentare l'impresa della prima salita al Cervino dal versante italiano. Il 18 marzo 1882, il nipote di Quintino Sella, Vittorio, con Jean-Antoine Carrel, Jean-Baptiste Carrel e Louis Carrel, sono gli artefici di una delle più grandi imprese alpinistiche avvenute sul Cervino: la prima ascensione invernale assoluta, lungo la Cresta del Leone, la via normale italiana. Non ci sono grandi notizie su questa impresa, ma si può immaginare la difficoltà della salita, nel rigido clima dei quattromila metri d'inverno, con la neve e il ghiaccio che coprono la roccia, per mezzo di corde ancora molto arretrate.

Vittorio Sella (fonte: montanarilenti.blogspot.com)

Guido Rey, ne Il monte Cervino, celebra così l'impresa di Sella e dei tre Carrel che salirono con lui: "una simile impresa, per il pericolo delle rupi rivestite di ghiaccio, per la brevità dei giorni e per il freddo intenso richiede un coraggio a tutta prova, un'abilità somma, e una forza eccezionale di resistenza; e, a buon diritto, venne considerata come una delle imprese più ardite dell'alpinismo. Ancora una volta il nome italiano, il nome di un Sella echeggia onorevolmente nei fasti del Cervino".

Il versante svizzero del Cervino (© Vittorio Sella)

Il 18 marzo 1882 è la data in cui si inaugura a buon diritto l'era delle ascensioni invernali, un nuovo capitolo in quell'infinita ricerca dei limiti umani che è l'alpinismo. Lo faccio con questo post, umile e piccolo in confronto alla grandiosità dell'impresa di allora, corredato dalle più belle foto del Cervino realizzate da Vittorio Sella (considerate tuttora tra le più belle immagini di montagna mai realizzate) e con le immagini dei due grandi protagonisti, Jean-Antoine Carrel e Vittorio Sella.

Parete ovest (© Vittorio Sella)

Bis bald!
Stefano

martedì 17 marzo 2015

Fortuna e concordia: il perché dei nomi delle squadre calcistiche tedesche

Ciao a tutti!
L'avevo promesso poche settimane fa, in occasione del match di Champions League tra Juventus e Borussia Dortmund, ed eccolo qua: il post in cui spiego il perché del nome delle squadre tedesche. Così i lettori calciofili finalmente sapranno perché si dice Bayer invece di Bayern o perché la squadra di Brema viene comunemente chiamata Werder. Insieme a tantissime altre curiosità assolutamente inaspettate...


Hansa Rostock: la squadra più famosa del land Meclemburgo-Pomerania Anteriore deve il suo prefisso al fatto di essere una delle città che si riunirono tra il XII e il XVII secolo nella cosiddetta Lega Anseatica; essa era un'alleanza commerciale tra alcune città tedesche e non solo (Lubecca, Danzica, Amburgo e Brema ne facevano altresì parte), che in tedesco si chiamava semplicemente "Hansa".
Arminia Bielefeld: per il nome della squadra di Bielefeld si è andati a pescare nella storia tedesca risalente all'impero romano. Arminia è un riferimento ad Arminius (in tedesco Armin), capo di una coalizione di tribù germaniche che, durante la battaglia della foresta di Teutoburgo, fermarono l'avanzata dell'esercito romano e misero fine all'espansione romana oltre il Reno. Un personaggio simbolico e vittorioso per una squadra che ha militato nella serie maggiore per sole diciassette volte senza vincere alcunché.
Fortuna Düsseldorf. La squadra del capoluogo della Renania Settentrionale-Vestfalia presenta nella sua denominazione il nome della dea romana del caso e del destino. Non è alla divinità che si fa riferimento, ma, fatto estremamente curioso, al nome di una panetteria di Düsseldorf.
Hertha Berlino: la storia del nome della prima squadra di Berlino passa per una barca. Ad ispirare il fondatore della squadra, nel luglio del 1892, fu addirittura il nome del piroscafo del padre, soprannominato Hertha - barca che tra l'altro presta ancora servizio sulla Havel.
Bayer Leverkusen: i tifosi meno attenti confondono il Bayer (di Leverkusen) con il Bayern (di Monaco). Sebbene la differenza letterale stia solamente nella "n" di troppo, la vera differenza è assai consistente. Se Bayern indica una regione e nulla più, Bayer altro non è che il nome del proprietario della squadra: non una persona, ma la casa farmaceutica Bayer, azienda che ha sede proprio a Leverkusen. E non è un caso che i rossoneri di Leverkusen vengano soprannominati "le Aspirine".
Eintracht Francoforte: la parola Eintracht in tedesco significa "concordia". Ed è da sola una spiegazione più che logica: la storia moderna dell'Eintracht Francoforte inizia nel 1920 tra la fusione - ecco l'origine della parola "concordia" - tra due diversi team. La parola Eintracht fa inoltre parte del nome di due altre due squadre di altrettanti importanti città tedesche, Brunswick e Treviri.
Schalke 04: la squadra di Gelsenkirchen prende il suo nome da un suo quartiere, Schalke, che ha basato la sua ricchezza sull'industria siderurgica. Non a caso i blu di Gelsenkirchen vengono soprannominati die Knappen, "i minatori".
Werder Brema: la squadra dei biancoverdi di Brema, una delle poche squadre negli ultimi decenni a essere riuscita a limitare il monopolio del Bayern Monaco in Bundesliga, viene spesso chiamata semplicemente Werder. Letteralmente (nel dialetto locale) "Werder", significa "isola del fiume", ma nel caso della squadra di Brema fa riferimento al quartiere di Peterwerder, dove venne fondata nel lontano 1899 e dove si cui trova lo stadio in cui tuttora gioca gli incontri casalinghi.
Borussia Dortmund/Borussia Mönchengladbach: vedi post del 24 febbraio 2015.

lunedì 16 marzo 2015

Bücher: Italians - Il giro del mondo in 80 pizze

"Per 82 volte, come avete letto, ci siamo trovati davanti a una pizza in altrettante città del mondo, e ogni volta ho potuto assistere allo stesso prodigio: noi italiani, scontenti e litigiosi in patria, all'estero ci ricordiamo della nostra nazionalità. Il Paese che ci manda in bestia e in estasi nel raggio di cento metri e nel giro di dieci minuti è il nostro Paese: e non possiamo, né vogliamo, farne a meno."
Beppe Severgnini, Italians - Il giro del mondo in 80 pizze


Ciao a tutti!
Italians - Il giro del mondo in 80 pizze è la trasposizione cartacea di un fenomeno nato sul web. "Italians" è infatti il nome di un forum nato sul portale online de Il Corriere della Sera grazie alla fervida mente di Beppe Severgnini, noto giornalista della testata giornalistica milanese. Il forum raccoglie dal 1998 le testimonianze, le discussioni e le opinioni degli italiani, soprattutto quelli che risiedono all'estero. In questi primi dieci anni di forum, dal 1998 al 2008 (anno della pubblicazione di questo libro), Severgnini sfrutta i suoi numerosi viaggi per incontrare gli "Italians" all'estero. Come? Nella maniera più naturale per il popolo italico: una pizza in compagnia.
Alternando le testimonianze stesse dei lettori e i suoi appunti, Severgnini racconta il mondo e quella sua piccola fetta che gli italiani emigrati sono riusciti a ritagliarsi. Lo fa con il suo inconfondibile stile, istrionico e carico di ironia. Ne emerge un quadro globale che è assolutamente quello che rivedo in me oggi, da residente all'estero. Da una parte c'è la sorpresa di scoprire una realtà, quella dello straniero e dell'ignoto, che prima spaventa e poi affascina e colpisce. Dall'altra parte c'è la rabbia nel vedere come il mondo cambi mentre l'Italia sembri sempre ferma sulle stesse posizioni - e sulle solite divisioni e discussioni. Impressionante come il ritratto che Severgnini dipinge degli italiani all'estero sia sostanzialmente il medesimo in ogni area del mondo, dall'Europa all'Asia, dall'Oceania all'America: celato orgoglio dei nostri vanti, manifesta critica verso i nostri punti deboli, tanta nostalgia, scarso desiderio di rientrare nella terra natia.
Italians - Il giro del mondo in 80 pizze è un viaggio in un mondo che molto probabilmente pochi italiani conoscono. Ne ero ignaro anch'io, prima di emigrare in Germania. Dopo questa lettura, ne sono più consapevole. E mi accorgo di esserci dentro, completamente, di rivedermi tutto quanto, dentro questa realtà.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 8/10 ««««««««««

domenica 15 marzo 2015

Soggiogati

"Più sorprendente di ogni altra cosa veduta, la bella piramide del Cervino che balza dal suo letto di ghiacci, a cinquemila piedi di altezza, spettacolo non immaginabile di grandiosità. In questo immenso anfiteatro della natura, rinchiuso da monti ricoperti di nevi e di ghiacci eternamente bianchi a traverso le età, dinanzi a queste superbe pareti la mente è sopraffatta; non già che essa sia incapace di contemplare la scena, ma si sente soggiogata dall'immensità delle cose contemplate."
William Brockedon

"Spettacolo non immaginabile di grandiosità"

sabato 14 marzo 2015

La corsa di città: 1.35.06 a Schwäbisch Gmünd!

Ciao a tutti!
Schwäbisch Gmünd, questa città dallo strambo nome, ha portato bene. L'esordio podistico in Germania si è chiuso con un buon tempo finale, 1h35'06" (76esima posizione assoluta). Ben lontano dai fasti di due anni fa, quando scesi per ben due volte sotto l'ora e trenta, ma sufficiente per guardare con positività al percorso di sei settimane che ancora mi aspetta prima di correre i 42 chilometri ad Amburgo: un discreto cronometro, percorso tecnico e duro (forse il più arduo mai corso in mezza maratona) mai, condizione fisica, tenuta, tenacia in corsa. Ho visto e sentito buoni stimoli da questa mia decima partecipazione sulla distanza dei 21.097 chilometri, un buon viatico in vista delle fatiche dei prossimi giorni. Nonché una visuale diversa sulla realtà podistica tedesca...

Pronti per il via a Schwäbisch Gmünd

Ma ora è tempo di relax, nel cuore del Giura Svevo!
Bis bald!
Stefano

venerdì 13 marzo 2015

Road to Hamburg: Schwäbisch Gmünd

Ciao a tutti!
Alla maratona di Amburgo mancano poco più di sei settimane. A questa distanza dall'evento cade un momento perfetto per saggiare le proprie condizioni fisiche. La maniera migliore per farlo è con una gara, in cui solitamente non ci si risparmia mai. La distanza giusta è quella sulla quale mi sento di poter realizzare le migliori performance atletiche, la mezza maratona. I 21,097 chilometri sono per il mio fisico il giusto bilanciamento tra la mancanza di fiato che avverto nelle prove veloci (intorno ai dieci chilometri) e la stanchezza di gambe che si patisce al termine di una maratona.

Spettacolare veduta di Schwäbisch Gmünd (© Michael Haußmann / lightsniper.de)

La mezza maratona che correrò domani segnerà anche  il mio esordio in una competizione podistica in Germania. La scelta è ricaduta su Schwäbisch Gmünd, una città di circa sessantamila abitanti nel land del Baden-Württemberg, che ospiterà l'edizione numero 29 della Halbmarathon Widmann-Cup. Essa sarà il "main event" di una giornata che vedrà altre gare su diverse distanze. Non so quasi nulla su questa manifestazione, ma sarà l'occasione per scoprire qualcosa in più sul panorama podistico tedesco. Potrò iniziare a mettere a confronto le diverse organizzazioni di corsa (il fatto di dover ritirare un pettorale dovendo parlare tedesco un po' mi mette agitazione...) ma soprattutto verificare le mie condizioni fisiche. Teoricamente potrei confrontare il tempo fatto a settembre 2014 alla Mezza di Monza con quello che farò domani. Teoricamente: le preparazioni per la Venice Marathon 2014 per la Haspa Hamburg Marathon 2015 si stanno rivelando molto diverse per modalità, tempistiche e sensazioni. Non tanto per chilometri, ma per quantità di lavoro svolto - soprattutto in palestra - mi trovo ora molto più avanti di condizione. E come sempre, vanno considerate le condizioni meteorologiche di domani (previsti 9°C e cielo coperto, perfetto!) nonché il percorso.

Il percorso della 29. Halbmarathon Widmann-Cup

Apparentemente, potrebbe essere un percorso piuttosto aspro. Schwäbisch Gmünd si trova in una delle valli del cosiddetto Giura svevo, tra le colline ad est di Stoccarda. Non mi stupirei affatto, vedendo la mappa del percorso. La partenza è prevista nell'abitato di Schwäbisch Gmünd, dunque si corre verso ovest, discendendo il corso del fiume Rems, per poi risalire a destra la piccola valle dell'Haselbach. 10,5 chilometri di potenziale risalita: cercando di capirne qualcosa in più su Google Earth, mi è parso di intuire che ci possano essere anche 30/40 metri di differenza in dislivello tra il punto più alto e quello più basso del tracciato. Per una mezza maratona, per una corsa podistica su asfalto e per un atleta abituato a correre sul piano, sono un'infinità... Poi si ritorna indietro, percorrendo la stessa metà di gara ma in senso contrario, per ritornare quindi a Schwäbisch Gmünd.
Comunque, il riscontro vero sarà domani pomeriggio, alle ore 14. Da quel momento e nei successivi novanta minuti, capirò quanto sarà dura la corsa e soprattutto, quanto le gambe stiano girando a dovere...
Bis bald!
Stefano

giovedì 12 marzo 2015

Road to Hamburg: maledetto sudore

Ricordate quando dissi che è pericoloso correre se la strada è ghiacciata oppure piena di sabbia e quindi è meglio correre sul tappeto? Bene.
Ricordate quando dissi che nell'interval training sul tappeto raggiungo i 15 km/h di velocità? Bene.
Se alla corsa su tappeto e alla velocità massima ci aggiungiamo litri di sudore il gioco è fatto. Quel pizzico di sudore che basta ad arrivare negli occhi, nulla per asciugarsi a portata di mano. Chiudo gli occhi, inciampo a lato, perdo l'equilibrio e volo via dal tappeto, quasi come se volesse disarcionarmi. Riprendo a correre, non sono neanche a due terzi del lavoro.
Morale della favola: leggi assolute non ce ne sono. Per il momento, però, assicuratevi di avere a portata di mano un asciugamano mentre correte sul tappeto. Vi garantisco che tornerà utile, a meno che vogliate avere un piede dolorante per qualche giorno...

Giusto un po' di sudore... (fonte: wikipedia.org)

Bis bald!
Stefano

mercoledì 11 marzo 2015

Quota 90000 visite: Gran Paradiso

Ciao a tutti!
Novantamila visite sono tante e vanno ricompensate a dovere. L'omaggio fotografico con il quale voglio ringraziare è con l'ultimo dei Giganti della Valle d'Aosta. Dopo il Monte Bianco, il Monte Rosa, il Gran Combin e il Cervino, tocca al Gran Paradiso a chiudere il cerchio, in attesa della prossima meta... le centomila visite. Qualcosa di assolutamente impensabile, meno di tre anni fa...
Bis bald!
Stefano

Il Gran Paradiso visto dai Laghi del Nivolet. Foto di archivio, 13 agosto 2009.

martedì 10 marzo 2015

Cinque minuti di deflagrante goduria

Momento top del giorno.
Siamo in pausa pranzo, momento qui vissuto quasi in religioso silenzio. C'è chi cazzeggia davanti al computer, c'è chi messaggia freneticamente su Whatsapp, c'è chi legge il giornale. Una collega (che chiamerò M) che non lavora a tempo pieno si appresta a salutarci. Un altro collega, il più esperto del mio gruppo (che chiamerò R), si sta cimentando in un cruciverba e chiede lei un'informazione. Lo scambio di battute tra M e R è in tedesco, colgo ma non comprendo a fondo se non “Italien, italienisch”. Alzo lo sguardo ma non intervengo nella discussione. M si rivolge a me con fare curioso, quasi provocatorio: «Sai in quale città italiana si trova Porta Nigra?». Due secondi di pausa e arriva la mia risposta, secca: «A Trier!» (in italiano Treviri). Mutismo generale per qualche secondo e sguardi che miscelano invidia e stupore. Spezzo la momentanea incapacità di parola di M e R con qualche dettaglio in più: «Sono stato l'anno scorso a Trier: era una città dell'Impero romano, per questo una sua antica porta ha un nome “italiano”».

La Porta Nigra di Treviri, un pezzo di Italia in Germania. Foto di archivio, 26 aprile 2014.

Si, questo è uno dei momenti “Italians do it better”. E anche uno dei momenti in cui ringrazio il cielo di avermi reso viaggiatore, e i miei genitori di avermi dato un innato spirito di curiosità.
Bis bald!
Stefano

lunedì 9 marzo 2015

Road to Hamburg: il tagliando

Ciao a tutti!
Due anni fa, in vista della maratona di Barcellona, incontrai più di un problema in allenamento. Quello più fastidioso colpì il collo di entrambi i piedi; esso venne risolto solo grazie all'intervento dell'osteopatia. Ancora oggi, a più di due anni di distanza, non riesco a comprendere come sia stato possibile. Per me è ancora magia nera. Mi ripromisi di cercare di capirne qualcosa in più, ma in realtà so ancora poco riguardo ai principi di questa tecnica, tuttora non riconosciuta come parte della medicina tradizionale. La soluzione di quel fastidio fu però per me come un'illuminazione. Proprio per questo motivo, prima di entrare nel vivo della preparazione alla maratona, mi sottopongo ad una seduta osteopatica. Io lo chiamo così: il "tagliando".


A parte due anni fa, in cui due sedute di osteopatia furono la soluzione ai miei problemi, non ho più riscontrato effettivi benefici in questa tecnica. Ma forse il vero beneficio è proprio il riscontrare che non ho più avuto guai fisici durante la preparazione. Se deve essere così, allora ben venga l'investimento e anche qualche secondo di dolore. Una seduta osteopatica non è proprio qualcosa di immune dalla sofferenza. Certi esercizi mettono a dura prova i centri del dolore. Ne sa qualcosa il collo, sul quale ho avvertito una poco piacevole sensazione, come di disostruzione. Anche la schiena non è stata immune da scossoni: solo tirando il piede mi è sembrato mi venisse sradicata la colonna vertebrale. Le sensazioni dolorose hanno una durata di qualche minuto, poi scompaiono. Avverto una gradevole sensazione di benessere. Un cerotto kinesio (altro oggetto di magia nera) sul diaframma e sull'addome e il gioco è fatto.
Si, è tutto pronto: il corpo sta bene ed è pronto per essere massacrato, ancora una volta, da allenamenti estenuanti e da quarantadue chilometri di corsa...
Bis bald!
Stefano

domenica 8 marzo 2015

La roccia irreale

"Più in alto del ghiacciaio, il ghiaccio si apre in larghi campi bianchi e in solchi netti e duri, appena fessurati, fuorché proprio al di sotto del Cervino, per formare uno spiazzo silenzioso e solenne, lastricato, sembra, di marmo bianco in tutta la sua larghezza; abbastanza vasto perché un’armata possa allinearvisi in formazione di battaglia, esso è tuttavia affascinante come un viale di tombe in una città sepolta, e da ogni lato è bordato da scogliere fantomatiche, color viola pallido del granito che sembra, nella sua lontana altezza, irreale quanto il blu scuro del cielo che le domina."
John Ruskin

Alla base del gigante

sabato 7 marzo 2015

Bücher: Il corpo umano

“Il vecchio dolore non si nasconde dietro quello nuovo. Quello nuovo sale sulle spalle del vecchio e da lì guarda più lontano.”
Paolo Giordano, Il corpo umano


Ciao a tutti!
Credo che Il corpo umano sia il titolo più azzeccato che si potesse dare a questo romanzo, seconda opera di Paolo Giordano, che tra i giovani scrittori italiani è una delle penne più promettenti. Il corpo umano è il luogo in cui si comprende l'evoluzione della persona quando è messa a contatto con il dolore, la tragedia. Il corpo umano è il contenitore di vicende familiari di tutti i giorni, che però non possono che prendere pieghe differenti quando ci si scontra con la dura realtà della guerra. Il corpo umano è ciò che rimane di una persona quando l'ostilità ti costringe a mettere da parte i sentimenti e trasformarsi in automi, macchine.
Lo scenario è quello dell'Afghanistan, teatro della storia di un plotone di soldati comandati dal maresciallo Antonio René. Ognuno di essi si ritrova in una base nel cuore di una delle zone più pericolose dell'Afghanistan, il Gulistan, dove il caldo e il sole annebbiano la mente e annientano il fisico. La vita scorre apparentemente senza grossi problemi, tra noia e vita cameratesca; ma la battaglia in cui periranno cinque soldati svolterà per sempre la vita dei protagonisti, ognuno con la storia personale: una mamma iperapprensiva, un figlio non voluto in arrivo, una fidanzata virtuale, una moglie in fremente attesa, una famiglia dalla quale si vuole fuggire invece che ritornarvisi. La tragedia cambia la vita di ognuno e lo fa nei modi più rivoluzionari, più inaspettati.
Il processo di introspezione che Giordano conduce nel profondo dei protagonisti è meraviglioso, armonioso, perfetto nei tempi e nello stile. Dipinge l'anima (o ciò che rimane) di ognuno dei protagonisti principali, dando voce ai dubbi di ogni soldato, dal più arrogante al più taciturno. Traccia uno sfondo bellico che facilmente potrebbe ispirare qualche film di guerra per quanto è realistico. Non si schiera per una fazione, è osservatore attento e riesce sempre a essere imparziale, nonostante per buona parte del romanzo scriva in prima persona, come fosse la momentanea reincarnazione del protagonista.
Il corpo umano è un romanzo da vivere in ogni singola parola e dialogo, in quanto traccia delle angosce umane più nascoste. E da leggere tutto d'un fiato. In attesa di leggere il suo libro d'esordio, il fortunatissimo La solitudine dei numeri primi e i lavori che verranno.
Bis bald!
Stefano

Giudizio: 10/10 ««««««««««

venerdì 6 marzo 2015

Road to Hamburg: il collettore dei pensieri

Ciao a tutti!
Correre su un tappeto può essere un’attività molto “limitante”. Le tue gambe si muovono, talvolta all’impazzata, raggiungendo limiti finora impensati. Tenere un ritmo accelerato per due minuti è inizialmente un’attività non impossibile da compiere. Tenerlo per più di tre-quattro volte comincia a diventare complicato. Guardi il cronometro, una prima volta e dici “dai, solo più venti secondi”. I minuti passano e quei secondi che ti separano dalla fine della serie corsa al massimo delle tue possibilità diventano sempre più. La fase di lavoro al massimo battito cardiaco sembra non finire mai. Mi chiedo per quanto il cuore dovrà ancora battere tre volte ogni secondo.

Vista dalla Laufband...

Attorno a te c’è il nulla, o quasi. Una sbarra alla quale attaccarsi con le braccia, soprattutto nei cambi di velocità, una plancia di controllo, tanta plastica. Manca la sensazione del contatto con l’aria, manca il desiderio del vedere una meta che si avvicina, nonostante il cronometro che corre alla rovescia. Manca la percezione della natura e della vita, sempre presente quando si esce a correre all’aperto.
Lo sguardo punta dritto verso l’esterno una casa in Rückertstraße. Riflessi laceranti talvolta si dirigono verso di me: è il vetro di un abbaino la superficie che conduce verso di me la luce del tramonto, luce che per ora il mio corpo non ha ancora visto. In quell’abbaino rivedo tante immagini, legate alla corsa e alla mia vita. I ponti di Venezia, io che chiedo a Giulia di sposarmi, l’arrivo in Riva Sette Martiri, allenamenti nella notte. E già mi immagino Amburgo e tutto ciò che potrebbe regalarmi tra poco meno di due mesi.
Ma è ancora lunga, la strada per Amburgo.
Bis bald!
Stefano

giovedì 5 marzo 2015

L'unica cosa che conta

Ciao a tutti!
Dall'8 settembre 2011, giorno dell'inaugurazione dello Juventus Stadium, ho assistito a “sole” quattro partite della Vecchia Signora (di cui un'amichevole). Non molte, il tifo da stadio, quello sano, è una gran bella cosa, ma il tifo al bar di casa con gli amici di sempre mi emoziona e mi rende altrettanto felice. Forse è per questa mia scarsa predisposizione da stadio che ha fatto sì che per più di tre anni non abbia mai visitato lo stadio e l'adiacente museo che celebra la gloria della squadra bianconera. Ci avevo pensato più di una volta, nei miei ritorni dalla Germania. Ma c'era sempre qualcosa che si metteva di traverso. Il momento è dunque arrivato: bisogna andare allo Juventus Stadium!

Meraviglia di Torino

Il tour nello stadio e nel museo può creare più di uno scompenso cardiaco per chi ama la Juventus – e anche per chi non la ama. Tutto parla bianconero: attorno allo stadio ci sono le foto delle grandi leggende che hanno onorato la squadra più vincente d'Italia. Più in alto, il cammino delle stelle, il ricordo dei cinquanta campioni che hanno fatto la storia di questa squadra, onorati uno ad uno con una stella che cita il loro nome. Ognuno evoca ricordi più o meno forti. Forse il nome di Pietro Rava può voler dire poco ad un giovane, ma il nome di Michel Platini accresce il rimpianto di non essere nato dieci anni prima e quello di Gianluca Vialli richiama dolci notti romane.

Dentro lo Stadium!

Il mio anno

Il cuore dello stadio non è ovviamente l'esterno ma ciò che vi sta dentro. Il campo da gioco, le tribune, gli spogliatoi. Anche qui le sensazioni si mischiano rapidamente in un turbine di ricordi. L'erba fine dove scivola la palla, dove i nostri giocatori per novanta minuti ci fanno trascorrere gioie e dolori. Tribune sulle quali campeggiano le tre stelle e i trofei (si, anche quelli del 2005 e del 2006, che per uno juventino saranno sempre un punto fermo), con un occhio al mio anno di nascita, il 1985, in cui infilammo un fantastico tris di coppe, Coppa dei Campioni, Coppa Intercontinentale e Supercoppa Europea. Spogliatoi, frasi impresse sulle pareti, citazioni dei più grandi campioni bianconeri, ricordano ai giocatori che scendono in campo che questa divisa non è una qualunque, è molto di più, è una seconda pelle.

Piccole gobbe crescono

Il museo della Juventus per un suo tifoso non può essere un semplice contenitore di oggetti. Per un tifoso, i tanti cimeli esposti hanno tutti una loro storia definita, personale, fatta di memorie e scariche che attraversano il corpo nelle maniere più disparate. Pelle d'oca nella stanza dei trofei (già, ma “in Europa non contiamo niente”), tendenze lacrimose all'ascolto delle radiocronache più celebri (5 maggio 2002 al primo posto), nostalgia nel vedere le maglie dei campioni più fedeli ai colori bianconeri, sorrisi nel percepire come cambiano le mode nel corso di ben 118 anni di storia gloriosa - maglie, palloni, scarpe, giornali – ma non cambia mai la predisposizione juventina alla vittoria.

La maglia di una leggenda

Perché questa è la nostra storia, vincere. E come disse uno che la storia della Juventus l'ha scritta da giocatore e dirigente, Giampiero Boniperti, “vincere non è importante, è l'unica cosa che conta”.
Bis bald!
Stefano

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