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giovedì 18 febbraio 2016

mercoledì 29 luglio 2015

Memorie di un camminatore - Aneddoti dall'Alta Via n.2 della Valle d'Aosta

Ho sempre pensato - e ogni volta che mi ritrovo tra i monti accresce la mia convinzione - che la montagna abbia sempre qualcosa da raccontare. I sentieri narrano le migrazioni, le speranze, le vite vissute. La roccia dei monti tramanda il susseguirsi delle ere e delle mani che li hanno scalati. Le persone che vivono la montagna, spesso oppure ogni giorno, ma sempre intensamente, potrebbero parlare per ore e ore. E non ci si stuferebbe mai, perché sì, la montagna regala storie che solo pochi altri posti al mondo possono vantare.
In questo post ho raccolto un po' di tutto. Racconti, storie di vita, aneddoti curiosi raccolti sui passi dell'Alta Via n.2 della Valle d'Aosta. Una miscellanea di episodi e fatti seri e semiseri (quindici in totale, elencati in ordine decrescente), con la quale provo a raccontare la montagna valdostana in un altro modo, lasciando da parte per un attimo la bellezza del panorama e dando spazio a spunti di vita vera sulle orme di un grande percorso alpino.
Bis bald!
Stefano

Ad Orvieille

15- Il Cervino. L'Alta Via n.2 della Valle d'Aosta non può essere considerata come l'alta via del Cervino, in quanto non attraversa alcuna delle valli sulle quali si affaccia questa montagna (Valtournenche e Valpelline). Ma, incredibile a dirsi, ho avuto modo di ammirare il Cervino meglio che nell'Alta Via n.1, in ben tre punti (Col Pousseuil, discesa dal Col de la Fricolla, Col de la Crosatie). Non voglio scoraggiare chi desiderasse intraprendere l'Alta Via n.1: il mio problema fu legato al maltempo incontrato nei punti chiave di quell'alta via. A Cheneil, vero balcone sulla Gran Becca, il cielo era più che coperto.

Il Cervino visto dalla discesa del Col de la Fricolla

14- Onte-factor. Il meteo mi ha certamente avvantaggiato, non posso negarlo. Sarei uno stupido a lamentarmi delle condizioni atmosferiche che ho incontrato durante i dieci giorni di alta via, in quanto non ho mai dovuto ricorrere a giacche a vento e mantelline. Ma gli anticicloni Flegetonte prima e Caronte dopo hanno reso più faticoso il mio percorso, soprattutto nei primi e negli ultimi giorni di alta via. Nei primi, soprattutto, quando le quote erano più basse e le gambe non ancora rodate, il caldo ha avuto una certa influenza sulla mia tenuta fisica. Il caldo è stato micidiale: dopo dieci minuti di cammino, una goccia di sudore compariva sulla punta del mio naso, la maglietta andava cambiata ogni ora (o quasi) e periodicamente dovevo strizzare il polsino per far sì che ne uscisse tutto il sudore. Non è uno scherzo neanche quando, alle 10.30 di mattina, il termometro di un rifugio (il Dondena, a 2100 metri circa), segna 27 gradi. Condizioni assolutamente non normali, che mi hanno permesso addirittura di vedere mucche che preferivano farsi un bagno nel torrente invece che pascolare…

27 gradi in montagna!

Pure le mucche hanno caldo...

13- Duro e puro. L'Alta Via è un grande percorso che merita di essere vissuto completamente. Una delle possibili sfaccettature di questa mia filosofia sta nel voler percorrere interamente il sentiero dell'alta via, senza ricorso a scorciatoie o espedienti. E quindi, non ho preso la navetta che da Lillaz va a Cogne, non ho accettato il passaggio che nel lungo e noioso tratto da La Joux a La Thuile mi era stato offerto («Scendi a La Thuile? Vuoi uno strappo?»), non ho provato la scorciatoia del Passo di Planaval nell'ottava tappa, la quale mi avrebbe permesso di risparmiare tre ore di cammino.
Uno strappo in macchina l'ho in realtà accettato (vedi punto 2), ma si capirà che non ho sgarrato. L'Alta Via l'ho camminata completamente dal primo all'ultimo chilometro.

Un tratto di asfalto: da Lillaz a Cogne

12- Marmotte. Fine della tappa n.3, da Champorcher al Rifugio Sogno di Berdzè. Mi trovo in una delle stanze del rifugio, momentaneamente solo, nell'intento di rilassarmi dopo le fatiche della giornata. La finestra è aperta, e "origlio" le conversazioni del team del rifugio con i clienti.
Si parla di marmotte e vengo a conoscenza delle loro metodologie: «Un fischio singolo significa pericolo dall'alto, più fischi significano pericolo dal basso». Molto interessante, io non ne sapevo alcunché. «Me lo dice mio marito, è lui la guida».

Marmotta nei pressi del Rifugio Vittorio Sella

11- Gente da albergo. Una cosa che ho imparato dall'Alta Via n.2 della Valle d'Aosta, dove è molto più consueto pernottare in albergo piuttosto che in rifugio. Gli alberghi valdostani sono frequentati, in linea di massima, da due categorie di persone: gente che cammina duro e gente che è in pensione.
Nella sala colazione dell'albergo di Champorcher, una coppia molto probabilmente di pensionati, ma ancora in discreta forma, dichiara che «dopo la gita al Rifugio Barbustel (700 metri di dislivello e massimo tre ore di cammino) ci fanno malissimo le ginocchia». Sorrido, e brindo a tutti i dolorini che ho già ho e ancora si presenteranno nei futuri dieci chilometri di dislivello in salita.

Le torri della frazione Castello, a Champorcher

10- La parrocchia in vacanza. In procinto di arrivare al Rifugio Deffeyes, noto già da lontano che attorno al rifugio vi è un qual certo movimento. Il motivo è ben presto chiarito: 64 dei 96 posti letto del Rifugio Deffeyes è occupato da un gruppo di ragazzini di una parrocchia (età da scuole medie, provenienza probabilmente lombarda). Ovviamente, il caos che producono si scontra con quella che è la tipica "pace da alte quote". Ma come rimproverarli… sono ragazzini, giovani, esuberanti e pieni di vita, comprendo appieno i loro comportamenti che, comunque (e aggiungo: fortunatamente), mai sfociano nella maleducazione. Quando però sento frasi del tipo «ma qui non c'è un ascensore» oppure «oh, sotto il 3G non prende», allora capisco che sulle giovani generazioni c'è ancora tantissimo lavoro da fare.

In arrivo al Rifugio Deffeyes

9- C'è americana ed americana. Il Rifugio Elisabetta, come tutti i rifugi posti sul percorso del Tour del Monte Bianco, è sovraffollato e frequentato da turisti americani organizzati in comitive che spesso vedono la montagna per la prima volta.
L'arrivo della penultima tappa, la più lunga quanto a chilometraggio, avviene ad un orario relativamente tardivo, tardivo quanto basta per rendersi conto che l'80% dei pernottanti sta già occupando il rifugio. Il gestore del rifugio, con occhi poco convinti, mi piazza in dormitorio (un dormitorio con pochi spazi di manovra) e la ragazza che mi mostra il posto letto esordisce: «questo è il tuo posto, vicino alla signora». Guardo tale signora, credo americana ma sicuramente di madrelingua inglese, non proprio un'icona di bellezza, e rispondo «capperi se si sta stretti qui». La risposta, con sguardo malizioso non si fa attendere: «dai, sono sicura che farete amicizia». Preferisco non rispondere e pensare tra me e me «ma 'sto c***o!».

Rifugio Elisabetta

8- L'emozione del Tor des Géants. Inutile aggiungere che parlando con i valdostani, l'argomento Tor emerga spesso. È molto interessante discuterne con chi il Tor lo vive. Come Mariagrazia, la titolare dell'Hotel Parco Nazionale di Valsavaranche, da anni volontaria al Tor. Quando racconta della sua esperienza in questa folle gara, spuntano quasi le lacrime agli occhi. Perché si rende perfettamente conto di che cosa rappresenta per questi atleti essere accolti con calore nei "punti vita" dai volontari della corsa, perché ricorda bene l'affetto che gli atleti con più partecipazioni al Tor possono contraccambiare nel corso degli anni a chi ha dato tanto a loro. Al punto tale che uno di loro si è ricordato di lei a distanza di un anno. Comprendo un po' di commozione.
Ma il Tor des Géants è anche sofferenza, e sentire dalla voce di una persona che questa corsa la vede ogni anno, che in un'edizione un atleta giapponese si era perso nella notte e i volontari riuscirono a recuperarlo con grande fatica, rintracciando la luce della sua frontale e ascoltando i pianti dell'uomo, nel panico in quanto si credeva perso, accresce in me la convinzione di non volermi cimentare con questo tipo di corse. Rispetto per tutti gli skyrunner, ma personalmente, come già da me affermato in passato, penso che la montagna non possa essere la mia palestra, la montagna vada vissuta e goduta…

Un Rifugio Deffeyes già in clima TdG

7- Luis e Claudia. Nel bailamme del Rifugio Deffeyes, due persone sono emerse davanti a me con limpidezza. Parlo di Luis e Claudia. Lui è portoghese, ma da decenni trapiantato sul Lago di Como. Lei è siciliana ma per amore si è trasferita a Monza. Percorrono insieme la Alta Via n.2 della Valle d'Aosta, ma lo fanno nel senso opposto, da Courmayeur a Donnas. Lei ha paura di non farcela, lui ha la tempra di camminatore instancabile e l'accompagna in questa piccola grande impresa.
Sono due persone genuine, di quelle che la montagna ti fa solitamente conoscere, con le quali trascorrere la serata in rifugio risulta veramente piacevole. Quando poi scopri che Luis, uomo di grande esperienza, può fornirti svariati consigli su come affrontare il cammino di Santiago (lui che periodicamente presta servizio negli ostelli), vorresti che questo dialogo non finisse mai.

Comba des Usselettes

6- Si, ma col tuo fisico! Sul Col de la Crosatie incontro un gruppo di tre escursionisti alsaziani che stanno percorrendo l'Alta Via n.2 nel senso opposto. Entrambi ci rifocilliamo; per loro la salita è stata molto ripida, per me è stata meno ripida ma decisamente più lunga.
Poi iniziamo uno scambio di informazioni – ah, l'inglese, che benedizione – sul percorso. Mi chiede come saranno le prossime salite e io chiedo dove si trovi il Passo Alto, che è il secondo colle da affrontare nella stessa tappa. Me lo mostra e mi indica dove sale il sentiero, descrivendolo come challenging e toccandomi l'addome «yes, but with your body you can do it easily! I'm too fat!»
Si, le alte vie fanno miracoli e non a caso quei pantaloni, dopo otto giorni di cammino intenso, mi stanno decisamente più larghi.

Ultime salite: Col de la Crosatie

5- Il genepy. Quando saluto Sandro, il titolare dell'Albergo Castello da Bonino di Champorcher, una delle persone più gentili conosciute sull'alta via, egli non fa a meno di notare il notevole carico che porto con me sulle spalle. Mi chiede ovviamente che trekking sto percorrendo. Ad un certo punto mi chiede «se il peso del mio zaino non può superare certi limiti». Io lo guardo un po' stranito e penso che un peso che supera i venti chili sia già ben oltre i limiti. «No, perché tempo fa incontrai dei tedeschi che percorrevano l'alta via e rifiutarono una bottiglietta di genepy perché non dovevano eccedere nel carico da trasportare». Gente strana, i tedeschi, eh? Io invece non la rifiuto, così «ne puoi bere un goccio quando sale lo sconforto».
Lo sconforto non mi ha preso – e come potrebbe in queste montagne – e decido di aprire la bottiglietta, a mo' di brindisi, sul Col de Chavannes, l'ultima vera salita dell'Alta Via. Come se volessi festeggiare la fine di una grande avventura, lì, davanti al Monte Bianco.

Un genepy, per brindare alla fine

4- Inseguito da una mandria. Capita anche questo, sulle Alte Vie. Ed è un episodio della prima tappa. Quando attraverso il Giassit de Mouilla mi ritrovo a passare nel bel mezzo di una mandria di mucche intenta a ruminare erba. La cosa solitamente non mi crea grosso disagio. Ma quando mi accorgo, dopo averla sorpassata, che lo strano rumore alle mie spalle era il goffo movimento di questa mandria al mio inseguimento, beh ammetto che mi colse un po' di fifa.
Come è andata a finire? Che appena attraversai il filo della recinzione elettrificata il sogno vaccino di incornarmi a dovere svanì in un nulla di fatto.
Attenzione alla foto: quella è la vera mandria dalla quale sono stato inseguito.

La mandria all'inseguimento

3- Da Gerusalemme ad Aosta. Camminando in montagna, è frequente ritrovare sul percorso escursionisti di diverse nazionalità. Solitamente francesi e tedeschi (o di madrelingua tedesca) la fanno da padrone. A Rhêmes-Notre-Dame ho incontrato addirittura due escursionisti provenienti dall'Israele. Ho conosciuto Roy e Sara in albergo, in quanto pare fossi l'unico cliente in grado di tradurre dall'italiano all'inglese, permettendo la comunicazione fra loro e il team dell'albergo. Anche la titolare è un po' stupita e mi chiede «come avranno mai fatto due israeliani a venire a conoscenza della piccola Valle di Rhêmes». Io già immaginavo la risposta che loro mi confermeranno, «grazie all'Alta Via».
Beh, vi dirò, Roy e Sara sono una bellissima coppia, innamoratissimi e in attesa del loro primo figlio. Lei è incinta, e percorre (con grande coraggio) un'alta via. Oops, mi correggo: due alte vie. Perché il loro programma in montagna era iniziato qualche giorno fa da Gressoney-Saint-Jean sul percorso dell'Alta Via n.1, proseguito da Courmayeur sull'Alta Via n.2 e sarebbe terminato nel giro di due/tre giorni a Cogne. Al loro figlio non potranno che trasmettere grande amore per la montagna. E a loro tre, auguro di cuore tutto il bene del mondo.

La verdissima Val di Rhêmes

2- Quattro chilometri in meno. Il posto tappa scelto per l'arrivo a Valsavarenche non è stato esattamente dei più comodi. Ma l'unico albergo presente nella frazione Eaux Rousses, dove passa appunto l'Alta Via, era già esaurito un mese prima. Mi trovo a dover ripiegare sulla frazione Degioz; dover perdere un'ora (o poco meno) per camminare su asfalto un tratto che non fa parte del tracciato dell'Alta Via, conscio che avrei dovuto salire 1300 metri di dislivello, non mi entusiasma particolarmente.
Chiedo alla Mariagrazia dell'Hotel Parco Nazionale se ci sono navette in transito in Valsavaranche e se si, in quali orari. Ci sono, e gli orari non sono affatto malvagi. Oppure, dice Mariagrazia, ti accompagno io in macchina, «tanto devo andare a Eaux Rousses a prendere il pane appena sfornato, sempre che tu non ti spaventi della mia macchina scassata». Appuntamento alle 8 nell'ingresso dell'hotel, per uno strappo fino all'imbocco della salita per il Col d'Entrelor.
E infinita riconoscenza per un grosso favore che mi è stato fatto.

4h15' alla cima, avrei dovuto aggiungerne un'altra?

1- Cambiare vita. Questa è per me la storia più bella da raccontare e quindi me la sono tenuta per ultima. È la storia di Stefano, guida naturalistica e gestore del rifugio Sogno di Berdzé.
Stefano non è un valdostano, e proviene da un luogo che piatto non è ma ha poco a che fare con i monti: Roma. Lavora in uno studio di commercialisti, ma inizia a frequentare i rifugi degli Appennini, e inizia ad appassionarsi alla natura e alla montagna. Una decina di anni fa, il grande salto: da Roma lascia lavoro e famiglia per trasferirsi a Cogne, dove trova lavoro in un albergo. Poi, si apre una grande occasione, la gestione di un rifugio alpino, il Rifugio Sogno di Berdzé, che da troppo tempo è in mano a gestioni errate. Con la moglie Elisa ne rilevano la gestione e lo trasformano nel rifugio più accogliente di tutta l'Alta Via n.2, un rifugio dove anche trascorrere due settimane di vacanza sarebbe un'idea tutt'altro che folle.
Cambiare vita si può, ma bisogna volerlo veramente e soprattutto bisogna crederci. Parlando con Stefano, emerge chiaramente l'entusiasmo di una persona che ama la montagna e il contatto con la natura più pura. Queste sono le figure che la montagna ti fa conoscere, le persone dalle quali non si può che assorbire l'energia più positiva possibile. Persone da Alta Via, insomma.

Il vallone dell'Urtier e il Rifugio Sogno di Berdzè

domenica 12 luglio 2015

Col Lauson, a tu per tu con lo stambecco

Ciao a tutti!
La tappa di oggi doveva essere la più temuta, in quanto la quinta frazione, quella che traccia la metà dell'Alta Via, prevedeva la ascesa al Col Lauson (o Col Loson), il passaggio più alto in quota, all'altitudine di ben 3299 metri. In realtà non è stata la salita, bensì la lunga, interminabile, discesa verso Valsavarenche, a rendere più faticosa la tappa di oggi.

Simbolo del Parco Nazionale del Gran Paradiso

La giornata del Lauson ha inizio dal Rifugio Vittorio Sella, dove c'è un'atmosfera speciale. L'aria frizzante, il gioco di ombre e luci sui ghiacciai del Gran Paradiso, i magnifici prati del Lauson...e come tradizione da qualche giorno a questa parte, non una nuvola copre il cielo della Valle d'Aosta. Tutto è pronto per partire. Inizio la salita, non ardua, ma interrompo frequentemente il cammino. Non per mancanza di energie o di fiato. Le marmotte pullulano attorno al sentiero e, come mai mi era successo prima, ci si può avvicinare anche fino a distanza di 1-2 metri, prima che fuggano o si riparino nella loro tana. Spero di trovare anche qualche stambecco nella conca che sovrasta il rifugio, ma dell'animale simbolo del Parco Nazionale del Gran Paradiso non vi è traccia. Non ne avevo visti finora, e anche nel conviviale momento della cena in rifugio, si diceva che non è l'anno buono per osservare la fauna locale. Che anche loro abbiano troppo caldo?

In salita verso il Col Lauson

La marcia verso il Lauson continua. Si sale in quota senza troppi strappi, lo si percepisce dall'aria più fine e dalla vegetazione che cambia. I prati, già non molto fitti, lasciano spazio al tipico macereto di alta quota, mentre la fioritura cambia drasticamente. Intorno ai 3000 metri si raggiunge un pianoro di pura ghiaia, dove spuntano fiori sui quali mi sono sempre chiesto come possano crescere e proliferare in ambiente roccioso. Da questo pianoro è inoltre ben visibile il Col Lauson, anche grazie all'ometto di pietra posto su tutti i passi dell'Alta Via. Il percorso è tracciato, bisogna "solo" coprire questi trecento metri di dislivello.

Una delle tante marmotte incontrate

Lungo la salita, mai veramente ripida, incontro altri gruppi di escursionisti, li supero, nonostante un po' di fiatone. Oh, sono a più di tremila metri, è comprensibile. La visuale sulla conca del Lauson e sui ghiacciai della Valle di Cogne è sempre più ampia, ma lo sguardo può finalmente posarsi su uno stambecco, il primo dell'Alta Via! Non è lontano e non pare molto intimidito, si lascia fotografare, poi torna a cercarsi del cibo.

La conca del Lauson (e qualche montagna...)

Io continuo il cammino, fiatone incluso, fino ad un piccolo colle che è l'anticamera del Col Lauson. Da qui mancano ancora cinquanta metri di salita, i più esposti anche se mai veramente pericolosi per la propria incolumità. Gli ultimi sfasciumi si percorrono in fretta, desideroso come sono di raggiungere finalmente il punto più alto dell'Alta Via.

Ultimi metri di salita

Che balconata! Verso Cogne, si spazia dal gruppo del Monte Rosa, alla Tersiva, ai ghiacciai del Gran Paradiso; un po' meno interessante verso la Valsavarenche, dove (per ora) non si può vedere altro se non il Vallone di Levionaz. Dispiace salutare la Valle di Cogne e le sue bellezze, ma la strada verso Courmayeur deve andare avanti.

Dal Col Lauson

Il tempo di fare uno spuntino e riparto. La discesa è lunga (più di 1700 metri!). Già dai primi passi, capisco che sarà eterna. A parte un primo tratto da superare con cautela, il sentiero scende molto dolcemente lungo il Vallone di Levionaz, che offre interessanti spunti visivi. Su tutti, il muro di roccia rossa delle Gordes de Grivola, l'aguzza Pointe de Levionaz e l'imponente Pointe d'Herbetet. Man mano che perdo quota, la Valsavarenche si mostra sempre di più e inizio ad ipotizzare i possibili sentieri del giorno dopo. Scendo tutto il Vallone di Levionaz, certamente un posto di grande fascino per la sua natura selvaggia: cascate, pendii erbosi e variegate fioriture rendono questo vallone un luogo tra i più attraenti della Valle d'Aosta. Nonché frequentatissimo da escursionisti esperti e famiglie alla ricerca di frescura nella gita domenicale.

Il vallone di Levionaz

Il paesaggio cambia radicalmente nella "località" di Levionaz inferiore. Facilmente riconoscibile dal grazioso casotto dei guardiaparco, questo punto del sentiero rappresenta un baluardo sulla Valsavarenche. Di qui si può dominare (quasi) l'intera valle, l'unica valle valdostana, insieme a quella di Champdepraz, in cui non avevo ancora messo piede nelle mie scorribande escursionistiche. All'ombra delle mura delle costruzioni di Levionaz inferiore trovo finalmente relax per i miei piedi, provati da mille metri di discesa, ristoro per il mio stomaco e conforto per la mia pelle bruciata dal sole. E anche un po' di rete mobile, che ritrovo dopo quasi ventiquattro ore, per poter finalmente comunicare con Giulia e con la mia famiglia. Tutto con una gran vista sulla Valsavarenche.

Panorama sulla Valsavarenche

Poi inizia un'ora di sofferenza. È la discesa finale, circa 700 metri di dislivello da compiersi in pineta. Nel ripido, nello sconnesso, con già due ore di discesa: qualcosa che non amo particolarmente. Il rumore dell'impetuosa cascata del torrente Levionaz mi avvisa: la discesa sta per finire, le sofferenze a piedi e ginocchia pure. La Valsavarenche è raggiunta, metà dell'Alta Via è completata. Brindare? Ancora presto, mancano ancora troppi passi e troppi metri da ascendere. Domani si ritorna a tremila metri...
A presto!
Stefano

Pillole dall'Alta Via, 12 luglio

"Vorrei che gli increduli provassero il benefico effetto che produce in noi una grande salita. Allora ci sembrano meschine le vanità che ingombravano il nostro animo prima di partire; troviamo buoni gli agi di cui prima eravamo sazi; sentiamo di amare di più la nostra casa e la nostra famiglia che in essa ci attende; anche noi, alpinisti, abbiamo i nostri affetti, ai quali pensiamo, nel momento del pericolo, assai più intensamente che non vi pensi altri quando vive della sua vita consueta; e, scendendo dai monti, siamo lieti di recare ai nostri cari la serenità acquistata lassù, di vederli sorriderci perché sanno che la montagna restituisce loro un figlio, un fratello, un amico più sano, più affettuoso, più forte."
Guido Rey, Il Monte Cervino


I ghiacciai del Gran Paradiso visti dal sentiero per il Rifugio Vittorio Sella

sabato 11 luglio 2015

Pernottamento vista ghiacciaio

Ciao a tutti!
Scrivo dal Rifugio Vittorio Sella, dove ho terminato qualche ora fa la quarta tappa della mia Alta Via n.2 della Valle d'Aosta. È stata una tappa lunga, non estenuante ma non per questo meno faticosa. Temevo questa frazione in quanto in passato non ho mai gradito particolarmente affrontare in sequenza una discesa (in questo caso dal Rifugio Sogno di Berdzé) e quindi una salita (verso il Rifugio Vittorio Sella), per di più con un chilometro di dislivello. Allo stesso tempo, attendevo fortemente questa tappa, perché si attraversa tutto il comprensorio di Cogne, dal vallone che porta a Lillaz fino a quello di Valnontey. Il che è sinonimo di grandi panorami sul gruppo del Gran Paradiso e dei suoi ghiacciai.

La fontana e i prati di Sant'Orso, a Cogne

La giornata è fin dall'inizio meravigliosa. Il cielo è quasi completamente sgombro da nubi, e tale resterà per tutto l'arco del giorno. Il sole illumina con veemenza i prati del Vallone dell'Urtier, una vera e propria meraviglia della montagna che però è rovinata dalla presenza di un ingombrante quanto antiestetico elettrodotto. Saluto i gestori del Rifugio Sogno di Berdzé, tra i più simpatici e cordiali incontrati sui miei cammini tra i monti. Lo faccio con un filo di tristezza perché raramente accade di potersi sentire così a proprio agio. Sapevo già bene in quel momento (ma ne sto avendo la conferma in questo momento) che non potrei trovare una simile situazione in un rifugio come il Vittorio Sella, molto frequentato (dispone di ben 150 posti letto!), a maggior ragione in un weekend di caldo e sole.

Primi passi nel Vallone dell'Urtier

Intraprendo il cammino verso Cogne sulla poderale, che lascio ben presto per il sentiero ufficiale dell'Alta Via, iperconsigliato da Stefano, il gestore del Sogno di Berdzé, in quanto molto più panoramico della mulattiera, la quale è invece più rilassante per le proprie membra. La scelta si rivelerà azzeccatissima. Il sentiero è in prima battuta un balcone sul Vallone dell'Urtier con vista sulla Grivola. Poi, quando piega verso sud, verso il Vallone di Bardoney, si incontrano prati, cascate, torrenti, boschi. È uno scenario bucolico, paradisiaco. Non si fa parte del Parco Nazionale del Gran Paradiso per caso. Tutti gli escursionisti che incontro e si fermano a scambiare due chiacchiere mi confermano che questo è un sentiero speciale. Non scende quasi mai in maniera ripida, è tutto sommato agevole da affrontare in discesa e credo che anche in salita non sia particolarmente duro.

Vista sulla Grivola

Lo scenario della prima ora di cammino cambia repentinamente quando si raggiunge Goilles-dessous. Un posto meraviglioso, uno scrigno di natura, circondato da pascoli e disegnato sinuoso dal corso del torrente Urtier: da qui inizia a intravedersi il vallone di Lillaz e pregusto finalmente un po' di riposo, magari su comoda panchina. Devo ancora abbassarmi di duecento metri di quota prima di poter finalmente raggiungere Lillaz, non senza aver prima gettato un occhiata veloce sulle celeberrime cascate originate dal torrente Urtier, sicuramente una delle principali attrazioni turistiche di Cogne, e sui primi nevai e ghiacciai del gruppo del Gran Paradiso.

Finisce la discesa, Lillaz è vicina

A Lillaz trovo finalmente una panchina, per me sinonimo di ristoro e riposo dopo quasi un chilometro di dislivello in discesa. Poi continuo fino a Champlong, altra frazione di Cogne, prima di addentrarmi nel Bosco di Sylvenoire (la "selva nera"). Una piacevole passeggiata di circa tre/quattro chilometri mi conduce finalmente a Cogne, una delle più importanti località turistiche valdostane. La sua fama è dovuta al Parco Nazionale del Gran Paradiso, il più antico parco italiano (fondato nel 1922), del quale è il "capoluogo" indiscusso. Ma in passato fu anche un centro che visse sull'estrazione dei minerali ferrosi dell'acciaieria aostana che si chiama proprio... Cogne!

Goilles-dessous

Cogne è anche...i prati di Sant'Orso. Dal centro cittadino, la segnaletica gialla della sentieristica valdostana, oltre a sentenziare 3h30' di cammino fino al rifugio (che coprirò però con 40 minuti in meno...), indica una svolta a destra verso Valnontey. Qui appare grandioso il panorama che rende famosa Cogne. La grande spianata erbosa e sullo sfondo il Gran Paradiso. È una delle immagini più conosciute, fotografate e apprezzate dell'intera regione. Il contorno del Gran Paradiso e del Ghiacciaio della Tribolazione mi accompagna fedele fino alla frazione di Valnontey. Cammino su un sentiero che costeggia la strada, poi giunto a Valnontey, supero l'omonimo torrente e comincio la salita di giornata.

Il Rifugio Vittorio Sella

Si sale nel bosco, risalendo il ripido versante ovest della Valnontey. È un sentiero tosto, a tratti veramente duro. Ma non c'è sconforto. Molte delle ampie piroette del sentiero sono balconate sui ghiacciai del versante est della Valnontey ( Ghiacciaio di Patri, Ghiacciaio di Money). Fai una foto, prendi fiato. E quanta gente scende dal sentiero...il Rifugio Vittorio Sella è anche una splendida meta per una escursione di un giorno. Molti turisti sono inoltre attratti dal simbolo del Parco Nazionale del Gran Paradiso, lo stambecco - oh, per ora io mica l'ho visto - e dunque devo sprecare un sacco di fiato per salutare (mia abitudine durante le passeggiate) tutti coloro che ritornano a valle. Poi, a metà salita, incontro una famiglia di Vercelli (padre, madre e due figli) anch'essa diretta al Vittorio Sella. Il figlioletto pare assatanato, mi raggiunge, vuole ciarlare con me; quando capisce che la salita e lo zaino pesante non facilitano la mia parlantina, mi supera con passo svelto. Questo ragazzino mi fa affiorare alla mente la mia infanzia, durante la quale, in montagna, era consuetudine far disperare i miei genitori, staccati ore dal sottoscritto, il quale regolarmente poi doveva subire il solito (meritato o no, non lo so) cazziatone per essermi allontanato eccessivamente. Promettevo già bene allora, sui sentieri di montagna...

I ghiacciai del Gran Paradiso

Intorno a 2200-2300 metri di quota, il ponticello sul torrente Lauson segna il confine tra il sentiero duro e quello facile. Sempre all'ombra di magnifici ghiacciai, risalgo le pendici erbose della Testa Tsaplane, fino a quando il sentiero spiana ed entra nella conca del Lauson, un'altra meraviglia valdostana fatta di prati e una fitta rete di torrentelli. C'è una costruzione, ma è il casotto del Parco nazionale. Le bandiere non tradiscono, il rifugio è vicino. È ad un passo. I due caseggiati del Vittorio Sella sono lì, pronti per accogliermi in una notte che deve essere di riposo assoluto. Dopo ventidue chilometri e con il Col Lauson, il punto più alto dell'Alta Via, l'indomani... serve arrivarci riposati e col pieno di energie. Per ora, aggiungo un tassello in più ad un percorso che si appresta a raggiungere la sua metà, domani, in Valsavarenche.
A presto!
Stefano

venerdì 10 luglio 2015

La finestra elettrizzante

Ciao a tutti!
La tappa di oggi doveva essere una tappa più tranquilla e riposante rispetto agli scorsi giorni. Le attese non sono state tradite. Nonostante si dovessero salire 1400 metri di dislivello, non pochi, i quattordici chilometri da percorrere da Champorcher al Rifugio Sogno di Berdzé sono stati un bel modo per "riposare" il corpo. E soprattutto, è stata una tappa che mi ha regalato meravigliosi scenari, anche grazie allo scollinamento della Fenêtre de Champorcher, non il più alto passo ma già ad una quota importante, oltre 2800 metri.

In cima alla Fenêtre de Champorcher
La mattina si presenta nuovamente calda, leit motiv climatico del momento, e con qualche nube in più. Prima di lasciare l'albergo, dopo aver finalmente fatto una colazione come Dio comanda, gironzolo per Château, la frazione capoluogo di Champorcher. È assolutamente una località suggestiva, grazie alle tipiche e perfettamente conservate costruzioni in pietra, alla chiesa e alla vecchia torre. Dopodiché, si parte alla volta della Valle di Cogne.

La "scaletta" di Dondena

Si inizia su asfalto per portarsi fino alla frazione di Chardonney, poi, dopo aver oltrepassato il torrente Ayasse, inizia una salita degna di nota. La chiamano "la Scaletta di Dondena", forse perché è in sostanza una vera e propria scala, specie nei tratti più ripidi, che conduce alle porte dei paradisiaci pascoli della conca di Dondena. Si attraversa un fitto bosco di abeti e larici, sempre in salita (con qualche salutare pausa), con qualche sguardo sull'Ayasse e i suoi affluenti. Quando il mio altimetro indica una quota di circa 1900 metri, il bosco tende a diradarsi per far spazio a praterie fiorite, case in pietra sparse, cascate selvagge e ben più addomesticate mandrie. Questi sono pascoli che sapevo essere meravigliosi, ritrovarli cinque anni dopo, potervici camminare in totale relax (nonostante i venti chili sulle spalle) è un grande piacere.

I pascoli di Dondena

Nei pressi del Rifugio Dondena, ex Casa Reale di Caccia del Re Vittorio Emanuele II, a quota 2186 metri, il sentiero diventa un'ampia e comoda mulattiera. Mi fermo un attimo per far riposare la schiena e consumare un caffè con il quale affrontare la seconda metà di salita (tra l'altro, la cameriera del Dondena mi sta facendo riconsiderare il concetto di femminilità delle donne da rifugio...). La mulattiera, detta "le Chemin du Roi" continua a risalire la vallata, quasi sempre senza pendenza eccessiva. Le fioriture sono ricche e varie, ma c'è un elemento che disturba. È un elettrodotto che proviene dalla Valle di Cogne e taglia tutta la Valle di Champorcher. Un vero e proprio mostro. Non ci si può fare niente, solo continuare a salire, fino a raggiungere il Rifugio Miserin, posto in corrispondenza dell'omonimo lago e del Santuario della Madonna delle Nevi, un edificio che risale addirittura al XVII secolo, sede di una processione che unisce le genti di Cogne e di Champorcher. Merito della Fenêtre de Champorcher, valico di facile accessibilità e che per secoli fu uno dei valichi più importanti delle Alpi, anche a livello commerciale. Di qui transitava infatti buona parte del materiale ferroso dalle miniere di Cogne diretto verso il Piemonte.

Il Santuario di Madonna delle Nevi e il Lago Miserin

La sosta al Rifugio Miserin è più lunga del previsto. Scambio qualche parola (ed esperienza di montagna) con due escursionisti astigiani prima e con la rifugista dopo, la quale, un po' per caso, mi informa che un punto di appoggio dell'Alta Via, il Bivacco Promoud è bruciato. Non dovevo fermarmi lì nella traversata dalla Valgrisenche a La Thuile, ma ero curioso di vedere questo bivacco descritto come struttura modello. Poi ricomincio la salita, con una bella novità: le nuvole sono letteralmente scomparse dal cielo.

Nuovo punto più alto dell'Alta Via

La Fenêtre de Champorcher pare assai lontana ma in realtà mi separano meno di trecento metri di salita, su un comodo sentiero che si sviluppa lungo i pendii del Bec Cotasse, a tratti interrotto da qualche nevaio. Lungo l'ultimo tratto di salita compaiono alla vista altri due laghi oltre al Miserin, il Lac Blanc e il Lac Noir. Si, uno ha veramente le acque chiare e l'altro più scure. L'ultimo tratto di salita, su ghiaietta, è veramente ripido. Ma è l'ultimo sforzo di giornata prima della discesa finale. E poi, tutti gli sforzi vengono gratificati dalla visuale che la Fenêtre de Champorcher offre ai miei: verso est si domina l'alta Valle di Champorcher, verso ovest la vista spazia sul Vallone dell'Urtier, sul (finalmente) gruppo del Gran Paradiso e sulla Grivola. È uno spettacolo superbo, la Fenêtre de Champorcher è certamente uno dei più maestosi valichi alpini finora incontrati.

Ultimo saluto alla Valle di Champorcher

Dispiace dover lasciare questo passo, che porterò a lungo nel cuore, ma c'è una tappa da concludere e soprattutto un letto da "abbracciare" al Rifugio Sogno di Berdzé. Dista poche centinaia di metri più in basso e tramite un comodissimo sentiero a serpentina, mai ripido o pericoloso, lo raggiungo in mezz'ora circa. Dall'alto sembra così piccolo, il Rifugio Sogno di Berdzé, come un timido baluardo nella vastità del Vallone dell'Urtier, ma invece, come scoprirò poco dopo, è di dimensioni notevoli. Anche la terza tappa se ne va, dunque. E non sono particolarmente stanco: merito del rodaggio o di una tappa complessivamente più facile delle precedenti? Importa poco, in fondo.

Il Rifugio Sogno di Berdzé

Trascorro la serata a parlare con i gestori del Rifugio Sogno di Berdzé e con i clienti che vi trascorreranno la notte. È sempre bello scambiare opinioni ed esperienze con coloro che amano la montagna (e non solo: si è parlato addirittura di maratone!). Per questo li ringrazio: hanno (mi rivolgo a loro: avete) spezzato la solitudine di due giorni sostanzialmente vissuti lontano dal contatto umano. È il potere del rifugio, un ambiente che sa far incontrare e unire le persone: toscani, piemontesi, veneti e romani non sono mai stati più felici insieme di stasera. Certo, davanti a queste montagne, un piatto di polenta e spezzatino, è tutto molto molto più facile... Domani sarà lunga fino al Rifugio Sella, ma nutro in me la speranza vitale di poter rivivere una serata come questa, meravigliosa, che sto chiudendo con questo post.
A presto!
Stefano

mercoledì 6 marzo 2013

Una poesia per non morire dentro

Ciao a tutti.
Mi ero promesso di pubblicarla nel mio blog questa poesia, o scritto che dir si voglia... specie in questi momenti difficili e un po' tormentati per me. Perchè ora, meglio rappresenta le sensazioni contrastanti che sto vivendo dentro di me...
Hi everybody.
I promised myself to publish this poetry (or composition, as you wish to call it) in my blog... specially in those difficult and a little bit turbulent moments for me. Since it better represents my conflicting sensations I'm living on my own now...
Lentamente muore
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante. Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
Die slowly
He who becomes the slave of habit, who follows the same routes every day, who never changes pace, who does not risk and change the color of his clothes, who does not speak and does not experience, dies slowly.
He or she who shuns passion, who prefers black on white, dotting ones "it’s" rather than a bundle of emotions, the kind that make your eyes glimmer, that turn a yawn into a smile, that make the heart pound in the face of mistakes and feelings, dies slowly.
He or she who does not turn things topsy-turvy, who is unhappy at work, who does not risk certainty for uncertainty, to thus follow a dream, those who do not forego sound advice at least once in their lives, die slowly. He who does not travel, who does not read, who does not listen to music, who does not find grace in himself, dies slowly. He who slowly destroys his own self-esteem, who does not allow himself to be helped, who spends days on end complaining about his own bad luck, about the rain that never stops, dies slowly. He or she who abandon a project before starting it, who fail to ask questions on subjects he doesn't know, he or she who don't reply when they are asked something they do know, die slowly.
Let's try and avoid death in small doses, reminding oneself that being alive requires an effort far greater than the simple fact of breathing.
Only a burning patience will lead to the attainment of a splendid happiness.

Martha Medeiros

Emozioni di pace nel Vallone di Bardoney, sopra Cogne. Foto di archivio, 18 febbraio 2012.

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