sabato 20 luglio 2013

Sorrisi dolomitici: sette aneddoti da ricordare

Ciao a tutti!
Una settimana di cammino, tra meravigliosi monti come quelli dolomitici, porta con sé un insieme di ricordi magnifici, panorami mozzafiato e visioni da brivido, posti indimenticabili e scenari indelebili. Un viaggio come questo, comunque, contiene anche gli istanti che non è la natura a regalarci, ma l'umanità e tutte le sue variegate sfaccettature: aneddoti, racconti, discorsi, novelle che poco hanno a che fare con l'Alta Via ma che strappano un sorriso e spesso restano impressi nella memoria più delle montagne stesse.
La tradizione è partita proprio l'anno scorso in Dolomiti (vedi post dell'11 agosto 2012) ed è continuata a Barcellona, in occasione della maratona (vedi post del 4 aprile 2013). Voglio continuare ora, con i migliori aneddoti provenienti dalle Dolomiti dell'Alta Via n.3.

1. La verdura. Quando ho visto questa cosa non ci volevo credere, non pensavo che mente umana potesse concepire tutto ciò. Tappa 6: entro al Rifugio Casera di Bosconero, sistemo il sacco a pelo sul letto e cerco di fare ordine sommario nello zaino in vista della tappa del giorno dopo. C'è un'incombenza da risolvere, comunque, quella di sempre: svuotarsi. I bagni sono in fondo alla camerata; mi fiondo e noto che ce ne sono due, con dei disegni alle porte. Quando realizzo, rimango allegramente allibito: i disegni erano, per ciascuna porta, quelli di un pisello e di una patata. Il loro significato, lo lascio interpretare a voi lettori.

Pisello vs. patata...


2. Il ritorno. Questo è un episodio già raccontato in precedenza (vedi post del 5 luglio), ma lo ripropongo, è è stato un bellissimo momento di quest'Alta Via. Tappa 4: arrivo al Rifugio Venezia, entro e mi guardo attorno, respiro tutta la familiarità di questo posto, in cui ero già stato l'anno scorso durante il trekking che mi ha portato dal Passo Falzarego ad Alleghe. Mi annuncio alla gestrice e provo a ricordarle che ero già stato l'anno scorso con gli escursionisti del CAI UGET Torino. Non insisto ma non si ricorda. Beh, è passato un anno da allora, in fondo di facce ne passano tante, sempre nuove e probabilmente migliori della mia: effettivamente non vedo perché dovrebbe ricordarsi proprio della mia. Allora "se dico che sono celiaco magari ti ricordi!" E la lampadina si accende: "Ah si, tu eri seduto in fondo alla sala, una sera ti abbiamo fatto aspettare un'ora la cena... E la focaccia bruciata...". Come sentirsi a casa...

In partenza dal Rifugio Venezia


3. Il furto. Sembra incredibile come i piccoli episodi come questi possano creare una risata a livello internazionale. Tappa 6: all'arrivo al Rifugio Casera di Bosconero, la gestrice mi impone (come in ogni rifugio, d'altronde), di indossare le ciabatte all'interno della camerata e non gli scarponi. Vedo delle ciabatte vicino all'ingresso. Di tutti i tipi, ma ce ne sono alcune molto graziose. Vedo un paio che mi aggrada e lo indosso. Di lì a un'ora ritorna in rifugio un alpinista tedesco, facente parte di un gruppo di cinque. E immediatamente mi segnala che le ciabatte erano sue. Finisce qui? No... lo stesso identico episodio accade anche a Liz e Martin, che indossano (successivamente) altre due paia di ciabatte, proprio di due altri alpinisti tedeschi! Il tutto si risolve in una grassa risata di cuore, tra persone provenienti da tre nazioni diverse: Italia, Germania e Gran Bretagna. Solo la montagna può tanto.

Il Rifugio Casera di Bosconero


4. Il carico. Per la serie, prendiamoci un po' meno per i fondelli. Tappa 1, ora di pagare il rifugio (Vallandro). Come spesso accade, si fanno due parole con il rifugista, si parla di meteo, di come vanno gli affari in rifugio, di mete da raggiungere il giorno dopo, di progetti. A tal proposito, parlo alla rifugista del mio percorso. Ad un certo punto le dico "Eh si, le prime tappe, con lo zaino completamente carico, sono sicuramente più dure". Lei mi chiede "Ma quanto pesa?" e io le rispondo "Eh... ventuno chili". E tutta divertita chiude così: "Ventuno? Come alla naja!?!". A me non faceva così ridere.
5. L'età. Episodio simpatico ma che fa riflettere sul futuro della montagna. Tappa 2, è ormai sera avanzata al Rifugio Vandelli e si parla delle iniziative (fatte e non fatte) dalla Sezione di Venezia del CAI. Io sottolineo la quasi totale (e preoccupante) assenza di giovani in montagna e anche all'interno del Club Alpino Italiano. La rifugista replica, in tono ironico ma anche infastidito per la situazione in cui versa il CAI, così: "Ma cosa vuoi pretendere? Nel direttivo della Sezione di Venezia la persona più giovane avrà l'età di mio padre". Settantenni al comando: ma non è lo specchio dell'Italia?
6. Il piatto. Talvolta ci sono simboli che sono così "internazionali" che possono risolvere le discussioni tra persone di diversa nazionalità. Questo è un aneddoto raccontatomi da Liz e Martin ed è successo loro in un altro rifugio dolomitico. La rifugista di turno vuole proporre loro carne di cervo, ma non sa come esprimersi ai suoi clienti in lingua inglese. Nemmeno io so come si traduce "cervo" in inglese, sinceramente. Qui, il colpo di genio della rifugista: "Bambi!". Chapeau.
7. Il crollo. Posso capire le differenze linguistiche tra l'area "austriaca" e quella "italiana" delle Dolomiti, ma al contempo penso che comunque ci troviamo in Italia ed è sacrosanto pretendere che i miei connazionali conoscano l'italiano. Tappa 1, all'arrivo al Rifugio Vallandro la rifugista mi chiede da dove vengo. Si mostra interessata alla regione di provenienza di ogni escursionista che lì trova riparo e logicamente le rispondo "Piemonte". La risposta che mi fa cadere le braccia (e non aggiungo altro): "Ma come si scrive?".

A presto!
Stefano

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