Ciao a tutti!
Da un lato la seconda tappa del nostro viaggio sulle rive del Lago di Costanza era quella più attesa. Non tanto per ciò che avremmo incontrato sulla nostra strada, ma per le condizioni meteo che sapevamo avremmo trovato avverse. La resa dei conti con le previsioni, consultate istericamente da giorni, arriva in quel di Bregenz. La sentenza è dura, durissima. Piove. Piove a secchiate. Prendiamocela comoda, dunque. Una ricca e soprattutto tranquilla colazione, prima di scendere in paese e vedere qual è il primo treno per Arbon. Sarebbe logico pensare a questo, ma nel profondo del mio animo c'è la voglia di credere in uno spiraglio di sole. A Bregenz ci sono dei musei d'arte, a quanto pare. Proviamo a visitarli e poi valutiamo il da farsi.
Usciamo dall'albergo mentre infuria ancora il diluvio. Raggiungiamo a piedi il centro. Atmosfera spettrale tanto quanto il cielo. Non c'è nessuno, Bregenz pare essersi trasformata improvvisamente in una ghost town. D'altronde, è Ferragosto, e ai germanici piace essere ligi al dovere. C'è una festività pubblica? Non si esce di casa. Attraversiamo tutte le vie centrali della città fino alla Kunsthaus, un cubo di vetro e cemento che dovrebbe ospitare opere dei più grandi artisti contemporanei. Sulla brochure pubblicitaria di Bregenz si parla di Roy Lichtenstein e Damien Hirst, nomi che attirano la nostra attenzione. Dentro c'è però Richard Prince. La Kunsthaus di Bregenz non è altro che un enorme spazio in cui si possono allestire mostre temporanee, mentre non c'è spazio per collezioni permanenti. La mostra che ci sorbiamo, comunque, è piacevole, ironica e divertente. Si tratta di It's a free concert dell'artista americano Richard Prince. Per i non addetti ai lavori, Richard Prince è uno di quelli a cui piace spaziare con forme, dimensioni e soggetti fino a trasformare in arte un assegno bancario incollato su un enorme telo bianco. Oppure divertirsi con le pubblicità di brand famosi. Oppure fare quasi della pornografia una cifra stilistica da applicare su una carrozzeria di un auto. Ci si diverte, con il trash di Richard Prince.
All'uscita c'è un piccolo squarcio nello spesso strato di nubi. "Ci proviamo?", dico. Si, ci proviamo. Di corsa alla bici. Oliatina alla catena, tiriamo su la bici a piedi per oltrepassare i binari e via, per nuovi quaranta chilometri verso la Svizzera. I primi chilometri di tappa sono molto rilassanti, sempre nella quiete dei boschi di Bregenz. Ogni tanto ci scappa un ponte, come quello lunghissimo sul Bregenzer Ach, un canale che punta senza indugi verso il lago. I paesi che sfioriamo lungo il percorso sono quelli che incontro lungo la breve traversata austriaca nei miei viaggi verso Schweinfurt. Hard e Hochst ne sono un esempio: proprio ad Hochst, la ciclovia mi conduce proprio di fianco all'asfalto di decine di viaggi, prima quello del ponte sul Dornbirner Ach e poi quello del ponte sul Neuer Rhein, uno dei rami del Reno, fiume che qui, sul Bodensee, si prende una "pausa" per poi ricominciare da Costanza.
Giunge anche il momento di abbandonare l'asfalto amico per svoltare a destra, in quella zona che potrebbe definirsi un piccolo "delta del Reno". Qui avviene il miracolo. Le nuvole se ne vanno e ci permettono di godere appieno della zona che stiamo attraversando. Che è semplicemente meravigliosa. Poche case, strade poco trafficate. Tanta, tantissima natura, ambienti riposanti, tra zone paludose, aree rurali e stormi di uccelli che paiono librarsi felici. Qui pedalare è un piacere. E non esagero nel dire che, alla luce di quanto visto nei giorni precedenti e successivi, questo è stato il tratto in cui il gesto della pedalata è stato più rilassante, spensierato. Nonostante il tempo stringa...
Perché alla fine, quando non hai tantissimo tempo a disposizione, come nel nostro caso a causa di una partenza ritardata, ci si mettono i cartelli stradali a farti perdere minuti preziosi. I cartelli ci portano verso una strada che ci fa allungare quantomeno di qualche chilometro, forse tre. La sensazione che non andassimo dalla parte giusta mi si è confermata nel momento in cui ci troviamo sul lungo, eterno, rettilineo che ci porta a Gaißau, l'ultimo comune austriaco, che raggiungiamo da ovest piuttosto che da est. Qui decidiamo di fermarci un po': la panchina davanti alla chiesa parrocchiale è veramente invitante.
Dopo il frugale pranzo, bastano poche centinaia di metri per giungere alla dogana tra Austria e Svizzera. Quella riservata alle automobili non fa per noi. Ve n'è una molto più piacevole, meno trafficata e controllata. È un ponte in legno, che scavalca il canale che funge da confine tra Austria e Svizzera, fatto appositamente per i ciclisti. L'ingresso in territorio elvetico non comincia nel migliore dei modi, in quanto la ciclovia si estende su un sentiero sterrato proprio a fianco dell'autostrada che porta a San Gallo. Il rumore è assordante e contrasta con la pace del canale che abbiamo alla nostra destra. Si deve entrare ad Altenrhein per assaporare un po' di aria di Svizzera. È impressionante la cura che gli elvetici hanno per le proprie case. I balconi e le scale strabordano di vasi fioriti. Ho sempre pensato che la Svizzera la si riconosceva dai prati più verdi, ora potrei dire che la si può distinguere dalle case più colorate…
Ci portiamo nuovamente sulla superficie del lago a Staad. Era dalla mattinata, da Bregenz, che non lo vedevamo, o quasi. La tregua meteorologica pare durare poco, le nuvole si addensano e talvolta ci capita di sentire qualche gocciolina. Infatti decidiamo di incrementare la velocità per arrivare a Rorschach ancora asciutti. Nel caso di pioggia battente si può sempre optare per una soluzione ferroviaria; fra l'altro la ferrovia corre per molti chilometri a fianco della ciclabile. Giunti a Rorschach, leghiamo le bici sul lungolago, nella speranza che la situazione non peggiori. Ed infatti inizia a piovere.
Un giretto a Rorschach non ce lo facciamo mancare. Le attrazioni sono il vecchio granaio in riva al lago e lo stabilimento balneare. Per quanto riguarda il primo, beh, mai si potrebbe pensare che questo massiccio palazzone, ora museo cittadino, fosse stato adibito a granaio in passato. Il secondo, altrimenti chiamato Badhütte, è invece una costruzione alquanto bizzarra. Sembra una palafitta restaurata ed è un edificio unico nel suo genere sul Bodensee, visto da lontano conferisce a Rorschch un profilo esclusivo. Il centro città è ricco di palazzi decoratissimi, segno di un passato finanziariamente florido. Lungo la sponda svizzera del Bodensee, Rorschach era probabilmente il centro più ricco. La pioggia che ora inizia a farsi copiosa ci induce a consumare qualcosa di caldo in uno strano bar del centro. Viste le condizioni meteo e la temperatura che a causa di esse è rapidamente scesa, l'opzione tisana è la più gradita.
Ritorniamo alle bici, ma la pioggia non accenna a smettere e nel mentre si è alzato un vento che pare sia in grado di portare via pure i cigni del lago. K-way, pantaloni lunghi e si riparte. In fondo ci separano solo otto chilometri da Arbon, la meta di giornata. In realtà la pioggia durerà – fortunatamente – ancora pochi minuti. Proprio per dare un'occhiata (da lontano) ad uno dei principali richiami di Rorschach, il festival internazionale dei castelli di sabbia. Possiamo solo sbirciare tra le reti, ma le creazioni che questi artisti decisamente alternativi stavano portando in scena sul lungolago di Rorschach sono assolutamente originali.
Per nostra fortuna il cielo si apre ancora una volta e ci consente, nonostante la temperatura decisamente abbassatasi, di arrivare ad Arbon senza incontrare nuovamente precipitazioni. Qualche nuvolaglia rimane e in combinazione con il sole del tardo pomeriggio, ci godiamo gli ultimi chilometri di questa seconda tappa. Il profilo di Arbon, forse la città del versante svizzero più affascinante, e i colori incupiti del lago alla sera, sono la giusta ricompensa per le fatiche di questa tappa.
A presto!
Stefano
Da un lato la seconda tappa del nostro viaggio sulle rive del Lago di Costanza era quella più attesa. Non tanto per ciò che avremmo incontrato sulla nostra strada, ma per le condizioni meteo che sapevamo avremmo trovato avverse. La resa dei conti con le previsioni, consultate istericamente da giorni, arriva in quel di Bregenz. La sentenza è dura, durissima. Piove. Piove a secchiate. Prendiamocela comoda, dunque. Una ricca e soprattutto tranquilla colazione, prima di scendere in paese e vedere qual è il primo treno per Arbon. Sarebbe logico pensare a questo, ma nel profondo del mio animo c'è la voglia di credere in uno spiraglio di sole. A Bregenz ci sono dei musei d'arte, a quanto pare. Proviamo a visitarli e poi valutiamo il da farsi.
Pedalare nel delta del Reno |
Usciamo dall'albergo mentre infuria ancora il diluvio. Raggiungiamo a piedi il centro. Atmosfera spettrale tanto quanto il cielo. Non c'è nessuno, Bregenz pare essersi trasformata improvvisamente in una ghost town. D'altronde, è Ferragosto, e ai germanici piace essere ligi al dovere. C'è una festività pubblica? Non si esce di casa. Attraversiamo tutte le vie centrali della città fino alla Kunsthaus, un cubo di vetro e cemento che dovrebbe ospitare opere dei più grandi artisti contemporanei. Sulla brochure pubblicitaria di Bregenz si parla di Roy Lichtenstein e Damien Hirst, nomi che attirano la nostra attenzione. Dentro c'è però Richard Prince. La Kunsthaus di Bregenz non è altro che un enorme spazio in cui si possono allestire mostre temporanee, mentre non c'è spazio per collezioni permanenti. La mostra che ci sorbiamo, comunque, è piacevole, ironica e divertente. Si tratta di It's a free concert dell'artista americano Richard Prince. Per i non addetti ai lavori, Richard Prince è uno di quelli a cui piace spaziare con forme, dimensioni e soggetti fino a trasformare in arte un assegno bancario incollato su un enorme telo bianco. Oppure divertirsi con le pubblicità di brand famosi. Oppure fare quasi della pornografia una cifra stilistica da applicare su una carrozzeria di un auto. Ci si diverte, con il trash di Richard Prince.
This is art, this is Richard Prince |
All'uscita c'è un piccolo squarcio nello spesso strato di nubi. "Ci proviamo?", dico. Si, ci proviamo. Di corsa alla bici. Oliatina alla catena, tiriamo su la bici a piedi per oltrepassare i binari e via, per nuovi quaranta chilometri verso la Svizzera. I primi chilometri di tappa sono molto rilassanti, sempre nella quiete dei boschi di Bregenz. Ogni tanto ci scappa un ponte, come quello lunghissimo sul Bregenzer Ach, un canale che punta senza indugi verso il lago. I paesi che sfioriamo lungo il percorso sono quelli che incontro lungo la breve traversata austriaca nei miei viaggi verso Schweinfurt. Hard e Hochst ne sono un esempio: proprio ad Hochst, la ciclovia mi conduce proprio di fianco all'asfalto di decine di viaggi, prima quello del ponte sul Dornbirner Ach e poi quello del ponte sul Neuer Rhein, uno dei rami del Reno, fiume che qui, sul Bodensee, si prende una "pausa" per poi ricominciare da Costanza.
Il porticciolo di Hard |
Giunge anche il momento di abbandonare l'asfalto amico per svoltare a destra, in quella zona che potrebbe definirsi un piccolo "delta del Reno". Qui avviene il miracolo. Le nuvole se ne vanno e ci permettono di godere appieno della zona che stiamo attraversando. Che è semplicemente meravigliosa. Poche case, strade poco trafficate. Tanta, tantissima natura, ambienti riposanti, tra zone paludose, aree rurali e stormi di uccelli che paiono librarsi felici. Qui pedalare è un piacere. E non esagero nel dire che, alla luce di quanto visto nei giorni precedenti e successivi, questo è stato il tratto in cui il gesto della pedalata è stato più rilassante, spensierato. Nonostante il tempo stringa...
La dogana tra Gaißau e Rheineck |
Perché alla fine, quando non hai tantissimo tempo a disposizione, come nel nostro caso a causa di una partenza ritardata, ci si mettono i cartelli stradali a farti perdere minuti preziosi. I cartelli ci portano verso una strada che ci fa allungare quantomeno di qualche chilometro, forse tre. La sensazione che non andassimo dalla parte giusta mi si è confermata nel momento in cui ci troviamo sul lungo, eterno, rettilineo che ci porta a Gaißau, l'ultimo comune austriaco, che raggiungiamo da ovest piuttosto che da est. Qui decidiamo di fermarci un po': la panchina davanti alla chiesa parrocchiale è veramente invitante.
Wald |
Dopo il frugale pranzo, bastano poche centinaia di metri per giungere alla dogana tra Austria e Svizzera. Quella riservata alle automobili non fa per noi. Ve n'è una molto più piacevole, meno trafficata e controllata. È un ponte in legno, che scavalca il canale che funge da confine tra Austria e Svizzera, fatto appositamente per i ciclisti. L'ingresso in territorio elvetico non comincia nel migliore dei modi, in quanto la ciclovia si estende su un sentiero sterrato proprio a fianco dell'autostrada che porta a San Gallo. Il rumore è assordante e contrasta con la pace del canale che abbiamo alla nostra destra. Si deve entrare ad Altenrhein per assaporare un po' di aria di Svizzera. È impressionante la cura che gli elvetici hanno per le proprie case. I balconi e le scale strabordano di vasi fioriti. Ho sempre pensato che la Svizzera la si riconosceva dai prati più verdi, ora potrei dire che la si può distinguere dalle case più colorate…
La Svizzera è anche fiori ovunque |
Ci portiamo nuovamente sulla superficie del lago a Staad. Era dalla mattinata, da Bregenz, che non lo vedevamo, o quasi. La tregua meteorologica pare durare poco, le nuvole si addensano e talvolta ci capita di sentire qualche gocciolina. Infatti decidiamo di incrementare la velocità per arrivare a Rorschach ancora asciutti. Nel caso di pioggia battente si può sempre optare per una soluzione ferroviaria; fra l'altro la ferrovia corre per molti chilometri a fianco della ciclabile. Giunti a Rorschach, leghiamo le bici sul lungolago, nella speranza che la situazione non peggiori. Ed infatti inizia a piovere.
In azione sull'asfalto bagnato |
Un giretto a Rorschach non ce lo facciamo mancare. Le attrazioni sono il vecchio granaio in riva al lago e lo stabilimento balneare. Per quanto riguarda il primo, beh, mai si potrebbe pensare che questo massiccio palazzone, ora museo cittadino, fosse stato adibito a granaio in passato. Il secondo, altrimenti chiamato Badhütte, è invece una costruzione alquanto bizzarra. Sembra una palafitta restaurata ed è un edificio unico nel suo genere sul Bodensee, visto da lontano conferisce a Rorschch un profilo esclusivo. Il centro città è ricco di palazzi decoratissimi, segno di un passato finanziariamente florido. Lungo la sponda svizzera del Bodensee, Rorschach era probabilmente il centro più ricco. La pioggia che ora inizia a farsi copiosa ci induce a consumare qualcosa di caldo in uno strano bar del centro. Viste le condizioni meteo e la temperatura che a causa di esse è rapidamente scesa, l'opzione tisana è la più gradita.
Il Badhütte di Rorschach |
Ritorniamo alle bici, ma la pioggia non accenna a smettere e nel mentre si è alzato un vento che pare sia in grado di portare via pure i cigni del lago. K-way, pantaloni lunghi e si riparte. In fondo ci separano solo otto chilometri da Arbon, la meta di giornata. In realtà la pioggia durerà – fortunatamente – ancora pochi minuti. Proprio per dare un'occhiata (da lontano) ad uno dei principali richiami di Rorschach, il festival internazionale dei castelli di sabbia. Possiamo solo sbirciare tra le reti, ma le creazioni che questi artisti decisamente alternativi stavano portando in scena sul lungolago di Rorschach sono assolutamente originali.
Arbon, luci della sera |
Per nostra fortuna il cielo si apre ancora una volta e ci consente, nonostante la temperatura decisamente abbassatasi, di arrivare ad Arbon senza incontrare nuovamente precipitazioni. Qualche nuvolaglia rimane e in combinazione con il sole del tardo pomeriggio, ci godiamo gli ultimi chilometri di questa seconda tappa. Il profilo di Arbon, forse la città del versante svizzero più affascinante, e i colori incupiti del lago alla sera, sono la giusta ricompensa per le fatiche di questa tappa.
A presto!
Stefano
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