venerdì 29 agosto 2014

Non ci si immaginava di poter raccontare questo

"Mentre Stefano Baldini stava entrando nello stadio Panathinaiko, Luciano Gigliotti, il suo allenatore, ha frugato nello zaino. Ha affondato il braccio sino al gomito per arrivare in fondo. C'era una bandiera tricolore che aspettava, ben piegata, un segreto che aveva nascosto anche a Stefano. Gigliotti l'aveva infilata sei mesi fa. Era il primo inverno che riusciva ad allenare Stefano senza inconvenienti, senza infortuni. E Stefano correva, correva... Aveva avuto un poco di paura solo dopo la maratona di Londra, il 19 aprile, non per il quarto posto finale, ma per il morale di Baldini. «Ho dato tutto, non potevo andare forte come Rutto e Korir», raccontava Stefano. C'era un senso di impotenza in quelle parole, lo spettro che non avrebbe mai potuto raggiungere quegli africani. Gigliotti lo ha convinto a suon di allenamenti duri, di salite massacranti per preparare quelle sciabolate che decidono una gara. Salite come quella di Atene, lunghe e subdole. Sapeva che un uomo di razza contadina non si convince con le parole, che doveva dimostrargli che poteva farcela comunque e contro chiunque. Il 3 agosto, negli ultimi giorni di allenamento a St. Moritz Stefano confessava sottovoce: «Non ho paura di nessuno, sono il più forte di sempre. Adesso devo solo arrivare sano...». Già, lo spettro di quattro anni fa ai Giochi di Sydney. Anche allora lavorò duro, convinto di poter salire sul podio, ma una microfrattura da stress all'anca venti giorni prima della gara uccise le sue speranze. Giovedì sera, quando ha percorso in auto la strada da Maratona al Panathinaiko si è illuminato: «È dura, terribilmente dura. Quello che ci vuole». Aveva il fuoco dentro, quel qualcosa che va oltre gli allenamenti e i sacrifici e che non si può descrivere. Una sensazione che può anche mettere paura. Questa strada negli ultimi mesi l'aveva percorsa migliaia di volte nel suo cuore, le salite di Livigno, di Predazzo e di St. Moritz erano come quella di Glyka Nera, la porta di Atene. Migliaia di chilometri per preparare la sua sciabolata. Lunedì sera, nell'ultimo allenamento alla periferia di Modena prima della partenza per Atene, aveva anche preso a calci un dobermann che aveva cercato di azzannarlo. Nessuno e nulla stavolta potevano fermarlo, era un segno del destino. Sabato, nell'ultima conferenza stampa al Villaggio olimpico, Baldini aveva stupito per la sua sicurezza. Sentiva di potercela fare, descriveva ogni centimetro del percorso con precisione estrema e che cosa sarebbe successo.

Il trionfo che non ti aspetti (fonte: olimpiaazzurra.com)

Non è abituato a raccontare bugie o a dissimulare. In gara ha fatto quello che ha voluto, ha permesso le fughe, deciso gli inseguimenti, è scappato verso quello stadio millenario che lo attendeva. Che festa! Lo sguardo al cielo, i pugni chiusi, il bacio all'asfalto nero della pista, quella gente tutta per lui, il tricolore di Gigliotti. «Alessia, è per te», ha gridato ancora al cielo. Alessia, la figlia di tre anni che quando potrà capire sarà fiera di un papà così. E poi il giro d'onore sull'anello dove vinse Spyridon Louis, la pista sacra. «Non uscirei più da questo stadio. Qui si fa la storia, questa gente, il loro calore...». Baldini non pare neppure stanco, l'emozione lo infiamma ancora. Tante volte ha inseguito sogni poi svaniti, stavolta no, era Il sogno, quello più grande. «Lo sentivo che avrei vinto, ma adesso non ci posso credere. Oggi sono passato in cassa per riscattare il lavoro di una vita. Sì, della vita, perché ho corso ogni giorno, per me e per l'atletica. I sacrifici non mi sono mai pesati. Ne è valsa la pena». Non c'è sorpresa nei suoi avversari. Un signore come il keniano Paul Tergat, il grande favorito della vigilia, dice una frase sola: «Oggi era il più forte, lo abbiamo capito sin dai primi chilometri».

In azione nei 42,195 chilometri più famosi (fonte: fidal.it)

Stefano intanto è sballottato, tutti lo vogliono. È l'eroe dell'Olimpiade, ha vinto la maratona ad Atene la gara che merita la premiazione nella cerimonia di chiusura davanti a presidenti e ministri, sotto gli occhi del mondo. […] Gli addetti dell'organizzazione lo strattonano ancora, lo stadio Olimpico, Rogge, il primo ministro Karamanlis, l'eurovisione e il mondo intero non possono aspettare. Ecco la pista già coperta per la cerimonia di chiusura, ecco tutti gli spettatori in piedi per veder salire il tricolore sul pennone più alto. Ecco quel sì urlato da Baldini alla fine dell'inno di Mameli. È uno di noi il re dell'Olimpiade. Che bello essere italiani."
di Pierangelo Molinaro, La Gazzetta del Sport, 30 agosto 2004

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