"Ricordo quelle estensioni ghiacciate come qualcosa di arcano. Le distanze perdevano il loro valore reale e tutto appariva immenso e irraggiungibile. La luna illuminava la neve attenuandone ogni piega e confondendo i profili."
Walter Bonatti, Le mie montagne
La pubblicazione della spedizione italo-argentina al Cerro Torre (fonte: culturademontania.com.ar) |
Capire chi è il più grande fra i scalatori è cosa complicata: chi tra gente come Bonatti, Messner, Rébuffat, Kukuczka, Buhl e Cassin (per citarne alcuni...) si può definire il numero uno? Se Bonatti avesse aggiunto al suo palmares anche la prima salita al Cerro Torre staremmo probabilmente parlando del più grande scalatore di tutti i tempi, all'unanimità! E quest'idea frullava eccome nella mente di Bonatti. La spedizione del 1958, organizzata dall'italo-argentino Folco Doro (nel cui team oltre a Bonatti era presente un altro italiano, l'amico fraterno di Walter, Carlo Mauri) ha proprio quell'obiettivo, l'immacolata vetta del Cerro Torre. Purtroppo è però una meta ambita, come tutte le vette rimaste da scalare nel dopoguerra. Il gruppo di Doro, Bonatti e Mauri si ritrova infatti faccia a faccia, ignari l'uno dell'altro, con un altro gruppo di alpinisti italiani, guidati da un altro fuoriclasse, Cesare Maestri. Entrambi i gruppi vogliono salire in cima dal versante orientale, di facile accesso e sul quale sono già state studiate delle possibili vie.
A Bonatti piace lavorare in libertà e quindi decide di optare per una soluzione "di riserva": tentare la salita al Cerro Torre, ma dal lato occidentale. Che significa dover aggirare la montagna, perdendo molto tempo e consumando ancor più energie. Quando giungono ai piedi del Torre, Bonatti e Mauri si rendono facilmente conto che è impossibile scalare quel lato della montagna. Bonatti stesso ne Le mie montagne scrive: "nelle condizioni in cui ci trovavamo non avremmo mai potuto raggiungere la vetta". Un tentativo lo faranno ugualmente, addirittura consci di non potercela fare. E desisteranno. Dal salire il Cerro Torre, non di imbarcarsi verso nuove imprese.
Un nuovo obiettivo si affaccia nell'orizzonte della mente di Bonatti. Da subito. È il Cerro Mariano Moreno, un tremila che rappresenta anche la cima più alta della Cordigliera Patagonica Australe. Una cima vergine. Inesplorata, inaccessibile, tremendamente isolata. Per raggiungerlo dalla base del Cerro Torre è necessario attraversare il ghiacciaio dello Hielo Continental, un posto così inospitale che non vi sono mappe sulle quali potersi orientare. Il Cerro Mariano Moreno vi si trova al centro. Dal campo base alla cima, e ritorno, sono circa settanta chilometri di cammino. Settanta chilometri nel ghiaccio.
Letteralmente guidati dalla tormenta di neve, in circa quattordici ora di marcia, Bonatti e Mauri con gli argentini Doro ed Eggmann, si affacciano dalla vetta del Mariano Moreno.
A rendere l'impresa memorabile è però il ritorno, nella neve fradicia, nella morsa della fame e in condizioni fisiche precarie, per la grande fatica. Dopo trenta ininterrotta di marcia, i quattro arrivano al campo base. Con tanta gioia, tanta fatica nei muscoli e un grande successo da raccontare a casa.
Bonatti e Mauri non si fermano qui. I due aggiungeranno al loro bottino di questa spedizione Patagonica, nei giorni seguenti al 4 febbraio, ben altre cinque cime del Cordon Adela, la barriera tra lo Hielo Continental e il Lago Viedma, sul quale si affacciano Cerro Torre e Fitz Roy. Cerro Adela, Cerro Ñato, Cerro Doblado, Cerro Grande e Cerro Luca. Tutto in sette ore. Quella che sembrava essere una scalata di piacere si trasforma in un meraviglioso exploit alpinistico...
A sinistra, il Cordon Adela; a destra, il Cerro Torre (© Mario Barrientos) |
A Bonatti piace lavorare in libertà e quindi decide di optare per una soluzione "di riserva": tentare la salita al Cerro Torre, ma dal lato occidentale. Che significa dover aggirare la montagna, perdendo molto tempo e consumando ancor più energie. Quando giungono ai piedi del Torre, Bonatti e Mauri si rendono facilmente conto che è impossibile scalare quel lato della montagna. Bonatti stesso ne Le mie montagne scrive: "nelle condizioni in cui ci trovavamo non avremmo mai potuto raggiungere la vetta". Un tentativo lo faranno ugualmente, addirittura consci di non potercela fare. E desisteranno. Dal salire il Cerro Torre, non di imbarcarsi verso nuove imprese.
Doro, Bonatti ed Eggmann al campo 3, ai piedi del Cerro Torre (fonte: culturademontania.com.ar) |
Letteralmente guidati dalla tormenta di neve, in circa quattordici ora di marcia, Bonatti e Mauri con gli argentini Doro ed Eggmann, si affacciano dalla vetta del Mariano Moreno.
A rendere l'impresa memorabile è però il ritorno, nella neve fradicia, nella morsa della fame e in condizioni fisiche precarie, per la grande fatica. Dopo trenta ininterrotta di marcia, i quattro arrivano al campo base. Con tanta gioia, tanta fatica nei muscoli e un grande successo da raccontare a casa.
Il Cordon Mariano Moreno (fonte: panoramio.com) |
Bonatti e Mauri non si fermano qui. I due aggiungeranno al loro bottino di questa spedizione Patagonica, nei giorni seguenti al 4 febbraio, ben altre cinque cime del Cordon Adela, la barriera tra lo Hielo Continental e il Lago Viedma, sul quale si affacciano Cerro Torre e Fitz Roy. Cerro Adela, Cerro Ñato, Cerro Doblado, Cerro Grande e Cerro Luca. Tutto in sette ore. Quella che sembrava essere una scalata di piacere si trasforma in un meraviglioso exploit alpinistico...
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