mercoledì 28 dicembre 2016

Langhe, tra cavatappi e panchine

Certe volte le pieghe del destino ci portano (e ci riportano!) in posti che, sebbene veramente vicini a dove si è vissuti per decenni, erano stati... snobbati. Il destino, nel caso che voglio raccontare in questo post, si chiama matrimonio. Il posto, nella fattispecie è un paese, si chiama invece Barolo e posso dire che nel 2016 ho avuto l'onore di recarmici per ben due volte. Barolo è una località simbolo delle Langhe, per più di un motivo. Per l'omonimo e rinomatissimo vino, che ho bevuto per la prima volta proprio il giorno dopo essermi sposato. Per il suo ridente ed accogliente centro storico, sempre vivace e ricco di visitatori, nella bella stagione come in quella più fredda. Per i suoi ristoranti, che uniscono la fama vinicola alla sapiente tradizione gastronomica piemontese.

Panorama da Vergne

Il giorno dopo il matrimonio con Giulia, Barolo (e più in generale, le Langhe) è diventata la sede dove trascorrere la giornata che avrebbe preceduto la nostra partenza verso il Sudafrica. Era da anni che non mi recavo più nelle Langhe, che non vi trascorrevo una giornata. E ho riscoperto una realtà, personalmente accantonata e messa da parte, forse perché a meno di un'ora da casa, che è qualcosa dal valore inestimabile. Arrivando in auto da ovest, si ha già un primo assaggio scendendo da Bra verso Cherasco, oppure risalendo la strada che porta alla borgata di Vergne. Ma quando si percorre la discesa che punta verso Barolo, lì si rimane estasiato. Per ben due volte, a circa sei mesi di distanza, questo breve tratto di strada ha saputo meravigliarmi. A maggio, le Langhe, con le sue preziose vigne nel bel pieno della loro rigogliosità, sono uno spettacolo che lascia senza fiato.

Le Langhe viste da Barolo

Le colline innevate di Clavesana

Una tale visione mi aveva fatto immediatamente colpito al punto tale che avrei voluto tornare al più presto. E così, nelle Langhe sono tornato con i miei amici per la tradizionale gita "di fine anno", qualcosa a metà strada tra una scampagnata e una "zingarata" in stile Amici miei. La neve caduta nei giorni prima di Natale, non spazzata via dal vento, ha macchiato di bianco queste colline, rendendole ancora più uniche. L'immaginario collettivo delle Langhe fa riferimento alle tonalità giallo-rosse dei vigneti in autunno, non al bianco della neve, che il riscaldamento globale rende sempre più rara. Beh, questo tratto della SP3 che scende verso Barolo è ufficialmente una delle mie strade preferite. Una strada in cui c'è tutto il meglio del Piemonte: un panorama incredibile sulle Langhe, i vigneti simbolo della insuperabile tradizione enogastronomica piemontese, il castello dei Marchesi Falletti che spunta, come uno sperone dal piccolo altipiano in cui giace il piccolo centro abitato di Barolo.

Il castello dei Marchesi Falletti di Barolo

Barolo è diventato negli ultimi anni un'importante meta turistica per il Piemonte, grazie all'incredibile offerta (specie considerando che Barolo conta meno di mille abitanti!) che ha messo a disposizione questo territorio. C'è il WiMu (= WineMuseum), il museo del vino, all'interno del castello Falletti. C'è il Collisioni Festival, un evento di musica e letteratura che attrae star internazionali e di conseguenza il pubblico. C'è un borgo storico curato e seducente, ci sono decine di enoteche, in grado di attirare i favori di una clientela giovane ed esigente. In una di queste, si trova anche il museo del cavatappi, che abbiamo visitato.

Vista su Langhe e Alpi coperte dalla neve

È incredibile, ma è vero: non ci si immagina come attorno ad un cavatappi, un oggetto così semplice, si possa nascondere una parte di storia della nostra cultura e la vivifica immaginazione e creatività dell'uomo. Nel museo allestito in una sala dell'enoteca Barolofriends, vengono esposte centinaia di esemplari diversi dell'utensile utilizzato per aprire le (preziose, se parliamo di Langhe) bottiglie di vino, il cui primo brevetto risale alla fine del XVIII secolo. Sono gli inglesi, amanti del buon vino italiano, a depositarlo. Sembra assurdo, per noi che consideriamo una bottiglia di vetro come un oggetto comune, ma prima del 1728 era vietato il commercio di vino in contenitori di vetro: proprio per questo motivo non esistevano cavatappi.
Il museo ripercorre la storia di questo oggetto, proponendo una selezione di cavatappi nelle sue diverse tipologie, dal più semplice modello a T (il classico tirabusciò) all'antiquato cavatappo a leve composte, dai primi cavatappi a campana al cavatappi tascabile, dal comune cavatappi domestico a leva fino ai più giganti cavatappi da parete. Senza dimenticare come la moda e le influenze stilistiche abbiano influenzato il design di questi oggetti. Alcuni esemplari, dal manico in oro o in avorio, realizzati da Tiffany o da Cartier, sono da considerare alla stregua di gioielli preziosi. Altri esemplari, tra cui i cavatappi figurativi, sono l'esempio estremo della gara creativa alla ricerca dell'originalità a scapito della praticità. Alcune immagini in basso spiegano in modo più che chiaro cosa intendo dire...

Cavatappi ironici...

...e "fallici"

Fermarsi a mangiare a Barolo è un must. Di ristoranti ce ne sono molti, considerando la dimensione del paese. In uno di questi abbiamo trovato il culmine del piacere gustativo, ognuno a suo modo. Chi con il brasato al barolo, chi con i tajarin al ragoût d'anatra. Chi con il risotto al barolo e chi con gli gnocchi al castelmagno. Tutti, rigorosamente, con un bicchiere di nebbiolo. Appagante. Non si può passare da Barolo senza una doverosa e qualitativa tappa enogastronomica. Come andare a Parigi senza vedere la Tour Eiffel.

Tramonto invernale su Dogliani

Il pranzo di Santo Stefano è stato eccellente. Ma dopo i bagordi di Natale, inizia a sentirsi un certo peso. Bisogna bruciare calorie. Allora decidiamo di andare a caccia. Non di animali, no. Di panchine. Di panchine giganti. Da qualche mese, infatti, le Langhe si sono riempite di panchine dalla taglia extra-large. Sono un'idea di un designer americano che ha deciso di stabilirsi proprio nelle Langhe. Oggi ce ne sono ben otto, sparse tra le varie colline, poste in diversi punti panoramici.
Nell'abitato di Clavesana avremmo dovuto trovarne ben tre, ma la ricerca è stata infruttuosa. Siamo andati alla loro ricerca un po' come un'armata Brancaleone, poco preparati e male attrezzati per camminare tra le vigne che se non sono innevate, risultano infangate. Abbiamo dunque ripiegato su Dogliani, dove la panchina gigante è posizionata nella parte alta della città, dalla quale si gode di una gran visuale sul paese in basso e soprattutto sulle Cozie, Monviso in primis. Che dire, giganti lo sono eccome: serve una scaletta per salirvi sopra!

La panchina gigante di Dogliani...

...veramente gigante!

Cercare le panchine giganti nelle Langhe è stato un modo alternativo per riscoprire questo territorio che, ammetto, non conoscevo (e non conosco) bene. Alcuni punti di vista sono un patrimonio di incredibile valore. Cercando queste panchine ci siamo imbattuti e veri e propri balconi a 360°: da una parte la sterminata distesa di colline, dall'altra una fila di vette e guglie che poche altre regioni al mondo possono vantare. I colori del tramonto, un paesaggio insolitamente innevato hanno fatto il resto, tutto il resto di una giornata indimenticabile.
A presto!
Stefano

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