Correre su un tappeto può essere un’attività molto “limitante”. Le tue gambe si muovono, talvolta all’impazzata, raggiungendo limiti finora impensati. Tenere un ritmo accelerato per due minuti è inizialmente un’attività non impossibile da compiere. Tenerlo per più di tre-quattro volte comincia a diventare complicato. Guardi il cronometro, una prima volta e dici “dai, solo più venti secondi”. I minuti passano e quei secondi che ti separano dalla fine della serie corsa al massimo delle tue possibilità diventano sempre più. La fase di lavoro al massimo battito cardiaco sembra non finire mai. Mi chiedo per quanto il cuore dovrà ancora battere tre volte ogni secondo.
Vista dalla Laufband... |
Attorno a te c’è il nulla, o quasi. Una sbarra alla quale attaccarsi con le braccia, soprattutto nei cambi di velocità, una plancia di controllo, tanta plastica. Manca la sensazione del contatto con l’aria, manca il desiderio del vedere una meta che si avvicina, nonostante il cronometro che corre alla rovescia. Manca la percezione della natura e della vita, sempre presente quando si esce a correre all’aperto.
Lo sguardo punta dritto verso l’esterno una casa in Rückertstraße. Riflessi laceranti talvolta si dirigono verso di me: è il vetro di un abbaino la superficie che conduce verso di me la luce del tramonto, luce che per ora il mio corpo non ha ancora visto. In quell’abbaino rivedo tante immagini, legate alla corsa e alla mia vita. I ponti di Venezia, io che chiedo a Giulia di sposarmi, l’arrivo in Riva Sette Martiri, allenamenti nella notte. E già mi immagino Amburgo e tutto ciò che potrebbe regalarmi tra poco meno di due mesi.
Ma è ancora lunga, la strada per Amburgo.
Bis bald!
Stefano
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