L'Italia non è un paese per giovani, questo si sapeva tempo, e i numeri lo confermano. L'Italia non è un paese per ricercatori, e anche di questo ne eravamo ben consapevoli. Quanti sono i brillanti studenti che al termine del percorso universitario (finanziato con risorse italiane) decidono di intraprendere un percorso di ricerca all'estero, percorso che probabilmente creerà reddito proprio nel paese straniero scelto. Sono tanti i casi. Troppi. Recentemente è salita alla ribalta il caso della ricercatrice italiana in Olanda che si è schierata apertamente contro il Ministro dell'Istruzione, colpevole di «essersi presa dei meriti» per l’eccellenza italiana, laddove gli studi siano stati finanziati da università o enti stranieri.
Russell Crowe nella parte di John Nash in A beautiful mind (fonte: corriere.it) |
Poi c'è il caso che, se da una parte sfiora il ridicolo, dall'altra mi abbatte moralmente. Parlo di Vincenzo Dimonte, un ricercatore in logica matematica con esperienza ad Harvard e impiego a Vienna, presso il maggior centro di ricerca europeo nel suo settore. Partecipa alla selezione di un bando di concorso intitolato a Rita Levi Montalcini, ai quali vincitori vengono concesse l'opportunità di rientrare in Italia a fare ricerca, e la possibilità di un impiego come professore associato (posizione peraltro finanziata dal Ministero e non dall'ateneo). Dimonte è tra i ventiquattro vincitori del concorso e sceglie Torino con il suo Politecnico come destinazione presso la quale sviluppare il suo progetto. I dirigenti dell'ateneo sono d'accordo, ma trova l'opposizione del dipartimento di ateneo. Questo non lo ritiene un'eccellenza e lo considera inadatto a ricoprire mansioni didattiche. In sostanza, se per Vienna, per il Ministero, per la commissione internazionale che ha fatto le selezioni, Dimonte è un'eccellenza, beh, per il dipartimento no.
Leggo queste storie e rimango a bocca aperta. Un ricercatore italiano (sempre molto apprezzati all'estero) di valore, decide di rientrare in Italia per continuare la sua attività, lontano da strutture attraenti come quelle del resto d'Europa, e con uno stipendio decisamente inferiore. E ci sono atenei italiani che lo rifiutano, quando i ricercatori sono il futuro di una nazione, la chiave per rilanciare un paese. È da notizie come queste che non riesco a vedere futuro per l'Italia. Travolti dall'esterofobia (ma poi, perché?), perdiamo buon senso e lungimiranza. Mi dispiace dirlo, ma da notizie come queste io riesco solamente a pensare, purtroppo, che l'Italia sia un malato terminale.
(Desolatissimo) Bis bald!
Stefano
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