giovedì 24 ottobre 2013

L'insegnamento di Sonia

Ciao a tutti!
Quando prima di una maratona mi capita di parlare con persone che con la corsa hanno poco a che fare, e mi chiedono “Come va?” per me è inevitabile rispondere “Bene. Sto preparando una maratona!”. Gli sguardi degli interlocutori cambiano improvvisamente, così come il tono di voce. Il più delle volte la reazione è “Come fai a correre tutti quei chilometri?”. Si, ogni tanto me lo chiedo anch'io come faccio e chiedo a me stesso se la corsa, se la maratona, non siano altro che una grande fantastica pazzia. La risposta naturale che fornisco loro è “Boh, li corro”. E inizio in fiumi di parole su come mi sono avvicinato a questo mondo, come ne sono stato rapito e portato via. La mia voce diventa gioiosa, il flusso di parole accelera repentinamente.
Poi mi piace concludere, specie con i più scettici, con parole molto semplici: “Tutti possono correre una maratona”. Si, tutti ce la possono fare. Non conta quanto ci metti, non è importante se la fai in due ore e mezza o in sei, ciò che conta è arrivare in fondo, sempre. Se ci credi veramente, anche i 42.195 chilometri non sono un traguardo impossibile. Le gambe, il cuore (inteso come muscolo) e i polmoni da soli possono non bastare. Ci va tenacia, grinta, forza di volontà e tanta, tantissima passione. Come quella di Sonia.
Ciò che segue è il racconto dell’avventura di Sonia Pillan alla Maratona di Venezia del 2012, un’edizione passata agli annali per le condizioni atmosferiche iperproibitive (che spero di non dover incontrare domenica). Ringrazio fin d’ora Sonia Pillan, Ilaria Fedeli e Orlando Pizzolato per l’autorizzazione alla pubblicazione. Il racconto è infatti tratto dalla rubrica Runners&Writers (anno 1, numero 43, sabato 10 novembre 2012 - vai al link) presente sul sito web di Orlando Pizzolato, www.orlandopizzolato.com. E ringrazio anche Enrico per la segnalazione di questa bellissima storia.
Buona lettura.
Bis bald!
Stefano

Sonia al traguardo della Venice Marathon 2012

“Tutto inizia a fine gennaio, quando comincio la preparazione per la StraVicenza. Visto il risultato ottenuto penso “E se facessi la mezza di Padova?” Mio fratello comincia a prepararmi le tabelle di allenamento e io con la caparbietà che mi caratterizza comincio a seguirle alla lettera. Nonostante qualche piccolo problema con il diabete, riesco a migliorare il mio tempo di 38’! Questo mi fa venir voglia, dopo un ricovero sempre a causa del diabete, di partecipare alla mezza in notturna di Jesolo. Ma lì il caldo si fa sentire, forse troppo, e mi devo fermare per 20’ poco lontano dal traguardo, prima di concludere: nessun personale e una grande delusione. Neanche questo, però, mi ferma, il 2012 è il mio anno, per lo meno questo avevo deciso. Ai primi di giugno, in occasione della Cortina-Dobbiaco, partecipo a Dobbiaco ad una podistica di 8 km in favore delle associazioni Debra SüdTirol e Mamazone.
Partecipo al Giro del Lago di Resia e comincio gli allenamenti serrati, ma come fare con il caldo soffocante di quest’estate? Decido di non cedere e mi alleno al mattino presto, sveglia alle 5.00, in strada alle 5.30 con la compagnia del canto dei galli, poi doccia e alle 8.00 puntuale al lavoro! Un bel sacrificio, ma mi fermano solo le vacanze ai primi di settembre. Salto due allenamenti con i “rimproveri” del mio allenatore Siro Pillan, il quale mi propone di partecipare insieme a lui ad uno Stage di Orlando Pizzolato. Accetto con gioia ed entusiasmo! Incontro due belle persone, Ilaria e Orlando, che partecipano con gioia e consigli alle mie gioie. Arriva la fine di settembre e quindi l’allenamento lungo in vista di Venezia: decidiamo di farlo partecipando alla prima edizione della Trenta Trentina, bellissima gara, paesaggio meraviglioso, amici entusiasti ad attendermi all’arrivo. Il tempo? Incredibile! Da sola, senza l’aiuto della presenza costante del papà Ampelio, non credevo di riuscire a finirla così bene.
Gli allenamenti continuano serrati, i polpacci cominciano a risentirne, la voglia di correre no! Ogni volta controllo con papà e Siro i risultati e ogni volta la risposta è la stessa e univoca “Brava!” Ad un certo punto non riesco più a seguire le tabelle: “Siro, non riesco più a fare la corsa lenta, non riesco ad andare così piano devo aumentare” e lui, con il suo sorriso dolce e familiare, “E corri un po’ più forte, magari vai in progressione”. Il papà tutte le sere massaggia con dedizione i miei polpacci dolorosi…. Conto i giorni… i miei amici, credo ormai non ne potessero più dei miei -10 -9 -8… Un origamista spagnolo, Javier Caboblanco, che personalmente non conosco, mi dedica un origami come augurio per la gara, “corazones entrelazados”. Decido di piegare questi “cuori intrecciati” e di aggiungerli al pettorale: una persona che non ti conosce e che ti incita in questo modo non l’avevo mai conosciuta e mi ha dato una carica inimmaginabile.
Giovedì pomeriggio vado a prendere il mio pacco gara, alla sera tutto l’equipaggiamento è steso sul letto del papà. “Sonia ma quando parti?”, “Domenica! Ma non voglio dimenticare niente!”
Venerdì mi accorgo che non ho le spille per il numero… ecco, pronte anche quelle. “Sonia ma quando corri?”, “Domenica! Ma non voglio dimenticarmi niente!”
Sabato mi sveglio con la voglia di rimanere a letto fino al giorno dopo, tanta è la tensione. Continuo a sperare che piova l’impossibile in modo che Giove pluvio si sfoghi e che mi regali una giornata accettabile domenica.
 Domenica mattina, invece, il tempo è terribile, freddo, acqua, vento. Alle 8.30 devo consegnare la sacca con il cambio che ritroverò all’arrivo, la partenza è alle 9.20, il papà si dedica ai miei polpacci sperando che non si induriscano come sempre al primo km. E’ arrivata l’ora di entrare nelle gabbie. La mia è l’ultima, saluto Ampelio e Siro con la solita stretta di mano, che ci diamo ad ogni partenza, ed entro.
Il freddo è proprio freddo, la pioggia è pioggia gelata, il vento è vento, ma lungo la riviera del Brenta qualche spiraglio di miglioramento c’è, io riesco a tenere il mio ritmo, costante. Al 20° km controllo la glicemia, troppo alta, faccio due unità e non ci penso più. Arrivo a Mestre dove il freddo aumenta; al parco S. Giuliano l’acqua si trasforma in gocce di ghiaccio; siamo al 30° km, al ristoro prendo un pezzo di banana e un po’ di sali. Inizia il ponte della Libertà: il vento contrario riesce perfino a spostarmi. Salto il ristoro del 35° km, non ho bisogno di niente. E la crisi? Boh…. Vado avanti corro, continuo a superare e arrivo al ponte delle barche. Papà mi dà il cinque e mi dice: “Adesso vola Sgorbio, vola!”, io sorrido e inizio il ponte di barche: che emozione, prima di me l’hanno superato in edizioni passate, mio papà e mio fratello, loro sanno cosa sto provando e questo mi spinge. Aumento un po’ il passo, sorrido, continuo a superare concorrenti.
Mi avevano detto “i ponticelli finali sono duri ma sono gli ultimi”... Duri? Veramente? Li ho fatti tutti correndo, in salita e in discesa, superando e superando…
Piazza San Marco… manca poco Sgorbietto, manca poco.
Da uno degli ultimi ponti vedo l’arrivo e, sotto, il tempo “Cavoli se vado così faccio il personale!”
E mi dicevo “Dai Sonia tieni duro, accelera un po’ se ci riesci, dai che ce la fai” e, al ponte seguente, “Dai Sgorbietto che alzerai le braccia con la soddisfazione di averla fatta come ti ha detto Orlando”.
All’arrivo, il cronometro segna 4h47’, che già sarebbe record personale, ma il real-time è 4h40’, migliore di 10 minuti rispetto al tempo di Firenze ottenuto nel 2004. Alzo le braccia al cielo quando mancano ancora due metri alla linea d’arrivo e quando ci passo sotto urlo come se fossi Tarzan! Ricevo i complimenti di un compagno di squadra, addetto alle foto, Martino Rizzi (“Mi hai emozionato Sonia” mi dice), e poi cerco mio fratello Siro emozionato come me o forse di più. Mi abbraccia e che abbraccio, che sguardo! Sono proprio contenta di me stessa, ho dato tutto quello che potevo per riuscire a fare il meglio in questa maratona ma sono anche cosciente del fatto che senza l’appoggio, l’aiuto e la spinta delle tre persone più importanti della mia vita non ci sarei mai riuscita. Quindi grazie Siro e grazie Papà (il terzo grazie è volato in cielo quando ho alzato le braccia sotto lo striscione): mi avete aiutato a fare una cosa incredibile e a realizzare un sogno nel migliore dei modi.”

Quell'attimo indescrivibile che non puoi realmente descrivere fino in fondo, puoi solo provarci...

Sonia Pillan è nata a Vicenza l'11-6-1967 in una famiglia di sportivi e origamisti.
È malata di diabete insulino-trattata dal 1992. Da sempre insieme alla madre si dedica all’origami.
Quando nel 2001 la mamma viene operata di tumore al polmone Sonia cerca qualcosa che la possa distrarre almeno un po’ da questo pensiero e inizia a correre con papà Ampelio per preparare la maratona di Roma.
La situazione familiare si aggrava e riuscirà a correrla solo nel 2003. Sarà una delle prime, se non la prima diabetica insulinico-trattata italiana a completare una maratona (tempo finale di 5h47’11”). Nello stesso anno corre anche quella di Milano, poi via via molte altre, fino a Venezia 2012, dove ha ottenuto il suo primato personale concludendo in 4h40’29”.
Segnalo il blog di suo fratello Siro, anche lui runner, in cui viene raccontata la storia sportiva di Sonia.

1 commento:

  1. Grazie per avere condiviso con noi una bella storia.
    Vero, correre una maratona è una cosa che tutti (o quasi) possono realizzare, ma quando ci sono situazioni personali e condizioni non favorevoli ci vuole uno sforzo in più: tanto di ammirazione per chi ce la fa!!!

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