L'ultima tappa del trekking pirenaico rappresenta senz'ombra di dubbio la più degna conclusione di questa grande avventura. La meta di venerdì 2 agosto è quasi un simbolo dei Pirenei, è la Brèche de Roland (o in spagnolo, Brecha de Rolando) e, dalle foto viste prima di partire è sicuramente la location più spettacolare del trekking.
Spettacolare fenditura nella roccia |
Parlando di Brèche de Roland si fa ovviamente riferimento alla leggenda di Orlando, il paladino di Carlo Magno decantato nella medievale Chanson de Roland e successivamente da Ludovico Ariosto nell'Orlando furioso. La Brèche de Roland non è altro che una spaccatura naturale nel Cirque de Gavarnie, avente una larghezza di circa quaranta metri, ma la leggenda racconta ben altro e la infarcisce del fascino tipico di questi miti popolari. Secondo la tradizione, la Brèche de Roland fu creata da Orlando stesso, durante la tragica battaglia di Roncisvalle. In quest'occasione, il più famoso paladino di Carlo Magno, nonché suo nipote, difese l'esercito dell'imperatore dall'attacco dei Saraceni con un drappello di uomini posto a retroguardia. Orlando non può nulla contro la schiacciante superiorità numerica dei Saraceni, e la battaglia si trasforma in un massacro: gli uomini di Orlando vengono sterminati e Orlando stesso viene colpito a morte. La leggenda narra che la breccia fu creata da Orlando nel tentativo di distruggere la sua spada (la nota Durlindana) contro la roccia: è però la roccia stessa a spaccarsi (formando così la breccia), permettendo a Orlando di poter vedere ancora una volta prima di spirare, l'amata terra di Francia. Il solo fatto che la Bréche si trovi a più di cento chilometri da Roncisvalle, teatro della battaglia, spiega bene come nel passato si sia voluto ricondurre, in forma di leggenda, un fenomeno del tutto naturale ad un evento storico.
Quasi giunti al circo |
La salita alla Brèche de Roland avviene per il passaggio lungo il Cirque de Gavarnie, questo grandioso circo di roccia dichiarato Patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO nel 1997. Titolo meritatissimo per questo anfiteatro roccioso, che raggiunge un'altezza di 1500 metri di altezza, con cime (tra cui il Cilindro de Marborè già ammirato nel versante opposto durante la salita al Monte Perdido, vedi post) che superano i tremila metri, un'immensa parete grigia circolare che sviluppa lungo un diametro di circa sei chilometri. Un vero e proprio splendore della natura. Il sentiero per la Brèche passa di qui: si arriva lungo la comoda carrozzabile proveniente da Gavarnie fino al cosiddetto "Hôtel du Cirque et de la Cascade". Di qui, in poco tempo, si arriva quasi sotto quest'immensa cascata. Non è solo la grande cascata dal salto di oltre quattrocento metri ad ammaliare, è tutta la rete di cascate, grandi e piccole (che confluiscono nella Gave de Gavarnie), a conquistarti completamente. Certo, la cascata più importante fa impressione: è un enorme flusso bianco di acqua, a tratti continuo, a tratti ramificato quasi come fosse un fulmine, una scarica di corrente.
La Brèche de Roland e il Refuge de Sarradets |
L'arrivo al Refuge de Sarradets, il punto di partenza per l'ultimo tratto di salita alla Brèche, è costellato di passaggi non banali. Dapprima si deve guadare una delle ramificazioni principali della Gave de Gavernie che proviene dalle cascate: il torrente è ricco d'acqua e le rocce sulle quali poggiare gli scarponi sono instabili e scivolose. Ce ne accorgiamo in fretta, quando Guido, uno dei tre capogita, si trova con le gambe ammollo nell'acqua. Superato il guado, bisogna individuare il sentiero, cosa che ci porta via qualche minuto. A quel punto, inizia la salita verso l'Echelle des Sarradets, un zoccolo che si può superare solo tramite una scalata che necessita di utilizzare anche le mani durante la progressione. Superato il salto di roccia, è ora di una ripida salita: io la percepisco tale, ma c'è da dire che la percorro a gran ritmo, cercando di recuperare il gruppetto guidato da Anna, che aveva attaccato qualche minuto prima lo zoccolo roccioso. Quando termina la salita, si entra nel vallone che conduce al Col de Sarradets. Lo scenario ha un che di surreale, la roccia verso sud ha un aspetto che cambia in continuazione colori, forme e dimensioni, una specie di caleidoscopio montuoso. E poi appare lei, la Brèche, una finestra nel cielo, un sagomato taglio nella verticale muraglia che divide Francia e Spagna. Purissima emozione.
Pronti per l'ultima salita in ghetta-style |
La terrazza del Refuge de Sarradets, a quota 2587 metri di altitudine, è ideale per una sosta ristoratrice. Ci sono ancora poco più di duecento metri da salire per giungere laggiù, al centro del cancello roccioso della Brèche de Roland. Cibo, e poi le ghette: l'ultimo tratto di salita è quasi interamente coperto dalla neve. Mettere le ghette sulla pelle fa un certo effetto, anche visivo. Si, facciamo un po' ridere. Gli ultimi due tratti di salita sulla neve non sono difficili, è talmente battuto che ormai sulla neve ci sono gli scalini. E non possono mancare le energie quando sei lì a poca distanza, quando stai per concludere l'ultima salita del trekking, la più bella o una delle più belle, quando ormai vedi la luce del sole filtrare da quello stretto taglio nella montagna.
In cima, a quota 2804 metri, le sensazioni sono ancora una volta, quelle bellissime della salita al Monte Perdido. Enorme gioia, e complimenti per tutti quanti, questi 1500 metri di dislivello non sono comunque uno scherzo. C'è un vento pazzesco, ma ciò non ci impedisce di fare una foto di gruppo con capigliature assurde, non ci impedisce di ammirare due panorami, quello spagnolo e quello francese, non ci impedisce di sentirci una piccola grande famiglia con tanti altri escursionisti giunti fin lì da diverse nazioni.
E anche la Bréche è conquistata! |
Purtroppo non possiamo fermarci moltissimo, si deve scendere e ci sono altri 1500 metri di dislivello da percorrere, stavolta in discesa e non è che questi siano meno facili solamente perché non c'è più da sudare in salita. Sul nevaio, però, è uno spasso. La gioia è tanta e i pericoli pochi: è così che nessuno decide di seguire la traccia e si viene giù correndo, o sciando, dipende dal punto di vista, sul nevaio. Che ridere, e che fresco! Dal rifugio, si decide di percorrere un altra via: l'itinerario di andata è insidioso se fatto in discesa, soprattutto lo zoccolo che porta all'Echelle des Sarradets. Saliamo velocemente al Col de Sarradets, pochi metri dietro il rifugio e poi si scende, tra nevai da affrontare con estrema cautela, nuovamente nella fantastica Vallée de Pouey d'Aspè, da dove si riprende l'itinerario del giorno prima verso il rifugio.
Il Cirque de Gavarnie, Patrimonio mondiale dell'Umanità |
A quel punto, c'è già tanta stanchezza. C'è voglia di rifugio, di doccia, di relax. Con Mauro e Silvia ci sganciamo dal gruppo (previa autorizzazione, si intende) e in poco più di un'ora e un quarto siamo giunti in rifugio. Il gran ritmo di Mauro (alla fine dirà "Stanco? No, neanche sudato") e la conoscenza del sentiero da percorrere fanno la differenza. Qui ci rendiamo conto che il trekking è finito. Qualunque cosa si faccia il giorno dopo, le fatiche pirenaiche sono terminate.
La gioia va sempre condivisa con i compagni di avventura... |
Fatica nelle gambe, panorami da favola negli occhi, gioia nel cuore. Questo dev'essere l'obiettivo di un escursionista al termine di un simile trekking, e questo è ciò che ho raggiunto qui nei Pirenei. Da oggi, queste montagne non saranno più solo le salite del Tour de France. Da oggi, saranno soprattutto montagne uniche al mondo, al pari delle nostre Alpi. I racconti del trekking pirenaico sono conclusi, i racconti della vacanza non ancora. La montagna, in ogni forma venga vissuta, non finisce mai di regalare nuove emozioni.
A presto!
Stefano
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