Ciao a tutti!
C’è ancora un
ultimo racconto della Donauradweg da portare a termine. L’ho tenuto per ultimo,
alla fine. Perché è il più difficile: è assai dura trovare le parole - e quelle
giuste, peraltro - quando ti trovi di fronte all'ardua realtà della storia. Ma
era doveroso scriverlo. Quando si entra nel campo di concentramento nazista di
Mauthausen-Gusen, tutti i sorrisi, tutta la gioia, che derivano da
un’esperienza memorabile come quella trascorsa quest’estate in Austria, vengono
meno. Si lascia spazio al silenzio della morte che ivi ha regnato, nient’altro.
| Una delle immagini per me più forti della visita a Mauthausen: la rete elettrificata di filo spinato |
È necessario fare
un notevole sforzo mentale per riuscire a comprendere fino in fondo la crudeltà
dell’animo umano, qui a Mauthausen: del lager rimangono qualche mura, qualche
baracca in cui venivano stipati i prigionieri, il filo spinato, la cava di
granito presso cui lavoravano e assai frequentemente trovavano la morte i
deportati. Molto di questo campo non ha conservato lo spirito della Seconda
Guerra Mondiale. Proprio per questo, la visita del lager non mi ha scioccato
del tutto. È molto difficile ricostruire ed immaginare certa violenza. Non ci
sono riuscito del tutto, neanche alla visione delle camere a gas e dei forni
crematori. Si parla pur sempre di costruzioni, anonime se inconsci che ciò che
stai osservando è stato strumento di morte.
| Il piazzale dell'appello del lager di Mauthausen |
Eppure qui è si
consumata la tragedia dell’eccidio di massa praticato dal Terzo Reich, non
tanto di ebrei ma di avversari politici, prigionieri di guerra, omosessuali, professori
dissidenti e persone appartenenti ad etnie di minoranza. Più di 130.000 i morti
in questo lager (di cui 5750 italiani), uccisi nelle maniere più feroci e
svariate: fucilati sulla “scala della morte” che portava alla cava, bruciati
vivi nei forni crematori, asfissiati nelle camere a gas, assiderati nel gelido
inverno austriaco, avvelenati con sostanze diaboliche, finiti dall'estenuante
fatica del lavoro forzato. O suicidati, il gettarsi contro il filo spinato
elettrificato era il modo più dolce per morire e per non lasciarsi
spersonalizzare dai micidiali metodi attuati sistematicamente dalle SS.
| Il monumento eretto in memoria dei 5750 deportati italiani che morirono a Mauthausen |
Solo il museo è
stato in grado di realizzare in me piena consapevolezza di ciò che stavo
vedendo. Foto, documenti, testimonianze, oggetti, alcuni di essi anche “forti”.
Questo è stato in grado di riportarmi al vero senso della malvagità umana
infusa dal Terzo Reich al popolo tedesco. Precisazione: solo durante la
dominazione nazista, i tedeschi sono in realtà lungi dall'essere “malvagi”.
| Uno dei forni crematori di Mauthausen |
Le fortificazioni
di Mauthausen sono una sorta di ossimoro psico-visivo: essere qui, in un luogo
che segnò spietatezza e morte ed al contempo in un luogo dalla cornice visiva
splendida (dalla collina dove si trova il lager si gode di uno splendido
panorama sul Danubio) fa stridere l’animo. Questo è un luogo che non sarebbe
mai dovuto esistere ma proprio perché è stato e ha rappresentato il lato più
brutale dell’umanità (se vogliamo chiamarla così), deve continuare a sussistere
perché rimanga in imperitura memoria a testimonianza. Perché le generazioni che
verranno continuino a conoscere ciò che mai più deve succedere.
| Anche dal male si può risorgere... |
Chiudo con una
citazione tratta dal libro Mauthausen – I 186 gradini di Christian Bernadac: “Fortezza...
Contemporaneamente fortino e acropoli, muraglie gigantesche. Granito e cemento
armato dominanti il Danubio: strani speroni coperti da cappelli cinesi; fili
spinati e porcellana intreccianti un'insuperabile rete elettrica di protezione.
Sì! La più formidabile cittadella costruita sulla Terra dal Medio Evo. Mauthausen.
Mauthausen in Austria. Mauthausen dai 155.000 morti.”
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