sabato 29 agosto 2015

Una cattiveria speciale

"Si è alzato di buon'ora, ha buttato giù prima i cereali col miele e poi una pasta in bianco, ha indossato il pettorale n. 2157 e quella maschera di serena sofferenza che ieri ha fatto il giro del pianeta in mondovisione. Lo sguardo pietrificato, la bocca semiaperta, l'espressione immobile, gli occhi, solo gli occhi, che ruotano a destra e a sinistra, come periscopi. Poi è andato a prendersi quello a cui pensava da Sydney 2000, l'Olimpiade a cui fu costretto a rinunciare per una microfrattura da stress all'anca: la medaglia d'oro olimpica nella maratona. Aveva una maledetta fretta, Stefano Baldini da Castelnovo di Sotto: due ore, dieci minuti e cinquantacinque secondi sono un tempo ridicolo di fronte a quattro anni d’ attesa. «Quest'oro me lo sentivo, ero venuto ad Atene per fare la corsa della vita. L'inizio non è stato favorevole: andavamo troppo piano e a un certo punto mi sono venuti i crampi. Mi ha dato una mano Gharib quando è scattato al venticinquesimo chilometro: ha fatto la selezione e lì è cominciata un'altra gara. Poi sono partito io».

Una vittoria ispirante

L'aveva giurato al suo allenatore, Luciano Gigliotti, il tecnico che a Seul '88 s'era inventato uno Spyros Louis barbuto e spiritato, Gelindo Bordin, e che a Atene ha tirato fuori dal cilindro il biondino fatto di fil di ferro che alle 20.11 si è messo sotto le suole 42.195 metri d'asfalto e di fatica: «Ciao Lucio, vado a vincere l'oro». E adesso che ha mantenuto la promessa, bacia la pista dello stadio Panathinaiko e si rotola per terra, tende le mani a una volontaria per farsi tirare su in piedi e poi grida «ma vieni!» con tutto il fiato che gli rimane in gola, mentre in sottofondo Bruce Springsteen canta baby we were born to run, ragazzo siamo nati per correre. È stata una rincorsa lunga, fatta di piazzamenti (bronzo ai Mondiali 2001 e 2003), fughe (successi alla maratona di Roma '98 e di Madrid 2001) e pause per i rifornimenti: gli infortuni, le crisi di fiducia (quarto a Londra quattro mesi fa: «Avevo il morale sotto i tacchi...»), la nascita della piccola Alessia, che ieri si è presa un bel bacione in diretta tv dal suo papà, il proprietario di quella meravigliosa faccia da italiano che ha fatto la linguaccia sul podio e ha addentato la medaglia con rabbia, mentre cinque miliardi di spettatori si innamoravano della sua fossetta sul mento nel bel mezzo della cerimonia di chiusura dei Giochi 2004, un'emozione dolce dopo l'emozione feroce, quelle due ore di vita trascorse alla media di 19 km/h, da keniano bianco tra gli africani. «Devo dire la verità: nelle condizioni in cui ero oggi, non mi avrebbe battuto nessuno. Mi sono superato. Mi sento nella leggenda». Non è presunzione. È il legittimo orgoglio dell'ottavo di undici fratelli, che ha scelto la strada più impervia per entrare nella leggenda olimpica. «Questa medaglia è meravigliosa e due volte importante: è un oro olimpico ed è stato vinto in una città storica». Non ci sono dediche, se non al protagonista: «L'oro me lo tengo per me perché solo io so quanto ho sofferto per arrivarci, quanta strada ho dovuto percorrere, quanto anni di sudore ha richiesto questo successo. È il risultato di una carriera di sforzi». Questo oro gli era dovuto: «Ho semplicemente dovuto passare alla cassa per riscuotere il credito che avevo accumulato». È presto per parlare del futuro, ma qualcosa sull'onda delle emozioni si può già dire: «Con l'oro al collo faccio fatica a pensare di ritirarmi. Questo oro mi costringe ad arrivare fino a Pechino 2008». Nella sua terra, tra Castelnovo e Rubiera, dove è nato e dove si è formato atleticamente, suonano le campane. Mamma Maria e papà Tonino non hanno voluto nessuno in casa, durante la diretta della maratona, ma poi hanno aperto la porta per fare entrare gli amici, i parenti. Baldini ci riempie d'orgoglio e di certezze. Sappiamo andare in bicicletta (Bettini), sappiamo marciare (Brugnetti), sappiamo tirare di scherma e giocare a pallanuoto meglio di chiunque altro nel mondo. Sappiamo anche ingoiare la sofferenza con dignità, mantenere un'espressione serena e arrivare fino in fondo alla gara più difficile. «Mi sono allenato con una dedizione incredibile. Forse in questi mesi sono addirittura diventato più cattivo». È aumentato di peso. Servivano più muscoli sotto quel motore fantastico per reggere il confronto con i signori degli altipiani, con i maestri della maratona che da ieri hanno un nuovo maestro made in Italy, made in Castelnovo di Sotto. «Il brasiliano Lima lo tenevo d'occhio da un po'. Quando ho deciso di andarlo a prendere non c'era più niente da fare per lui». Chiede scusa: «Vado, ho voglia di cantare l'Inno». Se ne va trotterellando. Baby, he was born to run."
di Gaia Piccardi, Corriere della Sera, 30 agosto 2004

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