Magari qualcuno ancora non ci crede, ma sul serio la Germania non è il paradiso che i numeri provano ad attestare. Lo dimostra un fatto che ho avuto modo di vedere la scorsa settimana.
Esco di casa e trovo un plico di materiale cartaceo nella mia cassetta della posta. Una copia dello Schweinfurter Tagblatt, un giornale locale che ogni tanto ricevo a casa (edizioni del giorno prima), pubblicità ed offerte dei vari discount della zona, e un volantino. Lo guardo bene e mi pare chiaro fin da subito che si tratta di un avviso: quello della raccolta degli indumenti usati. Beh, non mi è chiaro a chi fossero destinati gli indumenti che sarebbero stati raccolti, però suppongo che, come in Italia, queste associazioni di carità devolvano le loro acquisizioni ai poveri del terzo Mondo e ai bisognosi della zona.
Il volantino della raccolta-vestiti |
Barboni per la strada che chiedono l'elemosina o che rovistano nei cestini dell'immondizia, banchi alimentari, poveri fuori dalle chiese alla ricerca degli spiccioli per un pasto, discount spesso frequentati da disgraziati. Ho citato queste scene e questo piccolo episodio, quello della raccolta degli indumenti usati, per sottolineare ancora una volta a chi mi legge dall'Italia: la Germania – e tantomeno in Baviera, dove la disoccupazione non supera il 4% - non è ovviamente in una situazione disastrosa come in Italia, ma i bei tempi in cui bastava fare baracca e burattini, trasferirsi in Germania e dopo pochi giorni trovare un lavoro più che dignitoso, magari il classico posto nella linea di montaggio in una fabbrica della Volkswagen, sono ormai finiti. Mi capita sempre più spesso di tentativi di connazionali che provano l'avventura tedesca e che ritornano in patria, tristi, delusi ed arrabbiati.
O meglio, disillusi da una terra promessa che ormai ha cessato di esistere.
Bis bald!
Stefano
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