venerdì 24 ottobre 2014

Uomo di ferro

Ciao a tutti!
Chi è e cosa ha fatto Alex Zanardi credo lo sappiano un po' tutti.
Quando penso alla sua storia rimango sempre stupito. Si fa in fretta a parlare di lui come qualcuno che ha guidato macchine e dopo un terribile incidente si è rimesso in gioco nello sport per atleti non normodotati. Zanardi è un modello. Un esempio di positività, un'infusione di grinta, una storia che lascia in tutti una scarica di coraggio. Per chi come me, ama la fatica e la passione per il sacrificio nel gesto sportivo, Zanardi è una sorta di mito, un'icona indistruttibile. Una forza d'animo inarrestabile unita a doti psico-fisiche che hanno dello straordinario. Per questo è così amato. E anche per questo dovrebbe essere un faro per noi italiani.
Quello che ha fatto alle Hawaii dieci giorni fa circa, nel triathlon in versione "iron-man" ritenuto il più duro del mondo, è qualcosa senza precedenti, di assolutamente formidabile. Il suo trionfo - perché questo è un vero trionfo - mi ha lasciato di sasso. Leggere le sue parole dopo una tale impresa mi regala ulteriore spinta. Mi dà quell'energia che ti fa pensare che "non si deve mai mollare". L'intervista che segue, comparsa su La Stampa del 13 ottobre, tocca corde sensibili dell'animo umano. Personalmente mi commuove e già allevia la fatica che immagino vivrò fra due giorni. Perché non sarà nulla a confronto.

Alex Zanardi col simbolo del trionfo (fonte: al volante.it)

«E spero che tutto questo serva a educare l’Italia, affinché diventi più sensibile alle necessità dei portatori di handicap». Da ieri, se prima ci fossero mai stati dubbi, l’ex pilota di Formula Uno che perse le gambe in un incidente è un «IronMan», un uomo di ferro. Ha completato sul percorso di Kona, alle Hawaii, la gara di triathlon più prestigiosa e massacrante del mondo, scendendo sotto il tetto delle dieci ore. Per la precisione, 226,255 chilometri coperti in 9 ore, 47 minuti e 14 secondi. Significa il 247esimo posto su 2.187 atleti, la maggioranza dei quali normodotati.
«È un po’ come uno che si sveglia una mattina e decide di fare il pilota di Formula Uno cominciando dal Gran Premio di Monza. In un mese, l’Equipe Enervit del professor Arcelli mi ha fornito un inedito protocollo “carboloading” per immagazzinare energia nei muscoli che ha davvero funzionato. Ma gli ultimi trecento metri, con la gente che faceva tutta il tifo per me, sono valsi da soli l’intera impresa. Non sono una persona emotiva, ma quando ho tagliato il traguardo ero molto vicino a piangere. È stato fantastico, un giorno che custodirò come un tesoro per tutta la vita».
Quali sono stati i momenti più difficili?  
«Il primo durante la frazione a nuoto. Non avendo le gambe, quando si tratta di sprintare per occupare uno spazio rimasto aperto sono svantaggiato. Mi hanno colpito in varie occasioni, e per tre volte mi hanno tolto il boccaglio. Ho perso tempo, ma sono comunque riuscito a completare bene questa parte, perché le mie braccia sono molto allenate e vanno alla grande».
Non ha mai pensato di mollare?  
«Mai, ma ho avuto altri due momenti difficili. Uno è stato durante la frazione in bici, per colpa del vento. Me lo sono trovato prima sul fianco, dove faceva cadere i concorrenti e mi ha costretto a rallentare, e poi contro, frenando la mia azione. Per distrarmi contavo i battiti cardiaci, ma pensavo: questa gara non finisce più! Il secondo momento complicato è stato durante la maratona, quando sono arrivato sulla salita di Palani Road. Ero un bagno di sudore, le mani mi scivolavano sulla carrozzella, e quindi non riuscivo a procedere. La gente che mi ha visto deve aver pensato che stessi facendo uno sforzo mostruoso, ma in realtà era solo che non avevo presa».
I media americani la presentano come un modello, per l’esempio che dà e il coraggio che trasmette. È questo il motivo per cui corre?  
«Io corro per la gioia di competere e la sfida di mettermi alla prova. Come quando cerchi di fare il sorpasso nella curva del Cavatappi a Laguna Seca e tutti dicono che è impossibile, ma invece ti applichi e ci riesci. Io non sono nessuno per dire agli altri come devono comportarsi, però mi scioglie il cuore l’idea che magari domani qualcuno nelle mie condizioni dirà: se Zanardi può fare questa roba, io non devo restare in casa a giocare col telecomando. E uscirà, fosse anche solo per andare a fare la spesa. Sono orgoglioso quando sento persone che mi dicono: ti devo la vita, mi hai spinto a rimettermi in gioco».
Gli Stati Uniti sono un Paese dove porre i disabili in condizione di avere una vita attiva è un dovere: l’Italia deve ancora imparare qualcosa?  
«Non ci sono Paesi buoni e cattivi, però su questo aspetto l’Italia è maleducata, nel senso che non è stata educata a essere sensibile al problema. Quando negli Usa vai al supermercato in carrozzella, nessuno si gira a guardarti. Nelle città italiane capita spesso di trovare i parcheggi per i disabili occupati: quando poi spieghi alle persone che li occupano il danno che fanno, capiscono. Abbiamo un’urbanistica condizionata da anni di arte e storia, e sarebbe un delitto modificarla per i disabili, però poi vedi anche edifici nuovi dove sarebbe stato facile e bello mettere una rampa d’accesso, e invece gli architetti li riempiono di scaloni squadrati. Insomma sì, c’è molto che potremmo fare, e io spero di favorire la riflessione».
La prossima impresa?  
«Non so se definirla impresa, ma domenica sarò a Zolder, sulla mia Bmw Z4 GT3, per la penultima gara delle Blancpain Sprint Series».
di Paolo Mastrolilli, La Stampa, 13 ottobre 2014

L'annuncio di una grande impresa (fonte: sport.sky.it)

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