martedì 6 settembre 2016

Insegnamenti olimpici: la sofferenza

«Per arrivare qui ho sofferto tanto. E ho sofferto così tanto che ha cominciato a piacermi, perché il trucco per diventare campione è quello di soffrire ed allenarsi tantissimo»
Fabio Basile (oro olimpico nel judo maschile, categoria -66 kg)

L'urlo di rabbia e di vittoria (fonte: gazzettadiparma.it)

Le Olimpiadi, in tutte le edizioni, lasciano qualcosa di bello da ricordare. Qualcosa che va oltre la comprensibile gioia personale dell'atleta medagliato o la soddisfazione del bottino olimpico personale. Ci sono momenti, attimi e frasi che possono rimanere ben fissati nella mente. Uno di questi l'ha concesso il primo oro della spedizione italiana a Rio de Janeiro, il judoka Fabio Basile. Concessosi ai microfoni dopo l'incontro che gli è valso il titolo olimpico, ha dichiarato di aver scoperto "il piacere di soffrire".
Ecco, questo (da maratoneta) mi ha colpito. Ci penso e ci ripenso. Poiché nessuno lo dice che in fondo noi podisti corriamo perché ci piace soffrire, incuranti dell'acido lattico che frantuma i muscoli. E come in tutti gli altri sport, la sofferenza nell'allenamento è la via maestra da percorrere per il successo. Nel judo come nella corsa. Superare le proprie barriere, pagando un pegno di sofferenza, di dolore a volte, per volere raggiungere un obiettivo. E scoprire che faticare è bello: ovvio per un maratoneta, assai meno per chi non corre o chi non fa pratica sportiva. Tanti mi chiedono: "Ma come fai?". Per chi corre tanti chilometri, per chi corre maratone, faticare è la bellezza del correre, soffrire è un'implicita ed essenziale ragione di vita.
Bis bald!
Stefano

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